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L'allenatore dell'anno: Gian Piero Gasperini
07 giu 2019
Il tecnico dell'Atalanta è il miglior allenatore della stagione 2018/19.
(articolo)
9 min
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Qui trovate gli altri Ultimo Uomo Awards assegnati in questa stagione e quelli assegnati nelle scorse stagioni.

Per celebrare l’"Atalanta dei record", come l’ha definita lo stesso Gasperini dopo il recente pareggio allo Juventus Stadium, vorrei iniziare da una statistica che non riguarda l’Atalanta e non è neanche propriamente un record: è la quinta stagione consecutiva che all'Ultimo Uomo assegniamo i premi di fine anno, ed è soltanto la seconda volta che come miglior allenatore viene premiato un tecnico che si è qualificato per la Champions League.

È un dato che in termini percentuali non dice molto e che sembra raccontare soprattutto dei gusti esotici, non convenzionali, di questa redazione e dei suoi lettori. In fondo, però, contiene una chiave di lettura per tracciare la storia tattica dell’ultimo lustro di campionato: ci sono state squadre molto forti e molto continue, ma le principali innovazioni sono arrivate spesso dal basso, da una classe media per diversi motivi incapace di compiere il salto di qualità, ma altrettanto vivace nel cercare di ricamarsi una propria identità tattica.

Gasperini era stato eletto miglior allenatore del campionato anche due stagioni fa, quando aveva portato l’Atalanta a quota 72 punti con una rosa costruita per la salvezza, eppure non era bastato per qualificarsi al torneo più competitivo del mondo. Il risultato finale, pur restando all’interno dei contorni dell’impresa, confinava però i bergamaschi nel variopinto multiverso dell’Europa League, che tanto richiede e poco restituisce alle piccole realtà di provincia. Sarebbe potuta finire lì.

Lo stesso si potrebbe dire oggi degli altri tre allenatori selezionati per il ballottaggio finale. Mihajlovic ha fatto registrare una media punti senza senso per un Bologna che sembrava spacciato fino a un giorno prima del suo arrivo, e non tanto per i punti in classifica ma per le idee, la fiducia, la motivazione. Oggi però è difficile immaginare un progetto di crescita sull’onda di questa stagione, anche perché significherebbe portare questo Bologna (secondo solo all’Atalanta di Gasperini nella classifica delle ultime 13 giornate) a ridosso delle posizioni europee. Le notizie degli ultimi giorni lasciano intendere che il Bologna non è affatto sicuro di trattenere il tecnico in panchina.

Anche Mazzarri e Semplici hanno vissuto una stagione esaltante. Non si sono limitati a migliorare i risultati già confortanti dell’anno passato, ma hanno fatto registrare nuovi record di punti nella storia delle rispettive società (per la SPAL in assoluto, per il Torino limitandosi all’era dei tre punti). Le candidature hanno quindi premiato quegli allenatori in grado di coniugare risultati al di sopra delle aspettative con una proposta di gioco ben riconoscibile, rodati meccanismi di recupero palla e prestazioni coraggiose al cospetto delle grandi squadre. Semplici, in particolare, può appuntarsi al petto 6 punti contro la Roma, 3 contro la Juventus e 3 contro la Lazio: la base ideale su cui costruire la salvezza.

Tra i numerosi meriti di Semplici e Mazzarri, anche quello di aver fermato entrambi in casa per 2-0 l’Atalanta di Gasperini, qui travolta dai gol dell’ex Petagna.

Gasperini, Mihajlovic, Semplici e Mazzarri hanno bucato con la forza delle idee le proiezioni dei bookmaker di inizio stagione, dove l’Atalanta rappresentava la settima forza del campionato, il Torino la nona, il Bologna la quattordicesima e la SPAL la diciassettesima. E hanno fatto crescere i giocatori in rosa, e indirettamente il valore del campionato, avvicinando i talenti più giovani o ancora acerbi allo stato di piena maturazione (Orsolini, Lyanco, Pulgar, Ola Aina, Meité, Berenguer, Bonifazi, Lazzari, Petagna: le notizie più liete in una stagione in cui non tutte le stelle hanno brillato).

