La mattina del 24 febbraio 2022 i primi carri armati russi sono entrati in Ucraina, cambiando completamente il quadro geopolitico mondiale. Una delle prime conseguenze è sul mondo del calcio: il pomeriggio del giorno dopo l’UEFA riunisce un consiglio straordinario per decidere cosa fare con la finale di Champions League, prevista per il 28 maggio a San Pietroburgo, in Russia.
Appare evidente che tenere una manifestazione di questo tipo in un paese in guerra, che sarà colpito da sanzioni e isolamento internazionale, è impossibile. Così, si cerca un’alternativa, e la Francia candida lo Stade de France di Saint-Denis, lo stadio più grande del paese che ospita le partite casalinghe della Nazionale. Il presidente Emmanuel Macron, che viene ringraziato esplicitamente dall’UEFA nel comunicato di assegnazione, si è speso in prima persona per ospitare l’evento: è un ottimo modo per garantire al paese una “prova generale” in vista dei Giochi olimpici del 2024, che si terranno a Parigi, e contribuisce all’immagine che Macron veicola di sé stesso. Il presidente è molto attento ai suoi legami con gli sportivi francesi più famosi: ha avuto un ruolo molto rilevante nella scelta di Kylian Mbappé di rinnovare il proprio contratto con il Paris Saint-Germain, e non perde occasione per ricordare la sua passione per lo sport e per gli atleti che difendono il tricolore.
La prova generale, tuttavia, mostra una grande impreparazione, e solleva più di un dubbio sulla gestione dell’ordine pubblico da parte delle autorità francesi. Lo Stade de France si trova a nord di Parigi, nel comune di Saint-Denis, ed è servito da tre linee di metropolitana. Una di queste tre, la RER B, avrebbe dovuto essere la più utilizzata, ma è colpita da una sciopero che ne limita la capienza e la frequenza: i tifosi, in particolare gli inglesi che sono sistemati nella parte meridionale dello stadio, sono dunque costretti a utilizzare un’altra linea di metropolitana, la RER D, che mette a disposizione una fermata più lontana dall’entrata dello stadio. Per evitare che i tifosi che arrivano dalla RER D si accalchino ai tornelli di ingresso, il percorso dalla fermata allo stadio prevede il passaggio in una grande strada larga più di venti metri dove sono organizzati una serie di punti di pre-filtraggio. In teoria questo dovrebbe facilitare il lavoro delle forze dell’ordine, in pratica le indicazioni all’uscita della metro D sono confuse, e spingono i tifosi inglesi in strade più piccole e pericolose: alla fine del percorso la gran parte delle persone si trova di fronte a soli cinque corridoi di controllo.
Ed è qui che le cose degenerano: dopo un paio d’ore di controlli molto lenti la folla si accumula, fino a diventare troppo densa. Il prefetto di Parigi decide di aprire il pre-filtraggio e lasciar passare tutti. Il risultato è che i tifosi si trovano direttamente davanti all’entrata (in particolare a tre ingressi) senza che nessuno abbia controllato i loro biglietti.
Per far fronte alla situazione, la sicurezza della struttura chiude i cancelli, ma a quel punto alcune persone cominciano a scavalcare e a entrare allo stadio, di fronte ad agenti e steward completamente in balia della folla: le immagini girate nelle ore subito precedenti alla finale mostrano molti tifosi inglesi colpiti da lacrimogeni, strattonati, caricati da agenti evidentemente privi di controllo della situazione, mentre decine di persone non identificabili come tifosi del Liverpool, ma con ogni probabilità residenti a Parigi (impressione confermata da diversi video pubblicati sui social dagli autori stessi), scavalcano i cancelli ed entrano allo stadio, aumentando la confusione. Lentamente, i controlli riprendono e permettono l’afflusso, ma non per tutti: circa 2700 persone munite di biglietto non sono riuscite a entrare, la partita è iniziata con 36 minuti di ritardo e le immagini di violenza hanno già fatto il giro del mondo. Dopo la partita, molti tifosi inglesi e spagnoli denunciano di essere stati rapinati o malmenati da malviventi locali, alcuni testimoni riportano al Figaro di aver assistito a violenze sessuali, ed entrambe le società chiedono alle autorità francesi di fornire «risposte e spiegazioni per determinare chi sono stati i responsabili di aver lasciato i tifosi indifesi», di fronte a un’operazione criminale molto probabilmente «premeditata» scrive il Times.
