A una manciata di ore da un tweet con il quale il 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America ritirava ufficialmente l’invito a visitare la Casa Bianca per i Golden State Warriors, una notizia ha scosso le acque oramai piatte del mercato 2017. Il dieci volte All-Star e tre volte oro olimpico Carmelo Anthony, finalmente, ha visto accontentate le sue richieste di cambiare aria passando agli Oklahoma City Thunder in cambio di Enes Kanter, Doug McDermott e la seconda scelta dei Chicago Bulls nel Draft 2018.
Melonovela
Lo scambio chiude così, dopo sette stagioni a quasi 25 punti, 7 rimbalzi e 3 assist abbondanti di media, la carriera newyorkese di Carmelo Anthony. Una parentesi turbolenta e a dir poco infruttuosa, specie se paragonata a quanto raccolto parallelamente dagli altri pregiatissimi prodotti del Draft 2003 come LeBron James, Dwyane Wade e Chris Bosh (che inizialmente lo avrebbero voluto con loro nel 2010). Due eliminazioni senza appello al primo turno dei playoff, una semifinale di conference persa a dispetto del fattore campo a favore e quattro stagioni consecutive, le ultime, conclusesi a metà aprile con il record complessivo di 117 vittorie e 211 sconfitte: questo il magro resoconto della carriera nella Grande Mela di Anthony. Un’avventura iniziata e terminata con modalità molto simili: come nel 2011, infatti, Melo ha giocato un ruolo decisivo nello scambio, specie per quanto riguarda la scelta della sua destinazione. La grossa differenza, sei anni dopo, l’ha fatta la presenza di un secondo attore protagonista.
Delicatissimo.
Sin dalle primissime ore successive alla chiusura della regular season 2016-17, infatti, il vaso di Pandora del malcontento è stato scoperchiato, e pur venendo unanimemente indicato come uno tra i principali artefici – se non IL principale artefice – dell’ennesima, fallimentare annata, il presidente dei Knicks Phil Jackson ha di fatto scaricato sul suo numero 7 le colpe di tanti insuccessi. ‘Melo non ci ha messo molto a prendere una posizione, e nonostante l’allontanamento di Jackson – figlio più del suo essersi inimicato anche il lettone Kristaps Porzingis che delle dichiarazioni contro Anthony – ha chiesto di essere ceduto a più riprese. Molto più facile a dirsi che a farsi, nel suo caso. La “no-trade clause” inclusa nel contratto di Anthony con i New York Knicks, infatti, consente al 33enne campione NCAA nel 2003 di invalidare qualsiasi trade lo avesse visto approdare in una franchigia non di suo gradimento. Un dettaglio non da poco, specie se si considera che di destinazioni gradite, in principio, ce ne fosse solo una: gli Houston Rockets di James Harden e Chris Paul.
Un margine di movimento infinitamente piccolo per i Knicks, tanto che dopo un ridda di rumors che avevano portato a ipotizzare l’imminente riuscita dello scambio più di una volta, si è entrati in un’apparente fase di stallo. È stato lo stesso Anthony, a circa due settimane dall’inizio dei training camp, a fare un passo indietro: Cleveland Cavaliers e Oklahoma City Thunder sono state aggiunte alla lista di destinazioni gradite, consentendo al nuovo GM dei Knicks Scott Perry, ex assistente del GM dei Thunder Sam Presti ai tempi dei Seattle Supersonics, di intavolare una fruttuosa trattativa nel giro di pochi giorni.
Di un minuto, a questo giro Adrian Wojnarowski ha battuto Shams Charania.
A Oklahoma City, Melo andrà a formare un terzetto dalle immense potenzialità con l’MVP 2017 Russell Westbrook e l’ex Indiana Pacers Paul George, dalla cui chimica passeranno i destini di molte versioni dei Thunder in questo e nei prossimi anni. Il fatto che sia George che Westbrook abbiano giocato un ruolo cruciale nel convincere ‘Melo ad accettare i Thunder la dice lunga sull’atteggiamento con cui i tre si stanno preparando alla convivenza. Di certo non potrà lamentarsene Anthony, che due compagni di questa caratura e di questo talento non li ha mai avuti: la sensazione di essere circondato da talento cestistico l’ha assaggiata solo in occasioni come quelle di poche settimane fa, quando indossando le vesti di Hoodie Melo ha condiviso il parquet, tra gli altri, con Westbrook, Paul e Harden.
