Il Piemonte è la regione dell’esoterismo per eccellenza. Torino, il suo capoluogo, è investito di un forte valore simbolico: pare, infatti, che rappresenti l’intersezione tra il triangolo della magia bianca – insieme a Praga e Lione – e quello della magia nera – insieme a Londra e San Francisco – il punto d’incontro tra le forze del bene e quelle del male. In città c’è chi organizza persino dei tour nei luoghi del magico e del misterioso. La Loggia Ausonia, che ha sede proprio a Torino, è nota come la madre di tutte le logge del Grande Oriente d’Italia e, d’altronde, la massoneria è stata tra i propulsori principali del Risorgimento e dell’unificazione sotto la croce sabauda. Insomma, la presenza di società segrete in Piemonte è nota un po’ a tutti. Di solito si tratta di organizzazioni che preferiscono muoversi con discrezione, senza dare troppo nell’occhio e occultando con cura i propri codici e le proprie pratiche.
Da qualche anno, però, c’è una setta che sta uscendo sempre di più allo scoperto, senza paura di svelare il proprio simbolismo, ma anzi con l’ambizione di esercitare un’egemonia culturale nel Paese. Sembrerà incredibile, ma il settore attraverso cui la setta sta allungando i suoi tentacoli è il calcio.
Grugliasco sorge a circa cinque chilometri da Torino e all’apparenza è una normale città di quarantamila abitanti. Nella quiete delle pianure circostanti, però, si dice che accadano cose strane: in mezzo alle cascine sorgerebbe un’accademia, di cui si sa ben poco e che viene sorvegliata tutto il giorno da imponenti monaci luterani, giunti lì apposta da Svizzera, Olanda e Westfalia. Si dice abbia addentellati nella vicina Genova e persino in Calabria, a Crotone, e che per entrarci siano necessarie prove di disumana sofferenza fisica, oltre che una devozione cieca, letteralista, nei confronti del Gran Maestro Gian Piero Gasperini. I discepoli pendono dalle sue labbra e pare che in ogni dormitorio della Divina Scuola di Grugliasco sia appeso un suo ritratto gigante, come quelli di Mao Zedong in Cina. Si dice che abbia fondato la congrega ormai una quindicina d’anni fa, e che dopo un periodo di anonimato stia accogliendo sempre più adepti.
L’invasione di Gasperini e dei suoi discepoli
L’episodio che ha aperto gli occhi dell’opinione pubblica sui piani egemonici di Gian Piero Gasperini è l’approdo di Salvatore Bocchetti sulla panchina dell’Hellas Verona. Bocchetti è il prototipo di calciatore a cui la militanza nella setta gasperiniana ha cambiato la vita: nato come terzino sinistro nel Frosinone in Serie B, nell’estate del 2008 passa al Genoa, dove impara la prima lezione della Divina Scuola di Grugliasco ovvero che i terzini, in realtà, altro non sono che dei terzi di difesa in potenza, soffocati da un calcio italiano all’epoca impelagato nella monotonia delle difese a quattro. Come dice Gasperini, anzi scusate il Gran Maestro Gasperini, «gli ex terzini sono migliori nell’impostazione, hanno l’anticipo, sono più bravi nelle uscite». Bocchetti – originario di Napoli come tanti altri illustri discepoli della Scuola – rappresenta insieme a Mimmo Criscito uno dei primi esempi di successo di terzino convertito in terzo di difesa: dopo di loro, avrebbero intrapreso un percorso di conversione simile anche Giovanni Marchese, Luca Antonini, Armando Izzo, Federico Dimarco, Andrea Masiello e Ricardo Rodriguez, mentre Javier Zanetti avrebbe rifiutato la parola di Gasperini già al momento dell’iniziazione.
La scelta di Bocchetti come nuovo tecnico del Verona è emblematica delle dinamiche delle squadre che incrociano il loro corso con il gasperinismo. Tre anni fa, per affrontare il ritorno in A, l’Hellas decise di affidarsi a Ivan Juric, il più ortodosso degli eredi. Dopo il suo addio hanno provato a smarcarsi dall’ideologia, ma con pessimi risultati, che li hanno costretti a tornare sui propri passi: dopo Juric fu scelto Di Francesco, che – senza aver mai studiato alla scuola di Grugliasco – provò a mettere in pratica principi simili a quelli di Gasperini (e molto diversi dai suoi). L’esonero fu inevitabile. Al suo posto venne scelto Tudor, che se non ha avuto contatti diretti, si è mostrato molto più portato per seguire la giusta via: «Si respira Juric nei muri», ha detto dopo il suo arrivo.
