Tra luglio e settembre del 2011 Gian Piero Gasperini è l’allenatore dell’Inter. Perde la finale di Supercoppa Italiana contro il Milan e tre delle prime quattro partite giocate. Dopo una sconfitta ridicola, incredibile, contro il Novara viene esonerato e se ne andrà con un marchio a fuoco sulla sua reputazione: non è adatto ad allenare una grande squadra.
Quanto rancore può accumulare un uomo in 73 giorni?
Una partita che ha cambiato la storia del calcio italiano.
La carriera di Gasperini può essere letta anche da una prospettiva di vendetta. L’inferno definitivo a Palermo, la ricostruzione della propria immagine a Genova, e poi il suo capolavoro a Bergamo, edificato con un pastone indefinibile di amore e rancore. Un monumento a uno dei più grandi rivoluzionari del calcio italiano. Nei primi giorni della sua esperienza a Bergamo Gasperini ha rischiato nuovamente l’esonero, e poi ne è uscito fuori grazie a una vittoria a Crotone. In un recente documentario che gli è stato dedicato, Gasperini mostra i ritagli di giornale di quei giorni che esibisce orgoglioso nel suo ufficio. Non ci vuole certo Jacques Lacan per trovare rilevante la ricorrenza speculare dei due episodi: all'Atalanta il Gasp ha trovato la pazienza che non gli è stata concessa all'Inter.
Mentre Gasperini percorreva a ritroso la strada da povero stronzo a venerabile maestro, il suo pensiero ha continuato ad andare spesso verso l’Inter, e cioè la squadra che lo ha sedotto e abbandonato. Il posto in cui hanno provato a farlo fuori, in cui non ne hanno riconosciuto le capacità, in cui hanno provato a farlo passare per un impostore. Ogni volta che Gasperini è teso o riceve una domanda provocatoria, come un riflesso pavloviano, il suo pensiero corre all’Inter.
È successo anche domenica sera, al termine di una sconfitta tutto sommato accettabile al termine di una stagione storica. Una sconfitta che ha certificato il mancato terzo posto della Dea: qualche soldo in meno, e poi l’infortunio di Giorgio Scalvini, uscito col legamento crociato rotto e i cori del settore ospiti (“devi morire”).
Gli è stata posta una domanda innocente: come si colma il gap con l’Inter. Innocente perché ora che l’Atalanta ha vinto in Europa ci si chiede se non possa forse farlo anche in Italia. Solo che la parola Inter triggera Gasperini con un’intensità imprevista, gli occhi gli si accendono e sconfina rapidamente nel personaggio “chaotic evil” che ogni tanto gli riconosciamo: «Come potrebbe colmare il gap con l’Inter? Facendo un miliardo di debiti per comprare i calciatori e dare i soldi a destra e a manca».
___STEADY_PAYWALL___
Un concetto che Gasperini aveva già espresso ancora più esplicitamente qualche settimana fa: «Competiamo con gente che ha un miliardo di debiti e noi centinaio di milioni di utile. Mettiamo mezzo miliardo di differenza, e poi ci dite che dobbiamo vincere lo scudetto».
Nelle ultime ore Gasperini ha dovuto precisare cosa intendeva, ma non ha fatto molto per ridimensionare il livore nascosto nelle sue dichiarazioni. Il suo modo di ridimensionare il clamore delle sue parole è stato aggiungere che mica solo l’Inter fa i debiti, e che in pratica solo l’Atalanta ha un modello societario sostenibile.
Sorvoliamo sui giudizi morali: non c’è niente di bello o divertente nello screditare la vittoria di una squadra avversaria insinuando che ha vinto grazie alla competizione truccata. Il lato interessante di questa vicenda è ovviamente il rapporto tra Gasperini e l’Inter, costruito su un esonero di ormai quasi 15 anni fa e poi un numero incredibili di dichiarazioni velenose. Al Gasp piace parlare spesso male dell’Inter, anche senza domande sul tema o esplicite richieste, come se fosse un suo bisogno primario; come se la sua mente non potesse davvero fare a meno di pensare all’Inter. Non mettere in relazione queste dichiarazioni col suo esonero è impossibile.