La Piccola Mela
Dopo un solo turno dei playoff vinto assieme e numerose stagioni di malumori reciproci, le strade dei Knicks e di Melo sono finalmente separate, rimaste costrette troppo a lungo a causa di un contratto che gli stessi Knicks hanno elargito per mancanza di lungimiranza. La storia di Melo deve far riflettere su quanto una “no-trade clause” possa essere tossica per una franchigia.
È difficile credere a questo punto che New York avesse sul piatto offerte molto migliori di quella accettata: Anthony è una stella nella fase calante della carriera da un pezzo, ha 33 anni, ha ancora due anni di contratto (il secondo con opzione a suo favore) per 54 milioni di dollari complessivi, non ha mostrato nessun interesse per la fase difensiva e ha saltato almeno una ventina di partite in ognuna delle passate stagioni. Tuttavia alcuni report, come quello di David Aldridge, raccontano di una franchigia con il desiderio di allontanare Melo dalla Eastern Conference, come se non si rendessero conto che i playoff ad est non saranno affare loro per i prossimi anni. Inoltre New York si dimostra ancora una volta incapace di aggiungere almeno un giovane o una scelta significativa al proprio core, ora definitivamente da assemblare attorno ai 22 anni di Kristaps Porzingis.
L’Unicorno è senza dubbio il giocatore franchigia attorno a cui ripartire, avendo mostrato lampi di dominio sui due lati del campo e capacità di spaziare il campo, proteggere ferro e aggredire il canestro in transizione, ovvero le tre cose più importanti nella NBA moderna. Il gioco di Porzingis in ogni caso ha ancora bisogno di maturare per raggiungere i livelli che ci si aspetta da lui: la sua struttura fisica deve mutare per diventare più robusto, specie nella parte inferiore del corpo e nelle spalle per gestire meglio i contatti, che ancora oggi troppo spesso rifugge; inoltre il gioco dei Knicks deve prendere un’identità specifica che si adatti al lettone, cosa mai realmente avvenuta l’anno scorso.
Dopo un inizio di stagione in cui Rose, Noah e Melo monopolizzavano il pallone escludendo di fatto Porzingis dai giochi, la squadra si è via via adattata meglio alla presenza del lettone, anche costretta dagli infortuni dei suoi veterani. New York era, anche l’anno scorso, la squadra di Anthony, con un possesso su cinque designato per un isolamento, un post up o una situazione stazionaria per il numero 7, mentre Porzingis non riusciva a vedere il pallone neanche nei pick and pop da giocare con Rose, mai particolarmente visionario o altruista nel muovere il pallone in quelle situazioni. Ciò nonostante, ha comunque chiuso con 18 punti e 7 assist di media col 55% di percentuale reale, in un ambiente in cui doveva sentirsi dire ogni giorno che tirare da tre era sbagliato e che, per farlo sentire ancora un po’ a suo agio, ha allontanato il suo assistente allenatore preferito.
Non è chiaro però come i giocatori arrivati dalla trade possano aiutare un cambio di gioco nella Grande Mela. Enes Kanter è un attaccante fenomenale con le spalle a canestro e ad Est rischia di essere ben più che marginale; il suo gioco offensivo dovrebbe integrarsi bene con Porzingis, ma difensivamente i due lasciano più di un dubbio. Kanter ad Ovest risultava sempre meno utilizzabile con l’avanzare dei playoff a causa delle squadre che lo mettevano continuamente sui pattini puntandolo con ogni pick and roll, tanto che lo stesso Donovan ha dovuto ammettere che nei playoff “non può giocare”. Per Porzingis le lacune difensive sembrano essere le stesse, per quanto il lettone abbia sicuramente degli istinti di protezione al ferro molto migliori, ma esprime il suo potenziale quando è lasciato libero di stazionare vicino all’area ad attendere le incursioni avversarie, piuttosto che andare a stanare le guardie avversarie sopra i blocchi che i loro lunghi gli portano.
