Genoa e Fiorentina giocheranno nell’ultima giornata di campionato uno scontro diretto fondamentale per non retrocedere, uno scenario inimmaginabile fino a poco tempo fa e diventato reale per la profonda crisi che negli ultimi mesi le ha fatte scivolare in zona salvezza. I rossoblù non vincono da 9 giornate, ai viola, invece, il successo manca addirittura da 13 partite. Dalla ripresa del campionato dopo l’ultima pausa per le nazionali, a fine marzo, la Fiorentina è la squadra che ha raccolto meno punti (3) e ha segnato meno gol (4, come il Chievo); il Genoa è appena sopra, avendo messo insieme 4 punti e 5 gol.
Per dare un contesto e provare a capire come siano arrivate a giocarsi la salvezza all’ultima giornata, è utile tornare indietro e ripercorrere le stagioni delle due squadre.
I cambi in panchina
Terzultimo con 37 punti, il Genoa retrocederebbe in 15 delle 27 combinazioni possibili all’ultima giornata e si trova quindi nella situazione più scomoda. Durante la stagione si sono visti tre allenatori e come al solito la rosa è stata stravolta nelle sessioni di calciomercato, stavolta però la squadra sembra aver risentito più che negli anni scorsi dell’instabilità che la circonda. In particolare ci sono due scelte che più di tutte vengono indicate come momenti di svolta in negativo della stagione: l’esonero di Davide Ballardini e la cessione di Krzysztof Piatek al Milan.
Dopo il dodicesimo posto dello scorso campionato, quando aveva sostituito Ivan Juric a novembre con il Genoa in zona retrocessione, Ballardini aveva iniziato la stagione raccogliendo 12 punti in 7 giornate ed era ben lontano dalla zona retrocessione. Il suo Genoa, rivoluzionato dalla campagna acquisti estiva, non aveva mezze misure: aveva vinto 4 volte e perso 3 partite, aveva sempre segnato ma aveva anche subito molti gol (14).
Dopo la sconfitta per 3-1 in casa contro il Parma, però, il presidente Enrico Preziosi ha deciso di esonerare Ballardini, attaccandolo con parole molto dure e lasciando intendere di avere ambizioni più importanti della salvezza: «Ballardini è scarso! Soltanto alla Sambenedettese è riuscito ad allenare per tutta la stagione, poi è sempre stato esonerato o non è riuscito a mantenere il percorso. (...) L’anno scorso aveva maturato un credito, ma resta un gestore di situazioni complicate. Se inizia la stagione con una squadra poi non riesci a compiere il salto di qualità».
Al posto di Ballardini è quindi tornato Juric, un tecnico di principi che, pur essendosi adattato alle caratteristiche della rosa nelle diverse parentesi al Genoa, ha bisogno di giocatori adatti al suo calcio e di tempo per far comprendere le sue idee, e per questo fa più fatica a incidere subentrando a stagione in corso. Juric è rimasto in carica 8 partite, fino all’eliminazione in Coppa Italia contro l’Entella, non ha vinto nemmeno una volta ma ha fatto esordire Cristian Romero, una delle poche note liete di questa stagione.
Esonerato anche Juric, con il Genoa ormai scivolato indietro in classifica ma comunque a 4 punti dal terzultimo posto del Bologna, Preziosi lo ha quindi sostituito con Cesare Prandelli. Da lì in poi il rendimento dei rossoblù sfugge a ogni logica. Il Genoa ha interrotto l’imbattibilità in campionato della Juve superandola 2-0, ha battuto l’Atalanta e la Lazio e ha pareggiato contro il Napoli e la Roma, ma per il resto ha vinto solo il fondamentale scontro diretto con l’Empoli, un risultato che tiene i rossoblù in vantaggio in caso di arrivo a pari punti con la squadra di Andreazzoli. Finora il bilancio di Prandelli è di 4 vittorie e 10 pareggi in 23 partite, in cui il Genoa ha continuato ad avere grandi problemi a creare occasioni e a fare gol.