Se però del lavoro degli allenatori decidiamo di premiare la capacità di raggiungere risultati attraverso il gioco, di nobilitare il capitale tecnico a disposizione, allora è inevitabile scegliere su tutti Gasperini, che ha portato l’Atalanta oltre il muro del bel gioco e delle plusvalenze a fine anno, in una dimensione che i curriculum dei giocatori e la storia recente della società non conoscevano, come neanche lo stesso Gasperini.

Abituato ai ritmi di apprendimento imposti dalle campagne acquisti di Crotone e Genoa, il tecnico piemontese ha sempre dimostrato di poter valorizzare chiunque venisse lanciato nel suo 3-4-3, e di poter rilanciare le ambizioni delle sue squadre ogni volta che sembrava aver fissato l’asticella troppo in alto. Così dopo una grande e inattesa stagione in campionato è arrivata una grande e inattesa campagna europea, e dopo una semifinale di Coppa Italia a spese del Napoli di Sarri è arrivata una finale di Coppa Italia a spese della Juve di Allegri. Questa stagione rappresenta quindi la sublimazione del suo percorso, il giusto riconoscimento per il contributo impareggiabile alla complessità tattica del nostro campionato.

L’Atalanta dell’ultima stagione è stata una squadra fisica come tutte le squadre di Gasperini (in un aneddoto raccontato un anno fa, Buffa lo riconduceva ai metodi di allenamento estenuanti; lo stesso aveva fatto il Bergamo Post in un ritratto del preparatore Borelli), ma anche una squadra sorprendentemente matura. Capace di rimontare 1-2 dopo essere passata in svantaggio al San Paolo, di recuperare lo svantaggio anche nell’ultima tesissima gara contro il Sassuolo, nello scontro diretto all’Olimpico contro la Lazio, in casa del Parma, del Bologna, del Milan, nella semifinale di Coppa Italia contro la Fiorentina, di recuperare tre gol alla Roma e di non perdere più per 3 mesi dopo il 2-0 in casa del Torino.

Il ciclo di Gasperini è segnato da tre vittorie decisive contro il Napoli: quella in casa nell’ottobre 2016 che ha portato l’Atalanta fuori dalla zona retrocessione, quella del gennaio 2018 che l’ha portata in semifinale di Coppa Italia e quella del 22 aprile che l’ha portata al quarto posto in solitaria.

Questo è l’aspetto più affascinante del percorso di crescita triennale dell’Atalanta: la costruzione di una mentalità vincente che è partita dai princìpi di gioco, dalle scalate in avanti, dalla ricerca del pallone nella metà campo avversaria, dallo scaglionamento geometrico nell’ultimo terzo di campo, ed è arrivata a plasmare la consapevolezza dei giocatori, sicuri di poter riportare il risultato dalla propria parte in ogni momento, bravi anche a reagire alla sconfitta nella finale di Coppa per poi mettere in cascina i 4 punti necessari a timbrare il terzo posto.

Un percorso che è passato anche da un utilizzo sapiente dei giocatori a disposizione, nei reparti in cui ha avuto possibilità di fare turnover. Non tanto dal centrocampo in su, dove la scelta è ricaduta sempre sugli stessi uomini: Freuler, de Roon, Hateboer, uno tra Gosens e Castagne, e poi Gómez, Zapata e Ilicic, con Pasalic come primo cambio offensivo («Barrow non ci sta aiutando, a gennaio non sono stato bravo a convincere Percassi e Sartori a intervenire sul mercato», aveva commentato Gasperini ad aprile con un pizzico di amarezza).

Decisamente più scientifica la gestione delle rotazioni nel reparto arretrato, che la tradizione individua come il più delicato da modificare in corso d’opera. Dopo aver abituato i suoi cinque difensori a parlare la stessa lingua, Gasperini è arrivato a schierare praticamente tutte le combinazioni possibili al centro della difesa a tre (tranne, curiosamente, il terzetto Tolói - Mancini - Masiello, che in campionato non è mai sceso in campo). Il più utilizzato è stato invece il terzetto Tolói - Palomino - Mancini, per 8 volte, e a seguire gli esperimenti Tolói - Palomino - Masiello e Mancini - Palomino - Masiello, entrambi proposti 5 volte, per un totale di 9 combinazioni diverse in 38 partite.

