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Eroe di centrocampo
19 giu 2015
Il 30 giugno Frank Lampard partirà per gli Stati Uniti per concludere la propria carriera a New York. Che tipo di icona ha rappresentato per il calcio mondiale?
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11 min
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Poteva smettere quasi prima di iniziare, nella stagione 1996/97, quando si procurò un infortunio tale da mettere in dubbio la sua carriera. Poteva smettere l'estate scorsa, quando strinse l'accordo con il New York City FC ma chiese di continuare a giocare in Europa, e andò al Manchester City. Ha resistito finché ha potuto, ha lottato per restare in un campo che non fosse quello da baseball degli Yankees. Ora è arrivato il momento. Il 30 giugno Lampard va a farsi una pensione dorata in MLS, riconosce il tramonto della sua carriera, accetta la fine delle cose.

Ha giocato oltre mille partite da professionista. Ha vinto tre Premier League, una Champions League, una Europa League, due supercoppe nazionali, ha alzato quattro volte la FA Cup e tre volte la Coppa di Lega. Con 177 reti è il quarto marcatore nella storia della Premier League (per quella che è dal 1992). Con 211 reti è il più prolifico calciatore nella storia del Chelsea. In Nazionale maggiore ha preso posto nell'olimpo dei dieci che hanno indossato più volte la maglia dei tre leoni.

Tra tutte le goals compilation degli anni al Chelsea, scelgo questa perché è completa, non ci sono colonne sonore brutali, e anzi per lunghi tratti non ci sono che un pianoforte e le esultanze dei tifosi.

A Romford, sobborgo nell'area metropolitana londinese, in un breve arco temporale sono nati tre calciatori professionisti di un certo spessore. Incidentalmente sono stati tutti e tre delle bandiere per i rispettivi club. Frank Lampard ha giocato tredici anni al Chelsea. Ray Parlour quattordici stagioni all'Arsenal. E Tony Adams ha dedicato ai Gunners la sua intera carriera, ventidue anni che gli sono valsi il soprannome di “Mister Arsenal”.

È qui che Lampard è nato, il 20 giugno 1978. Pochi mesi dopo, Margaret Thatcher ottenne il suo primo mandato. «I am a Tory» dichiarò il ragazzo di Romford nel 2007, parlando anche della sua ammirazione per David Cameron. Il che non gli ha impedito di tenere posizioni che in Italia ci sembrano poco conservatrici, come impegnarsi in battaglie a favore del calcio femminile o sostenere che gli uomini debbano partecipare attivamente ai lavori domestici.

Maggio 2014: la visita del Primo ministro alla Nazionale, prima dei Mondiali brasiliani.

Frank James Lampard Jr. è stato figlio di e nipote di, prima di essere semplicemente “Lampard” o “Lamps” o “Super Frank”.

Il padre è stato il terzino sinistro del West Ham dal 1967 al 1985, il secondo giocatore con più presenze nella storia del club. Agli allenamenti si portava dietro il figlio Frank, un bambino che guardava i calciatori e gli sembravano «come giganti». «He was my hero» ha spiegato quel figlio quando è diventato un gigante anche lui. Lampard Sr. è stato un padre esigente, fiero di avergli trasmesso il senso dell'autocritica e avergli imposto gli standard d'allenamento più alti. Gli standard che a lui erano stati imposti da Bobby Moore, che lo ha allenato nell'ultimo anno di carriera ma soprattutto è stato suo compagno di squadra per diverse stagioni a Upton Park.

Padre e figlio.

Un altro compagno di squadra negli Hammers, Harry Redknapp, è diventato poi lo zio di Frank Jr., avendo sposato la sorella gemella di sua madre Pat. Redknapp ha anche allenato i “martelli” dal 1994 al 2001, ed è stato il primo manager del nipote. Perché, eccetto sei mesi in prestito allo Swansea, Frank Jr. è stato ininterrottamente al West Ham dai quattordici ai ventitré anni. E se non bastasse, Redknapp come assistente ha voluto il cognato, Frank Sr. Quindi sono stati suo zio e suo padre che dalle giovanili l'hanno promosso in prima squadra, e poi lo hanno schierato in campo per quasi duecento volte.

Sul ragazzo sono piovute accuse di nepotismo, anche dallo stesso presidente del club Terence Brown. Il figlio di, il nipote di, ha dovuto affrontare il sospetto che non fosse degno della maglia (in questo video si vede un incredibile confronto con i tifosi, durante il quale Frank Jr. è turbato e lo zio dice: «Arriverà fino in cima»). A diciannove anni sente alcuni tifosi hammers festeggiare quando in trasferta a Birmingham si rompe una gamba. Tutto questo, unito alle accuse di tradimento quando passa al Chelsea per 11 milioni di sterline, lo ferisce al punto da augurarsi le sconfitte della sua ex squadra. Oppure dire che, amore e figlia a parte, «la cosa che mi ha dato più soddisfazione nella vita è stato lasciare il West Ham e avere poi fatto quello che ho fatto». E le ripercussioni ci sono state. Per esempio, ancora nel 2013 i tifosi hammers, dopo che Lamps realizzava il suo duecentesimo gol con la maglia del Chelsea, gli tiravano monete.