Quando i discepoli battono il maestro.
Tudor non ha solo sposato subito le idee del vecchio tecnico - il 3-4-3, l’intensità, le marcature a uomo, le sovrapposizioni interne ed esterne dei terzi di difesa, i cross da un esterno all’altro – ha anche compiuto una scelta solo all’apparenza trascurabile scegliendo come secondo proprio Salvatore Bocchetti, all’epoca allenatore dell’Under 18. La presenza di un allievo della prima ora del gasperinismo è una sorta di porta d’accesso laterale alla Scuola, dicono le malelingue. Tudor diventa padrone della lezione, il Verona gioca il calcio più eccitante della Serie A, per le squadre di pari rango, a tratti, sembra inarrestabile. A fine stagione, però, Tudor parte per Marsiglia, e così il presidente Setti prova di nuovo a smarcarsi scegliendo Cioffi, ma la squadra è involuta, vittima anche delle cessioni estive, e si ritrova in zona retrocessione. Ancora una volta non resta che riallacciare il legame con le idee di Gasperini ed ecco che un suo ex giocatore, Bocchetti, diventa l’allenatore.
Come si spiega il successo della Scuola di Gasperini
L’arrivo di Bocchetti sulla panchina del Verona ha scatenato centinaia di articoli sul fenomeno del gasperinismo: “Da Juric a Bocchetti: Gasperini nel Genoa ha forgiato una classe di allenatori”, “Il Verona riparte da Bocchetti, un altro "figlio" di Gasperini”, “In Serie A una squadra su quattro è allenata dal Genoa di Gasperini”, sono alcuni dei titoli dei principali portali online.
Tutti insistono sui nomi più noti usciti da quel Genoa 2008/09 che sfiorò la Champions League, sfumata all’ultima giornata solo a causa della Fiorentina di Prandelli. Ci si sofferma sugli allenatori che si stanno imponendo nella massima serie: Juric a Torino, Thiago Motta a Bologna, e ora Palladino a Monza e Bocchetti a Verona. Gli allievi di Gasperini, però, non popolano solo la Serie A. Ci sono anche nomi più oscuri, che rimangono nell’anonimato o che provano a diffondere il verbo anche nelle categorie inferiori. Per larghi tratti dello scorso campionato di Serie C, nel girone C il calcio più brillante lo ha giocato la Turris di Bruno Caneo, compagno di Gasperini da giocatore a Palermo e suo vice con Genoa e Inter dal 2006 al 2012. L’ottima stagione con la Turris è valsa a Caneo la chiamata del Padova, squadra di vertice del girone A, segno di come quel filone di idee possa attecchire anche ai piani inferiori della piramide del calcio. Sempre in Serie C, aveva iniziato a costruirsi un buon curriculum Francesco Modesto, esterno a tutta fascia del Genoa 2008/09: nativo di Crotone, dove Gasperini ha iniziato a sperimentare i suoi principi quasi venti anni fa, anche Modesto è partito dalla Calabria, dal Rende. Una buona esperienza alla Pro Vercelli, sempre nel segno del 3-4-3 e dei rombi laterali, gli era valsa la chiamata del Crotone in Serie B, una sorta di master per gli allievi del Gasp. Dietro le quinte del Torino di Juric, a fare da secondo al tecnico di Spalato, si cela poi Matteo Paro, rincalzo del Genoa 2008/09 e addirittura uomo di Gasperini già nella primavera della Juventus e al Crotone.
