Giovedì scorso, a poche ore dall’attacco russo all’Ucraina, il sindaco di Kiev Vitali Klitschko è apparso in un video insieme al fratello Wladimir. Dopo un profondo sospiro di preoccupazione si è rivolto ai suoi cittadini e al resto del mondo in ucraino: «Quello che la Russia sta facendo è una grande tragedia, non solo per l’Ucraina, ma per l’intera Europa. Sono convinto che sopravvivremo, resteremo in piedi mostrando la nostra forza e spirito». Di seguito, il fratello si è rivolto direttamente alla comunità internazionale in inglese: «Questa guerra non avrà vincitori, ma vinti. Dobbiamo restare uniti contro l’aggressione, e non lasciare che avvenga in Ucraina, in Europa e nel mondo. Insieme siamo forti, sosteneteci. Grazie».
Come molti altri ucraini, i fratelli Klitschko oggi si trovano coinvolti in un conflitto militare dopo aver già combattuto per decenni, ma in un altro modo, quello più nobile del pugilato. Entrambi sono state figure iconiche di questo sport, pesi massimi campioni mondiali e personaggi influenti per via del loro spessore culturale. Secondo il Times, i due fratelli sarebbero addirittura sulla "lista nera" di Putin, 23 personalità ucraine che il Presidente russo vorrebbe eliminare tramite un gruppo di soldati altamente addestrati mandati in Ucraina con questa missione.
Se l’immaginario bellico è spesso utilizzato per descrivere ciò che accade sul ring – accade anche con altri sport, ma col pugilato è certamente una metafora più immediata – è ovvio che non c’è niente in comune tra le due cose. Nel recente saggio “Sangue nell’ottagono. Antropologia delle arti marziali miste” il sociologo Alessandro Dal Lago approfondisce proprio i legami tra gli sport da combattimento (in particolare le MMA), la violenza e la guerra. Sempre Dal Lago nel 2019 diceva in un’intervista a Ultimo Uomo che “Una cultura fondamentalmente militare come quella contemporanea – soprattutto americana, ma anche europea – in qualche modo promuove, o facilita, questo tipo di sport. […] Io parlerei di una sorta di approfondimento di stili che hanno a che fare con una cultura della guerra”. Sulla copertina del libro “Gladiatori” di Antonio Franchini viene ripresa una scritta dipinta sul muro di una palestra di boxe: “Odio la guerra. Detesto gli eserciti. Amo combattere”, mentre il regista Claude Lelouch diceva: «La boxe è il più crudele degli sport, ma è anche quello più simile alla vita».
A triste dimostrazione di ciò, il giorno seguente alla pubblicazione del video messaggio sopra citato, durante l’assedio russo a Kiev Vitali ha dichiarato di essersi unito al fratello, che già a inizio febbraio 2022 era entrato nei riservisti della Brigata di difesa territoriale della capitale ucraina, per difendere in prima linea il suo Paese imbracciando le armi: «Non ho altra scelta» ha spiegato al The Guardian, «Gli ucraini avevano accolto la democrazia, che però è una forma di governo fragile. Non si può difendere da sola, ha bisogno di qualcuno che lo faccia per lei, ovvero i suoi cittadini, con il contributo di ciascuno di noi. Non esiste democrazia senza persone democratiche». Con brevi dichiarazioni ai media o tramite i social network Vitali tiene aggiornati quotidianamente gli abitanti di Kiev e il mondo intero sull’andamento delle ostilità con i russi, che stanno intensificando gli sforzi per conquistare la città: «Abbiamo sentito le esplosioni a ogni ora la notte scorsa, va avanti così da quattro giorni. Gli abitanti sono molto nervosi, trascorrono tanto tempo nei bunker. Siamo pronti a combattere e a morire per l’Ucraina, per le nostre famiglie e la nostra casa perché qualcuno vuole rubarci il futuro, che è quello di un Paese europeo, moderno e democratico. Stiamo combattendo per il nostro sogno» ha dichiarato ieri. Peraltro i Klitschko non sono gli unici pugili ucraini sul campo di battaglia: a loro si sono aggiunti anche l’attuale pluricampione mondiale dei pesi massimi Oleksandr Usyk, che a settembre ha battuto Anthony Joshua, e Vasiliy Lomachenko, già vincitore di diversi titoli mondiali.
