Il 2 ottobre 2016 si gioca Atalanta-Napoli: Roberto Gagliardini scende in campo da titolare in Serie A per la seconda volta nella sua carriera. Un mese dopo, con in mezzo appena altre due presenze dal primo minuto con l’Atalanta, viene convocato in Nazionale per sostituire Claudio Marchisio. Una delle convocazioni più sorprendenti della storia recente degli azzurri.
È difficile spiegare l’improvvisa ascesa della carriera di Gagliardini nell’ultimo mese. Nonostante la velocità con cui è passato dall’essere una riserva dell’Atalanta alla convocazione in Nazionale, non ci sono tracce di predestinazione o della giovane promessa sbocciata definitivamente. La sua storia è piuttosto quella di un ragazzo arrivato relativamente tardi in Serie A – a 22 anni ha collezionato appena 411 minuti, spalmati su 9 presenze, di cui solo 4 da titolare – che ha beneficiato del sistema e dell’ottimo momento del suo club. Sono state infatti le grandi prestazioni contro il Genoa e il Sassuolo, peraltro le prime partite in Serie A in cui è rimasto in campo per tutti i 90 minuti (se si escludono i minuti di recupero che Gasperini gli ha risparmiato contro il Sassuolo), a convincere Giampiero Ventura a dargli una chance.
Non c’è neanche una ragione di somiglianza tecnica tra Marchisio e Gagliardini. È infatti utile chiarire da subito che Gagliardini è un giocatore piuttosto diverso dal centrocampista della Juventus: non è né un incursore al livello del Marchisio di qualche anno fa, né il mediano dalle letture difensive e offensive impeccabili che è attualmente Marchisio. Pur essendo piuttosto completo tecnicamente, in grado di usare tutti e due i piedi (è un destro, ma non ha problemi a usare il sinistro), di controllare e passare il pallone sia con l’interno che con l’esterno, il tocco di Gagliardini è meno sensibile e più grezzo. La sua conduzione di palla non è molto elegante e dà la sensazione che fatichi a essere davvero in controllo del pallone: lo tocca poche volte e tende a tenerlo piuttosto distante, dovendo scendere a patti col fatto di avere gambe lunghe e una falcata ampia.
Già all’esordio in Serie A, a maggio nell’ultima giornata dello scorso campionato contro il Genoa, Gagliardini aveva fatto intravedere di essere un giocatore dinamico e in grado di coprire ampie porzioni di campo, partendo da interno destro del centrocampo a tre per poi allargarsi sulla fascia, abbassarsi vicino ai difensori o alzarsi sulla trequarti a seconda dello sviluppo dell’azione. Allo stesso tempo era sembrato piuttosto lento, soprattutto nei primi passi, e in difficoltà nell’eseguire i compiti difensivi richiesti da Reja: schermare Dzemaili e alzarsi su Rincón, mostrando di dover ancora imparare a utilizzare correttamente il proprio corpo per mettere in ombra l’avversario alle spalle e di avere tempi di uscita in pressione decisamente migliorabili.
Specialista del pressing
Dopo pochi mesi con Gian Piero Gasperini, Gagliardini è un giocatore trasformato da questo punto di vista. Il centrocampista bergamasco è diventato uno specialista della pressione sull’avversario, un aspetto fondamentale nel sistema di Gasperini, in cui a ogni giocatore viene assegnato un avversario di riferimento e i tempi e l’efficacia delle uscite sono determinanti per non far crollare l’intera impalcatura difensiva. Gagliardini non è migliorato soltanto nella scelta dei tempi delle uscite, ma anche nell’utilizzo del proprio corpo per dominare i duelli con gli avversari girati di spalle: cerca di continuo l’intervento, sfruttando le gambe lunghe per inserirsi tra l’avversario e il pallone e riconquistare il possesso. Ha affinato così tanto la sua tecnica da costringere i propri avversari diretti a controlli perfetti se non vogliono vederselo sbucare all’improvviso a soffiare il pallone da sotto il loro naso.
Da questo recupero parte l’azione del 2-0 al Sassuolo.
Gasperini lo ha così trasformato in una calamita di seconde palle. Quando l’Atalanta attacca, Gagliardini resta infatti fuori dall’area di rigore con l’obiettivo di aggredire il pallone o l’avversario per recuperare immediatamente il possesso e ricominciare l’attacco: una strategia che, ad esempio, ha portato al gol dell’1-0 di Kurtic contro il Genoa.