Versatilità tattica, fluidità posizionale, dedizione alla causa («il mister ha ricevuto un attestato di stima da parte di questa squadra che lo ha sempre seguito», ha detto Masiello della qualificazione in Champions dell’Atalanta): è così che è nata la stagione dei record. Mai l’Atalanta era stata così in alto in campionato, mai aveva fatto così tanti punti nel girone di ritorno, mai aveva segnato tutti quei gol, mai aveva trovato così tante vittorie in trasferta.

Anche nell’economia del campionato, è evidente come l’Atalanta sia stata una squadra speciale, che ha ampiamente meritato il terzo posto finale: è stata la prima squadra del campionato per xG creati, la quarta per xG concessi, seconda per tiri in porta a partita, seconda per percentuali di possesso, seconda per passaggi concessi per azione difensiva, seconda per intercetti, e allo stesso tempo penultima per numero di falli commessi. Una squadra di un’incredibile lucidità.

Sono tutti tratti distintivi delle grandi squadre, a dimostrazione di come l’Atalanta sia riuscita a capitalizzare al massimo i progressi raccolti nelle ultime due stagioni, fino a raggiungere un grado di comprensione collettiva del gioco tale per cui il gol di Hateboer su assist di Gosens contro l’Inter ricorda molto il gol di Hateboer su assist di Castagne contro il Cagliari, che a sua volta ricorda il gol di Gosens su assist di Castagne contro la Fiorentina, e così anche i due gol di Castagne su assist di Gómez contro la Roma e la Lazio. Praticamente una catena di montaggio a ciclo continuo.

Gómez spostato al centro per collegare i reparti e liberare l’estro di Ilicic e Zapata: con questo 4-1 è cambiata la stagione dell’Atalanta.

È merito di Gasperini se siamo riusciti a osservare per intero la profondità del talento di Ilicic, se siamo arrivati a percepirlo come uno dei giocatori più decisivi del campionato, quando soltanto due anni fa contendeva a Candreva il titolo di giocatore più fumoso. Ed è per gli stessi motivi che abbiamo visto il Papu Gómez ancora con il bisogno frenetico di parlare di calcio dopo la sfibrante vittoria contro il Sassuolo, ancora motivato a spiegare come la stagione dell’Atalanta fosse cambiata con il suo accentramento sulla trequarti, come nei primi mesi avessero pagato l’assenza di Cristante in quella zona di campo, e come un assetto più equilibrato avesse restituito ulteriore brio alla manovra offensiva.

Nell’universo parallelo in cui le strade di Gómez e Gasperini non si incontrano mai, forse il Papu sarebbe rimasto così appassionato di calcio, ma è difficile immaginarlo altrettanto appassionato di meme, balletti, scherzi alla moglie e filtri di Snapchat. Questo per dire che il gioco offensivo e aggressivo di Gasperini ha sicuramente trasmesso ai giocatori maggiore notorietà, ma allo stesso tempo una confidenza che si è riflessa anche fuori dal campo, che li ha fatti sentire campioni, o almeno molto sicuri di sé.

Gasperini non è stato il miglior allenatore del campionato solo per la bontà delle sue idee, lo è stato anche per la determinazione con cui ha convinto della propria forza un gruppo di esiliati dai salotti del grande calcio. L’Atalanta era settima in campionato quando Gasperini ha detto che «con Gomez dietro Ilicic e Zapata abbiamo alzato le nostre capacità offensive: prendiamo qualche gol in più, però tra il dare e l’avere siamo in vantaggio», e in quel momento ha tracciato la strada da seguire, ragionando come un grande allenatore.

Da lì alla fine del campionato, l’Atalanta ha raccolto 37 punti nelle ultime 17 partite, regalandoci una grande storia di calcio e un grande privilegio, quello di poter premiare un progetto tattico brillante che è coinciso con un risultato storico. Per un tecnico rancoroso fino all’ossessione, deve essere stata la più dolce delle rivincite: dopo essere stato ritenuto per anni inadatto ad allenare una grande squadra, Gasperini ci ha mostrato come si fa a crearne una dal nulla.

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