Quanto è mancato Piatek
È inevitabile ricondurre le difficoltà offensive rossoblù alla cessione di Piatek al Milan. Ovviamente la perdita di Piatek non spiega tutti i problemi, ma non era difficile prevedere che, in una squadra che già faticava a creare occasioni, non sarebbe stata una buona idea rinunciare a un attaccante capace di farsi bastare poco per segnare. Piatek ha segnato 13 gol in 19 partite di campionato con la maglia rossoblù, dalla sua cessione tutto il Genoa ha messo insieme appena 14 gol.
Per sostituire Piatek era arrivato Antonio Sanabria dal Betis Siviglia. L’attaccante paraguaiano si era presentato con 3 gol nelle prime 4 partite, poi però ha smesso di segnare ed è scivolato indietro nelle gerarchie, anche a causa di un infortunio al ginocchio.
Sanabria non ha riempito il vuoto lasciato da Piatek ma di certo il contesto attorno a lui non lo ha aiutato. La manovra del Genoa arriva infatti agli attaccanti senza prevedere fasi intermedie che diano un ordine alla risalita del campo, di solito la squadra si allunga tenendo un blocco arretrato, formato dai difensori e dai centrocampisti, a occuparsi della prima costruzione, e uno più avanzato che deve rendere giocabili i palloni che escono dalla metà campo rossoblù.
Il collegamento principale tra i due blocchi è un lancio lungo e l’attaccante più affidabile verso cui indirizzarli resta Kouamé. A differenza del compagno, Sanabria non è uno specialista dei duelli aerei e non è nemmeno molto a suo agio come facilitatore di gioco. Tende infatti a partecipare poco all’azione e a staccarsi dal difensore solo per ricevere spalle alla porta e aprire il gioco su una delle due fasce. La manovra del Genoa è essenziale e non gli chiede molto altro, l’accumulo di giocatori in zona centrale serve a impegnare la linea difensiva avversaria e non a preparare combinazioni ravvicinate palla a terra, perché la chiusura dell’azione è spesso affidata a un cross.
Prandelli ha utilizzato diversi sistemi ma il principio è che la squadra provi a crossare soprattutto da destra, mentre il centro viene occupato da almeno tre giocatori, con l’accentramento dell’esterno sinistro (in diverse occasioni in quel ruolo è stato schierato Kouamé, che da sinistra si stringeva di fianco al centravanti) o la salita di un centrocampista. È a destra infatti che si concentrano gli esterni più intraprendenti e abituati ad avanzare (Lazovic e Pedro Pereira), mentre a sinistra Criscito è più portato a gestire il possesso e a farsi carico dell’uscita della palla dalle zone arretrate. Criscito avanza solo in un secondo momento, spesso stringendo la sua posizione, e interviene quando la palla viene girata da destra verso sinistra o per attaccare la respinta e recuperare la palla.
Qui sopra c’è un tipico esempio di come il Genoa sviluppa la manovra nella metà campo offensiva, preso dalla partita contro la Roma. I due esterni d’attacco, Bessa e Kouamé, si sono accentrati e sono in area con Lapadula sul cross di Biraschi. Lerager resta vicino al compagno che sta crossando, gli altri due centrocampisti (Radovanovic e Veloso) e Criscito sono fuori area e possono raccogliere un’eventuale respinta. Il cross comunque trova Lapadula, che si era smarcato sul secondo palo, ma il suo colpo di testa finisce alto.
In questo contesto Sanabria ha riempito l’area di rigore con buoni movimenti, come ha mostrato nei tre gol segnati, ma non ha garantito la determinazione e l’efficienza nel farsi bastare le occasioni avute che invece aveva assicurato Piatek nella prima parte del campionato. In un certo senso sarebbe stato strano il contrario: in carriera Sanabria non ha giocato molto ed è andato in doppia cifra soltanto nella stagione con lo Sporting Gijón.
Al Genoa è poi mancato il contributo di Lazovic, uno dei pochi in grado di incidere con un’iniziativa personale (2,6 dribbling tentati e 1,6 occasioni create per 90 minuti, tra i dati più alti della rosa), e anche la cessione di Romulo alla Lazio e il grave infortunio a Hiljemark hanno tolto alternative che aggiungessero forza fisica e qualità alla manovra. Come capita spesso alle squadre che non hanno molti strumenti per costruire occasioni manovrando, ai rossoblù sono quindi rimasti soprattutto i calci piazzati per creare pericoli: dopo la Juve, il Genoa è la squadra che ha tirato di più sugli sviluppi di una palla inattiva, insieme ad Atalanta e Fiorentina (4,2 volte a partita, in media).
