Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
L'incredibile fortuna di Cerundolo e il ruolo del caso
31 mar 2022
A Miami la fortuna gli ha steso un tappeto rosso.
(articolo)
13 min
Dark mode
(ON)

Jannik Sinner è al centro del campo e comanda le operazioni. Lascia andare il braccio libero, sul lato del dritto e su quello del rovescio. Sembra accorto e centrato. È un quarto di finale del torneo 1000 di Miami, ma è un quarto di finale stranamente facile, contro Francisco Cerundolo. Un tennista argentino con un tennis pulito, molta fortuna e poco più. I due si sono allenati insieme nei giorni scorsi ed è una delle poche cose che l’argentino può sfruttare a suo favore. Certo, non è il miglior Sinner possibile. All’inizio del torneo ha faticato ha trovare ritmo nel suo tennis, ma una partita dopo l’altra è cresciuto e nel turno precedente ha battuto Nick Kyrgios con un manifesto di indifferenza epicurea ai bollori dell’australiano. Con Cerundolo avrebbe dovuto giocare una partita accorta ma rilassata: avrebbe dovuto gestire le insidie dei favori assoluti del pronostico, ma sfruttare una superiorità tecnica schiacciante.

Cerundolo ha 23 anni, è numero 103 del mondo ed è uno di quei giocatori che ancora non saprebbe dire, con sicurezza, se il tennis è davvero la sua vita. È iscritto all’università di Palermo, Buenos Aires, dove studia management. Viene da una famiglia di tennisti: sua madre e suo padre erano tennisti, suo fratello più giovane è un tennista, e in molti pensano abbia più talento di lui. Qualcuno deve avergli consigliato di preparare un piano B nel caso in cui col tennis non andasse come sperato. Il padre di Cerundolo ha raccontato che nei momenti di difficoltà l’esempio di Sinner è stato d’ispirazione: «Non era forte da junior, è uno dei fenomeni più strani degli ultimi anni. Molte volte abbiamo pensato: se ce l’ha fatta lui, possiamo arrivarci anche noi».

Sull’1-2, 30-0 Sinner vince un altro punto e si guadagna tre palle per il due pari, ma si china leggermente, come per capire come stanno le sue gambe, o qualcos'altro. Cerundolo lo nota ma pensa che magari è stanchezza (stanchezza? A inizio partita?). Sarà l’ultimo punto che Sinner vincerà nel match. Commette tre errori strani, tra cui una palla corta uscita lunga in modo imbarazzante. Perde il servizio. Sembra sgangherato e fuori fuoco. Si muove come se stesse camminando su dei chiodi, sbaglia colpi di diversi metri, come se il suo corpo - una macchina perfetta per il tennis - fosse andato in pezzi da un momento all’altro. In un paio di minuti, in cui perde tutti i punti giocati, si ritrova sotto 1-4. C’è il cambio campo, la telecamera inquadra Cerundolo, che indossa un brutto completino fucsia; quando vediamo Sinner avvicinarsi a lui e stringergli la mano. Si sta ritirando. È un momento strano: prima della partita non si sapeva di nessun problema fisico, e durante non era successo niente, nessun presagio di un problema tanto grave da ritirarsi senza nemmeno chiamare l’intervento medico. Dopo venti minuti, quindi, stringe la mano all’arbitro e se ne va tra i fischi del pubblico, senza salutare - una freddezza che gli costerà, naturalmente, le critiche del pubblico italiano, alla costante ricerca di motivi per criticare Sinner. Dopo la partita ha spiegato che si era infortunato nell’ultimo game della partita con Kyrgios, e che il fisioterapista non ci avrebbe potuto fare niente. La cosa è peggiorata dopo una palla corta subita nel primo game, che lo ha costretto a scivolare sul dolore.

