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La gara che ha cambiato per sempre il Motomondiale
18 apr 2024
Ricordo della gara in cui Valentino Rossi dimostrò che l'uomo era più importante della moto.
(articolo)
13 min
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Immaginate Maradona che arriva al Napoli nel 1984 e vince subito lo scudetto, o Schumacher che nel 1996, al primo tentativo, vince il mondiale con la Ferrari. O Cristiano Ronaldo che vince la Champions al primo anno con la Juve. Non è successo. È invece successo che uno degli sportivi italiani più famosi nel mondo abbia realizzato un’impresa di questo genere nel 2004 quando è salito sulla moto peggiore del motomondiale e ha vinto il campionato, contro tutto e contro tutti.

Valentino Rossi, nel 2004, ha vinto il suo sesto mondiale a 25 anni, un’impresa leggendaria iniziata a marzo, con un successo che, per molti versi, ha cambiato la storia del motomondiale, o che comunque era riuscito a dare risposta all’eterno dilemma sotteso a questo sport, risposta che in realtà è sempre variabile ed è fonte di discussione tra gli appassionati: conta di più il pilota o conta di più la moto?

Quando si parla di Valentino Rossi si parla di uno sportivo che è stato più grande della sua disciplina, un po’ come Michael Jordan con l’NBA all’inizio degli anni novanta. Con una differenza però: Jordan è rimasto un mito ma l’NBA ha continuato a crescere a dismisura, tanto da diventare ben più di un semplice sport. Rossi, invece, a 3 anni dal suo ritiro è ancora grande e famoso almeno quanto la MotoGP. Sui social i numeri di follower sono praticamente gli stessi. Nei suoi 26 anni di motomondiale Valentino ha combattuto con almeno 4 generazioni di piloti, iniziando con quelli nati negli anni sessanta e finendo con quelli nati alla fine dei novanta, alcuni dei quali cresciuti nella sua Academy. Si tratta, evidentemente, di un unicum nella storia di questo sport: campionissimo in pista, fenomeno mediatico e poi talent scout e allenatore, tanto da far crescere tra i suoi anche il pilota capace di riportare il titolo di MotoGP in Italia, Pecco Bagnaia.

Sono tantissimi gli episodi che hanno alimentato il mito di Valentino Rossi e di uno di essi cade il ventennale proprio oggi. Ma per arrivarci occorre partire da un anno prima.

Nel 2003 Valentino Rossi è il pilota più forte del mondo, da almeno 3 anni. Il pilota di Tavullia ha 24 anni, ha vinto 5 mondiali e lo ha fatto in quattro categorie diverse (125, 250, 500 e dal 2002, MotoGP), come a nessuno era mai riuscito. È simpatico, anzi buca lo schermo, è bello, vincente e c’è la fila di sponsor che lo cercano con assegni in bianco. Ha trasformato, anzi sta trasformando, il motociclismo da sport di nicchia a fenomeno di massa. Una disciplina che pochi anni prima Adriano Galliani aveva definito con scarsa considerazione sport da 400 mila spettatori.

Nei primi anni duemila, però, Valentino Rossi sta replicando, portandolo su un altro livello, quello che Alberto Tomba aveva fatto per lo sci, quello che Pantani aveva fatto per il ciclismo, quello che Sinner sta facendo per il tennis: catalizzare sul singolo sportivo le attenzioni di un Paese intero, far diventare gli italiani seguaci di uno sport che prima seguivano solo i veri appassionati.

Ma nel 2003 Valentino Rossi non è contento. Dal 2002 è un pilota ufficiale di Honda, la più prestigiosa Casa motociclistica del mondo: il manico più forte con la moto migliore. Ma Rossi, da subito, non sente apprezzato il proprio talento: secondo Honda, Rossi vince perché la loro moto è la migliore. Per i giapponesi qualunque pilota sulla RC211V riuscirebbe a trionfare. «Vogliono solo mettere in risalto la moto – afferma Rossi nel 2002 -, e assicurarsi che non sia messa in ombra da me. Non devono aver preso bene il fatto che l’anno scorso abbiamo preso a calci i loro piloti ufficiali con un team satellite». Sì perché nel 2001 Rossi ha vinto il mondiale, l’ultimo della 500 prima della nascita della MotoGP, con una Honda. Ma non nel team HRC, quello ufficiale, sponsorizzato Repsol per intenderci, bensì con una moto “clienti”, la NSR del Team Nastro Azzurro. Poi nel 2002 è passato ad HRC.

