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04 ago 2017
Che futuro aspetta Dani Ceballos tra i grandi del Real Madrid?
(articolo)
13 min
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La città di Utrera, a 30 chilometri da Siviglia, è famosa in Spagna per essere la culla del flamenco (qui si tiene dal 1957 il Potaje Gitano, il più antico festival flamenco di Spagna), per l’allevamento del toro bravo - quello destinato al combattimento - nonché di cavalli (entrambi presenti nello stemma cittadino), e per la bellezza del centro storico, dichiarato patrimonio storico-culturale dal Ministero della Cultura. Quasi al confine della città c’è il Santuario de Nuestra Señora de la Consolación, luogo di pellegrinaggio dei navigatori che partivano per le Americhe sin dal XVI secolo, che presenta una ricca combinazione artistica: soffitto a cassettone in stile mudéjar, altare barocco e decorazione neoislamica.

La varietà degli stili è una caratteristica di uno dei figli più famosi della città di Utrera: Dani Ceballos, da qualche settimana calciatore del Real Madrid. Barocco come un trequartista, geometrico come un regista, fine intarsiatore da mezzala di possesso, Ceballos è da poco riuscito a dare un senso a queste sue qualità riunendole in un’unica grande architettura di giocatore.

La prossima stagione, però, lo lancerà in una nuova, rischiosa, sfida: trovare continuità al massimo livello. Diventare un giocatore d’élite o rimanere bloccato nel limbo: la storia di Ceballos è fatta di momenti decisivi e di ambiguità, sempre “entre dos aguas”, come la composizione più famosa del celebre chitarrista andaluso Paco de Lucía.

Scartato e poi scoperto

Nato da genitori tifosi del Betis, che hanno sempre sostenuto il suo sogno, anche economicamente, gestendo una churrería, Ceballos è cresciuto nella Barriada Coronación dove è ancora ricordato per le pallonate sui muri.

È la madre a trasmettergli la passione per il Betis e ad accompagnarlo a ogni allenamento, sin da bambino: ma il destino ambiguo di Ceballos inizia presto a sorprendere tutti. A 8 anni entra nel settore giovanile degli odiati rivali, cioè il Siviglia, per poi uscirne dopo cinque anni per colpa di una bronchite asmatica e perché considerato troppo mingherlino.

Era già successo: da piccolo, a Utrera, non lo facevano giocare per colpa della sua costituzione fisica, e iniziò ad allenarsi da solo, fino a quando tutti si accorsero che aveva qualcosa in più. Se ne va dal Siviglia con il soprannome di Dani Nike, per il suo taglio di capelli speciale con lo Swoosh su un lato: ma non gli resta molto altro, la sua storia calcistica sembra già finita.

Si ritrova così a dover giocare nella squadra della sua città per due anni, fino a quando Jesús Sánchez, scout del Betis, si accorge del suo immenso talento e lo porta finalmente nella sua squadra del cuore. Dani Ceballos diventa un giocatore bético, mentre Jesús Sánchez passerà al Siviglia, su indicazione di Monchi.

Al Betis non commettono lo stesso errore dei rivali cittadini e lo promuovono immediatamente nelle categorie superiori: tanto che alla fine esordisce nella Liga senza essere passato per la seconda squadra. Il 26 aprile 2014, Dani ha appena 17 anni e ha seguito la sua passione per i tagli particolari iscrivendosi alla scuola per parrucchieri (e si è persino iscritto al corso da allenatore, senza concluderlo). Ancora una volta, il destino gli presenta una situazione ambigua, come se ogni gioia dovesse sempre presentare un retrogusto amaro: entra a 9 minuti dalla fine della partita che sancisce ufficialmente la retrocessione del Betis. I tifosi sono infuriati, la madre in tribuna già piange con il rosario in mano, e il diciassettenne Dani entra con il numero 46 e con la scritta CEBALLO sulla schiena. A quanto pare, per un errore al registro dell’anagrafe, Dani e la sorella minore hanno perso una S nel cognome.

Ceballos è in balia di due emozioni contrastanti: quanto in fretta può evaporare la gioia per il debutto nella Liga in un giorno così amaro per la sua squadra del cuore? Tra l’altro con un cognome che non è il suo.