L’unione fa la forza
Vitali Klitschko nasce il 19 luglio 1971 a Belovodskoe, in Kirghizistan, Repubblica presidenziale situata nell’Asia centrale, mentre il fratello Wladimir viene al mondo il 25 marzo del 1976 a Semej, città da 300.000 abitanti del Kazakistan. Il padre, Wladimir Rodionovic Klitschko, è prima un generale maggiore dell’aeronautica militare sovietica e poi un addetto militare di stanza in Germania Est. A causa della sua carriera la famiglia si sposta spesso, arrivando a un certo punto a Kiev da Praga. Nella capitale ucraina i Klitschko vivono per due anni in cinque in una stanza, insieme anche alla nonna, con una piccola cucina e il bagno all’esterno. Dopo il disastro di Cernobyl del 1986, Wladimir Senior è inviato nella zona con il grado di comandante per supervisionarne la bonifica; in seguito si ammalerà di cancro per le radiazioni, di cui morirà a 64 anni. «Vivevamo in una base militare a un centinaio di chilometri da Cernobyl, vicino all’aeroporto di Kiev. Nostro padre è stato uno dei primi ad arrivare sul posto. Ricordo che quando i veicoli militari impiegati nella zona tornavano alla base venivano lavati dalle radiazioni e si formavano grosse pozzanghere d’acqua. Io, mio fratello e i nostri amici ci giocavamo con le barchette di carta, non sapevamo quanto fosse pericoloso. Le radiazioni sono difficili da concepire: non puoi annusarle né sentirle, non sono né calde né fredde, non le vedi nell’aria, ma ci sono comunque e ti fanno ammalare» ricorda Wladimir.
Dato che anche la madre Nadezhda lavora, Vitali sin da quando ha 6 anni bada al fratello minore, di cui si sente responsabile: «Dovevo portarmi dietro il mio fratellino ovunque andassi, e ancora oggi devo tenerlo d’occhio. Quando gli do qualche consiglio lui mi dice di smetterla, che lo sa già, e io gli rispondo che da piccolo i nostri genitori mi hanno incaricato di occuparmi di lui, e non mi hanno ancora detto di smetterla», scherza oggi. Wladimir ricorda: «Vitali si metteva spesso nei guai, armeggiava sempre con qualcosa. Una volta ha messo una mina anticarro sotto il letto di nostro padre per nasconderla, e quando è stato scoperto si è preso parecchie cinghiate sul sedere». Tra i fratelli nasce un rapporto simbiotico, tanto che Vitali spiegherà: «I nostri avversari non sanno che abbiamo un’arma segreta. Anche se sul ring c’è una persona sola, a combattere siamo in due. E insieme siamo il doppio più forti. Tuo fratello ti trasmette la sua forza. E allora nessuno può fermarti». Emanuel Steward, storico coach di Wladimir, in passato ha rilasciato una dichiarazione che oggi suona sinistramente profetica sul contesto in cui sono nati e cresciuti i due: «Il padre è un militare che crede nella disciplina. Wladimir e Vitali ne sono molto fieri. Non li ho mai visti come gli altri ragazzi […], i Klitschko potrebbero benissimo far parte delle forze armate o della polizia. Sono stati educati in quel modo».