La questione diventa presto di rilevanza politica. Nelle ore successive alla finale, il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, accusa i tifosi inglesi di essere i principali responsabili del caos per avere provato a truffare gli steward e le forze dell’ordine: «Davanti ai cancelli c’erano tra le 30 e le 40 mila persone in più rispetto alla capienza, molti con biglietti falsi o senza biglietto. Questo è accaduto nel lato riservato ai tifosi inglesi, dal lato del Real Madrid il fenomeno era molto minoritario». In realtà, come dimostrato da moltissimi giornalisti sul posto e dalle immagini circolate durante la partita, di queste circa 40mila persone rimaste all’esterno dello stadio dopo essere state scoperte con un biglietto falso non c’è traccia: la Fédération française de football (l’equivalente della nostra FIGC) e l’UEFA hanno comunicato di aver scannerizzato circa 2800 biglietti, una cifra molto lontana dalle stime fatte circolare dal ministero dell’Interno francese. Certo, è molto probabile che i falsi tagliandi circolati fossero di più di quelli che sono stati effettivamente presentati, ma sembra difficile che i truffatori fossero un numero rilevante.
Non solo, per i tifosi del Liverpool che non erano riusciti ad acquistare il proprio biglietto ma volevano in ogni caso seguire la partita a Parigi, era stata allestita una grande area con maxischermi a place de la Nation con circa 40mila posti disponibili tutti già occupati un’ora prima dell’inizio della finale. La difesa delle autorità francesi ha rischiato di creare un incidente diplomatico con il Regno Unito, che ha chiesto più volte in queste settimane delle scuse, infine arrivate durante un’audizione al Senato del ministro Darmanin. Tuttavia, la serata è diventata il simbolo della gestione dell’ordine pubblico durante la presidenza di Emmanuel Macron e incarnata da due uomini.
Il primo è, appunto, Gérald Darmanin: ex direttore della campagna elettorale di Nicolas Sarkozy alle primarie del centrodestra nel 2016, è stato nominato da Macron nel 2017 ministro del Budget e dei Conti pubblici, poi “promosso” all’Interno nel 2020. Il secondo è il prefetto di Parigi, Didier Lallement, nominato nel 2019 per far fronte alle violenze settimanali causate dalle manifestazioni dei gilet gialli a Parigi. Lallement non ha mai nascosto il suo approccio duro e autoritario e anzi alimenta questa fama rispondendo a chi lo incontra per la prima volta: «Lei conosce la mia reputazione. Sono peggio». Secondo alcuni, semplicemente, «ama essere detestato». L’approccio del prefetto di Parigi è diretta emanazione del governo: è il poliziotto più importante del paese, è nominato con decreto firmato dal presidente della Repubblica che accetta la proposta del primo ministro.
Dopo aver tentato di minimizzare i fatti, Darmanin e Lallement si sono scusati per il comportamento della polizia e per l’utilizzo di gas lacrimogeni, avvenuto «in maniera sproporzionata» e «contro le regole di ingaggio». Darmanin ha detto che al momento sono in corso due indagini amministrative che consentiranno di comminare sanzioni agli agenti che hanno tenuto comportamenti non in linea. Malgrado le scuse di circostanza, le autorità non sembrano però ammettere fino in fondo di aver gestito molto male l’evento. Il prefetto Didier Lallement, in audizione al Senato, ha prima ammesso «un grande fallimento», ma ha poi ricordato che «la partita ha avuto luogo e non ci sono stati feriti gravi, né morti». Ha contestualizzato il ricorso ai gas lacrimogeni come il «solo mezzo per far indietreggiare una folla senza caricare», e ha infine detto di non ritenere di dover cambiare «la dottrina della gestione dell’ordine pubblico».
