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Gattuso e Lozano reality show
29 gen 2021
Da bordocampo il tecnico calabrese non dà pace al "Chucky".
(articolo)
8 min
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Foto IPA / Fotogramma
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Ancora prima che il calcio italiano riprendesse il suo corso dopo il lockdown, Gattuso se l’era presa con Hirving Lozano. Mancavano poche ore alla finale di Coppa Italia contro la Juventus e l’allenatore aveva allontanato il suo giocatore dall’allenamento accusandolo di scarso impegno. «Chi è stanco, chi non se la sente, chi non è lucido di testa, per me può stare nello spogliatoio [...] voglio gente che va a mille all’ora, non permetto a nessuno di rovinare un allenamento», così aveva commentato Gattuso quell’episodio, senza fare nomi ma con un messaggio chiarissimo verso il suo attaccante.

Fino a quel momento Lozano aveva giocato davvero poco con il nuovo allenatore. Gattuso era arrivato sulla panchina del Napoli l’11 dicembre 2019 e, nei circa due mesi e mezzo di calcio prima dello stop per il Covid-19, il messicano era partito da titolare solo in Coppa Italia contro il Perugia, avendo solo briciole in campionato, coperto nel ruolo di esterno da Callejon a destra e da Insigne a sinistra, etichettato inoltre come il pupillo di Ancelotti, che non aveva lasciato un buon ricordo.

Le cose non erano cambiate poi molto durante l’estate, nonostante il forcing a cui erano state costrette le squadre per recuperare le partite saltate. Anche quando Lozano aveva segnato un gol (e sfiorato un altro) nei pochi minuti giocati contro il Verona, Gattuso lo aveva messo sull’attenti: «A me non piace portare rancore, ma credo che quando si fa parte di una squadra di calcio si debba andare tutti nella stessa direzione». Quando poi aveva segnato di nuovo, contro il Genoa, Gattuso aveva usato insieme il bastone e la carota: «Si merita queste soddisfazioni, io non gli ho regalato e non gli regalerò nulla».

Le attenzioni che l’allenatore rivolge a Lozano sono evidenti anche per noi che stiamo sul divano. Grazie agli stadi vuoti è possibile sentire Gattuso, con quel suo tono di voce roca che sembra sempre sul punto di esplodere, guidare Lozano quasi come avesse un joystick vocale. Lo chiama “Chucky” - come la bambola assassina del film a cui deve il suo soprannome - il che rende le urla che gli rivolge ancora più stranianti in qualche modo. Proprio nella partita contro il Verona, Gattuso ha inseguito il suo giocatore anche se appostato sull’altra fascia, distante oltre 70 metri da lui riempiendo il Bentegodi con la sua voce.

Marco D'Ottavi · Gattuso_Lozano_Verona

Due esempi solo da quella partita: «Chucky aiuta» gli grida mentre in Napoli e in fase di non possesso oppure solo «Chucky dai» quando vede il messicano fermo in mezzo al campo.

Il rapporto tra i due sembra il più classico insegnante e allievo, con Gattuso nei panni del burbero maestro e Lozano in quelli dello scolaro che deve crescere, anche per via di quella faccia che lo fa sembrare un eterno bambino, nonostante abbia 25 anni, che per un calciatore non sono pochi.

In estate poi, almeno secondo la ricostruzione della Gazzetta dello Sport, Gattuso aveva convinto la dirigenza a non cedere l’attaccante usando parole da maestro: «Lasciatemelo e lo riporterò ai suoi livelli». Già dal ritiro le cose sembravano essere cambiate: la partenza di Callejon aveva liberato uno spazio sulla destra dove Gattuso aveva deciso di provare stabilmente Lozano, nel nuovo modulo con cui il Napoli avrebbe affrontato la stagione, il 4-2-3-1. Per l’allenatore è stato l'atteggiamento mentale del suo giocatore a far cambiare le carte in tavola: «Quando sono arrivato, non era sempre presente dal punto di vista mentale. Alcuni giorni pensava di essere ancora ad Eindhoven, altri in Messico e questo non andava bene. Adesso lo vedo più presente».

Schierato da titolare alla prima giornata contro il Parma, i tifosi hanno imparato a farsi accompagnare da un sottofondo continuo che spesso recita solo «Dai Chucky», «Vai Chucky» oppure solo «Chucky, Chucky». Richiami che alle volte servono solo a spronare Lozano, ma che in altre circostanze nascondono messaggi tattici che il messicano deve interpretare, come aggiustare l’angolo di pressing mentre il pallone è in possesso del portiere avversario o come muoversi al meglio mentre Insigne porta palla dall’altro lato. Decriptare questi messaggi non è facile, legati insieme formano una strana litania ancestrale, come se Gattuso stesse usando una particolare vibrazione delle proprie corde vocali per entrare direttamente nel subconscio di Lozano.

Marco D'Ottavi · Chucky

Gattuso lo chiama non all’inglese (ciachi), ma proprio “ciuchi”, come viene chiamato in Messico.

Urla che possono sembrare appunto più mistiche che utili, come spesso ci sembrano quelle degli allenatori in questa fase senza pubblico, con un frasario piuttosto standard e poco tecnico («copri», «torna», «falla girare» non urlano molto di più nei 90’), ma che - non da sole immagino - hanno stimolato Lozano. Nelle prime tre partite di campionato il messicano ha segnato quattro gol, mostrandosi pimpante e reattivo come lo vuole il suo allenatore. Sembrava un momento di rinascita per entrambi: Gattuso aveva risollevato il Napoli trovando un perfetto equilibrio tra spettacolo e organizzazione, mentre Lozano aveva mostrato una crescita evidente rispetto alla prima deludente stagione in Italia. L’allenatore comunque ha continuato a tenere il suo giocatore sulle spine: dopo la doppietta con l'Atalanta aveva detto che lo voleva «più cazzuto».