Oltre a quello che gli hanno fatto passare quando era un giocatore del loro club, oltre a tutti gli insulti con cui l'hanno ricoperto negli anni seguenti, i tifosi del West Ham gli hanno dedicato un coro che, nel suo momento apicale, sostiene che nemmeno dieci uomini e un carrello elevatore potrebbero trasportare “Big fat Frank”.

Anche al Chelsea ha cercato di ricreare un clima familiare. «Mi sento parte di una famiglia» diceva nel 2006. E nell'autobiografia che ha pubblicato quello stesso anno, Totally Frank, ha spiegato che la cosa che gli è piaciuta di Abramovich è non averlo fatto sentire solo un impiegato ben retribuito: «Vede il Chelsea come la sua famiglia, e John [Terry] e io ne siamo senior members».

Tredici stagioni, 648 presenze, dall'epoca pre-Abramovich ai grandi successi, dai momenti difficili ai trofei alzati. La sua devozione è stata lunga e indiscutibile, e il passaggio al City è stata una fiera affermazione di sé che non può annullare quegli anni. Ha spiegato una volta che la severità del padre (addirittura parla di “bullismo”) gli ha insegnato a essere consapevole delle proprie debolezze. E lui si sentiva ancora in grado di giocare in un top club europeo.

Drogba coinvolge i tifosi blues nel coro dedicato a Lampard, che nel frattempo salta con la Champions League tra le mani. È il maggio 2012, il Chelsea è appena diventato campione d'Europa.

Sua madre è morta improvvisamente, nell'aprile del 2008, per una polmonite. Un colpo infinitamente duro per lui, che senza nascondersi si definiva «a real mummy-boy». La madre che compensava in dolcezza i modi duri del padre, la madre che lo ha formato come uomo mentre il padre lo ha guidato come calciatore. Durante il funerale, soprattutto mentre porta la bara sulla spalla, ha uno sguardo del tutto perso. Tempo dopo dirà che quella perdita lo ha «completamente cambiato come persona».

La settimana stessa del funerale di sua madre c'è una gara contro il Liverpool. Frank va in campo e segna un rigore importante. Subito dopo si sfila la fascia nera dal braccio, si inginocchia a baciarla e, prima di alzare le braccia al cielo, per alcuni secondi resta imbambolato così.

A dover sintetizzare che calciatore è stato Lampard, lo si direbbe uno dei migliori esempi di centrocampista moderno, maestro del box-to-box, capace al tempo stesso di dare equilibrio, aiutare la difesa e inserirsi in avanti. Concretezza e intelligenza in mezzo al campo, enorme sensibilità nell'ultimo passaggio e un'impressionante confidenza con il gol, per uno che non fa l'attaccante.

Dopo questo gol contro il Bayern, nei quarti della Champions League 2004/05, il padre di Frank dice: «Ho dovuto riguardarlo per crederci».

Niente di acrobatico, niente di spettacolare. Quando il regista di uno spot Pepsi gli chiede di fare quello che sa, dopo che Ronaldinho e Henry hanno appena fatto le loro giocate, lui si schermisce e spiega che le uniche cose che sa fare sono «tirare, fare tackle, segnare da centrocampo».

Claudio Ranieri, che lo volle al Chelsea, al suo arrivo gli disse che se avesse migliorato la fase difensiva sarebbe stato perfetto. Anni dopo Mourinho disse: «Quando gioca bene, è il migliore in campo. Quando gioca male, è il secondo o terzo».

Nell'ottobre 1999 la prima convocazione lo porta in Nazionale con suo cugino Jamie Redknapp, figlio di Harry e colonna del centrocampo del Liverpool anni Novanta. Quindici anni e 106 presenze dopo, in coda ai Mondiali brasiliani, si ritira. Dei leoni è stato di rado capitano, più spesso vice-capitano. Ha segnato 29 reti e servito 11 assist. La storia con i three lions corre parallela alle delusioni. Sembra assurdo ma quella generazione inglese (oltre a lui, gente come Rooney, Gerrard, Terry...) non ha mai neanche avvicinato la vittoria di qualcosa.

Lampard ha partecipato a tre Coppe del Mondo, e in un paio di eliminazioni c'è anche il suo nome. In Sudafrica per un'ingiustizia: segna un gol regolare che non viene convalidato, nella gara contro la Germania che sancisce l'uscita inglese agli ottavi (alla decisione arbitrale, in Inghilterra un parrucchiere spara e uccide un gabbiano). Un'altra volta, nel 2006, per responsabilità sua. In carriera è stato uno specialista dal dischetto (qui contro il West Ham segna tutte e tre le volte che lo fanno battere, in un clima poco amichevole), ma ai rigori contro il Portogallo sbaglia uno dei rigori che condannano l'Inghilterra a fermarsi ai quarti. Ha dichiarato che il giorno seguente è stato il più lungo e solo della sua vita.