L’intervento del prefetto Lallement è paradigmatico dell’atteggiamento della polizia francese: come se l’assenza di «feriti gravi e morti» tra il pubblico di una finale di Champions fosse un risultato di per sé. Un risultato, tra l’altro, raggiunto proprio grazie alla disciplina dei tifosi del Liverpool, che non si sono fatti prendere dal panico e hanno atteso in modo ordinato per diverse ore al caldo e senza servizi igienici che le autorità facessero scorrere la fila. È probabile che le traumatiche esperienze passate degli inglesi, come i disastri dell’Heysel nel 1985 e di Hillsborough nel 1989, causati proprio da movimenti di folla, abbiano contribuito alla consapevolezza che in situazioni del genere è meglio rimanere calmi.
Il ricercatore Sebastien Loché, tra i principali esperti francesi di mantenimento dell’ordine pubblico, ha spiegato al Monde che i fatti del 28 maggio non devono essere considerati come un’eccezione o una serata storta: «Possiamo parlare di un’abitudine. Gli incidenti sono emblematici dell’approccio della polizia francese nei confronti della folla, percepita come un gruppo omogeneo. Questo fa sì che diventi difficile neutralizzare solamente gli autori dell’infrazione».
I poliziotti, in assetto antisommossa e pesantemente equipaggiati, non avevano a disposizione megafoni o altri strumenti per gestire una grande folla in spazi stretti. In più, la cultura dei CRS, la Compagnie républicaine de sécurité, i reparti di polizia incaricati di mantenere l’ordine pubblico, fa molto affidamento sul confronto duro più che sul dialogo. La dottrina di cui parla il prefetto Lallement è questa, spiega ancora Roché: «Spezzerei una lancia a favore degli agenti, perché ciò che abbiamo visto gli viene insegnato alla scuola di polizia: opporre una forza superiore a quella che percepiscono di avere di fronte a sé. Gli agenti sono formati per utilizzare i loro strumenti in un contesto di “mantenimento dell’ordine”, mentre nel Regno Unito si parla di “gestione della folla”, con l’idea che bisogna preservare la calma. In Francia, di fronte a un alterco, le autorità non cercano di abbassare la tensione, ma inviano sul terreno poliziotti che fanno un utilizzo indiscriminato dei mezzi messi a loro disposizione».
L’atteggiamento repressivo della polizia francese è un problema antico, esacerbato e incoraggiato da alcune disposizioni di legge introdotte dopo gli attentati islamisti che hanno colpito il paese nel 2015. Durante la notte del 13 novembre e l’assalto al Bataclan e ai ristoranti del decimo e undicesimo arrondissement di Parigi, il presidente della Repubblica François Hollande dichiarò lo stato d’emergenza su tutto il territorio metropolitano, ricorrendo a una legge del 1955 utilizzata per affrontare i disordini interni causati dalla guerra d’Algeria. Lo stato d’emergenza, che prevede una serie di poteri eccezionali attribuiti alla polizia amministrativa, è rimasto in vigore per quasi tre anni, malgrado il suo fondamento, appunto, eccezionale.
Tra le altre cose, lo stato d’emergenza consentiva ai prefetti di procedere a perquisizioni amministrative senza dover ottenere l'autorizzazione del giudice, la possibilità di disporre degli arresti domiciliari sempre senza passare dal giudice (in questi due casi, il passaggio di fronte all’autorità giudiziaria avviene dopo la perquisizione, qualora questa sia contestata), di vietare manifestazioni o cortei, vietare la circolazione di persone o veicoli in dei luoghi precisi e a delle ore fissate con decreto. Gran parte di queste disposizioni sono state incorporate nella legge ordinaria nel 2018, con la motivazione della lotta al terrorismo. Così, è rimasta in vigore la possibilità per i prefetti di instaurare dei «perimetri di protezione» per regolamentare l’ingresso, la circolazione e lo stazionamento in riunioni pubbliche in modo da organizzare il filtraggio degli accessi. Questa procedura è stata molto utilizzata, per esempio, durante le manifestazioni dei gilet gialli, momento di massima tensione tra la piazza e il governo.