Cerundolo così si è visto la vittoria consegnata tra le mani. Ha messo su una smorfia triste di circostanza, gli ha detto “che peccato”. Non è la prima volta che gli capita nel torneo ed è sinceramente imbarazzato. Si gira verso l'operatore con un mezzo sorriso e gli chiede se davvero vuole che firmi la telecamera, come fanno i tennisti al termine delle loro vittorie. Nel suo percorso verso la semifinale la fortuna gli ha steso il tappeto rosso. Al primo turno, per esempio, ha affrontato Tallon Griekspoor. Un nome che magari non vi dirà niente, che non saprete nemmeno ricondurre a una lingua precisa, ma che è quello di un tennista che ha fatto di recente gli ottavi di finale agli Australian Open e che l’anno scorso ha vinto otto challenger (un record). Uno di quelli di cui si dice “ha vinto molte partite di recente, quindi occhio”. Durante il match Griekspoor, che ha l’aria slavata dei fattori olandesi, ha sofferto un colpo di sole. Nel terzo set, col punteggio serrato, tutto sudato e fuori fase, Griekspoor è andato in pezzi. Al secondo turno Cerundolo aveva un sorteggio sulla carta proibitivo, contro Reilly Opelka. Numero 18 al mondo, una specie di golem appassionato di moda che serve dall’altezza di una gru. Opelka dall’inizio è sembrato giocare con la debolezza di chi ha la febbre. Colpiva la pallina con inusuale mollezza e il suo tennis, spogliato della sua violenza, è rimasto in piedi come un fiore secco. Nel secondo set, sotto nel punteggio, Opelka si è infine ritirato, lamentando un problema alla spalla. Cerundolo ha stretto la mano all’avversario, ha fatto un’espressione contrita, e zitto zitto si è portato al turno successivo. Davanti c’era Gael Monfils, uno dei migliori tennisti della storia recente ma in pessima forma. Un mesetto fa, dopo un ritiro, si è lamentato degli effetti collaterali della dose booster del vaccino. In una recente intervista ha confidato dei problemi vissuti in casa. Sua moglie, Elina Svitolina, sta soffrendo la situazione della guerra in Ucraina: «Non è facile vedere i miei suoceri soffrire e mia moglie piangere ogni notte. Sono qui per lei, per la sua famiglia. Buona parte della sua famiglia è ancora in Ucraina. È incredibile, se ci pensate. Stiamo cercando di affrontare la cosa nel miglior modo possibile. Cerco di sostenerla. Farei qualsiasi cosa per loro».

Insomma, era un buon momento per affrontare Monfils, e Cerundolo lo ha sfruttato col suo tennis semplice e lineare, ma anche piuttosto completo. Ha vinto in due set facili, servendo bene, colpendo in modo aggressivo da entrambi i lati. Ha uno stile di gioco più adatto al cemento rispetto al fratello, che nel frattempo è stato eliminato da Frances Tiafoe, prossimo avversario di Cerundolo. L’argentino parte sfavorito per la quarta volta nel torneo, se non altro perché affronta il quarto avversario meglio posizionato di lui nel ranking.

Tiafoe lo conosciamo: può vincere e perdere da chiunque a seconda di come è sceso dal letto. È un tennista creativo, talentuoso e che ha bisogno di che i match diventino emotivi e caotici. Mentre i tifosi italiani sperano di vedere la rivincita del torneo di Vienna - quando Tiafoe batté Sinner in una partita confusa e nervosa - Cerundolo fa il suo incantesimo. Perde il primo set al tie break, ma nel secondo Tiafoe comincia a toccarsi la schiena, con quell’atteggiamento sempre un po’ enfatico e vittimista che gli appartiene. Cerundolo, che è un bravo ragazzo lievemente tendente all’apatia, si limita a fare il suo. Rimane lucido, gioca senza strafare, vince il secondo set al tie break piuttosto nettamente, poi vince anche il terzo 6-2, contro i resti di Frances Tiafoe, ormai fermo e dolorante per il campo. Tutti gli avversari sono caduti davanti a Cerundolo, in un modo o nell’altro, fino a Jannik Sinner.

Bisogna dire che Francisco Cerundolo ha giocato molto bene. Il suo tennis non ruba l’occhio, è poco spettacolare per qualsiasi palato possibile, ma è giocato con una razionalità invidiabile. È aggressivo da fondo, ma senza grossi vincenti nelle braccia sa anche quando variare con un rovescio tagliato, una palla corta, una discesa a rete comoda. In campo ha accolto queste vittorie fortunate con compostezza ed eleganza. Troppa gioia magari avrebbe fatto arrabbiare gli Dei, che evidentemente ora sono dalla sua parte. Contro Monfils, quella più pulita del suo percorso, sul 4-2 e palla break ha colpito un nastro. Il francese ha tirato una palla corta ben fatta; Cerundolo però ci è arrivato, e con un sorprendente colpo di polso l’ha messa all’angolo opposto. Un colpo non banale, dopo il quale si è però comunque sentito in dovere di chiedere scusa. Come se si sentisse ormai un imbucato nella sua stessa vita.

