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Come il mercato ha cambiato la Western Conference
24 nov 2020
In testa ci sono ancora le due squadre di Los Angeles, ma il resto della conference non è rimasto fermo.
(articolo)
15 min
(copertina)
Foto di Jayne Kamin-Oncea/Getty Images
(copertina) Foto di Jayne Kamin-Oncea/Getty Images
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Diciamoci la verità: fino a questo momento non è stata una free agency NBA indimenticabile, o quantomeno non del livello di quelle passate - non fosse altro per la mancanza di nomi grossi. Qualcuno ha provato a distinguersi dal gruppo (ad esempio la linea comica rappresentata da Detroit firmando solo centri), ma in linea di massima il mercato ha riflettuto quella che era una realtà piuttosto preventivabile. Pochissime squadre avevano spazio salariale e i giocatori davvero in grado di girare le sorti di una franchigia in scadenza di contratto erano ancora meno; in molti hanno deciso di mettersi sulla riva del fiume ad aspettare, elargendo contratti di un anno in vista dell’estate del 2021, quando ci saranno giocatori migliori disponibili, più spazio salariale e - si spera - una lega in condizioni economiche più sostenibili, o quantomeno più prevedibili.

Ma anche se non si sono visti i colpi dello scorso anno, la guerra di posizione attuata da molti avrà comunque un impatto importante nei prossimi mesi, o magari anche nei prossimi anni. Nonostante il periodo di grandissima eccezionalità – con una free agency discussa a fine novembre davanti a una stagione da 72 (e non 82) partite, oltre a tutto il resto – quello che verrà assegnato tra meno di otto mesi sarà un titolo vero, un titolo per il quale vale la pena di lottare. Uno di quelli in grado di cambiare la storia di una franchigia.

Proprio per questo il peso delle mosse dei vari General Manager rischia di diventare doppiamente importante, soprattutto ad ovest, dove la concorrenza è sempre serratissima e dove le squadre volenterose di scalare le gerarchie della classifica si avvicinano alla dozzina. Chi riuscirà nel suo intento? E chi, invece, andrà a fare compagnia agli Oklahoma City Thunder nei bassifondi della conference? Troppo presto per dirlo, anche se non è troppo presto per capire quale sia la prima squadra che chiunque deve mettere nel mirino.

I ricchi diventano sempre più ricchi

I Los Angeles Lakers restano la squadra da battere. Nonostante gli addii di Rajon Rondo, Avery Bradley, Danny Green, JaVale McGee e Dwight Howard, la franchigia si è fatta trovare pronta, irrobustendo la second unit con gli arrivi di Montrezl Harrell (19 milioni per 2 anni, via free agency) e Dennis Schröder (via trade da Oklahoma City), rispettivamente primo e secondo nella classifica del Sesto Uomo dell’Anno nella scorsa regular season.

Sono due firme che hanno molti punti in comune: entrambi negli ultimi tre anni sono hanno sempre flirtato con i 22 punti abbondanti di media (su 36 minuti), sono entrambi giocatori istintivi e con uno stile di gioco aggressivo e tutti e due possono mettersi in moto da soli senza dipendere dall’imboccata di un compagno.

https://twitter.com/Lakers/status/1329469494486462464?s=20

Harrell è un miglior playmaker e un miglior rollante sia di Dwight Howard che di JaVale McGee, e Schröder nell’ultima stagione ha fatto vedere miglioramenti incoraggianti al tiro da fuori (38.5% su quasi sei tentativi per 36 minuti, 41% coi piedi per terra): costruire un pick and roll “secondario” con loro due permetterebbe alla squadra di moltiplicare le proprie soluzioni offensive.

I Lakers avevano un urgente bisogno di aumentare la potenza di fuoco dell’attacco senza dover dipendere troppo da LeBron James, che dopo dodici mesi giocati al massimo (imperituro remainder su chi sia ancora il migliore di tutti) è impensabile riparta a mille anche a fine dicembre dopo off-season più corta nella storia dello sport professionistico americano. Tra la prima partita di regular season e il titolo vinto nella bolla di Disney World saranno trascorsi meno di 80 giorni, e non è impensabile che sia LeBron che Anthony Davis partano con le marce basse.