Rispetto al 2001, comunque, i numeri di Rossi tra il 2002 e il 2003 parlano di un’altra realtà: si sono corsi 32 gran premi e Rossi ne ha vinti 20, salendo sul podio in altri 12 e non portando a termine la gara solo una volta. Un dominio assoluto. Nel Motomondiale solitamente i contratti sono biennali. Vent’anni fa le trattative si chiudevano tra la fine dell’estate e l’autunno (ora tutto è anticipato alla primavera).

Nel 2003, però, le trattative per il rinnovo Rossi-HRC vanno a rilento. Così il pilota inizia a trattare, di nascosto, con Yamaha. La M1, la moto di Yamaha, nel 2003 è andata malissimo, solo un podio in 16 gare con Alex Barros. L’ultima vittoria in un gran premio risale al 2002 e porta il nome di Max Biaggi, rivale storico di Rossi. Per avere traccia di un Mondiale in bacheca bisogna andare a ritroso addirittura di dodici anni, al 1992. Nessuno, in primis quelli di Honda, crede che Rossi possa decidere di scendere dalla vincente RC211V e salire sulla M1.

La trattativa segreta

Yamaha ha bisogno di uno come Rossi per rilanciarsi e mette sul tavolo molti argomenti convincenti: dodici milioni di euro l’anno per il pilota (Honda ne offriva sette, Ducati cinque) e la totale disponibilità a progettare una moto su misura per Rossi, seguendo le indicazioni del 46. Yamaha inoltre gli dà l’assenso a portare con sé quasi interamente il suo team di allora in Honda, composto soprattutto di australiani e di italiani. Una rivoluzione. Ma davvero Rossi avrà il coraggio di scendere dalla miglior moto, per distacco, e salire sulla peggiore? Sembra impossibile.

Davide Brivio in quel periodo è team manager di Yamaha: «È stata una trattativa molto divertente, devo dire molto strana perché abbiamo avuto incontri segreti, tardi, la sera, in posti nascosti. Ci siamo divertiti». Sì perché i primi approcci tra Rossi e la Yamaha avvengono già durante i GP del 2003, al venerdì o al sabato notte, quando Rossi di nascosto si recava nel box Yamaha per parlare con Brivio e vedere la M1.

A contribuire alla decisione c’è anche il clima che si respira nel box HRC. Tempo dopo Rossi, in perfetta assonanza con la sua personalità, racconterà di come vigesse «un certo rigore, non c’era mai una grande voglia di ridere, scherzare. E io non mi sento molto a mio agio in un ambiente in cui c’è gente che non è capace di sorridere».

L’addio a HRC viene ufficializzato nell’ultimo GP del 2003, a campionato vinto: «Ho fatto tutto con la Honda. Ho vinto sull’asciutto e sulla pioggia, nel mio miglior circuito e nel peggiore, quindi il mio lavoro è finito con questa moto». Sembra comunque incredibile, perché Rossi e la Honda sono un pacchetto perfetto. Lui la definisce «la miglior moto che abbia mai guidato». E allora perché te ne vai? Chiese un giornalista. Risposta geniale: «Non vado d’accordo con i genitori».

«Forse la mia scelta sembra un po’ folle, ma vedremo l’anno prossimo».

L’inverno tra il 2003 e il 2004 è caratterizzato da uno sgarbo che Honda fa a Rossi. È consuetudine che i piloti che cambiano moto possano provare la nuova anche prima della fine dell’anno, nonostante il contratto scada il 31 dicembre. Questo favore, che di solito viene riservato a tutti i piloti, non viene concesso a Rossi. Honda dice no: per provare la Yamaha dovrà aspettare il 2004. Non si tratta solo di un dispetto. La M1 è indietro sotto tanti punti di vista e poter fare dei test anche alla fine del 2003 sarebbe stato decisivo. Ma Honda lo impedisce e Rossi non può farci niente: dovrà concentrare tutto il lavoro nelle poche settimane che precedono la prima gara dell’anno, il 18 aprile 2004 a Welkom, in Sudafrica.

La gara che ha cambiato la storia del motociclismo

18 aprile, Welkom, Sudafrica. Prima gara del 2004. Rossi stupisce tutti già dal sabato: pole position davanti a Gibernau e Biaggi. Ma il capolavoro è alla domenica: la gara si trasforma in un duello tra Rossi e Biaggi, la rivalità tocca il suo apice. In 40 minuti si sorpassano più e più volte, Rossi sulla Yamaha, Biaggi sulla Honda, la moto migliore.

È il periodo d’oro del Motomondiale in diretta su Italia 1, con telecronaca di Guido Meda e commento tecnico di Loris Reggiani. La gara in versione integrale tutt’oggi è disponibile su YouTube: al quarto giro (su 28) Rossi e Biaggi si sono già sorpassati diverse volte e in un incrocio di traiettorie si è infilato anche Gibernau. Lo spagnolo ha approfittato dei sorpassi dei due italiani che, rallentandosi a vicenda, gli hanno permesso di tornare davanti.