Ecco un piccolo elenco delle frecciate che Gian Piero Gasperini ha lanciato, minuziosamente, contro la sua ex squadra.
«Tutti i problemi sono stati scaricati su di me»
Nei mesi in cui è rimasto senza squadra Gasperini definì gli allenatori “carne da macello”, quasi sconsolato all’idea di non poter mai più trovare una squadra che investisse su di lui. In quel momento, in un’intervista alla Gazzetta dello Sport, spiega nel dettaglio cosa non avrebbe funzionato con l’Inter, in sostanza il mercato. Moratti gli aveva detto che col Financial Fair Play il club avrebbe dovuto affrontare una grossa cessione. Non era, però, un problema di soldi o investimenti, Gasperini ne fa sempre una questione di competenza: «Bastava poco, due o tre giocatori, non i nove che ha comprato l’Inter. Alla faccia del Fair Play». Classica retorica gasperiniana in cui le grandi squadre sono un buco nero di soldi che non sa spendere. All’Inter, dice, ha trovato una situazione assurda.
«Invece di valutare la prestazione alla luce del contesto, venne ridotto tutto alla difesa a tre. Assurdo. Ma allora perché chiamare me? Lo sapevano come gioco. Io non mi sono proposto. Sono stato scelto. Alla fine hanno scaricato tutti i problemi sui miei presunti dogmi calcistici, sulla mia difesa a tre».
Nella storia di Gasperini quest’esonero è stato il trauma originario, il momento in cui la sua reputazione si è trasformata da quella di tecnico innovativo e promettente a quello di pazzo visionario, fanatico religioso, buono solo per le piccole squadre. Una fama che indubbiamente ne ha condizionato la carriera. All’Atalanta Gasperini ha dimostrato che le sue idee di calcio possono avere successo; che quella che all’epoca era considerato dogmatismo era in realtà saldezza di principi. Col tempo forse è diventato più flessibile, anche se c’è sempre il dubbio che il giudizio su Gasperini sia sempre stato falsato in partenza; che è stato una figura che ha pagato l’essere in anticipo sui tempi.
Fatto sta che su quell’esonero il Gasp ha costruito il suo senso di rivalsa verso il calcio italiano e le grandi squadre. Ogni risultato ottenuto da Gasperini in questi anni sembra anche un risarcimento per quell’esonero. Ogni volta che gli succede qualcosa di bello inevitabilmente il suo pensiero torna all’Inter.
Senza calciopoli l’Inter avrebbe vinto?
Non secondo Gian Piero Gasperini, che nel 2014 coglie l’occasione di una sfida alla sua ex squadra per pizzicarla nel punto in cui fa più male: «Senza Calciopoli che ha devastato la Juventus l’Inter avrebbe continuato a non vincere». La frase è detta in un’intervista a Repubblica in cui il discorso era più ampio e ancora più ricco di frecciate velenose, tipo: «A differenza del Milan all’Inter non è mai esistito il concetto di gioco di squadre». Qualche giorno dopo ai microfoni gli viene chiesto di spiegare meglio, e allora lui spiega ancora meglio e dice che dopo Calciopoli all’Inter è servito comunque avere uno squadrone, e poi chiarisce: «Questa non è una constatazione, è storia».
A questo punto bisogna citare una nota biografica, e cioè che Gasperini da ragazzo era un dichiarato tifoso della Juventus.
L’Inter non è una ferita aperta tranquilli
No, puntualizza il Gasp alla Gazzetta dello Sport nel 2016: «Mi è successo di batterla e finirle davanti in campionato». A Repubblica, nello stesso anno, ripete: «È vero che all'Inter la difesa a 3 era vista con ripugnanza. Sono rimasto lì troppo poco per poter fare danni. I danni li ho subìti, semmai. Poi, è stata una soddisfazione, col Genoa, arrivargli davanti».