Da sinistra a destra: Wladimir, Wladimir Senior e Vitali Klitschko. Credits: Bongarts/Getty Images
In un’intervista del 2011 in occasione dell’uscita del documentario Klitschko, i due fratelli hanno svelato alcuni retroscena della loro infanzia. «Sono andato negli Stati Uniti per la prima volta a 17 anni grazie allo sport» racconta Vitali. «Nell’ex Unione Sovietica sono cresciuto con l’idea che l’America fosse un Paese orribile, in cui il crimine era fuori controllo e le persone si sparavano per strada. Mi dicevano anche che gli americani volevano la guerra contro i russi per farli diventare schiavi. Pensavo che prima o poi avrei dovuto difendere casa mia contro quei pazzi che volevano conquistare il mondo. Quando sono arrivato lì ero scioccato, non capivo perché le persone fossero così amichevoli, molto più dei russi, c’era dell’ottimo cibo e delle bellissime spiagge. Tornato a casa ho raccontato a tutti la mia esperienza, a quei tempi per un russo era più facile andare sulla luna che negli Stati Uniti». «In questi giorni (siamo sempre nel 2011, nda) mi sto allenando con un tizio californiano» racconta Wladimir. «Gli ho spiegato che quando avevo 12 anni sparavo con gli AK-47, maneggiavo granate, correvo nei tunnel sotterranei e studiavo come fronteggiare gli attacchi dei carri armati. Ce lo insegnava mio padre. Mi ha risposto: “Cosa? Io quando avevo 12 anni andavo da Topolino a Disney World”. Noi invece ci stavamo preparando a un conflitto, il regime ci aveva fatto il lavaggio del cervello. Dal suo viaggio in America Vitali mi ha portato una bottiglia di Coca-Cola, nell’Unione Sovietica se ne sentiva parlare ma nessuno l’aveva mai assaggiata, ero felice».
L’Era dei Klitschko
Con il crollo dell’URSS in molti, soprattutto persone colte e uomini di affari, decidono di lasciare Kiev e l’Ucraina. Vitali ricorda di quel periodo: «C’erano molti problemi. L’economia era in ginocchio, il sistema sovietico era crollato senza alcun rimpiazzo. Non c’erano leggi né regole, e si scatenarono molti problemi sociali. Vari atleti professionisti si dedicarono al crimine. Bande di criminali assalivano la gente per strada. A me e mio fratello arrivarono diverse proposte per unirci a gruppi di banditi, ma non ci sono mai interessati i soldi facili». Anzi, entrambi si iscrivono all’università, si laureano e conseguono un dottorato di ricerca in scienze dello sport; per questo una volta indossati i guantoni verranno soprannominati “Dr. Steelhammer” (ovvero “martello d’acciaio”, Wladimir) e “Dr. Ironfist” (“pugno di ferro”, Vitali). Intanto hanno già iniziato a coltivare la passione per la boxe, in cui presto si rivelano dei fuoriclasse assoluti. Dopo un periodo in cui subisce bullismo a scuola, e in occasione del quale il padre lo educa invitandolo a difendersi per vincere, perché perdere non è mai contemplato, Vitali inizia con il pugilato amatoriale (in cui registra un record di 195 vittorie e 15 sconfitte), con la kickboxing (dove disputa 36 match vincendo titoli del mondo) e con il karate (ma solo dopo che l’Unione Sovietica revoca il bando che aveva messo su alcune arti marziali), aggiudicandosi numerosi titoli.
Nel 1996 debutta nella boxe professionistica firmando, insieme al fratello Wladimir che esordisce nello stesso anno, con il management tedesco Universum, capace di cogliere il grande potenziale di due atleti promettenti, multilingua (Wladimir parla ben quattro lingue: inglese, tedesco, russo e ucraino) e altamente istruiti, e non a caso la gran parte della carriera dei fratelli si svolgerà in Germania, dove diventeranno delle star. Nel 1998 Vitali vince il primo titolo, il WBO Intercontinentale, per poi laurearsi campione dell’Unione Europea EBU e conquistare nel 1999 il titolo mondiale WBO. Nel 2004 ottiene la cintura WBC che difende fino al ritiro definitivo nel 2012 (si era già ritirato in precedenza, salvo poi tornare sul ring), a quasi 42 anni, con uno score di 45 vittorie e sole 2 sconfitte, senza mai essere stato messo KO, rarità assoluta nei pesi massimi. Nel 2018 è diventato il primo pugile ucraino ad essere incluso nella International Boxing Hall of Fame, poi seguito dal fratello nel 2021. Vitali è considerato il pugile più solido tra i due, tenendo presente che ha vinto l’87% degli incontri disputati per KO, un dato da record nella storia della categoria.