Nel 2008 Mourinho lo aveva definito «il miglior professionista con cui ho mai lavorato». Lo scorso dicembre, quando era tornato ad allenare il Chelsea, disse che la sua presenza avrebbe ostacolato i giovani della rosa. Poche settimane prima, dalla panchina ospite nel City of Manchester Stadium, Mou aveva visto Lampard segnare contro il Chelsea.

Il New York City FC, fondato nel 2013, è di proprietà al 75% del Manchester City. L'accordo della scorsa estate prevedeva che restasse a giocare in Inghilterra per sei mesi, poi sono diventati dodici e ha potuto concludere la stagione. Ha giocato spesso, anche se solo due partite per intero. E ha dato un contributo significativo: otto gol (più di Dzeko e Jovetic, per dire), quattro assist, prestazioni all'altezza della seconda forza della Premier. Ma soprattutto ha dimostrato che poteva ancora giocare a certi livelli.

Il gol contro il Chelsea, il suo primo con la maglia dei Citizens. Un gol bello e difficile, peraltro.

Come dice: «Se ti eserciti, ottieni il tuo pizzico di fortuna». Le sessioni imposte dal padre nel giardino di casa ha continuato a portarsele dietro. Il perfezionismo di Super Frank ha accenni di mania. «È pieno di calciatori più talentuosi di me» dice, ed è lo stesso concetto che esprimeva Roy Keane quando lo esaltava, osservando come la sua forza venisse dal lavoro piuttosto che dalle doti naturali. C'è un episodio raccontato da Mourinho: in una partita Lamps sbaglia un gol al volo di sinistro, il giorno dopo si trattiene un'ora dopo l'allenamento per provare il tiro al volo con il mancino. Questa cosa di restare oltre l'orario l'ha imparata da Gianfranco Zola, quando l'esempio del vecchio italiano ispirava il ragazzino appena arrivato nei Blues: «Se lo fa lui che è un fuoriclasse, a maggior ragione devo farlo io».

Dice di essere una persona «quietly determined», che è un'espressione molto bella. «Non è mai contento della sua prestazione» diceva ancora Mou. Viene difficile immaginarlo ubriaco durante un sex party in un resort cipriota, nell'estate 2000, insieme ai compagni dell'Under-21 inglese Kieron Dyer e Rio Ferdinand. O quando nel 2001 si ubriacò insieme ad alcuni compagni e si mise a vomitare per strada.

Qualche tiro durante un allenamento del City.

Nel 2010 un pezzo sul Guardian spiegava come venisse generalmente considerato un git, cioè qualcosa a metà fra lo stronzetto viziato e il tonto. E spiegava che il motivo era la sua appartenenza alla middle-class. Un ragazzino benestante che può permettersi di non essere troppo sveglio: così viene percepito. Di certo non l'ha aiutato il suo carattere serio, introverso, un po' cupo. Lui si definisce «piuttosto sensibile, piuttosto timido». Ma c'è dell'altro.

Ha studiato alla Brentwood School, una scuola privata a pochi chilometri da casa, con ottimi risultati e il massimo dei voti in latino. I compagni di squadra del Chelsea lo chiamavano “The Professor”. Aveva una mezza idea di fare l'avvocato. Si è speso in una campagna per sensibilizzare i padri a leggere storie ai propri i figli, lui che di figlie ne ha due: «One of the best things in life is that bedtime reading». Oltre alla sua autobiografia, ha pubblicato dal 2013 undici libri di una serie per bambini intitolata Frankie's Magic Football. E il suo QI supera i 150 punti, più del medico che sottopose il test a lui e al resto del Chelsea.

Imbarazzo, nessun sorriso. Anche quando si mette in maschera, per la festa natalizia del Chelsea nel 2007, sceglie una mise veneziana settecentesca, laddove John Terry si traveste da supereroe. Lui, che sarebbe “Super Frank”, sceglie Venezia. Che gli calza a pennello, se Henry James la definiva “incanto malinconico”.

Forse non è presto ragionare su cosa succederà dopo la pensione americana. I calciatori della sua intelligenza di solito diventano allenatori. Una volta, a partire da un discorso sul padre, Frank Lampard Jr. ha detto: «Il calcio è diventato la mia vita molto presto». E a considerare quanto ha resistito prima di abbandonare il palcoscenico, quanto ha lavorato per compensare quella porzione di talento che gli mancava, viene da pensare che tenterà di sedere in panchina. Cioè di mettersi nel punto più vicino al campo che non sia il campo stesso.

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