La mobilità laterale dell’Unicorno è comunque molto migliore del suo compagno di reparto turco. Finché Porzingis può restare a non più di un passo dal pitturato non ha problemi a scivolare accanto ai giocatori che puntano il ferro e spegnere la luce grazie alle sue leve sterminate.
Inoltre la presenza di Willy Hernangomez, con cui si è iniziata a intravedere una migliore intesa con Porzingis visto anche il passato in comune a Siviglia, rende affollato un reparto centri con almeno tre giocatori (senza considerare Noah e Kyle O’Quinn) che hanno bisogno di minuti e che verosimilmente comporterà l’ennesima stagione in cui Porzingis dovrà giocare da 4 e non da 5, cosa che sarebbe stata auspicabile in questa annata di transizione per mettere le basi su un suo futuro stabilmente da centro.
La tavola, in ogni caso, è apparecchiata per l’ennesimo anno zero della franchigia: il roster ha pochissimi punti fermi, pochi giocatori appetibili sul mercato e una valanga di albatross e/o gente da nuclearizzare in fretta. L’ennesima stagione perdente e disfunzionale che si prospetta può però avere un lieto fine, perché Marvin Bagley, Luka Doncic e Michael Porter Jr. sembrano valere un sacco di dita incrociate nella Lottery di metà maggio.
Superteam 3.0
Prendiamoci di nuovo un momento per apprezzare il fatto che, una stagione dopo l’addio di Kevin Durant che avrebbe messo al tappeto qualunque franchigia, Sam Presti ha scambiato una seconda scelta, un rookie, un contratto in scadenza e due semi-albatross per Paul George e Carmelo Anthony.
Al di là dei possibili risultati in campo, Presti ha fatto un eccellente lavoro politico, approfittando delle occasioni che il mercato gli ha messo davanti e aspettando il momento giusto per chiudere gli scambi più vantaggiosi per la sua squadra. Con lo spettro della partenza di George a fine stagione per vestire il gialloviola e con il rinnovo di Westbrook che tarda ad arrivare, la dirigenza di OKC ha messo le cose in chiaro: sono in grado di costruire una squadra per vincere se i giocatori sono disposti a fidarsi e a restare a bordo. Anche grazie a una spesa salariale non trascurabile da parte del proprietario (se confermata, questa squadra costerà più di 300 milioni il prossimo anno tra salari e luxury tax), Presti ha messo assieme uno dei migliori roster per convincere i suoi giocatori a rimanere, perché se vorranno andarsene dovranno comunque lasciare una delle migliori squadre della lega, checché ne dicano gli account fake di Durant.
L’attacco di Oklahoma City con l’arrivo di Anthony è un cantiere aperto, dato che bisognerà provare a mettere assieme i tre dei dieci giocatori che hanno giocato più isolamenti nella passata stagione. Westbrook ha già condiviso il palcoscenico con un attaccante extralusso come Durant e George è già stato costretto a toccare palla molto meno a causa di una guardia dominante sul pallone (Lance Stephenson dei bei tempi), ma la presenza di ‘Melo potrebbe comportare un sovraccarico di possessi difficile da ridistribuire equamente su tre giocatori.
Il gioco di New York delle ultime stagioni è poco indicativo sul possibile successo della convivenza in Oklahoma, anche perché Carmelo ha sempre giocato con compagni peggiori di quelli che troverà ad OKC (i suoi migliori compagni di squadra sono stati Allen Iverson a fine carriera, Chauncey Billups a fine carriera e… Tyson Chandler? Stoudemire che faceva i bagni nel vino? Raymond Felton?). In ogni caso la “go-to-move” di ‘Melo rimane quella di palleggiare allo sfinimento e tirare in faccia all’avversario, o in alternativa mettersi in triple threat e attendere che il cronometro scada per tirare in faccia all’avversario - soluzioni che, sebbene entrassero con efficienza sufficiente nei suoi giorni migliori, devono sparire in fretta perché possono generare reazioni orribili in un attacco già stagnante di suo.
