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Juventus, Galatasaray e ventimila poliziotti 
31 ott 2019
Quando Galatasaray-Juventus diventò un caso politico.
(articolo)
17 min
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«No, questa partita con il Galatasaray a Istanbul non si può fare», come il matrimonio tra Renzo e Lucia per i bravi di Don Rodrigo, per Georg Prangl - il delegato mandato in Turchia della UEFA - la partita tra Galatasaray e Juventus non si può giocare. Almeno non in Turchia, non nel caldissimo Ali Sami Yen. Ma perché?

Ocalan in Italia

Il motivo è da ricercarsi in quanto accaduto un paio di settimane prima, il 12 novembre, quando poco dopo le 23 da Mosca è atterrato a Roma con un volo di linea della Aeroflot Abdullah Ocalan, leader del PKK e considerato dalla Turchia «il capo di un’organizzazione terroristica che attenta alla sicurezza nazionale». Ci sono due versioni sul suo arrivo a Fiumicino: secondo la polizia italiana Ocalan mostra un passaporto falso intestato ad Abdullah Sarikurt (“lupo giallo” in turco), ma viene riconosciuto (si vocifera grazie a una soffiata dei russi) e arrestato su mandato internazionale della Germania; secondo il suo avvocato, Giuliano Pisapia, Ocalan invece si consegna spontaneamente alla prima guardia che trova, chiedendo asilo politico.

La sua presenza sul territorio italiano diventa subito un caso diplomatico intricatissimo, il primo per il nuovo governo D’Alema, in carica da appena un mese. Da una parte Turchia, Germania e Stati Uniti chiedono l’estradizione dell’uomo che nel 1977 ha fondato il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, dall’altra una parte della sinistra alleata di governo spinge per concedergli asilo, anche perché in Turchia c’è ancora la pena di morte. A chiederlo sono Rifondazione Comunista (i cui esponenti hanno organizzato il viaggio) e Verdi, che da sempre difendono la lotta del PKK, ma anche la Lega Nord, vicina a tutti i movimenti separatisti. Il governo tentenna, non può concedere l’estradizione per via della pena di morte, ma non può concedergli asilo fino a che non si esprime la magistratura: è l’inizio di una intricata vicenda politica che durerà 65 giorni.

Galatasaray-Juventus

In Turchia Ocalan è considerato un criminale che "ha ucciso 30000 persone" e la protezione offerta dal governo fomenta un fortissimo sentimento anti-italiano: i lupi grigi - gruppo estremista di destra - guidano una protesta violenta. In strada si bruciano bandiere tricolori, manifestazioni continue si radunano sotto l’ambasciata ad Ankara e il consolato a Istanbul, la Farnesina invita a non viaggiare in Turchia se non strettamente necessario, alcuni italiani vengono minacciati (uno addirittura sequestrato). I negozi di Benetton, Armani e Zegna vengono chiusi, i giornalisti della RAI devono togliere i loghi adesivi dalle telecamere per non farsi notare.

Ben presto ci si ricorda che il 25 novembre la Juventus deve volare a Istanbul per affrontare il Galatasaray (squadra per cui tifa lo stesso Ocalan), partita valida per il quinto turno del girone eliminatorio della Champions League. Interrogato il 17 novembre, il presidente della Juventus Vittorio Chiusano prende tempo «Aspettiamo un paio di giorni, se gli eventi dovessero prendere una piega più concreta, allora chiederemo alla Uefa opportune garanzie di ordine pubblico. Certo, l'atmosfera non sarà comunque simpatica».

Il 18 novembre il giornale di destra Ortadoguinvita a trasformare la partita in una manifestazione «contro l’Italia», frasi che irrigidiscono il clima intorno al viaggio della Juventus in Turchia e a seguito delle quali il vice-presidente della commissione esteri, il verde Vito Leccese, chiede di giocare in campo neutro. Il presidente del Galatasaray Faruk Suren invita alla calma: «non bisogna cadere nella trappola di chi vuole usare la tensione come un pretesto. Gli italiani verranno, perderanno e se ne andranno».

Intervistato dal Corriere della Sera il 19 novembre, Luciano Moggi conferma che la Juventus ha chiesto garanzie alla Uefa, di essere preoccupato «ma da questo a dire che non si va a giocare il passo è lungo». Il 20 novembre l'Uefa conferma che la partita si svolgerà regolarmente a Istanbul. La Juventus mostra qualche perplessità tramite Lippi, ma accetta il verdetto. Si prende però la decisione di bloccare i tifosi, anche quelli già in possesso di biglietto: ad andare in Turchia saranno solo giocatori, tecnici, dirigenti e giornalisti (viene dissuaso anche un gruppo di ultras che protesta veementemente al grido «siamo stati in posti ben peggiori»).