Il centrocampista bergamasco ha dovuto necessariamente affinare le proprie abilità nei duelli individuali. La scarsa agilità rende piuttosto facile aggirarlo una volta resistito al suo primo intervento: cerca sempre di attaccare l’avversario all’interno e se quest'ultimo riesce a girarsi sull’esterno non ha la reattività per spostare velocemente il proprio corpo. La lentezza nei primi passi, poi, non gli dà grandi margini di errore per cercare il recupero in un secondo momento, e quando sente che sta per essere superato mette a frutto tutta la lunghezza del proprio corpo (sfiora il metro e 90) per intervenire in scivolata. Anche qui, i limiti fisici lo hanno costretto a diventare uno specialista in questo fondamentale: già nella sua prima partita in Serie A aveva dato l’idea di avere una certa predisposizione naturale, affinata in questi mesi fino a raggiungere un tempismo e una precisione fuori dal comune.
Qui ruba il pallone dai piedi di un maestro delle scivolate, Koulibaly.
Grazie a Gasperini è poi diventato più intenso e più bravo a leggere le situazioni: le marcature a uomo sono solo un aspetto del sistema difensivo dell’Atalanta e Gagliardini ha imparato a gestire il proprio avversario senza perdere di vista il pallone, allontanandosi da lui quando la palla è fuori dalla sua portata per dare copertura ai compagni, ma preparandosi contemporaneamente a uscire in pressione, a scalare in marcatura se un compagno viene saltato e a gestire le momentanee situazioni di inferiorità numerica. Gagliardini resta comunque un ottimo difensore finché è a contatto con il proprio avversario: non difende ancora bene lo spazio e non utilizza al meglio il proprio corpo per tagliare le linee di passaggio, recuperando palla soprattutto in anticipo o con un contrasto sull’avversario diretto e più raramente intercettando un passaggio.
Le scelte semplici con la palla
È invece più complicato riuscire a leggere l’altra metà del suo talento, quello offensivo. Nel sistema di Gasperini, che non prevede un regista da cui far passare ogni pallone, ma piuttosto centrocampisti dinamici e con una tecnica sobria che forniscano sempre appoggio ai giocatori di fascia e si concentrino più che altro ad allargare il gioco o a fare da riferimento intermedio per cambiare fascia, non è molto sollecitata la creatività individuale. Fedele a questa impostazione, Gagliardini si è quasi sempre limitato alle scelte più semplici per consolidare il possesso, anche se ha mostrato una certa predisposizione a giocare in verticale. Sembra però un giocatore istintivo, a suo agio nel sistema strutturato di Gasperini che gli dà riferimenti certi e accorcia i tempi delle decisioni. Quando ha dovuto compiere scelte più ragionate ha mostrato qualche lacuna, come nell’azione qui sotto, in cui perde il tempo per servire Petagna e alla fine sbaglia pure il passaggio, troppo indietro rispetto alla corsa dell’attaccante.
A prescindere dalla lentezza nei primi passi e alla fatica nell’aumentare le frequenze e tenere un ritmo accettabile in corsa, Gagliardini è un giocatore dinamico, in grado di coprire grandi distanze, con o senza il pallone. Quest’ultimo è un aspetto ancora poco sviluppato del suo gioco: pur entrando poco in area di rigore – in tutto ha collezionato appena 3 conclusioni all’interno dei 16 metri, cui si aggiungono soltanto altri 2 tiri dalla distanza – ha dimostrato di avere un buon tempismo negli inserimenti, un lato che magari potrebbe sviluppare in futuro, in un ruolo più offensivo, che non gli chieda esclusivamente di presidiare lo spazio al limite dell’area di rigore per conquistare un’eventuale respinta della difesa.
In questo momento Gagliardini è soprattutto un giocatore “da sistema”, plasmato da Gasperini per giocare secondo le sue idee e i suoi princìpi. È tutta da verificare la sua adattabilità a contesti di livello più alto e a registri tattici differenti: questa convocazione in Nazionale, più che mettere a disposizione di Ventura un giocatore già pronto per essere inserito in squadra, servirà soprattutto a lui per migliorare e sviluppare aspetti del suo gioco ancora poco visibili e proporsi come una risorsa preziosa per il futuro.