Da parte sua Wladimir, dopo una fortunata carriera da pugile dilettante, coronata con la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atlanta del 1996, passa a professionista nello stesso anno. Nel documentario Klitschko viene raccontato un aneddoto curioso: quando Wladimir vince la medaglia olimpica, il famoso manager americano Don King (noto per aver fatto gli interessi di pugili come Muhammad Ali e Mike Tyson) invita i Klitschko a casa sua per fargli una proposta: «Siete i migliori, se firmate questo contratto con me nuoterete nell’oro. Faremo un sacco di soldi in tutto il mondo, siamo una grande famiglia», gli dice. Il manager insiste parecchio, ma i fratelli non si lasciano convincere. Allora Vitali racconta che Don King, per impressionarli, si siede al pianoforte e comincia a suonare: «Sembrava un concertista, rimanemmo molto colpiti. Pensammo che fosse una persona di grande talento, che oltre a un manager fosse anche un artista. Poi mi spostai di lato e vidi il pedale del pianoforte che si muoveva senza che lui lo toccasse: quel piano suonava da solo. Era un attore. Decidemmo di rifiutare». Dopo 16 vittorie consecutive per Wladimir arriva il primo titolo, il WBC International, poi il WBA inter-continentale, l’EBU e nel 2000 la cintura mondiale WBO, che perde tre anni dopo, ma successivamente mette in bacheca i mondiali IBF e IBO, a cui nel 2008 aggiunge nuovamente quello WBO. Cinture che difenderà per 14 match consecutivi, fino alla sconfitta del 2015 contro Tyson Fury a quasi 40 anni. Wladimir si ritira due anni più tardi, dopo il KO tecnico subìto da Anthony Joshua, con un record di 64 vittorie e 5 sconfitte. Il periodo che va dal 2004 al 2015 viene ricordato come “l’Era dei Klitschko” per il dominio sportivo dei due pesi massimi ucraini, che non hanno mai voluto affrontarsi per via di una promessa fatta a loro madre: «Nelle vostre vene scorre lo stesso sangue, non fatelo mai» ha detto Nadezhda ai figli.
Grazie ai loro successi sportivi i Klitschko sono diventati figure popolarissime sia in Ucraina (che li ha insigniti con diversi riconoscimenti nazionali prestigiosi), con picchi da 20 milioni di telespettatori in occasione degli incontri, che in Germania, dove una ricerca del 2011 ha stimato che in quel momento il 99% della popolazione era in grado di riconoscerli. Wladimir è stato a lungo fidanzato con l’attrice inglese Hayden Panettiere, da cui ha avuto una figlia, fino alla separazione del 2018. Vitali è sposato dal 1996 con l’ex atleta e modella Natalia Egorova, e la coppia ha tre figli. I due condividono anche la passione per gli scacchi, mentre Wladimir ama il golf. Secondo Vitali «gli scacchi sono simili alla boxe, bisogna seguire una strategia e pensare in anticipo rispetto al tuo avversario. Devi essere intelligente. Sapete qual è la differenza tra gli scacchi e il pugilato? Nei primi nessuno è esperto ma tutti ci giocano, nel secondo tutti sono esperti, ma nessuno combatte». Entrambi sono attivi in progetti filantropici e benefici, tanto da essere stati nominati Campioni dello Sport UNESCO (insieme a Pelè, Schumacher e Tabàrez, per citarne alcuni).
Vitali ride mentre gioca a scacchi con il fratello in un’immagine tratta dal documentario “Klitschko”, disponibile a pagamento su YouTube.