Prima del torneo di Miami lo score ATP di Cerundolo era sconfortante: zero vittorie e due sconfitte. Non aveva mai vinto una partita sul cemento nella sua carriera da professionista. Se è riuscito a entrare nel tabellone di un mille come Miami è grazie ai punti accumulati a Rio, un torneo che è riuscito a giocare grazie a una special exempt. Si tratta dell’ammissione in tabellone di un giocatore che avrebbe dovuto giocare le qualificazioni, ma impossibilitato perché ha partecipato almeno alla semifinale in un torneo della settimana precedente. In realtà Cerundolo la settimana prima a Buenos Aires aveva fatto solo i quarti di finale, ma li aveva comunque giocati di venerdì a causa della pioggia. Per questo ha chiesto comunque la special exempt per Rio, e l’ha ottenuta. Da cosa nasce cosa, da fortuna nasce fortuna, nella vita di Cerundolo, il cui ingresso in semifinale a Miami gli ha fruttato finora 300 mila dollari. Dopo la partita con Sinner aveva l’aria di chi si stava sforzando di trattenere la felicità del miracolato, e ha detto: «Questo cambia tutto».

La fortuna nel tennis si può manifestare in modi diversi: nei singoli punti, per esempio, nella capacità di vincere quelli decisivi con un colpo fortunato, nel vincere le partite pur avendo vinto molti meno punti del proprio avversario. Ma la possiamo davvero chiamare fortuna? Uno dei colpi più famosi della storia del tennis è considerato anche uno dei più fortunati. Alla semifinale degli US Open del 2011 Novak Djokovic deve difendere due matchpoint contro Roger Federer. Gli arriva una prima esterna piuttosto forte, Djokovic chiude gli occhi e risponde con un dritto in anticipo che finisce all’incrocio delle righe. È un colpo che ha distrutto psicologicamente Federer, che ha perso anche il secondo matchpoint e infine la partita. Djokovic è riuscito quindi a entrare in finale contro Nadal, negando l’ennesima riedizione del Fedal, e vincendo poi il torneo. È stato un passo decisivo per rompere il duopolio Federer-Nadal e imporsi come il terzo uomo: una valanga partita da quel singolo colpo. Ma sarebbe da matti negare che in quella risposta c’era l’istinto mentale di Djokovic nel percepire i momenti, e il suo talento sovrannaturale in risposta. Il confine tra queste qualità e la fortuna in senso stretto è intangibile. Più calcolabile è la fortuna per quanto riguarda i tabelloni, visti che si basano su un sistema parzialmente casuale come quello del sorteggio.

In questo articolo del 2014 FiveThirthyEight lamentava il magnetismo di Ryan Harrison nel pescare giocatori alti in classifica nei primi turni. Una sfortuna che ne aveva scoraggiato l’ascesa in classifica in un momento delicato di carriera. Sul blog Heavy Tospin si cita il Matthew Effect, cioè gli effetti cumulativi di vantaggio che si possono creare anche tra due elementi che partono da condizioni molto vicini. Per esempio due tennisti separati da pochi punti in classifica ma sufficienti a far prendere a uno un posto da testa di serie in uno Slam e all’altro no. Condizioni abbastanza differenti da generare possibilità radicalmente diverse per quanto riguarda i sorteggi.

Nel 2018 fu clamoroso il caso di Peter Polansky, 30 anni, un nome da guerra fredda e una fortuna enigmatica. Per quattro volte ha perso all’ultimo turno del torneo di qualificazione di un Grande Slam; per quattro volte è riuscito comunque a entrare nel tabellone. Tecnicamente si definiscono lucky loser quei tennisti ripescati per il forfait di qualcun altro. Polansky ha, insomma, completato il Calendar Slam dei lucky loser, come ha notato postando una foto del joker pazzo e invincibile di Heath Ledger.

Mettendola nei più brutali termini economici, Polansky ha guadagnato 100 mila dollari grazie ai suoi ingressi nei tabelloni da Lucky Loser.

La storia di Polansky è diversa, ha a che fare col raggiungere gli obiettivi nonostante - anzi: attraverso - le sconfitte. La fortuna di Cerundolo invece è costruita sulla sfortuna altrui, per questo ha assunto una tinta oscura su cui stanno proliferando battute di pessimo gusto - tutte centrate sull’idea che la sua semplice presenza getti una sinistra maledizione sui suoi avversari.

Meme di Francesco Sarsano, dal gruppo Facebook B/v/blik.