Della partita non sarà neppure Massimo D’Alema, di cui si era ipotizzata la presenza sugli spalti, per discutere con il collega turco Mesut Yilmaz, una soluzione che aveva preso il nome di "la diplomazia del pallone" e che viene caldeggiata da molti esponenti della sinistra italiana, tra cui Piero Fassino, ministro del commercio con l’estero: «Il dialogo può esserci in qualsiasi modo: quindi anche assistendo a una gara di calcio». Il primo ministro turco vuole però che D’Alema vada da lui ad Ankara e quindi l’incontro salta, ancor prima di diventare una possibilità.

Il 21 novembre Roberto Bettega si reca a Ginevra per parlare con i vertici della Uefa e convincerli a spostare la partita, l’organo rimanda ogni decisione a lunedì. Dall’Italia è Zeman, allenatore della Roma, a parlare:«Non spetta alla Juventus decidere se giocare o non giocare in Turchia», mentre da Istanbul Gheorghe Hagi - nuovo grande acquisto di un Galatasaray che vuole essere dominante anche in Europa - stende un tappeto rosso ai bianconeri: «è solo una partita» e «le misure di sicurezza saranno rafforzate». La squadra turca ha tutto l'interesse per giocare in casa il prima possibile: l’Ali Sami Yen, sopra la collina di Galata, è un fortino inespugnabile da 23 mila posti. Con una vittoria il Galatasaray sarebbe sicuro del passaggio del girone B che comanda con 7 punti.

La Juventus invece ha pareggiato le precedenti quattro partite del girone e non può assolutamente perdere, altrimenti sarebbe automaticamente fuori da una competizione che nelle ultime 3 edizioni l’ha vista due volte finalista e una volta vincitrice. La squadra di Lippi sta passando uno dei momenti più delicati del suo ciclo: due settimane prima Alessandro Del Piero si è rotto il crociato a Udine, aggiungendosi a una lista di infortunati che pare infinita (a Venezia a fare il centravanti era finito Tudor) e contro la Roma è appena arrivata una sconfitta che sarà l’inizio del declino di quella squadra.

Le relazioni tra Italia e Turchia intanto precipitano: nasce un boicottaggio spontaneo dei prodotti italiani, chi non lo rispetta viene minacciato. Il ministro della giustizia turco dichiara in un’intervista allo Spiegel che «Se continua così, e se l’Italia non fa qualcosa, sarà un vero disastro». Durante Juventus-Empoli del 22 novembre, i tifosi della Juventus espongono un grande tricolore e abbandonano i classici cori per intonare “Fratelli d’Italia”. Intervistato dopo la partita Gianni Agnelli si dice dispiaciuto per i calciatori «ma la Juve, in questo secolo, ne ha viste di tutti i colori». Per lui ci sono «troppi condizionamenti», ma dice anche che «non credo sparino addosso ai calciatori» (dal Corriere della Sera 23 novembre 1998). Trapela anche un clamoroso progetto di ammutinamento da parte dei giocatori della Juventus, che in caso di definitiva decisione della Uefa di far giocare la partita ad Istanbul potrebbero decidere di rifiutarsi, una decisione che creerebbe un danno incalcolabile alla Juventus, economico e politico.

Le dichiarazioni rilasciate da alcuni di loro dopo la partita con l’Empoli sono nette: «Ho visto in tv le bandiere italiane bruciate in Turchia, ho visto le facce di quella gente arrabbiata. Paura è la parola giusta» sono le parole di Zidane, che ad andare in Turchia non ci pensa proprio. Anche il compagno di Nazionale Deschamp è perentorio: «Vi posso solo dire una cosa, io là non vado», stesso pensiero per Peruzzi e Pessotto. Di Livio, squalificato, è convinto a stare vicino i compagni, qualora dovessero andare, ma ipotizza un rifiuto, come suggerito da Sergio Campana, presidente dell’Associazione Calciatori. L’unica posizione contraria è quella di Montero: «Io non ho capito bene perché sta succedendo tutto questo, ma se andrò in campo non mi farò condizionare: saremo undici contro undici» (da La Stampa del 21 novembre).

Sulle rive del Bosforo invece cercano in tutti i modi di convincere l’opinione pubblica che non ci sono problemi di nessun tipo. Il capo della polizia Atila Kurtaran assicura la Juventus: «Può dormire fra sette guanciali. L'équipe italiana sarà sotto la nostra protezione». Protezione che si compone di 20000 - ventimila - agenti pronti a tutto affinché ai calciatori italiani «non sarà torto nemmeno un capello». Secondo il Galatasaray, il vero motivo per cui la Juventus starebbe provando a spostare la partita è per recuperare qualche infortunato.