Le sensazioni del momento passano in secondo piano guardando il piano largo: con il senno di poi la retrocessione in Segunda è stato un evento favorevole per la crescita di Ceballos. Dopo appena quattro partite nel Betis B, e dopo una splendida partita in Coppa del Re contro il Lugo, viene promosso titolare in prima squadra e diventa un protagonista della promozione, giocando spesso mezzala, a volte anche molto largo sulla fascia, e a volte regista accompagnato da un mediano di copertura.

Le sue prestazioni lo portano a diventare titolare anche nella Nazionale Under-19, con cui vincerà l’Europeo di categoria a fine stagione, e a debuttare nell’Under-21.

Un lusso?

Una carriera che sembra in rampa di lancio subisce una nuova interruzione: Ceballos ha il contratto in scadenza e la trattativa per il rinnovo è molto difficile, anche per un interessamento del Real Madrid. I tifosi si sentono già traditi perché uno di loro non sembra mettere il cuore prima del portafoglio, e cominciano a fischiarlo e insultarlo: pesetero è l’accusa più comune. Troppo attaccato al denaro.

La situazione si risolve solo a fine ottobre, con il rinnovo del contratto strappato a condizioni molto vantaggiose per il giocatore (che chiede il numero 10 per contratto), con tanto di clausola di rescissione a soli 12 milioni nella prima stagione, e a 15 per la successiva. Nonostante l’allenatore Pepe Mel (esonerato a gennaio 2016) fosse dalla sua parte, e nonostante la buona stagione del Betis che si classifica decimo, Ceballos è molto discontinuo e non sembra ancora pronto a prendere le redini della manovra verdiblanca.

È lui stesso a dire che valuterebbe la sua prima stagione nella Liga con la sufficienza, e che ha perso troppe energie in litigi e problemi vari. Per questo i genitori gli dicono di concentrarsi solo sul calcio, e Ceballos assume un preparatore personale con cui allenarsi quotidianamente anche dopo le normali sessioni con la squadra.

Invece di migliorare, però, la situazione precipita con l’arrivo di Gus Poyet come allenatore, che non lo vede bene e arriva a escluderlo dalla squadra in ben 6 partite delle prime 11. Secondo alcune voci, Poyet non sarebbe stato affatto contento dell’impegno in allenamento di Ceballos e della sua vita notturna. In una recente intervista, l’allenatore uruguaiano ha smentito le dicerie, lasciando però capire che Ceballos per lui era un lusso, e che per farlo giocare avrebbe dovuto completamente modificare i principi di gioco.

Dani, invece, di quel periodo dice solo di non capire come potesse essere indispensabile durante il precampionato e poi isolato in quel modo a inizio stagione.

Nell’infinita battaglia tra grande giocatore e allenatore, spesso è quest’ultimo a soccombere: Poyet viene esonerato, al suo posto arriva Víctor Sánchez del Amo, e Ceballos fiorisce una volta per tutte.

L’Europeo Under-21 lo mette al centro della scena, Real Madrid e Barcellona provano ad acquistarlo, e alla fine a spuntarla è la Casa Blanca, che lo paga appena 16,5 milioni di euro. Il 20 luglio viene presentato in pompa magna da Florentino Pérez: stavolta lo stile di Dani è impeccabile, niente capelli ossigenati, niente segni visibili di irrequietezza. Florentino non a caso lo presenta come un pilastro del futuro, Ceballos dice di essere molto felice, ma appena 4 mesi prima aveva detto a Marca: “Adesso sto bene, e se un giorno finirò in un grande club, sarà per giocare e non per rimanere seduto in panchina”.

Un talento da centrifuga

Il calcio di Dani Ceballos è ancora fatto della materia dei sogni: è quello dei bambini che inseguono sempre il pallone, che lo vogliono proteggere e non vogliono mai abbandonarlo. Nella sua scalata verso l’élite, è come se stesse portando con sé un pezzo di Utrera: non tanto per aver vissuto sempre con la sua famiglia, tanto da farsi accompagnare ogni giorno al centro sportivo dalla madre (Dani ha preso la patente appena due mesi fa), bensì per giocare sui campi della Liga sempre con uno stile callejero.

Come un bambino che gioca per strada, infatti, Dani C. (com’era scritto sulla sua ultima maglietta del Betis) è alla ricerca costante del pallone, in qualunque zona di campo si trovi (come un rabdomante, appunto). Aiutato da un fisico non troppo potente, ma molto resistente, l’andaluso è in grado di coprire ampie porzioni di campo senza difficoltà, rappresentando così un aiuto per i compagni e allo stesso tempo un problema per gli allenatori.