A impressionare verbalmente sono soprattutto i 45 minuti in cui Lozano gioca sul lato di Gattuso. L’allenatore lo chiama continuamente, lo spinge, lo motiva, lo riprende, come se avesse paura che senza la sua voce Lozano possa perdersi nel suo mondo fatato. Solo nel primo tempo contro l’Atalanta si è sentito Gattuso rivolgere al suo giocatore le seguenti frasi: «Vieni Chucky!», «Buona Chucky», «Dai dai, puntalo, puntalo», «Seconda Chucky», «Vai Chucky, dai dai dai», più altre indicazioni indecifrabili. In quei 45 minuti Lozano aveva segnato due gol (curiosamente le uniche due occasioni in cui l’allenatore non gli aveva urlato nulla).

Marco D'Ottavi · Chucky Atalanta Def

Ma non c’è solo quello che si sente. Anche nei momenti morti della partita, Lozano è uno dei più catechizzati da Gattuso, che lo chiama, gli parla, gli mette una mano sulla spalla, gli spiega come giocare, dove posizionarsi. Un dialogo che non solo è univoco - in campo non si sente mai la voce di Lozano - ma anche difficile. Interpellato a fine primo tempo della partita con il Crotone su quali erano le indicazioni che stava ricevendo dall’allenatore, Lozano aveva candidamente ammesso di non aver capito.

Durante la pausa per le Nazionali, il messicano aveva confermato che i rapporti con l’allenatore non erano facili, ma anche il valore del suo lavoro nei miglioramenti visti in questa stagione: «Gattuso è molto diretto e quando si arrabbia diventa un orco, ma da lui si impara molto, ho imparato a gestire il rapporto con lui». Poi lo aveva definito una brava persona.

Effettivamente Gattuso può sembrare un orco quando si rivolge a Lozano. Le sue urla non sono infatti solo incitamenti generici o indicazioni vaghe. In alcune occasioni più che un allenatore può sembrare uno di quei padri che non è mai contento di quello che fa il figlio. Come riportato da Giulia Mizzoni, durante la partita con la Fiorentina, appena prima del gol del vantaggio di Insigne, Gattuso ha urlato a Lozano - in quel momento sulla fascia accanto alle panchine - «Chucky, guarda che la partita è iniziata». Nei primi 4’ della gara il messicano non aveva toccato un pallone, subito dopo però, al primo toccato, aveva avviato l’azione del gol. Ancora più nitido, che cioè è stato raccolto anche dai microfoni direzionali, è l’incitamento-minaccia (non so, valutate voi a cosa si avvicina di più) che Gattuso ha rivolto a Lozano verso la fine del primo tempo della partita con la Roma. «Devi incidere [...] ti ammazzo» ha intimato al suo giocatore, mostrandogli addirittura il pugno mentre quello passava di lì in un momento di stanca della partita.

Marco D'Ottavi · Devi Incidere Gattuso Lozano

Dopo la sbornia iniziale, il Napoli ha iniziato a ondeggiare. A grandi prestazioni come la vittoria per 4-0 con la Roma o il 6-0 con la Fiorentina, si sono alternati risultati più negativi, come la doppia sconfitta con Lazio e Inter o la finale di Supercoppa persa contro la Juventus. Gattuso improvvisamente si trova in discussione, almeno a leggere i giornali, ma la sua fiducia in Lozano è rimasta intatta. È il terzo giocatore della rosa più impiegato dopo Manolas e Di Lorenzo, il primo per gol e per npxG creati. Il quarto per xA. Tra positività ai tamponi e infortuni l’attacco del Napoli è stato scomposto e ricomposto più volte. Lozano è stato il più continuo. In una squadra che fa difficoltà a costruire un attacco posizionale efficace, le sue accelerazioni sono il modo più semplice e immediato per creare pericoli. Non a caso una delle frasi che più spesso si possono sentir pronunciare a Gattuso è «Chucky vai puntalo», come se l'abilità del messicano nel dribbling possa essere innescata dalla panchina.

Dopo la sconfitta con il Verona, nonostante un gol dopo 9 secondi proprio di Lozano, Gattuso ha parlato di “veleno”: «La parola veleno per voi è facile, ma non vai al supermercato e lo compri. Il veleno è una parola complessa e non basta nominarla per metterla dentro ai giocatori». L’allenatore ha sempre avuto questo lessico molto schietto, ma anche difficile da inquadrare fuori da un discorso retorico. Vedendo giocare il Napoli è difficile credere che il problema sia una generica “mancanza di veleno”, ma sono questioni che dovrà cercare di risolvere Gattuso nelle prossime settimane.

Se però vogliamo prendere per buona l’esistenza di un veleno per calciatori, Lozano in questa stagione sembra averlo assunto (come fa a essere una cosa positiva questa, è un altro conto). Se sia merito delle urla di Gattuso da bordo campo o se sia nonostante queste è difficile dirlo. Comunque vada, in attesa dei tifosi, il «Chucky Chucky» di Gattuso, che ricorda vagamente quello dei Verdena in Muori delay, è un sottofondo stimolante.

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