La firma di Wesley Matthews (3.6 milioni per un anno) e la conferma del sempre-un-po’-sottovalutato Kentavious Caldwell-Pope (40 milioni in 3 anni) sono importanti per una squadra che ha perso i suoi tre migliori difensori perimetrali in colpo solo. Lo schieramento simil-zona-perenne visto nei playoff, con LeBron e Davis a patrocinare l’area risucchiando in un buco nero ogni penetrazione, dovrebbe aiutare Harrell (o quantomeno potrebbe nascondere meglio i suoi limiti di dimensioni), ma per tutelarsi ancora meglio i Lakers non si sono fatti sfuggire la possibilità di firmare Marc Gasol (5.2 milioni per due anni).

La sensazione, confermata dall’importo limitato del suo contratto, è che i giorni migliori del catalano siano alle spalle: il career-low fatto registrare nella stagione appena conclusa in termini di minuti, punti, rimbalzi, recuperi e stoppate (al quale va aggiunta una serie contro Boston dove non riusciva a stare in campo) non sono segnali incoraggianti, ma ai Lakers 20 minuti di qualità su due metà campo bastano e avanzano. Gasol restituisce verticalità e “peso” nei pressi del ferro, aggiunge altro playmaking secondario e la possibilità di costruire giochi di alto - basso con Anthony Davis ancora più sofisticati di quelli dello scorso anno.

I Clippers non sono stati a guardare

Per quanto l’essersi fatti soffiare Harrell dai cugini (con annesse emoji di Patrick Beverley) non sia proprio il massimo, i Clippers continuano a dimostrarsi una franchigia che sa esattamente che tipo di squadra vuole costruire. La conferma molto onerosa di Marcus Morris (64 milioni per quattro anni) è sicuramente inflazionata dalle prerogative di un mercato che non permette passi falsi - sia perché perdere un giocatore significa non poterlo sostituire sia perché, dopo la débâcle ai playoff, la franchigia è costretta a vincere per non rischiare brutte sorprese nella prossima estate, quando scadranno i contratti di Kawhi Leonard e Paul George. Ma fin dalla trade che lo ha portato da New York alla Città degli Angeli, i Clippers hanno sempre dimostrato di valutare moltissimo Morris.

https://twitter.com/ESPNNBA/status/1329999053455826944?s=20

In una lega dove i wing creator diventano ogni giorno più importanti, i Clippers sono l’unica, vera, squadra a poter dire di possedere tre esterni interamente complementari tra loro (stessa stazza, stesso wingspan, stessa flessibilità di ruolo) e la loro filosofia ruota attorno a questo paradigma. L’aver preferito Serge Ibaka (19 milioni per due anni, player option per la seconda stagione) a Harrell toglie un’opzione offensiva autonoma e un partner nei pick and roll per Lou Williams, ma aggiunge un miglior rim-protector e soprattutto la possibilità di giocare “5 fuori” con un lungo di ruolo. Un’addizione che potrebbe rivelarsi positiva tanto quanto quella di Luke Kennard, preferito a Landry Shamet (spedito ai Brooklyn Nets).

Per chi non avesse (giustamente) visto una partita di Detroit negli ultimi anni.

La pandemia ha contribuito a cancellare dai nostri ricordi l’ultima stagione dei Pistons molto più di quanto l’anonimato in cui versa la franchigia da anni stava già facendo, ma nelle 28 partite disputate prima dell'infortunio Kennard ha mostrato una crescita interessante. 17 punti, 4 rimbalzi e 4.5 assist per 36 minuti con il 40% da tre (su oltre 7 triple tentate) e il 90% ai liberi sono numeri probabilmente inflazionati dal nulla tecnico di Detroit, ma Kennard è un giocatore duttile e che aggiunge playmaking secondario a una squadra che ne aveva un disperato bisogno. La sua gestione da ball handler sui pick and roll (4 possessi a partita, 77° percentile) sarà molto preziosa, soprattutto qualora Lou Williams dovesse continuare la sua striscia di partite deludenti ai playoff.