La storia di Cerundolo allora rischia di somigliare a quella arcinota del pattinatore baciato da Dio Steven Bradbury. Ai giochi olimpici invernali di Salt Lake City riuscì a vincere l’oro dopo una serie sinceramente incredibile di eventi fortunati. Una squalifica del secondo classificato ai quarti di finale; una caduta di due avversari in semifinale; una tripla caduta apocalittica in finale che lo ha condotto alla vittoria, il tutto pattinando con impaccio e nessuna leggerezza. Bradbury è stato decorato con una medaglia civile, gli è stato tributato un francobollo e l’espressione “Doing a Bradbury”, quando si è protagonisti di un evento particolarmente fortunato.

Potremmo dire che Cerundolo a Miami sta facendo un Bradbury. Siamo disposti ad accettare l’influenza della fortuna nello sport, ma in casi come quello di Cerundolo - e ancor di più di Bradbury - è una fortuna così sfacciata che facciamo fatica a spiegarla razionalmente o ad accettarla come un’espressione della casualità come un’altra. La fortuna nello sport tende a manifestarsi in modo spesso subdolo e ambiguo, mentre quando succedono queste cose pensiamo che ci sia qualcosa dietro: la mano del destino, o direttamente quella di Dio. Nel podcast Phenomeni Matteo De Giuli cita il caso di Joan Ginther, una donna che nella vita ha vinto quattro volte la lotteria del Texas accumulando un montepremi complessivo di venti milioni di dollari. È stato calcolato che la probabilità che una cosa del genere accada a una persona è pari a 1 su 18 mila sestilioni (equivalenti ognuno a 1021). Eppure i matematici spiegano che l’universo è costruito in modo tale che le coincidenze sono inevitabili, e cioè che anche ciò che è straordinariamente improbabile deve accadere. Quanto è probabile che tutti quei pattinatori cadano di fronte a Steven Bradbury o che tutti quei tennisti si facciano male proprio contro Cerundolo? Sebbene non sappiamo fare un calcolo complesso di queste probabilità, possiamo presumere due cose: 1. che è molto improbabile; 2. che prima o poi doveva accadere.

De Giuli nel podcast nota che piuttosto che accettare che l’universo sia governato dal caso, siamo disposti a credere all’esistenza di un piano trascendentale che almeno lo governa attraverso la propria logica mistica. È qualcosa che spesso tendono a pensare anche i protagonisti di storie fortunate.

A vent’anni Steven Bradbury era un pattinatore estremamente promettente. Aveva vinto un oro ai mondiali di Sidney del 1991 nella staffetta 5 chilometri; e il bronzo ai Giochi Olimpici di Lillehammer del 1994 nella stessa specialità. Poi un infortunio traumatico ne aveva compromesso la carriera. Ai Mondiali di Montreal si scontra con Fredric Blackburn, e la lama del pattino del canadese gli taglia un’arteria femorale. Bradbury perde quattro litri di sangue e rischia di morire. Viene salvato con più di cento punti di sutura ma non tornerà più a pattinare alla stessa velocità. Per questo dopo aver vinto l’oro a Salt Lake City ha dichiarato: «Non ero certamente il più veloce, ma non penso di aver vinto la medaglia col minuto e mezzo della gara. L'ho vinta dopo un decennio di calvario». Quello che pensa Bradbury, quindi, è che il cosmo sia regolato da una sorta di principio karmico per cui la sua grande sfortuna è stata ricompensata da una grande fortuna. Questo perché l’ha accettata e ha continuato a lavorare con tenacia.

Cerundolo non può certo vantare nel proprio curriculum karmico un’esperienza di pre-morte, ma ha avuto i suoi problemi. Ha raccontato che durante la pandemia ha vissuto un periodo estremamente difficile. Doveva muovere i primi passi nel tour, ed erano i passi incerti di chi è consapevole di non avere un grande talento, di vivere quindi ogni settimana con un certo fatalismo sulle proprie possibilità di carriera. Prima è rimasto bloccato a Buenos Aires, ad allenarsi in casa cercando di risolvere un problema fisico al polso. Poi è partito per un tour in Italia, senza il lusso però di non poter dare niente per scontato: «Non sapevamo cos’altro fare. Abbiamo viaggiato in Italia e siamo stati messi in quarantena ad Arezzo prima di iniziare a gareggiare. Il viaggio è stato duro, eravamo pieni di dubbi e nervosi. Dopo alcuni mesi di tour, però, eravamo più rilassati».

Per qualche ragione ci siamo affezionati a Cerundolo, e ora tifiamo per lui. Perché sembra genuinamente un bravo ragazzo, certo, ma anche perché speriamo che in un modo o nell’altro l’improbabile continui a perpetuarsi, facendoci sembrare il mondo come un posto un po’ più buffo e imprevedibile.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura