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Gareth Southgate nemico della patria
05 lug 2024
05 lug 2024
Il CT è considerato ormai un ostacolo tra l'Inghilterra e la vittoria di un trofeo.
(copertina)
IMAGO / Goal Sports Images
(copertina) IMAGO / Goal Sports Images
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Dopo lo scialbo pareggio con la Slovenia, Gareth Southgate si avvicina alla curva occupata dai tifosi inglesi, da solo, circondato dai fotografi. Alza le mani, applaude verso gli spalti, battendo le mani con quella leggerezza cerimoniale che possiedono i reali. Davanti a sé però non ha il popolo in festa, ma una frangia bianca, ostile come uno schieramento di poliziotti in tenuta antisommossa. Dagli spalti piovono fischi, insulti, anche un paio di bicchieri di plastica che hanno contenuto una birra, ma Southgate sembra essere in un altro mondo. Fa finta di niente, come gli impone l’aplomb che il carattere inglese ha ereditato dalla nobiltà. «Capisco che c’è una narrazione che mi riguarda», dice dopo la partita, interrogato sull’accaduto, «È meglio per la squadra che sia diretta nei miei confronti anche se sta creando un ambiente inusuale nel quale lavorare». Unusual environment, dice Southgate, con un delizioso understatement britannico che farà venire un brivido ai fan di Downton Abbey. «Non ho mai visto una squadra qualificarsi e ricevere un trattamento simile».

L’Inghilterra ha fatto una partita di una noia mortale, ha tirato appena tre volte in porta, ha prodotto la miseria di 0.76 xG, eppure lo 0-0 contro la Slovenia le ha comunque permesso di qualificarsi da prima del girone e incontrare un avversario più morbido, come in teoria sarebbe dovuta essere la Slovacchia. Domani la Nazionale inglese si giocherà i quarti di finale per il secondo Europeo di fila, qualcosa che non le era mai successo in tutta la sua storia. Questo è solo l’ultimo dei risultati con cui Gareth Southgate è arrivato a questo Europeo, e che lo rendono di fatto il miglior CT dell’Inghilterra della storia, a esclusione del solo Alf Ramsey, campione del mondo nel 1966. La lista di dettagli che si sono messi tra lui e risultati ancora più clamorosi, o addirittura un trofeo, fa male a ripensarci. Il gol di Mandzukic nei supplementari contro la Croazia gli ha tolto la prima finale mondiale dell’Inghilterra da più di 50 anni. I rigori sbagliati da Saka, Sancho e Rashford la vittoria del primo Europeo della sua storia. La rete di Giroud a 16 minuti dalla fine una seconda semifinale mondiale consecutiva, che per i “Tre Leoni” sarebbe stato un record a parte.

A ogni delusione Southgate è sembrato avvicinarsi di un passo a una conoscenza più essenziale del calcio per nazionali nei grandi tornei. L’idea che per arrivare in fondo bisogna minimizzare gli eventi della partita, far succedere meno cose possibili, affidarsi nella metà campo avversaria al talento dei propri giocatori, se lo si ha. È la lezione che traspare dall’esperienza di Didier Deschamps sulla panchina della Francia, diventata il behemoth del calcio contemporaneo per nazionali. Ma anche - in modo diverso, certo - dall’ultima evoluzione avuta da Pep Guardiola sulla panchina del Manchester City, una squadra tirannica nella sua ambizione totalitaria di controllare il gioco e soffocare qualsiasi tipo di rischio con un numero scandaloso di difensori centrali in campo.

L’arrivo dell’allenatore catalano in Inghilterra pochi mesi prima di quello di Southgate sulla sua panchina ha alimentato il mito del destino manifesto dei “Tre Leoni”, la litania it’s coming home. Si diceva che Guardiola, con il Barcellona, avesse preannunciato e contribuito all’età dell’oro della Nazionale spagnola tra il 2008 e il 2012. Che da allenatore del Bayern Monaco avesse fatto lo stesso con la Nazionale tedesca, vincitrice dei Mondiali del 2014 e rivoluzionata nelle premesse del suo gioco. Con il suo approdo al Manchester City adesso toccava all’Inghilterra, sulla spinta anche dei programmi federali per lo sviluppo del talento avviati alla fine degli anni ’90.

Il calcio di Guardiola, il gioco di posizione catalano di matrice olandese, il calcio positivista per cui la attenta misurazione dello spazio, il controllo di tutte le variabili può portare con buona ragionevolezza anche al controllo del risultato, è quello che teoricamente Southgate avrebbe dovuto portare in Nazionale e sembrava l’assicurazione sulla certezza che l’Inghilterra avrebbe vinto almeno un trofeo internazionale. Un tipo di calcio troppo attraente per quella parte dell’inconscio collettivo del Paese che, come ha spiegato la sociologa Arianna Montanari in Stereotipi nazionali: Modelli di Comportamento e Relazioni in Europa, fa risalire la “salda fede nella vittoria finale” alla “importanza dell’osservazione, della messa in relazione dei comportamenti e degli avvenimenti, che alla focosità e all’ardimento ha imparato a sostituire la razionalità e l’autocontrollo ovvero la ragionevolezza”. Una raffigurazione di sé stessi che affonda le sue “radici nell’illuminismo inglese e ancor prima in quella che Elias chiama la razionalità cortigiana” e che si sublimerà nella cultura popolare nella figura di Sherlock Holmes.

I gol di Mandzukic e Giroud, i rigori di Saka, Sancho e Rashford non hanno intaccato la fiducia del pubblico inglese nel fatto che la vittoria alla fine sarebbe arrivata, ma hanno allontanato Gareth Southgate dal modello positivista che teoricamente avrebbe dovuto incarnare. Il CT inglese è andato nella direzione opposta, abbracciando il calcio di chi cerca a guidare il caso anziché opporvisi. Per alcuni è stato un tentativo per superare il trauma delle eliminazioni - della realtà cioè di non essere davvero chi avrebbe riportato il calcio a casa. Se sono rimpianti la decisione di non provare a segnare il 2-0 contro l'Italia nella finale degli Europei, o quella di attendere i rigori nella semifinale dei Mondiali contro la Croazia, è solo perché ci si aspettava che l'Inghilterra dovesse vincere quei tornei.

Per altri, invece, è stata una scelta ancora più razionale, in un torneo per nazionali in cui la vita e la morte sono decisi in 90 minuti e quindi da pochissimi eventi. A ogni torneo internazionale l’Inghilterra si è presentata più speculativa del precedente, più passiva sotto la linea della palla, più in attesa dell’errore avversario, fino alla sua versione quasi paradossale di questo Europeo, in cui le manca solo il 3-5-2 per assomigliare a una qualsiasi squadra italiana in lotta per la salvezza. Un’Inghilterra cinica, oscura, illeggibile, un’Inghilterra nemmeno muscolare, che per molti è ancora la cosa più importante. Persino peggio di un’Inghilterra perdente, quindi: una anti-Inghilterra.

Il rapporto di fiducia tra Southgate e i suoi tifosi si è rotto già prima dell’inizio di questi Europei, quando a Wembley, davanti a più di 80mila spettatori, l’Inghilterra ha perso in amichevole per 0-1 contro l’Islanda, dopo un gol subito al 12esimo da Jón Dagur Thorsteinsson, ala sinistra del OH Leuven, prima divisione belga. La situazione è diventata di aperto conflitto dopo l’1-1 contro la Danimarca, una partita dopo la quale Southgate si è lamentato per non essere riuscito a trovare un sostituto di Kalvin Phillips (minuti giocati complessivamente in quest’ultima stagione: 639). Da quel momento Gareth Southgate è diventato l’ostacolo tra l’Inghilterra e il suo destino, il nemico della patria. Lo è diventato per praticamente tutti i tifosi, alcuni dei quali hanno chiesto un esonero in corsa sull’esempio vincente della Sierra Leone in Coppa d’Africa. Ma anche per i giornalisti che erano deputati a scriverne, che hanno creato per lui un mito negativo - la certezza che, finché sarebbe rimasto in panchina, l’Inghilterra non avrebbe mai vinto. “Di colpo i tifosi stanno realizzando che Southgate non manterrà la sua promessa”, ha scritto Jonathan Liew sul Guardian dopo la partita contro la Slovenia “E, mescolato alla delusione del presente, c'è una sorta di lutto per le opportunità mancate del passato: i freni a mano non rilasciati, le scommesse non giocate, il secondo gol contro l'Italia non perseguito […] Dimenticatevi di vincere l’Europeo: probabilmente non succederà”.

I meme hanno finito di dipingere la figura di Southgate anti-eroe. Southgate trasformato quindi nel contrario di Sherlock Holmes: un allenatore che non capisce quello che ha davanti agli occhi e che comunque non ha la minima idea di come risolvere la situazione. Southgate che che manda in tilt una pizzeria Domino’s, che sembra prendere appunti ma che in realtà si sta impegnando a scrivere il suo nome, che nei discorsi motivazionali negli spogliatoi dice ai suoi di cacarsi sotto. I meme sono talmente tanti che i siti d’informazione hanno iniziato a fare una selezione dei migliori.

Negli ottavi di finale contro la Slovacchia, con un gol subito al 25', i tifosi inglesi hanno come provato a evocare uno spirito superiore che potesse combattere la sua aura negativa. Al coro You don’t know what you’re doing (letteralmente: non hai idea di cosa stai facendo) diretto nei suoi confronti, hanno così alternato God Save the Queen già all’inizio del secondo tempo, come se le due cose fossero in contrapposizione. Il CT inglese ha messo Saka ed Eze sui terzini, ha buttato dentro Ivan Toney, e alla fine nel modo inspiegabile che conosciamo è riuscito a raggiungere il gol che gli ha permesso di arrivare ai quarti, con un cross fatto letteralmente con le mani. “L’ultimo passaggio al 4-4-2 ha risvegliato una qualche antica energia tribale inglese?”, si è chiesto dopo la partita Jonathan Liew sul Guardian, come se anche lui avesse sentito qualcosa di più profondo muoversi al di sotto di questa partita.

Lo scrittore inglese apre il suo pezzo concentrandosi sui tifosi che sono usciti in anticipo dallo stadio, quelli che non ci hanno creduto fino alla fine, e che per questo si sono persi l’incredibile finale di partita. “Non riesco a non pensarci”, ha scritto. In Inghilterra uno di loro è diventato una specie di personaggio per via dell’intervista realizzata da Rob Harris per Sky Sport, che gli annuncia in diretta che la Nazionale di Southgate è riuscita a pareggiare. “Oddio”, risponde quello con un’amarezza quasi funerea. Poi, però, al nome del marcatore, si gira e mostra la maglia che sta indossando: Jude Bellingham. È stato il segno, se ce ne fosse stato bisogno, che si poteva sperare nella vittoria anche al di là di ciò che razionalmente era lecito credere guardando la Nazionale in campo. “Fede, contro tutte le prove disponibili. Fede, in assenza di meglio”, come scrive Jonathan Liew.

D’altra parte, se proprio non vogliamo dare nessun credito al CT inglese allora dobbiamo davvero pensare che questa Nazionale abbia qualche favoritismo divino, che poi è la versione mistica di dirsi che sono sei anni che ha solo fortuna. Tra le due cose, di certo, gli inglesi hanno già capito cosa scegliere. Anche l’idea di essere il popolo eletto, infatti, ha radici profonde nella cultura inglese. “Secondo Poliakov”, scrive sempre Arianna Montanari “nella Rivoluzione protestante e nell’identificazione che gli inglesi hanno fatto, a partire da quel momento, con il popolo di Mosè. Essi come gli ebrei si sono sentiti investiti da Dio di una missione particolare e universale”. Come ha detto Jude Bellingham subito dopo aver segnato in rovesciata: chi altro? Se non me, se non noi: sembra sottintendere.

Questo stato d'animo era stato intercettato ancora prima dell'inizio di questo Europeo dalla campagna pubblicitaria di Adidas che riguardava la Nazionale inglese, e in particolare Jude Bellingham. Una carrellata di tifosi inglesi disperati, distrutti dopo una sconfitta. Teste scosse in segno di disappunto, tazzine da tè in frantumi sul pavimento, David Beckham che guarda la pioggia. La Nazionale inglese in rovina, se non fosse per l'arrivo di Jude Bellingham, l'uomo della provvidenza."Hey Jude, prendi una canzone triste e migliorala". Appare Bellingham e la celebre canzone, scritta da Paul McCartney, da malinconica diventa impetuosa. I tifosi iniziano ad esultare, si abbracciano, Frank Lampard guarda l'orizzonte con uno sguardo fiducioso.

Con la rovesciata alla Slovacchia, Jude Bellingham ha portato la finzione nella realtà, salvando l'Inghilterra. A lui, adesso, gli inglesi si aggrappano per arrivare al compimento del destino manifesto, alla vittoria di un trofeo internazionale. Nonostante la tradizione, nonostante i traumi, nonostante - soprattutto - Gareth Southgate.

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