Il gruppo delle inseguitrici

Se Lakers e Clippers restano in pole position, dopo l’ottima post-season giocata in Florida i Denver Nuggets meritano la terza piazza. L’aver lasciato andare Jerami Grant (seppur a cifre molto importanti: 60 milioni per tre anni) toglie a coach Malone il miglior difensore della squadra e qualche certezza, ma la (ri)firma di Paul Millsap per un anno a 10 milioni e l’aggiunta di un ottimo giocatore di rotazione come JaMychal Green (15 in due anni) dovrebbero bastare per non scivolare troppo in graduatoria.

In attesa di vedere quale sarà l’impatto di Facundo Campazzo in NBA, la sensazione è che i Nuggets sembrano destinati a diventare ancora di più la rappresentazione cestistica della mano di Mario Brega, dove piuma e “fero” sono rappresentati dalla crescita (o meno) di Michael Porter Jr.

Questa mano per esempio è una piuma.

Parlando di giocatori sfortunati: il tremendo e devastante infortunio patito da Klay Thompson ha ridimensionato parecchio le prospettive dei Golden State Warriors, che avrebbero avuto tutte le carte in regola per riconquistare il terzo (virtuale) gradino del podio. Le prese di Kelly Oubre Jr. (via trade), Kent Bazemore e Brad Wanamaker al minimo salariale avevano alzato il floor di una squadra che con Andrew Wiggins e James Wiseman spera di poter costruire roster più competitivo rispetto alla scorsa stagione (non che ci voglia molto). Ma anche se avranno a disposizione uno Steph Curry sano e riposato, senza Thompson gli Warriors al massimo possono ambire (per adesso) al ruolo di wild card, un ruolo che si addice molto bene anche ai Dallas Mavericks.

Il modus operandi della franchigia è stato fin troppo chiaro: tutto è incentrato sulla prossima estate. Oltre all’ennesimo giro di giostra concesso a JJ Barea, Dallas ha ceduto Seth Curry e Delon Wright (partiti rispettivamente in direzione Philadelphia e Detroit) per arrivare a Josh Richardson (via trade) e Trey Burke (10 milioni per tre anni), rinforzando il back-court senza intaccare la flessibilità salariale futura. Le condizioni fisiche di Kristaps Porzingis – che probabilmente non giocherà fino a gennaio inoltrato – continuano a suscitare più di una perplessità, ma l’avere in squadra un fenomeno come Luka Doncic deve far sognare in grande già a partire dal prossimo dicembre.

Alcune delle migliori giocate difensive di Richardson, uno dei fit più sottovalutati ma anche interessanti di tutto il mercato.

Gli Utah Jazz e i Portland Trail Blazers, fiere rappresentanti da anni della classe medio-borghese dell’Ovest, hanno consolidato il proprio status. L’aver blindato il futuro di Donovan Mitchell (estensione da 195 milioni per cinque anni con player option sull’ultimo anno) è sicuramente la notizia migliore, ma la conferma di Jordan Clarkson (52 milioni per quattro anni) e il ritorno a casa di Derrick Favors (30x3) dovrebbero consolidare la second unit, uno dei punti deboli della scorsa stagione.

I Blazers invece hanno ristrutturato il proprio reparto esterni aggiungendo l’ottimo Robert Covington (in cambio di Trevor Ariza e due prime scelte), l’atletismo impossibile di Derrick Jones Jr. (19x2) e confermando sia Rodney Hood (21x2 con opzione sul secondo anno a favore dei Blazers) che Carmelo Anthony (un anno al minimo salariale). Non è da sottovalutare neanche l’arrivo di Enes Kanter (5 milioni per un anno, via trade da Boston) come riserva del rientrante Jusuf Nurkic: nel sistema difensivo ultra-conservativo di coach Stotts, Kanter può nascondere i suoi difetti quanto basta per essere un fattore vicino a canestro nell’altra metà campo.

https://twitter.com/wojespn/status/1330557708626501635?s=20

Tutti nomi da aggiungere a un gruppo che, oltre a Zach Collins, vanta ancora ovviamente su Damian Lillard e CJ McCollum.