Insomma, quell’anno a Genova dev’esserci stato qualche rito iniziatico. Ma come si spiegano il successo e la diffusione delle idee di Gasperini e dei suoi adepti? La prima motivazione, forse un po’ banale, riguarda lo status delle società che li scelgono: nessuna di loro ha a disposizione rose di primo livello per qualità tecnica. L’intensità, allora, è la componente che permette di compensare il distacco dalle squadre con più mezzi e che spesso, contro avversarie di pari livello, permette di imporre in maniera indiscutibile il contesto della partita. Lo ha reso chiaro un gasperiniano spurio come Tudor: «Quello che questo allenatore (Gasperini nda) ha capito dieci o quindici anni fa, in molti l’hanno capito ora: se non corri, se non pressi, se non sfrutti al massimo la fisicità della tua squadra, la qualità che hai non esce. Uno simile a Gasperini è Antonio Conte, anche lui dieci o quindici anni fa ha intuito questa cosa».
La tecnica di alto livello costa sempre cara sul mercato. È una caratteristica, peraltro, che con l’allenamento si può raffinare solo fino ad un certo punto. L’atletismo, invece, costa di meno, è più migliorabile e il suo impatto sulla partita si può moltiplicare a partire dal sistema di gioco e dalle sinergie che si creano tra i calciatori. È un postulato valido sia per la fase difensiva che per quella offensiva e va legato ad un’altra questione chiave che aiuta a capire il successo di Gasperini e simili: la tipologia di giocatore che si produce o si importa in Italia.
È un dato evidente soprattutto tra i difensori. Ogni volta che una squadra allenata da Gasperini o Juric cede un difensore a una squadra che adotta principi di gioco differenti, aleggia su di lui la domanda su come potrà adattarsi al nuovo contesto: le qualità che aveva mostrato in un sistema così particolare saranno del tutto riproducibili altrove oppure, in un diverso impianto di gioco, verranno a galla i suoi limiti? La parabola di Gianluca Mancini e Kumbulla inviterebbe a diffidare dai difensori prodotti da Gasp, Juric e simili. Il tecnico di Grugliasco, per primo, ha avuto l’intelligenza di leggere i limiti dei centrali del nostro campionato e di trovare un modo per nasconderli, permettendogli di giocare su fondamentali più basilari, nelle corde di centrali un po’ grezzi nelle letture e lacunosi in alcune caratteristiche difensive, come la postura e l’uno contro uno frontale.
Anche Cristiano Ronaldo riconosce le qualità del verbo di Gasperini.
Il calcio italiano ha un grave problema nella produzione di difensori, per quanto in contraddizione rispetto alla nostra tradizione. Ce ne stiamo accorgendo con la Nazionale, dove molti invocano l’oblio per Bonucci che però, alla resa dei conti, è ancora il difensore “tradizionale” di piede destro migliore in Italia. I difensori italiani della Serie A odierna non sono rapidi e a campo aperto hanno problemi a virare lateralmente per seguire l’avversario. Anche nella difesa della porta, non sembrano di certo esserci eredi di Chiellini per concentrazione, fiuto del pericolo e senso dello spazio. Bisogna trovare un modo per tenere i centrali lontani da situazioni di questo tipo. Quale miglior soluzione, allora, di costringere l’avversario a ricevere sempre di spalle senza la possibilità di girarsi? In questo modo, non si rischia di affrontarlo a campo aperto né in isolamento frontale, né bisogna guardare in maniera meticolosa lo spazio intorno a sé, perché tutti seguono lo stesso principio di pedinare il proprio uomo di riferimento.
È questo il motivo per cui Gasperini e figli riescono a riciclare centrali all’apparenza non eccezionali (Toloi, Djidji, Masiello) o ad inventarseli di sana pianta (Casale, Kumbulla, Mancini). Ed è questo il motivo per cui tanti terzini senza grande futuro si rivelano eccellenti marcatori e registi aggiunti. Ma, d’altronde, cos’è un terzo di difesa se non un terzino troppo bloccato per spingere o un centrale un po’ troppo distratto e impulsivo per una difesa a quattro che guarda al pallone e al compagno? Non è un caso che Mancini, nelle ultime uscite della Nazionale, abbia adottato una difesa a tre con principi simili, dove tra i migliori c’è stato Toloi, lo specialista per eccellenza del sistema dell’Atalanta. Se l’impianto difensivo di Gasperini è il modo migliore per tenere lontani i difensori italiani da situazioni scomode, avrà pensato il CT, perché non provarlo anche in Nazionale?