La situazione però non è rosea neanche per i giocatori del Galatasaray, su cui viene riversata un’aspettativa enorme: «Settanta milioni di turchi vi guarderanno la sera del 25 novembre, e tutti vi chiedono di vincere. Vincere per lavare l'offesa recata al nostro popolo» con queste parole li incalza il vicepresidente Donat, sicuro che i turchi vinceranno «in caso contrario noi considereremo traditori i nostri giocatori». I giornali turchi titolano “La Juventus sta con Ocalan”, il coro “Italya kahrolsun!” (Italia che tu sia maledetta) riecheggia in tutti gli stadi, i giocatori del Galatasaray diventano eroi per tutti.

Il rinvio

Il 23 novembre la UEFA decide di rinviare la partita, ma non di spostarla: si giocherà il 2 dicembre, sempre a Istanbul. Il comitato esecutivo riconosce che nessuno dei due club è responsabile e sono i due governi, di Italia e Turchia, a doversi operare affinché la partita possa essere giocata in "condizioni normali". In un primo momento la Juventus appare moderatamente soddisfatta, respinge le accuse di aver fatto pressioni e predica calma, a cui si sottrae solo Rina Pessotto - madre di Gianluca - che dice: «avevo un presentimento. Che una volta ad Istanbul la squadra sarebbe stata presa in ostaggio e non sarebbe stata liberata fino a quando Ocalan non fosse stato estradato in Turchia».

Vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera del 24 novembre 1998.

I turchi, invece, sono furiosi. Accusano la UEFA di aver perso l’onore favorendo smaccatamente la Juventus, Fatih Terim commenta ironico «la Juve ha più santi in paradiso di noi». Il rinvio arriva fino ai banchi del parlamento: secondo il ministro dello sport «finalmente Roma e Torino possono felicitarsi per aver portato a termine vittoriosamente un complotto». La situazione si ribalta e ora sono i turchi a voler rinunciare alla partita, anche perché nello stesso giorno hanno la sfida di Coppa di Turchia contro l’Adanaspor.

Ben presto si capisce che il rinvio è solo un modo per prendere tempo, perché la situazione è rimasta invariata: la Turchia chiede l’estradizione, mentre l’Italia che aspettava una richiesta anche dalla Germania, per scaricarlo a loro, ora aspetta una risposta sulla possibilità di concedere o meno l’asilo politico. Intanto Ocalan è stato scarcerato e nascosto in una località segreta. La partita tra Galatasaray e Juventus diventa per i turchi un pretesto per esprimere la propria rabbia verso il governo italiano: l’ambasciata ad Ankara viene presa simbolicamente a pallonate, le divise della Nazionale bruciate in piazza, in televisione uno spot fa indossare al leader del PKK una maglia della Juventus.

I giocatori della Juventus, intanto, continuano a non voler andare in Turchia. Mark Iuliano cerca di giustificarsi: «Non è viltà, però in queste condizioni non si può giocare. Quale arbitro ci darebbe un rigore al novantesimo, anche se fosse il più sacrosanto dell'universo?». Il più esposto di tutti è Zidane, che invoca la soluzione del campo neutro, ipotizzando che entro il 2 dicembre le cose possano "solo peggiorare". La politica italiana è su ben altre posizioni e la trasferta della Juventus si trasforma in un caso su cui interviene addirittura il ministro degli esteri, Lamberto Dini, che invita i giocatori a «non esagerare» perché «saranno superprotetti« e poi «ogni incontro di calcio crea problemi di ordine pubblico» (dal Corriere della Sera del 26 novembre 1998). La posizione intransigente della Juventus diventa anche fonte di ironia e tra i tifosi del Galatasaray circola la battuta “Tenetevi Ocalan e mandateci Zidane”.

Alle 17.43 del 27 novembre un flash di agenzia proveniente da Ankara ufficializza la presenza della Juventus: «Arriverà all’Aeroporto Ataturk alle 13 del primo dicembre e, tre ore più tardi, sarà sul campo di Ali Sami Yen per allenarsi». Pochi minuti dopo arriva però la smentita della Juventus, che conferma di aver inviato un fax con le informazioni logistiche al Galatasaray, ma solo come prassi dei match di Champions League. A Torino si aspettano ulteriori garanzie dalla UEFA e sperano ancora nella soluzione del campo neutro.