Gibernau, però, si stacca quasi subito e la gara si trasforma in una continua battaglia tra Rossi su Yamaha e Biaggi su Honda. Il duello è mozzafiato, ma senza bisogno di arrivare alla fine Rossi ha già compiuto qualcosa di straordinario: la M1, con lui sopra, è competitiva almeno quanto la Honda. Nessuno, alla vigilia di quel week-end, avrebbe scommesso su un risultato del genere. L’esito della gara avrebbe potuto passare in secondo piano già prima della bandiera a scacchi, perché Rossi aveva azzittito chiunque dubitasse di lui solo lottando testa a testa con Biaggi sulla Honda e scavando un solco sul resto dei piloti.

Pare che durante una delle ultime gare del 2003 Gibernau, osservando su un monitor del paddock le immagini di Valentino intento a ridere, avesse assicurato a quelli accanto a lui che il pesarese non avrebbe più avuto molto di cui essere felice quando la Yamaha, l’anno successivo, lo avrebbe disarcionato. Al momento dell’addio all’HRC Rossi aveva messo in conto un’evenienza del genere, ma a quel punto la sfida non era più con Gibernau, Biaggi o gli altri piloti della MotoGP. Si trattava di arrivare al nucleo del dualismo tra uomo e macchina, al senso profondo di questo sport e dimostrare di valere di più di qualsiasi costruttore. Ecco perché Rossi, nella sua autobiografia, l’ha definita «la gara più densa di significati» di tutta la sua carriera: «avevo dimostrato tutto quello che volevo dimostrare: l’importanza dell’uomo. Era la prova che cercavo».

Nonostante tutto, comunque, la M1 di Rossi resta «più scorbutica», come dice Meda, mentre la Honda di Biaggi è più stabile. Al giro numero sette Biaggi si mette davanti sorpassando Rossi. Vista la superiorità della Honda, lo scenario sembra perfetto per il romano: la prospettiva è quella di andare via da solo, iniziando a stampare giri veloci in fotocopia, disegnando le stesse linee, percorrendo le curve sempre uguali.

Ma Rossi è un demonio e non lascia fuggire Biaggi. Dal microfono Meda incalza, ha capito quanto l’aspetto mentale sia l’unico a poter corrodere il dominio Honda: «Non molla, è solo con la psicologia che Rossi, in questo momento può fiaccare Biaggi – osserva Meda – finché Biaggi non va via Rossi lo deve fiaccare dal punto di vista psicologico e nervoso». È proprio in quel momento che Biaggi si allarga un po’ troppo e Rossi si infila, riportandosi nuovamente al comando. «Certo, chi se lo sarebbe mai aspettato quest’inverno di vedere questi due così», riflette Reggiani. E siamo solo a un terzo di gara, giro 9 di 28.

Nel 2004 gli sponsor del tabacco campeggiano ancora sulle moto. La livrea di Rossi è completamente blu metalizzato, quella di Biaggi gialla oro. In Sudafrica, però, la legge impedisce queste sponsorizzazioni, per cui Rossi sulla carena, al posto della marca di sigarette, stampa la scritta “GO!!!!!!!!”, mentre Biaggi sceglie un più didascalico “BIAGGI”.

La gara prosegue e Alberto Porta, inviato al box, intervista Davide Brivio, il team manager Yamaha che ha strappato Rossi alla Honda: «Sappiamo che nell’ultima parte di gara la nostra moto sembra subire di più il consumo delle gomme, comunque questo è il duello che tutti volevano vedere. Però io tra un po’ muoio, se vanno avanti così!».

Anni dopo, ricordando quel weekend, Rossi ha parlato della confidenza provata all’interno della gara. Una sensazione di intimità tale con il mezzo da farlo sentire, per sua bocca, immerso in una bolla. «Qualunque cosa facevo, veniva, ero sempre davanti». Non è un caso che l’abbia definita la gara migliore della sua carriera.

Eppure a metà gara i dubbi sulla Yamaha erano tutt’altro che dissipati. Come avrebbe retto la M1 agli ultimi giri? Che Biaggi stesse nascondendo il potenziale della sua Honda per fiaccare l’avversario e dare lo strappo decisivo? Il fatto che il pilota romano non faticasse a rispondere ad ogni mossa di Valentino sembrava suggerirlo.