I sistemi di gioco di Gasperini, Juric, Palladino e simili sono estremamente elaborati, sia per come si coordinano i calciatori nelle marcature, sia per come si sviluppano i movimenti in fase offensiva. Eppure, la sofisticatezza di sistemi simili poggia sulla semplificazione dei compiti per i singoli: è questa la chiave del successo del calcio di scuola Gasperini, ed anche il suo lato più affascinante.
Si pensi all’interpretazione del ruolo di esterno a tutta fascia: ai laterali non è richiesto di entrare dentro al campo come accade sempre più spesso non solo in squadre che praticano il gioco di posizione, ma anche in squadre semplicemente ambiziose in fase di possesso – è il caso del Milan con Theo Hernandez o, più di rado, di Mario Rui nel Napoli. Non ci sono neanche troppe similitudini con i quinti di Antonio Conte. Spesso si evidenzia come quest’ultimo e Gasperini abbiano reso mainstream il cross da esterno a esterno. Al di là di quella giocata, però, non c’è niente in comune. Conte, ad esempio, incarica di grandi responsabilità con la palla i suoi laterali: col primo controllo devono sapersi orientare verso il centro del campo e, soprattutto, devono riuscire a trovare il passaggio in diagonale verso una delle punte che viene incontro tra le linee, un tipo di traccia particolarmente complicata da percorrere, spesso da eseguire di prima e spalle alla porta. Per gli esterni di Atalanta, Torino o Monza non esiste niente di tutto ciò. La loro preoccupazione è di giocare sul binario e di dare profondità. Ci pensa il sistema, con i rombi laterali e gli scambi di posizione che liberano la corsia, a consentirgli di muoversi quasi esclusivamente in verticale.
Anche le eccezioni più tecniche rientrano nell’idea di muoversi su un binario. Darko Lazovic è un esterno con un ottimo piede destro. A differenza di Gosens, Hateboer, Singo o Faraoni, basa il suo calcio soprattutto sulla qualità con la palla. Anche le sue giocate, però, si dispiegano in verticale, senza cercare ricezioni da regista aggiunto o tracce di passaggio ingegnose. Il suo contributo alla fase offensiva del Verona di Tudor arrivava soprattutto dai cross dal fondo e dal lato corto dell’area. Lazovic ama passare la palla con l’esterno, ma lo faceva sempre in verticale per il taglio profondo di un centrocampista, di Caprari o di Simeone.
L’ultimo esemplare di esterno gasperiniano è Patrick Ciurria del Monza, che prima dell’arrivo di Palladino aveva sempre giocato come attaccante o trequartista. Improvvisamente, però, si è ritrovato laterale di destra, decisivo con un assist nella gara contro la Juventus: «Per caratteristiche è adatto a giocare sulla fascia, ho scelto di spostarlo lì. Un ragazzo che si applica, ha strappo, gamba e sa fare benissimo la fase difensiva. Lui si è messo subito a disposizione quando gli ho proposto di giocare sulla fascia», ha detto Palladino. Ciurria sembra calato perfettamente nel ruolo, segno di come certi compiti, inseriti all’interno di sistema simile, abbiano presa rapida sui giocatori – e in generale, vale la pena riflettere su come Palladino, Juric e Tudor abbiano avuto tutti un impatto immediato sulle proprie squadre: non è peregrino pensare che ci sia qualcosa in comune nella metodologia di allenamento, che porta a trasmettere da subito con efficacia i propri principi.
Più particolare, invece, il discorso sui giocatori offensivi. Che il sistema di Gasperini e simili migliori in maniera esponenziale il rendimento di difensori ed esterni è risaputo. Si sottovaluta, però, l’impatto sugli attaccanti più tecnici. Il Papu Gomez trasformato da ala dribblomane in enganche, libero di prendersi palla dai difensori, è l’esempio più noto. Ma anche Muriel, nei suoi momenti migliori e in questa nuova versione dell'Atalanta, è molto più che una punta, libero di abbassarsi per triangolare e dribblare, così da poter attaccare in maniera dinamica fronte alla porta come piace a lui.