Ancora una volta da Nyon si rimandano le decisioni al lunedì successivo, il 30 novembre, ancora una volta il Galatasaray prova a convincere tutti che è una partita normale. Il giornale Blick pubblica in esclusiva il rapporto del delegato UEFA in Turchia, secondo cui la «situazione è preoccupante». Contesta il fatto che i ventimila agenti previsti per vegliare sugli spettatori non potranno di certo entrare in uno stadio che ne contiene ventiseimila. Intanto Fatih Terim vola in Italia e si intrattiene con Lippi, Bettega, Giraudo e Moggi per una mezz’ora. All’uscita parla come se fosse tutto risolto: «Sappiamo bene che non è stata la Juve ad accogliere Ocalan, non è stato un errore della Juve, nessuno di noi odia la Juve. Dirigenti e giocatori possono venire tranquilli, si considerino miei ospiti». Luciano Moggi invece non è ancora convinto: «Il clima rimane teso. Come si fa a parlare di distensione quando elicotteri esplodono in volo e ambasciate vengono assaltate?». L’allenatore turco poi va a Bologna e vede la Juventus perdere 3-0, sotto i colpi di Paramatti, Signori e Fontolan.

A 00:16 si vede un cartello nella curva dei tifosi del Bologna con la scritta “Mamma li turchi”.

Lunedì arriva la decisione definitiva: si gioca, prendere o lasciare. La Juventus a questo punto si piega e deve organizzare il viaggio per davvero. La rottura diventa interna: la società vorrebbe partire il martedì, per avere un giorno pieno per prepararsi ad una sfida fondamentale, che può valere 30 miliardi (la differenza economica tra il passaggio del turno o meno); i giocatori invece sono perentori: vogliono partire il mercoledì e ripartire il giorno stesso subito dopo la partita oppure rimangono a casa. Lippi, che vede la squadra sgretolarsi tra le mani, decide di schierarsi con i suoi giocatori e appoggia la toccata e fuga, ma laconico sentenzia «non sarà una partita regolare».

È Angelo Peruzzi a rendere chiara la posizione dei compagni e lo spirito con cui affronteranno la trasferta: «Ci hanno costretto ad andare in Turchia ed è bene dire a chi spettano le responsabilità, alla UEFA e al governo turco. Abbiamo accettato solo a condizione che si faccia tutto in giornata». Il programma prevede l’arrivo ad Istanbul alle 12.30, qualche ora di riposo in hotel e poi la partenza per lo stadio. Partita e poi subito in aeroporto per il ritorno. La scelta della Juventus viene criticata da più parti, anche dalla stessa UEFA, il cui protocollo per la Champions prevede che le squadre in trasferta arrivino il giorno prima della partita, per cui promette una multa salata, che la Juventus accetta suo malgrado di pagare. La scelta viene considerata un suicidio anche da un punto di vista sportivo, soprattutto per l’importanza della partita: le quote per la vittoria del Galatasaray si dimezzano, Lippi e i giocatori rispondono alle critiche invitando chiunque voglia a salire sul pullman con loro e farsi avanti.

Il pericolo principale sono i Lupi Grigi, gruppo di estrema destra che ha guidato le violente proteste anti-italiane nelle precedenti settimane. Il loro capo, Mehmet Gul, getta acqua sul fuoco: «Non ce l’abbiamo con la Juventus. Anzi, se mi fosse permesso, andrei ad accogliere i giocatori bianconeri con mazzi di fiori. Tanto più che io sono contro il Galatasaray, la squadra snob di Istanbul. Però stavolta non posso. Il governo italiano si è comportato in maniera vergognosa».

Il viaggio della Juventus

I 20000 poliziotti di cui si era parlato nei giorni precedenti, saranno davvero 20000 e saranno così dislocati: 2000 all’aeroporto, 1000 dislocati lungo il percorso fino all’hotel, 150 cecchini nei punti più rischiosi, 800 in albergo, nell’area dello stadio invece ci saranno 12000 agenti, altri garantiranno il ritorno in aeroporto e la sicurezza dei dirigenti. Le tre file di posti più vicine al campo saranno interamente occupate da poliziotti armati di pistole, manganelli, lacrimogeni e scudi per impedire il lancio di oggetti in campo.

Ancora Gianelli.

All’arrivo all’aeroporto Ataturk, due ragazze distribuiscono rose bianche ai giocatori della Juventus, gli addetti ai controlli doganali applaudono Zidane, che una decina di giorni dopo a Parigi alzerà il Pallone d’Oro. Gli spostamenti della Juventus vengono mandati in diretta dalla TV turca, come in un reality show. Dall’Italia anche Ocalan segue la partita. Le parti si schierano, l’Avvenire tifa Galatasaray, nella speranza che una vittoria della squadra turca potesse contribuire a stemperare la tensione; il PKK - invece - si schiera con la Juventus (anche se si temono possibili azioni dimostrative dei Curdi). Allo stadio dopo una lunga melina politica sono presenti Giovanna Melandri, ministro dello sport, Piero Fassino e Luciano Nizzola, presidente della FIGC.