All’approccio molto muscolare della polizia si aggiunge l’esperienza del campionato di Ligue 1 appena concluso, segnato da moltissimi episodi di violenza, con ripetute invasioni di campo, risse, aggressioni, lanci di petardi e oggetti contro i giocatori. Una situazione che «gangrena» il calcio francese secondo il quotidiano regionale La Voix Du Nord, e che ha costretto le autorità a limitare il più possibile le trasferte dei tifosi ospiti, che non hanno potuto assistere a 63 partite. Marsiglia-Paris Saint-Germain, la partita più importante del campionato, si svolge senza tifosi ospiti dal 2018. Questa grande severità ha limitato le violenze nella seconda parte del campionato, ma non ha impedito, per esempio, una grande invasione di campo segnata da violenze alla fine di Auxerre-Saint Étienne, spareggio valido per la retrocessione in Ligue 2 vinto dall’Auxerre. Soprattutto, ha probabilmente contribuito a rendere meno efficace l’organizzazione della finale di Champions League: le autorità francesi hanno avuto poco tempo per preparare la partita, in genere assegnata più di un anno prima, e non sono più abituate a gestire grandi eventi di questo tipo (l’ultimo grande evento sportivo ospitato dalla Francia è stato l’europeo del 2016).
L’estrema destra ha provato a utilizzare gli episodi avvenuti prima e dopo la finale, per criticare il governo, «in balia della racaille», una parola che è possibile tradurre con “feccia”, ed è molto utilizzata per stigmatizzare le persone che abitano nelle banlieue più difficili. La questione delle violenze accadute durante e dopo la partita ha anche animato uno scambio tra la senatrice dei Républicains (centrodestra) Jacqueline Esutache-Brinio e il ministro dell’Interno: «Grazie a quello che ormai tutti definiscono un fiasco, tutti hanno potuto scoprire che la Seine-Saint-Denis non è la California senza mare, come ha detto il Presidente della Repubblica recentemente», ha detto Esutache-Brinio, soffermandosi sui grandi cambiamenti a cui ha assistito il dipartimento negli ultimi 25 anni: «Lo Stade de France ha aperto nel 1998 e la Francia è cambiata in questo periodo»; e sull’atteggiamento di «negazione» del ministro dell’Interno: «Perché negare ciò che è realmente accaduto? Perché non denunciare la realtà? Perché non presentare delle scuse agli spagnoli e agli inglesi? Ha forse rinunciato a ristabilire l’ordine pubblico nel nostro paese?». Darmanin ha risposto che l’accostamento tra delinquenza e nazionalità è «nauseabondo», e che le dichiarazioni sui cambiamenti della Seine-Saint-Denis «fanno il gioco dell’estrema destra». In questo dibattito non mancano anche momenti surreali: durante una trasmissione su C News, canale di informazione con una linea editoriale che può essere accostata a quella di Rete 4 in Italia, il presentatore Pascal Praud ha detto che i francesi che hanno scavalcato le recinzioni e sono entrati senza biglietto allo stadio lo hanno fatto per «andare vedere Karim Benzema», vero responsabile dell’accaduto: «È la sua presenza sul campo che ha attirato quelle persone. Senza Benzema non sarebbero entrati». Da tempo il calciatore è nel mirino dell’estrema destra per le sue origini, i suoi guai giudiziari e le sue dichiarazioni sulla nazionale francese, per cui ha detto di giocare «per ragioni sportive», mentre il suo «cuore è con l’Algeria, il paese dei miei genitori».
La sera della finale di Champions la polizia francese ha disposto un centinaio di fermi, la maggior parte tifosi inglesi, rilasciando tutti tranne 6 persone, giudicate il lunedì dopo per direttissima dal tribunale di Bobigny, competente per i fatti. I sei individui, francesi tra i 21 e i 39 anni, sono stati condannati per furto e violenze. Un numero esiguo rispetto a quanto riportato dalle centinaia di testimonianze dei tifosi aggrediti. Uno degli avvocati presenti la mattina al tribunale ha minimizzato: «La vicenda dello Stade de France è una triste storia di borseggiatori tra una folla di tifosi avvenuta in un contesto abituale nella Seine-Saint-Denis». Forse il fatto che sia «abituale» spiega gran parte di quello che è accaduto la sera del 28 maggio.