Muriel e Gomez, però, sono due talenti sopra la media. Più interessante il caso di Gianluca Caprari, calciatore di ottima tecnica, ma con un resto del repertorio piuttosto carente. Ci sono tante ali e mezzepunte italiane dal piede morbido, ma senza altre qualità, come ad esempio il dribbling, che li rendano autosufficienti e gli permettano di imporsi ad alti livelli. Di solito, quelli come Caprari vengono utilizzati da ala a piede invertito, con la speranza che incidano in maniera episodica senza grande supporto da parte di compagni e allenatore. Così, finiscono per perdersi nella mediocrità della parte destra della classifica.
Caprari, dopo una vita da ala sinistra incompiuta, tutt’al più seconda punta, con Tudor è stato uno dei migliori giocatori della scorsa Serie A. Un sistema come quello del Verona 2021/22 è perfetto per giocatori con un tipo di tecnica raffinata ma non travolgente. Caprari, in piccolo, ha avuto un’evoluzione simile al Papu. Non avrà avuto la stessa influenza lungo tutto il campo, ma anche lui si è trasformato in un regista offensivo. Invece di isolarlo per convergere e calciare, Tudor gli ha messo vicino i compagni della catena laterale di sinistra, i cui movimenti erano mirati proprio a offrirgli un appoggio. Caprari poteva scendere per ricevere e girarsi, poi aveva sempre qualcuno con cui dialogare nello stretto, fino ad avvicinarsi all’area, dove poteva premiare le sovrapposizioni di Lazovic. I movimenti coordinati dei compagni di catena, poi, gli davano lo spazio per rivolgersi sempre alla porta avversaria e decidere le sorti degli attacchi dell’Hellas. Caprari ha iniziato a toccare sempre più palloni, con ricezioni comode e compagni vicino pronti a muoversi per assecondarlo. Così, per la prima volta in carriera, si è ritrovato a condizionare il gioco della propria squadra, una responsabilità che gli ha dato la confidenza di impreziosire ogni partita anche di tacchi e altri virtuosismi.
Quest’estate Caprari si è trasferito a Monza. Nelle prime giornate si era incupito, sembrava di nuovo l’attaccante di contorno di Samp e Benevento. E questo probabilmente perché Tudor, come nella miglior tradizione di Gasperini, ne aveva occultato i limiti con il sistema: è per questo che le squadre che abbandonano quei principi, mantenendo la stessa rosa, fanno fatica a competere per gli stessi obiettivi. Poi è arrivato Palladino, è tornato un sistema simile a quello di Tudor e Caprari ha ripreso a brillare: la sua intesa con Stefano Sensi è una delle sinergie più interessanti della parte medio-bassa della classifica. Proprio come Caprari, Palladino era un’ala sinistra di eccellente tecnica e forse con anche più qualità nel dribbling. Quando giocava nel Genoa, però, il sistema di Gasperini non aveva ancora trasformato la mezzapunta o ala del 3-4-3 in un regista offensivo. Chissà, forse, Palladino si sarà rivisto in Caprari e magari avrà pensato che gli sarebbe piaciuto sperimentare consegne del genere.
In Serie C, nella Turris di Caneo, qualcosa di simile era accaduto a Luca Giannone, delicata mezzapunta incompiuta che a trent’anni, per la prima volta da regista a tutto campo, si è affermato come uno dei giocatori più determinanti della terza serie. Chi sarà il prossimo? Simone Verdi, sulla carta, dovrebbe essere l’erede di Caprari al Verona. L’ex Bologna, però, non è mai stato un giocatore associativo, né troppo brillante nelle scelte: vedremo se il nuovo allenatore riuscirà a trasformarlo.
Il futuro della scuola di Gasperini
L’esordio di Bocchetti, nonostante la sconfitta, deve aver rassicurato i tifosi dell’Hellas. I padroni di casa hanno disputato un’ottima partita, ad un certo punto sembravano addirittura in grado di vincerla e anche dopo aver subito il gol di Tonali non hanno mollato. Si sono viste alcune trame tipiche del gasperinismo, soprattutto nelle combinazioni sulle fasce – anche se manca la sicurezza nel palleggio delle altre squadre dell’albero genealogico, motivo per cui i giocatori si sono ritrovati più del dovuto a correre all’indietro senza palla.