Senza mezzi termini queste soluzioni devono sparire, o quantomeno limitarsi ad una-due a partita per non rendere atrofizzato un attacco che rischia di essere stagnante già di suo.
Ma se spogliamo ‘Melo delle sue abitudini peggiori, si possono ancora trovare tracce di un giocatore che può spostare gli equilibri di una partita. Melo ha tirato il 40% da 3 in spot-up in praticamente tutte le stagioni passate a New York, e il dato è pazzesco pensando che i giocatori che gli passavano la palla era gente del “calibro” di José Calderon, Derrick Rose o Raymond Felton in quegli anni. Gli spazi che un incursione di Westbrook può creare, con la difesa costretta a collassare su di lui per non subire una schiacciata dritto-per-dritto, saranno simili a quelli che ‘Melo aveva quando giocava con Team USA e in cui risultava molto spesso il miglior giocatore del pacchetto - dando vita alla leggenda di “FIBA Melo”, il solo giocatore che possa tenere testa a “Hoodie Melo”.
Alla base di tutto, è inevitabile che tutte e tre le stelle facciano dei decisi passi indietro sul piano dell’ego e dei numeri personali per funzionare assieme, e che Donovan riesca realmente a creare un sistema di gioco in attacco senza la “scusa” di Westbrook che-ti-costringe-a-giocare-in-un-certo-modo. Probabilmente lo usage rate dell’MVP non calerà in modo troppo significativo in quanto sarà lui a portare palla quasi sempre, ma i suoi tiri per partita dovrebbero diminuire sensibilmente in favore di un coinvolgimento maggiore dei compagni più talentuosi. E se assieme a questo le soluzioni di George e Anthony dovessero essere più efficienti, puntando ad essere di nuovo il Carmelo di Team USA e il Paul George dei Pacers del 2011, i numeri dei tre potrebbero fiorire come mai hanno fatto in carriera per tutti quanti.
Westbrook ha già mostrato una stagione dominante collassando le difese e scaricando su dei tiratori non eccellenti; quest’anno i migliori tiratori sono rimasti (escluso McDermott) e si sono aggiunti ‘Melo, Paul George e Patrick Patterson.
La trade per Melo in ogni caso porta ad OKC una cosa che fino a ieri mancava terribilmente: una varietà nei giocatori da poter schierare. L’anno passato OKC aveva fondamentalmente un solo quintetto valido, e fino a ieri l’opinione più diffusa era quella che avevano assemblato un quintetto fantastico (specialmente dal punto di vista difensivo) e molto poco dietro. Con l’arrivo di Anthony le soluzioni percorribili aumentano esponenzialmente e i Thunder, che di per sé sono una delle squadre fisicamente e atleticamente più dominanti della lega, possono giocare continuamente in mismatch contro gli avversari. Possono provare dei quintetti con Westbrook, George, ‘Melo, Patterson e Adams con cui possono provare a prendere il doppio dei rimbalzi degli avversari, o dei quintetti con Patterson da 5 e Abrines guardia per massimizzare le spaziature e creare delle voragini in cui George o Westbrook possono sguazzare a piacimento. Possono diventare estremamente piccoli e rapidi o lunghi e dominanti ed adattarsi facilmente a qualunque avversario su entrambi i lati del campo, grazie anche alla presenza di un difensore d’élite come Andre Roberson che può essere utilizzato anche da 4 per portare blocchi e tagliare in attacco, minimizzando le sue mancanze al tiro perimetrale. Come succede sempre in caso di Big Three, la combinazione degli “altri due” da schierare determinerà la strutturazione del quintetto.
Verosimilmente non sarà comunque abbastanza per riuscire a battere Golden State su una serie al meglio delle sette partite, perché la distanza tra le due squadre non era una stella 33enne sovrapagata. Ma dovrebbe essere sufficiente se non altro a garantirci una serie di partite combattute e uno spettacolo degno di esser visto almeno fino alle finali di conference.