L’aiuto, nel senso di presenza costante su cui si sa di poter contare: Ceballos è un porto sicuro, il passaggio (dettato o effettuato) che ti tira sempre fuori dall’impaccio, sia per l’inizio azione che sulle fasce. Il problema sta nel disordine determinato da questa attrazione magnetica: Ceballos e il pallone non possono stare lontani, spesso creando però buchi posizionali, pericolosi in tutte le fasi di gioco, sia nella riconquista del pallone sia nelle coperture preventive. Persino quando è in fase difensiva, Dani segue spesso ingenuamente il pallone, lo rincorre, come fosse il suo unico vero riferimento strategico: anche per questo effettua molti tackle, ben 3,3 per 90 minuti.

Ceballos è istintivo come un toro bravo e per questo ha sempre incontrato problemi a trovare una collocazione tattica precisa: Pepe Mel diceva che sarebbe diventato milionario portando il suo talento al centro del campo. Dani non ha i tempi esatti del regista, è un talento da centrifuga, rischia troppo con il pallone perché sa che riesce sempre a creare vantaggio, e soprattutto non ha il senso della protezione spaziale. Dani non è un’ala perché non è velocissimo nello spazio, ma è veloce con il pallone, non ha gol nelle gambe e neppure i tagli senza palla. Dani trequartista è ancora incompleto, perché non ha i tempi dell’inserimento e perché costretto in spazi strettissimi, dov’è quasi impossibile tenere il pallone per più di 3 secondi, e segna troppo poco.

Ceballos contro la pressione asfissiante del centrocampo di Simeone.

La soluzione per permettere a Ceballos di rendere al massimo è utilizzarlo da mezzala, un ruolo che sempre più nel calcio si affida a figure irregolari, difficili da catalogare. Con il tempo, andando oltre le sue qualità tecniche, Ceballos è diventato un tuttocampista, la cui caratteristica principale è la capacità di giocare il pallone in ogni zona del campo per creare superiorità numerica, posizionale e qualitativa. Un giocatore resistente e in grado di reggere gli alti ritmi di una partita che un tuttocampista deve sostenere.

Dani Ceballos con il pallone è probabilmente già tra i migliori giocatori del mondo per capacità di superare le linee di pressione avversaria, dribblare giocatori con il pallone e non in velocità (3.12 dribbling per 90 minuti nell’ultima stagione), proteggere la palla, creare triangoli associativi per abilitare i compagni in migliore posizione. Allo stesso tempo, è proprio il pallone a determinare i suoi problemi, la sua elettricità da purosangue che non ha ancora imparato a rallentare e che disordina la propria squadra. Le contraddizioni non sono mai troppe, quando si parla di Ceballos.

I suoi dribbling caracollanti, con il piede sempre vicinissimo al pallone, e quell’impressione di perdita imminente del pallone da cui invece esce sempre vincitore, le sue splendide conduzioni palla al piede lo hanno portato fino al Real Madrid.

E adesso?

Il suo acquisto fa parte di una strategia di estensione del dominio calcistico della Casa Blanca: comprare i migliori giocatori giovani per avere i “nuovi” migliori al mondo tra qualche anno. Theo Hernández dall’Atlético, il difensore centrale Vallejo di ritorno dal prestito all’Eintracht, come il pivote Marcos Llorente dall’Alavés, insieme all’ex numero 10 del Betis, si aggiungono al talento di Marco Asensio, che ha già sperimentato sulla propria pelle questa strategia.

Il debutto di Ceballos nel Real Madrid: gioca da mezzala sinistra, nel ruolo di Kroos, che invece fa il regista. Repertorio completo, si abbassa per iniziare il gioco, rompe le linee con la conduzione palla al piede o passaggi a superare la pressione.

Non esiste certezza su quale sia il miglior percorso per un giovane: giocare sempre, ma a un livello inferiore, o giocare poco allenandosi al massimo livello con i migliori giocatori al mondo?

Per Asensio la seconda opzione sembra funzionare, e nonostante la concorrenza dei mostri sacri della BBC è riuscito a ritagliarsi un ruolo fondamentale nella Duodécima del Madrid. Ma d’altro canto c’è l’esempio di Isco, che dopo varie stagioni in altalena solo grazie a Zidane è emerso dal limbo madridista.