Così uguali, così diversi
I Klitschko sono molto simili di aspetto, ma differenti come personalità, e lo sono stati anche nello stile di pugilato. Wladimir ha detto: «Combattere è nel sangue di Vitali. Lui è nato combattente, io lo sono diventato», mentre un suo omonimo, Wladimir Zolotarew, coach del club sportivo dell’esercito di Kiev, nel documentario Klitschko afferma: «Vitali è fatto di pietra, quando gli insegnavo qualcosa di nuovo ci metteva un po’ a imparare bene il movimento. Scolpire la pietra richiede tempo. Wladimir invece è fatto d’argilla, più facile da modellare, ma si consumava più velocemente. Sono due pugili molto diversi tra loro». Frieddie Roach, famoso coach di boxe che ha allenato sia Mike Tyson che i Klitschko, ha spiegato: «Wladimir colpisce più forte di Tyson. Atleticamente i fratelli sono spaventosi, non ho mai visto dei pesi massimi del genere. Sono tra i migliori atleti che ho mai allenato». Il giornalista sportivo tedesco Hartmut Scherzer, che ha seguito da vicino la carriera dei Klitschko, ha affermato: «Vitali ha uno stile non convenzionale, che suo fratello considera terribile. È impossibile da prevedere, combatte come un cowboy: tiene le mani sul cinturone e poi all’improvviso estrae le pistole. Non evita i colpi tenendo su la guardia ma lo fa sfruttando i suoi ottimi riflessi. Lo stile di Wladimir invece è più classico. Ha un jab sinistro fantastico, con cui può controllare un intero incontro, è il suo colpo migliore. Il modo di boxare di Wladimir è molto intelligente, per lui un match è come una partita di scacchi». Secondo Larry Merchant «la favola dei Klitschko è stata possibile grazie al vecchio sistema sovietico, alla loro famiglia e all’incredibile talento che hanno mostrato», mentre sempre Scherzer sostiene: «In loro si fondono forza, sensibilità, istinto omicida e intelligenza».
Nonostante due carriere strepitose, che hanno consacrato i Klitschko come dei mostri sacri della divisione consegnandoli alla storia, durante i loro percorsi non sono mancati momenti di grande difficoltà che hanno coinvolto anche il rapporto tra i due. Come in occasione della prima sconfitta di Vitali, avvenuta nel 2000 contro l’americano Chris Byrd (Klitschko si presenta al match con l’impressionante rullino di marcia di 27 vittorie, tutte ottenute per KO), che gli è valsa la cessione della cintura mondiale WBO nelle mani del suo avversario. Durante il match Vitali, che stava vincendo ai punti, si infortuna alla spalla e al nono round l’incontro viene interrotto. Il pubblico e i media non colgono l’entità dell’infortunio del pugile ucraino, che secondo fonti mediche se avesse continuato molto probabilmente non sarebbe più potuto salire su un ring; lo vedono integro, senza nessuna ferita, e lo accusano di essere un codardo, di aver gettato la spugna per timore, mettendolo in ridicolo. Per Vitali quelli sono momenti complicati sul piano personale e psicologico, ma sei mesi dopo è Wladimir ad affrontare Byrd, vincendo per decisione unanime e aggiudicandosi il mondiale dopo averlo atterrato in due occasioni nel corso del match, per poi dichiarare nell’intervista post incontro: «Voglio bene a mio fratello». Non a caso quel successo è ricordato come “la vendetta dei Klitschko”, che in diverse circostanze si sono trovati a sfidare gli stessi pugili. Vitali si riabiliterà agli occhi dell’opinione pubblica soprattutto americana con il match contro Lennox Lewis, perso per ferita (mentre era in vantaggio sui cartellini dei giudici) ma combattuto con il cuore.
I fratelli ucraini subito dopo l’interruzione del match tra Vitali e Lewis (Credits: FilmMagic)
I tempi bui arrivano anche per Wladimir, quando nel 2004 perde per KO tecnico contro l’americano Lamon Brewster e accusa un’emorragia cerebrale. Decide di cambiare buona parte del team e litiga aspramente con Vitali, accusandolo di essere troppo critico nei suoi confronti e allontandolo dal suo entourage per un lungo periodo. Wladimir ritorna ad alti livello affrontando e sconfiggendo il temibile nigeriano Samuel Peter, noto per i suoi tremendi colpi da KO, e in generale da quel momento inanella 22 vittorie consecutive, affermandosi definitivamente e ricucendo con il fratello.