La rosa di Prandelli ha forse un unico centrocampista in grado di alzare il livello del palleggio e di fare da collegamento con gli attaccanti, Bessa, che però è stato prevalentemente utilizzato per riempire al centro la trequarti senza intervenire troppo sul gioco o per avvicinarsi agli attaccanti partendo da esterno. Prandelli ha provato ad aggirare la povertà di centrocampisti tecnici e creativi puntando sull’aggressività, schierando formazioni che prevedevano anche quattro centrocampisti nelle poche occasioni in cui è stato disponibile Sturaro (contro l’Udinese, l’Inter e il Torino).
Anche questa strada, comunque, non ha prodotto risultati. Il Genoa ha centrocampisti aggressivi e abili a interrompere la manovra avversaria, ma difende con prudenza e non ha molti specialisti in grado di andare velocemente in porta dopo aver recuperato la palla. Insomma da un lato la rosa non ha abbastanza qualità per manovrare in modo più elaborato nella metà campo avversaria, ma allo stesso tempo la squadra non è abbastanza intensa e aggressiva per nascondere col pressing e con l’abilità ad attaccare velocemente la porta le difficoltà a creare pericoli manovrando.
Questa ambiguità, che non riguarda solo i tecnici che si sono alternati durante la stagione ma anche il modo in cui è stata costruita la rosa, è alla base dei problemi che hanno trascinato il Genoa in zona retrocessione a una giornata dalla fine.
La Fiorentina da Pioli a Montella
La stagione della Fiorentina è forse ancora più indecifrabile e non è semplice capire qual è stato il momento in cui tutto ha iniziato ad andare male. Fino a metà febbraio i viola potevano ancora puntare a uno dei posti utili a qualificarsi in Europa League, poi le cose sono precipitate, ben prima comunque del cambio in panchina tra Stefano Pioli e Vincenzo Montella. Al momento delle dimissioni di Pioli, dopo la sconfitta in casa contro il Frosinone, la Fiorentina arrivava infatti da una striscia di 4 pareggi e 3 sconfitte.
È vero che con Montella la crisi si è acuita: dalla firma del tecnico campano i viola hanno collezionato un pareggio e cinque sconfitte consecutive in campionato e sono stati eliminati dall’Atalanta nella semifinale di ritorno di Coppa Italia. I numeri offensivi sono ancora più preoccupanti: la Fiorentina ha segnato appena 2 gol e deve ancora sbloccarsi in casa. Al Franchi l’ultimo gol l’ha segnato infatti Simeone al Torino, quando in panchina c’era ancora Pioli.
Periodi di risultati scadenti, in cui la Fiorentina faticava a segnare, c’erano già stati con Pioli. Ad esempio dall’ottava alla quattordicesima giornata i viola avevano messo insieme 4 punti e 4 gol in 7 partite. La squadra aveva però un’identità chiara e riusciva in parte a compensare le difficoltà offensive di alcuni momenti con partite in cui invece era in grado di segnare tanti gol (l’esempio migliore è il 7-1 alla Roma in Coppa Italia).
Pioli aveva insomma lasciato una Fiorentina discontinua, capace di essere brillante in certi momenti e di diventare prevedibile e inoffensiva in altri. Alla base c’erano idee di gioco precise: l’aggressività senza palla, con una pressione avanzata orientata sull’uomo e una linea difensiva a quattro più incline a coprire gli spazi, la tensione verticale con la palla, anche forzando le giocate per aprire gli schieramenti avversari recuperando il pallone e iniziando a manovrare già in zone avanzate, la fluidità degli schieramenti.