Rossi, dal suo canto, sa che Biaggi potrebbe scappare via, perciò l’unica soluzione è provare a non lasciargli respiro imponendo la bagarre. Come osserva Reggiani, «Biaggi ha qualche decimino in più, per questo non vuole farlo andare via, perché Biaggi quando poi va da solo fa delle grandi gare. Se arrivano agli ultimi giri vicini, Valentino sa che con le gomme finite ha quel qualcosa in più per pareggiare la situazione tecnica».

La sfida tra i due è talmente avvincente che le telecamere si dimenticano del resto della concorrenza e inquadrano solo loro. I telecronisti sentono il bisogno di elencare la classifica piloti solo al diciannovesimo giro. A cinque giri dalla fine, dopo essergli rimasto appiccicato, Biaggi sferra l’attacco e va davanti. Il romano, per vecchie ruggini con HRC risalenti al suo primo anno in 500, non è pilota ufficiale ma è evidentemente il migliore su una Honda, insieme a Gibernau, ora che non c’è più Rossi. I due piloti ufficiali del Team Repsol sono il brasiliano Alex Barros e lo statunitense Nicky Hayden, staccati, in questo momento, di 15 secondi. Biaggi conduce la gara controllando Rossi, ma non riesce a scappare. A quattro giri dalla fine, tuttavia, è ancora in testa. Inizia il terz’ultimo giro: Biaggi primo, Rossi secondo e vicinissimo. La fuga, a quel punto, non è più una reale prospettiva per il romano. Rossi ha portato la gara nella direzione in cui desiderava e appena prima della fine del terz’ultimo infila Biaggi con un sorpasso aggressivo ma corretto. Entrambi vanno un po’ larghi, ma il romano non riesce a rimettersi davanti. Sul traguardo, a due giri dalla fine, Rossi è primo e Biaggi secondo.

«Non oso pensare alle sedie che voleranno via nei bar!», urla Reggiani.

Manca un giro e mezzo e Rossi, davanti, tappa come può tutti gli spazi a Biaggi, tenendo traiettorie più strette possibili. Ultimo giro: «Sono passati tre mesi e mezzo da quando Rossi è salito sulla M1, comunque vada sarà un successo», riflette Meda, mentre scommette su un tentativo estremo di attacco da parte di Biaggi nella parte finale del tracciato. Ma niente, Rossi mantiene la distanza di sicurezza nell’ultimo intermedio e vince dopo un esercizio di logorio estremo: «Rossi c’è, Rossi c’è, Rossi c’è su Biaggi».

All’ultimo giro hanno fatto segnare 1.33.2, con Biaggi che ha percorso il giro record della gara, per dare una dimensione della competitività dei due. Quella di Rossi è un’impresa epica. Dopo il traguardo, nonostante i due si stiano tutt’altro che simpatici, si scambiano i complimenti. Di fatto è un po’ la resa finale di Biaggi, che da lì in avanti sarà definitivamente ridimensionato rispetto a Rossi: il romano è un campione, ma Rossi è molto di più.

“Sapevoha scritto Rossi nell’autobiografia Pensa se non ci avessi provato - che vincere subito, con la Yamaha, al primo anno, avrebbe cambiato molte cose nel mondo del motociclismo da corsa. E così è stato. Il 18 aprile 2004. Una giornata entrata nella storia del motociclismo. Ho vinto la prima gara che ho corso con la Yamaha. La prima gara del Mondiale 2004. Una cosa impensabile anche per me”.

E Rossi, famoso per le gag dopo una vittoria, stavolta non ha nulla di preparato a tavolino. Si ferma con la moto in un punto della pista, appoggia la M1 a dei pneumatici e le si siede accanto: “Quando mi sono fermato a bordo pista, e sono sceso dalla mia Yamaha sedendomi poi accanto a lei, sull'erba, avvolgendo le braccia alle gambe e tenendo la testa abbassata, non stavo piangendo. Dietro la visiera nera, io ridevo. Già, perché quando sono felice io rido. In quel momento, accucciato sull'erba, appoggiato alle gomme, vicino alla mia Yamaha, ridevo perché mi sentivo orgoglioso, sollevato, felice. «Allora avevo ragione io!» pensavo, tra me e me. «Non riesco a crederci, li ho fregati tutti, che spettacolo!» continuavo a ripetere”.

Rossi rideva sotto al casco. Ha sempre riso tanto, si divertiva e faceva divertire. Non si è mai commosso pubblicamente, neanche nel 2021 quando, dopo 25 anni di carriera, la MotoGP e i media lo hanno onorato e celebrato in mille modi, con video creati quasi con l’intento di farlo commuovere. E lui, sveglio come sempre: «Tanto non mi farete piangere!». E giù una risata.

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