Per Ceballos, la strada sembra molto in salita: tra tutte le pretendenti, il Real Madrid era forse la squadra ad averne minor bisogno. Come mezzala di possesso c’è Kroos, tra i migliori al mondo, il giocatore con più minuti in campo dell’intera rosa nella passata stagione, e ha solo 27 anni; dall’altro lato c’è Modric, un profilo troppo diverso e fondamentale a livello di equilibrio tattico; come regista c’è Casemiro, e poi anche Llorente, uno di quelli che invece potrebbe trovare spazio (perché il brasiliano non è mai stato amato nel palco reale del Bernabéu).

Nel rombo che Zidane ha usato c’è proprio Isco dietro le punte: un giocatore che sembra appena aver trovato la sua definitiva consacrazione in quel ruolo, e ha solo 25 anni.

Nel Clásico amichevole, entra al posto di Kovacic (e se anche il croato gli fosse davanti nelle gerarchie?) per costituire un centrocampo spagnolo con Llorente, Oscar e Isco.

Non solo Ceballos rischia di trovare poco spazio, e questo sarebbe forse normale per un giovane al primo anno nella Casa Blanca, ma addirittura sembra avere prospettive molto strette: è una porticina lontana, quella che conduce l’andaluso a diventare figura di riferimento nel centrocampo madridista del futuro.

Eppure, il sistema di gioco di Zidane è perfetto per le sue caratteristiche: una squadra spesso disordinata che si ordina intorno al possesso del pallone, senza principi dogmatici, e anzi spesso con inevitabili confusioni tattiche. Il calcio liquido del Madrid di Zidane sembra fatto apposta per inserire una figura così caotica, ma dominante con il pallone come Ceballos. Come mezzala, per Ceballos sarebbe meglio giocare in un sistema che prevede Isco tra le linee, per consolidare il possesso e avere sempre un riferimento di gioco. Con gli strappi della BBC in attacco, infatti, i suoi movimenti impulsivi diventerebbero molto rischiosi per l’equilibrio del sistema.

L’altra opzione è che Ceballos diventi il nuovo Isco, nel senso di giocatore revulsivo: colui che entra dalla panchina e cambia l’inerzia della partita. Nella posizione di trequartista, Dani sarebbe meno riflessivo di Isco, e dovrebbe diventare più paziente: ma sarebbe in ogni caso in grado di spaccare gli equilibri sulla trequarti anche solo in mezz’ora di gioco.

Se fosse andato al Barcellona, sarebbe diventato l’erede naturale del suo idolo Iniesta, che ormai ha 33 anni e non può reggere i ritmi di una stagione intera. I due condividono alcuni movimenti nel dribbling e una splendida capacità di superare le linee con il passaggio, ma sono diversi: Ceballos è il caos di un Pollock, Iniesta la riflessività di un Rothko. E per questo il disordine calcistico di Dani avrebbe contribuito a scompaginare ancora di più il sistema Barça, questo sì ben codificato (anche se da qualche anno troppo spesso accantonato): avrebbe giocato di più, con la prospettiva di soppiantare Iniesta a breve, ma avrebbe avuto probabilmente molte più difficoltà di adattamento ai principi di gioco.

Forse rimanere al Betis sarebbe stata la scelta più razionale: con l’arrivo di Quique Setién, i Verdiblancos quest’anno giocheranno un calcio legato a principi posizionali, in cui il pallone ordina la squadra. Ceballos avrebbe avuto un ruolo fondamentale, potendo imparare anche meglio a gestire i tempi di gioco: il sistema perfetto per diventare un miglior giocatore.

Ceballos però è un istintivo (come dimostrano i suoi tweet giovanili, contro CR7, contro la Catalogna, contro tutti) e ha scelto la strada più difficile, la stessa che spesso lo porta palla al piede a infilarsi tra tre avversari: in campo ne esce quasi sempre attraversando il muro, come se nessuno potesse contrastare il suo magnetismo. Al Real Madrid, invece, il presente è complicato e il futuro sospeso: per farcela, Dani C. dovrà forse cominciare a risolvere tutte le sue ambiguità, quelle caratteriali e quelle di gioco, per evitare di rimanere nel limbo, sempre entre dos aguas, e per compiere finalmente il destino di un talento troppo spesso contrastato.

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