Forse quest’ultimo è l’elemento di maggiore continuità tra Pioli e Montella. Anche con il tecnico campano la Fiorentina continua a muoversi tra diversi sistemi e a schierarsi in modo fluido a seconda delle fasi, spesso costruendo l’azione con una linea difensiva a tre, alzando Biraghi e bloccando il terzino destro, e difendendo invece con la difesa a quattro, un meccanismo tipico dei viola con Pioli.
Per il resto Montella ha attenuato la tensione verticale ed è evidente soprattutto in fase difensiva, con un atteggiamento più passivo e orientato al controllo degli spazi. In possesso, poi, la risalita del campo avviene in modo più ragionato e con più passaggi, anche dopo il recupero della palla, quando in teoria lo schieramento avversario è aperto e si hanno più spazi per avanzare.
A prescindere dallo schieramento iniziale, quando attacca la Fiorentina cerca di occupare tutti i corridoi verticali nella metà campo avversaria, con due giocatori in ampiezza e tre al centro a muoversi tra le linee, secondo uno dei principi abituali delle squadre di Montella. L’obiettivo è di creare spazi per manovrare occupando in contemporanea ampiezza e profondità, con due giocatori larghi a dilatare le distanze in orizzontale della linea difensiva e tre giocatori al centro ad alternarsi tra movimenti in appoggio e tagli in profondità.
Di solito a muoversi al centro per creare linee di passaggio interne allo schieramento avversario sono Chiesa e Muriel, che hanno una certa libertà e grandi margini di iniziativa, essendo i giocatori più abili a creare pericoli palla al piede. Ad accompagnarli c’è invece un giocatore più portato agli inserimenti senza palla, che occupi gli spazi creati dalle loro iniziative. Di solito è Benassi, che anche con Pioli aveva compiti simili e non a caso è, con 9 gol, il secondo marcatore stagionale dietro Chiesa, che ha segnato in tutto 12 reti.
Qui sotto la Fiorentina utilizza gli strumenti tipici del calcio di Montella. Hancko e Mirallas sono alti e aperti, e spingono i terzini della Juve (Alex Sandro e Cancelo) ad allontanarsi dai difensori centrali (Bonucci e Rugani). Nello spazio tra Cancelo e Bonucci si è alzato Benassi, che costringe Emre Can ad abbassarsi ma riesce comunque a ricevere da Ceccherini e ad appoggiare a Chiesa, che si è smarcato staccandosi da Bonucci. Dopo aver ricevuto da Benassi, Chiesa si allarga leggermente a sinistra e poi tira, colpendo la traversa.
La sensazione, comunque, è che gli interventi di Montella abbiano reso la Fiorentina più piatta e controllata, anche perché la risalita del campo non è ancora pulita come vorrebbe il tecnico campano e spesso i viola faticano a collegare i vari reparti e a portare la palla in avanti. Solo contro l’Atalanta, che per il suo modo di giocare tende a lasciare ampi spazi, e in parte contro la Juve, la Fiorentina è stata brillante ad attaccare in verticale e ad andare velocemente in porta. Nonostante le due sconfitte, quelle contro l’Atalanta e la Juve restano finora le migliori partite della gestione di Montella, e magari sarebbero andate diversamente se la sua squadra avesse sfruttato meglio le occasioni create.
Svanito l’ultimo obiettivo stagionale con la sconfitta in Coppa Italia contro l’Atalanta, la posizione tranquilla in classifica ha forse dato maggiori margini alle sperimentazioni di Montella e fatto rilassare i giocatori, alimentando un circolo vizioso che ha trascinato la Fiorentina a un delicato scontro diretto contro il Genoa all’ultima giornata.
Le due situazioni hanno diversi punti di contatto: le contestazioni dei tifosi verso le due proprietà; le possibili cessioni di entrambi i club, un’ipotesi che resta sempre sullo sfondo ma che finora non si è mai concretizzata; la presenza di due allenatori che hanno sperimentato molto senza trovare soluzioni ai problemi, soprattutto a quelli offensivi.
Dopo una stagione così deludente, è possibile che sia il Genoa che la Fiorentina cambieranno molto al termine del campionato. Non resta che aspettare l’ultima giornata per vedere se entrambe saranno riuscite a restare in Serie A o se invece per una delle due squadre sarà diventato reale lo scenario disastroso della retrocessione.