Discorso diverso invece per i Phoenix Suns, che dopo l’8-0 nella bolla di Orlando si sono mossi in modo aggressivo, consci che è arrivato il momento di fare un salto di qualità. L’arrivo di Chris Paul (in cambio di Ricky Rubio, Oubre e una prima scelta, tra le altre cose) dovrebbe finalmente dare a Devin Booker il compagno di reparto ideale. Sulla carta il fit sembra perfetto: la gestione del tempo e del ritmo di Paul sarà fondamentale tanto quanto la sua capacità di punire da fuori, lasciando a Booker ampie possibilità di fare il suo. Nonostante i 36 anni compiuti può ancora insegnare un paio di cose a Deandre Ayton su come muoversi in un pick and roll e quel tiro dalla media automatico in grado di risolvere le partite punto a punto.

Il vero punto di domanda è quanto il suo arrivo, da solo, innalzi il livello di una squadra che prima della bolla di Orlando (dove è bene ricordare è stata invitata nonostante lo 0,1% di possibilità di fare i playoff, peraltro andato vicinissimo a concretizzarsi), avevano continuato a mostrare molte delle idiosincrasie degli ultimi anni. Cosa succederebbe su Paul dovesse infortunarsi anche solo per un periodo di tempo contenuto? Oppure se dovesse continuare a mostrare il lento (naturale) declino nella metà campo difensiva? E se Ayton non riuscisse a salire un ulteriore livello? Di sicuro aver accoppiato Mikal Bridges (uno dei giocatori da tenere sott’occhio in vista della prossima stagione) con l’esperienza-duttilità di Jae Crowder (30 milioni per tre anni) e Dario Saric (confermato a 27 milioni per tre anni) sembra essere l’ennesima mossa sensata del General Manager James Jones, ma la concorrenza nella Western Conference è spietata e se Phoenix vuole tornare ad ospitare una partita di playoff dopo undici anni c’è bisogno di una stagione molto migliore della precedente.

https://twitter.com/wojespn/status/1328402034819731458?s=20

Nella bolla (ma non quella di Orlando)

Essere “on the bubble”, come dicono gli americani (per motivi totalmente slegati alla pandemia), può essere tanto pericoloso quanto stimolante. Prendiamo i New Orleans Pelicans per esempio: l’aver sostituito un pilastro come Jrue Holiday con Eric Bledsoe e Steven Adams fornisce a coach Van Gundy gli ingredienti per una difesa certamente superiore rispetto a quanto visto nella scorsa stagione, in cui ci sono stati momento davvero rivoltanti per disinteresse e inconsistenza.

Da anni Bledsoe è una delle migliori guardie nel mettere pressione sul perimetro, tenere fisicamente contro avversari più grossi e spezzare blocchi come fossero grissini, mentre Adams può sigillare un pitturato già intasato dalla presenza di Zion Williamson. Nella metà campo offensiva le spaziature potrebbero essere problematiche, ma il talento di Brandon Ingram (che sta ancora negoziando l’estensione) e le combinazioni di playmaking che offrono Lonzo Ball, JJ Redick e lo stesso Zion (ps: auguri a tutti quelli che dovranno cercare di passare sopra un doppio blocco con lui e Adams coinvolti) dovrebbero essere sufficienti per far bene. Occhio ai Pelicans!