«Quello che mi viene meglio da allenatore, dopo questi primi mesi nella Primavera, è quel tipo di calcio lì, di aggressione, di uno contro uno, di pressing», aveva annunciato Bocchetti in conferenza stampa. «È stato il calcio che mi ha segnato sia da giocatore che da allenatore con Tudor. Si tratta solo di proseguire e apportare qualche modifica, qualche mia idea personale», non ha mancato di aggiungere. Ogni seguace di Gasperini, in effetti, ha le sue particolarità, e con rose diverse a disposizione non potrebbe essere altrimenti. In un ipotetico spettro del gasperinismo, potremmo dire, ad esempio, che Juric e Palladino si collocano su due poli opposti. Il primo ne rappresenta la versione più distruttiva, feroce, imperniata sull’efficienza della fase di non possesso e sull’impatto atletico, che nella linea d’attacco predilige dribblatori diretti come Radonjic o Brekalo rispetto a mezzepunte di raccordo. Palladino, invece, è la versione più tecnica del calcio di Gasperini. Mentre il suo maestro diceva che a centrocampo «non c’è bisogno di un illuminato che giochi tutti i palloni», lui si presenta in mezzo con Sensi e Rovella – duo più tecnico del gasperinismo dai tempi di Motta e Milanetto – a cui si aggiunge Caprari, che si muove per avvicinare tra di loro i giocatori del Monza e attaccare in maniera ordinata.
Nei dettagli, il sistema cambia da interprete a interprete ed è solo così che eventualmente può innovarsi e resistere all’ossidazione del tempo. D’altronde, Gasperini stesso non è più quello del Genoa 2008/09: all’epoca non c’era un regista offensivo, non c’erano cross da esterno a esterno, né ci si accoppiava agli avversari a tutto campo, visto che si doveva mantenere la superiorità numerica dietro. La versione più prudente di quest’anno, poi, rappresenta un’ulteriore svolta della sua carriera. Chi riuscirà ad arricchire il sistema? Mimmo Criscito ha già dichiarato di voler diventare allenatore e c’è da giurare che anche lui adotterà 3-4-3, marcature a uomo e tutto il resto della liturgia gasperiniana. Sarà lui il nuovo profeta della scuola? Oppure arriverà qualche innovatore dall’estero, intrigato da idee così uniche? In Francia, ad esempio, Franck Haisé, allenatore del Lens sorpresa delle scorse stagioni di Ligue 1, si è dichiarato estimatore del tecnico di Grugliasco: «Mia figlia vive a Manchester. Sono andato a vedere un City-Atalanta quando allenavo le giovanili del Lens e mi colpì la squadra di Gasperini». Anche lui ha adottato un 3-4-1-2/3-4-3 molto aggressivo sull’uomo, con la coppia di esterni Frankowski-Clauss che avrebbe potuto benissimo sostituire Hateboer e Gosens.
Gasperini ha creato un modo di giocare inconfondibile, artigianale. C’è di certo l’ispirazione per la difesa a tre tratta dal calcio olandese, ma quasi nessuno può dire di aver aggiunto tanti elementi così personali ad un impianto di gioco. Il fatto che si sia dimostrato replicabile, non può che accrescerne la grandezza. Dopo Monza-Juventus, per il maestro – come dice di chiamarlo ancora Palladino – sono arrivate domande sulla sua scuola.
La risposta di Gasperini, che di solito non fa molto per farsi amare ai microfoni, è stata malinconica, quasi toccante: «Devo dire che per tanti anni è stato quasi incompreso (il suo modo di giocare nda). Il Genoa arrivava dalla C, in Serie A ha sfiorato la Champions. Era una squadra da cui sono nati Motta, Palladino, Juric, così come Paro e Bocchetti. Finché siamo rimasti a Genova, nonostante risultati straordinari, quel calcio non passava. Si parlava di calcio antico. Ci sono state difficoltà all'Inter, sono stato bocciato perché giocavo con la difesa a tre, poi l'Inter ha vinto con la difesa a tre, il Chelsea ha vinto con la difesa a tre, Mourinho ora gioca a tre. In quel momento sono stato bocciato, tutte le altre sono fantasie, poesie. All'Atalanta ho avuto la consacrazione perché l'Atalanta è andata in Champions per tre anni di fila, ha fatto proseliti. La mia speranza è che qualcuno di questi vada in qualche big a portare questa idea di calcio, visto che io magari non ci arriverò più. Spero che qualcuno di loro, che lo merita, possa arrivare».