Dal ring alla politica
La storia dei Klitschko riguarda da vicino anche la politica del loro Paese di origine. Nel 2004 i fratelli si schierano nelle elezioni presidenziali ucraine (e nella successiva Rivoluzione arancione, scatenata dalle proteste per la corruzione, le intimidazioni e i brogli elettorali denunciati dopo l’elezione del delfino dell’ex presidente ucraino in carica, sostenuto dalla Russia) in favore del candidato Viktor Yushchenko (pro integrazione dell’Ucraina in Europa, anche a livello della Nato) che, eletto nel 2005, sceglie come consigliere principale proprio Vitali. Nel 2006 lo stesso Vitali si candida per la prima volta come sindaco di Kiev attestandosi al secondo posto con il 26% dei voti. Nel 2008 Vitali ritenta il successo a Kiev, ma perde ancora con il 18% delle preferenze. Nel 2010 fonda il partito liberale Alleanza Ucraina Democratica per la Riforma (UDAR), mentre nelle elezioni parlamentari del 2012 viene eletto ed entra nel Parlamento ucraino con altri 39 compagni di partito, di cui diventa leader. L’anno successivo sostiene insieme al fratello Wladimir le proteste di Euromaidan che scatenano la Rivoluzione ucraina contro il Presidente filorusso Viktor Janukovyč, responsabile della sospensione degli accordi di alleanza dell’Ucraina con l’Unione Europea e accusato di corruzione e brutalità poliziesca. Janukovyč viene deposto e il Paese va ad elezioni anticipate. Nel 2014 Vitali si candida per la terza volta come sindaco di Kiev e vince con il 57% dei voti, dopo aver considerato a lungo l’idea di presentarsi alla corsa elettorale per diventare Presidente dell’Ucraina. Verrà rieletto sindaco nel 2015 e nel 2020.
L’altro lato dei fratelli, specialmente di Vitali, qui ritratto in un discorso pubblico (Credits: Courtesy)
Politicamente il primogenito dei Klitschko è sempre stato favorevole a uno stretto legame tra l’Ucraina e l’Unione Europea, vista come un modello a cui ambire, e alla cooperazione tra il suo Paese e la Nato. Si è battuto contro la corruzione, la brutalità del sistema carcerario ucraino e l’iniquità di quello giuridico. Della politica in passato ha detto: «É un gioco sporco, senza regole, specialmente in una democrazia giovane come quella ucraina, mentre la boxe ne ha tante. Ecco, la politica è più come le MMA. L’Ucraina ha un potenziale enorme, è la seconda nazione più grande d’Europa, ma è piagata dalla corruzione, per questo dopo più di 20 anni di indipendenza è cambiato poco, non ci sono stati risultati soddisfacenti, come un miglioramento della qualità della vita. Ho avuto la fortuna di viaggiare parecchio e ho guadagnato nuove prospettive che vorrei mettere al servizio del mio Paese». Wladimir e Vitali sono personaggi unici, il risultato di diverse influenze, alcune perfino in contrasto tra loro. Nati e cresciuti in un regime, con un padre militare che li ha educati all’ordine, alla disciplina e all’uso delle armi, hanno cominciato a viaggiare da giovani grazie al loro successo nello sport, trovando una seconda casa nella Germania. Questo cambio di contesto, una mentalità aperta e l’alto livello di istruzione li hanno resi permeabili ai valori occidentali, tanto da cercare di trasferirli in patria. Ecco perché, nonostante le cifre da capogiro incassate durante la carriera sul ring e lo status di star, oggi i due fratelli sono al fronte, disposti a morire per la libertà della loro Ucraina.