Memphis e Minnesota hanno preso, per ovvi motivi, approcci diversi. I Grizzlies, liberi finalmente dal vincolo della scelta da dare a Boston e padroni del proprio futuro, si sono limitati a confermare De'Anthony Melton a buone cifre (35 milioni per quattro anni) e imbottire il roster di giovani interessanti in cerca di un’opportunità, specialmente con un ottimo Draft a spesa contenutissima. Tutto l’opposto dei Timberwolves che invece hanno aperto il salvadanaio per assorbire il contratto di Ricky Rubio e pagare Malik Beasley (60 milioni per quattro anni) e Juancho Hernangomez (21x3). I due ex Denver avevano dimostrato di sposarsi bene attorno a D’Angelo Russell e Karl-Anthony Towns e Minnesota ha bisogno, ora più che mai, di giocatori che rendano la squadra competitiva. L’orologio sulla free agency di Towns (seppur teoricamente lontana) sta già ticchettando…

https://twitter.com/Timberwolves/status/1329230917580189698?s=20

In tutto questo c’è anche la nuova prima scelta assoluta è la prima notizia dell’ultimo Draft, che non avrà la squadra in mano dal primo giorno ma è chiamato a dare una botta di atletismo e talento quantomai necessaria.

Il resto dell’Ovest

Nonostante l’estensione da 163 milioni per cinque anni elargita a De’Aaron Fox, la free agency dei Sacramento Kings è stata l’ennesimo attentato alla salute dei proprio tifosi, senza alcuna mossa degna di nota se non l’affaire Bogdan Bogdanovic. Una direzione ancora più sciapa e insignificante di chi davvero non si è mosso come i San Antonio Spurs, che dopo aver incassato il “One More Year” di DeMar DeRozan si sono limitati a confermare Drew Eubanks (5.3 milioni per tre anni) e Jacob Poeltl (27x3) in vista di un’altra stagione di transizione tra un’era e l’altra.

Discorso drasticamente diverso per quanto riguarda gli Oklahoma City Thunder, che hanno sì smontato dopo la stagione di transizione, ma lo hanno fatto in un modo così pirotecnico e (per certi versi) cinico da prendersi gran parte dei riflettori. In meno di cinque giorni il deus ex machina della franchigia, Sam Presti, ha chiuso almeno una trade con tredici squadre diverse, sottraendo asset come fossero caramelle fino a mettere le mani nelle tasche di un terzo degli executive della NBA. Tutto è stato incentrato sull’accumulo di materiale futuribile, fossero questi scelte al Draft (siamo dalle parti delle 17 prime nei prossimi sei anni) o giocatori da dividere in due ulteriori categorie: giovani ai quali dare uno sguardo nei prossimi mesi e veterani da riconvertire in ulteriori asset, in un circolo che potrebbe non essersi ancora esaurito.

https://twitter.com/wojespn/status/1330652044043186183?s=20

I Thunder hanno scambiato talmente tanti giocatori da far sbagliare pure Woj.

Ai più attenti di voi non sarà sfuggito come i Thunder (quella che a oggi chiude la potenziale graduatoria della Western Conference, almeno sulla carta) siano l’ultima squadra menzionata in una classifica che non vede comparire gli Houston Rockets, probabilmente la vera mina vagante di tutto quello che c’è oltre la sponda occidentale del Mississippi.

L’aver convertito Covington in (di fatto) Christian Wood è un bel colpo per una franchigia che voleva tornare ad avere un lungo senza ammettere di aver perso la scommessa del giocare senza lunghi, ulteriormente corroborata dall'ennesimo contratto non garantito allungato ad un DeMarcus Cousins in continua ricerca di un nuovo inizio. Ma è difficile dare un giudizio complessivo per una squadra che, indipendentemente dalle tempistiche, sembra sempre più vicina a separarsi da quello che per otto anni è stato il giocatore franchigia. Con ogni probabilità almeno uno tra Russell Westbrook e James Harden dovrebbe partire entro i prossimi dodici mesi, probabilmente entrambi.

Il mercato per il primo sembra essere piuttosto tiepido, mentre il secondo potrebbe regalarci la trade più importante da quando AD è andato ai Lakers. Dalla decisione che prenderà il nuovo GM Rafael Stone non passa soltanto il futuro dei texani – che qualora dovessero riuscire a convincere il “Barba” a restare un altro anno potrebbero avere un ruolo comunque di rilievo nello scacchiere dell’Ovest – ma anche un bel pezzo del futuro della lega.

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