Anzi: possiamo definire l’esonero all’Inter il più bel momento della sua carriera?
L’idea che la storia di Gasperini segua un plot di vendetta sembra una nostra proiezione: un’idea seducente a cui non possiamo fare a meno di credere. Eppure è un’idea che Gasperini sembra tenerci ad alimentare. Una storia che somiglia a quella del grande allenatore inglese Brian Clough. Dopo essere stato esonerato dalla più grande squadra inglese dell’epoca, il Leeds United, costruisce una carriera di successi al Nottingham anche contro il Leeds - come raccontato dal romanzo di David Peace Il Maledetto United. Clough dura al Leeds 44 giorni, circa un mese meno di Gasperini, ma quell’esperienza gli trasmette una paura del fallimento che gli entra nelle ossa e che condizionerà la sua vita. L’ansia di non farcela può diventare anche un carburante positivo nello sport?
A Radio Deejay, nel 2017, arrivano addirittura a chiedere a Gasperini se l’esonero all’Inter non sia stato, forse, il momento più bello della sua carriera. Lui non ha negato: «Di sicuro mi sono tolto un peso».
La decadenza del calcio a Milano è legata alla difesa a 3?
Intervistato da Paolo Condò, Gasperini spiega ulteriormente il suo esonero dall’Inter. Di nuovo dice che era arrivato in un gruppo appagato che non voleva mettersi in discussione, e la società non gli ha dato il potere per fare la rivoluzione. Nella stessa intervista tira fuori un tema a lui caro, e cioè la difesa a tre, il cardine del suo gioco: «Per il contesto mediatico intorno che l’Inter giocasse a tre era quasi un insulto, non era da squadra europea. Qualche problema della decadenza del calcio a Milano è collegato a questa mentalità secondo me, a questa presunzione che negli anni ha portato la squadra a giudicare nel modo diverso il calcio. Ancora sento questa questione della difesa a 3 che non funzionerebbe in Europa».
Le dichiarazioni ovviamente vanno contestualizzate nella banter era di Milan e Inter alla fine degli anni ’10.
Poi dice una cosa profonda ed esplicita su cosa non poteva davvero funzionare: «Lì non c'è tempo, devi partire forte con delle idee, con imposizioni anche, altrimenti diventa una gestione. Io non credo al calcio gestito ma al calcio allenato. Le cose che rimangono è quando c'è allenamento dietro, non gestione». Moratti poco tempo fa ha precisato che non ha nessun rimpianto per quell’esonero.
Non tornerei a quelle condizioni
Le frecciate di Gasperini contro l’Inter si possono dividere tra quelle che lui lancia in risposta a domanda esplicita e quelle che nascono dal nulla. A DAZN nel 2018 gli chiedono se tornerebbe all’Inter, perché a far parlare il Gasp dell’Inter un titolo strillato si cava sempre fuori: «Non in quelle condizioni. Quella squadra aveva dei problemi».
Non ho mai allenato una big
È un tema classico, quello di Gasperini che potrebbe allenare o no una grande squadra. È una domanda che le persone si fanno, come detto, proprio a causa di quell’esonero, che gli ha bruciato la reputazione. Per questo lui nel 2018 ha provato a ribaltare la narrativa tentando la tecnica della rimozione: «Non mi ricordo di essere mai stato in una grande squadra»; allora gli chiedono dell’Inter: «Ma quella mica era una grande squadra, almeno come valori tecnici».
Visto che a Gasperini piacciono le metafore tra squadre e donne, si potrebbe dire che Gasperini parli spesso da ex ferito che prova a nascondere che ci sta ancora male, che nasconde agli amici il fatto che di sera, da solo nel buio della stanza, riascolta i vocali di whatsapp della ex (Gasperini riguarda i video di Eto’o e Milito?).