All’ingresso in campo delle squadre partono 6 minuti di fischi assordanti, un’orchestrina suona una marcia funebre. Zidane subisce fallo dopo 4 secondi di gioco, poi si può giocare normalmente. Ne viene fuori una partita brutta e tesa, più per la posta in palio che non per il contorno, che le telecamere basse dello stadio Ali Sami Yen mostrano a malapena, con il regista che segue diligentemente il movimento dei giocatori in campo senza concedersi stacchi creativi sulle tribune. A creare di più è la Juventus, che è praticamente obbligata a vincere. Il vantaggio bianconero arriva al minuto 72, grazie al subentrato Nicola Amoruso, che gira in porta da posizione defilatissima un cross di Zidane, arrivato dopo un grande spunto del francese.

La Juventus soffre nei minuti finali, ma sembra in controllo, fino a che - un minuto e mezzo oltre il novantesimo - Montero commette un fallo ingenuo sulla propria trequarti e sul successivo calcio di punizione - battuto da Hagi - Suat approfitta di un’involontaria sponda di Tudor e trafigge Rampulla, decretando un salomonico pareggio.

Il giorno dopo ci sono i racconti, perché dalla tv si è visto poco o nulla di quello che accadeva fuori dal campo. I giornali turchi aprono tutti parlando di “vittoria morale”, se non nel risultato, nella gestione emotiva hanno dimostrato agli "spaghettari italiani" di essere civili, che lo sport è una cosa e le schermaglie politiche un’altra. «Peccato solo che la Juventus sia rimasta a Istanbul solo 12 ore - scrive il quotidiano Milliyet - se fosse rimasta di più avrebbe imparato tante cose sul nostro paese». Sul Corriere della Sera si racconta l’avventura dei 14 tifosi italiani presenti allo stadio, hanno sfidato le indicazioni della Farnesina per esporre lo striscione dei Fighter anche all’Ali Sami Yen e si sono trovati a essere ospiti speciali, accolti con panini e cioccolata calda. L’inviato della Gazzetta dello Sport racconta l’atmosfera surreale quando «un impressionante serpentone di poliziotti e gendarmi che avvolge il campo, attraversa le tribune: una biscia scura lunga 5.000 uomini».

Dopo tanto trambusto, la partita tra Galatasaray e Juventus finirà per contare solo “per il risultato”, nonostante il pareggio sembrava aver definitivamente indirizzato il passaggio del turno verso la Turchia. Nel successivo e ultimo turno, infatti, i bianconeri vinceranno con il Rosenborg, mentre la squadra di Terim perderà per 1-0 contro l’Athletic Bilbao già eliminato, soccombendo alla Juventus per via della classifica avulsa. A livello politico la partita non avrà riscontri: i ministri Fassino e Melandri non riusciranno a incontrare nessun esponente del governo turco, che proprio in quei giorni stava cambiando dopo le elezioni.

Galatasaray-Juventus continuerà ad essere una partita tormentata: nel 2003, sempre nei gironi di Champions, la partita venne prima rimandata a causa della serie di attentati che il 15 e il 20 novembre avevano provocato ad Istanbul la morte di 55 persone (doveva disputarsi il 25 novembre) e poi spostata, questa volta sì, sul campo neutro di Dortmund, dove il Galatasaray vinse per 2-0 contro una Juventus già qualificata. Nel 2013 invece fu una tormenta di neve a far interrompere lo svolgimento della gara intorno al 30’ del primo tempo. La partita venne recuperata il giorno successivo e un gol di Sneijder condannò la Juventus alla sconfitta e all’Europa League.

Ocalan fu convinto a lasciare l’Italia il 16 gennaio 1999 per Nairobi, dove rimase nascosto fino a quando non fu catturato il 15 febbraio dai servizi segreti turchi mentre dalla sede della rappresentanza diplomatica greca si recava in aeroporto. Il 20 aprile venne condannato a morte per “tradimento e attentato all'unità e alla sovranità dello Stato” dal tribunale per la sicurezza dello Stato di Ankara, pena commutata in ergastolo nel 2002, in seguito all’abolizione della pena capitale in Turchia. In Italia la domanda di asilo venne accolta solo il 4 ottobre dello stesso anno.

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