
Per lunghissimo tempo è stata forte l’idea che per i successi della Nazionale fosse necessario basare la squadra su un “blocco” di una squadra di club. È successo, per esempio, nel caso del “blocco Juve” nei mondiali di Argentina 1978 e Spagna 1982. Adesso sembra che la funzione coesiva del “blocco” possa essere sostituita da quella del modulo di gioco.
Il 3-5-2 ha assunto una dimensione identitaria nel calcio italiano. La migliore squadra del Paese negli ultimi anni, l’Inter, gioca da tempo con questo modulo. L’Atalanta, alternando il 3-4-1-2 al 3-4-3, dispone i suoi giocatori in campo in maniera molto simile. Fino alla passata stagione la Juventus di Allegri ha ampiamente usato il 3-5-2, mentre Antonio Conte a Napoli, dopo la cessione al PSG di Kvaratskhelia, ha più volte utilizzato la sua versione del 3-5-2. Il successo italiano di tanti allenatori classificabili come discepoli di Gasperini – Juric e Palladino su tutti – ha ulteriormente corroborato il calcio nazionale di difese a 3 ed esterni a tutta fascia. In questa stagione Empoli, Venezia, Verona e Monza giocano più o meno stabilmente con il 3-5-2, idem Roma, Torino e Udinese.
Scendendo lungo la piramide calcistica il serie B e in serie C il 3-5-2 rappresenta il vero marchio distintivo nazionale. Tra i convocati ci sono 5 giocatori del Napoli, 4 dell’Atalanta, ma insomma, in concreto l’intesa tra i calciatori, complicata da trovare nei tempi ristretti concessi alle Nazionali, non va più importata utilizzando i “blocchi”, ma viene ricercata nell’identità comune del 3-5-2.
A quest’idea sembra essersi definitivamente convertito Luciano Spalletti, che ha abbandonato il 4-3-3, il modulo di riferimento della sua Nazionale fino ai disastrosi Europei di Germania, per abbracciare il 3-5-2 e le certezze che fornisce ai nostri calciatori. L’impressione è che, bruciato dal fallimento della scorsa estate, il tecnico azzurro abbia riposto ambizioni più alte – nello specifico la volontà di riprodurre in Nazionale un sistema di gioco simile al suo Napoli che vinse lo scudetto – per ripartire daccapo dalle solide fondamenta del 3-5-2, conosciuto da quasi tutti i giocatori italiani e innervato dai tanti difensori abituati a giocare a 3, dai solidi esterni a tutta fascia e dalle mezzali dinamiche prodotte dal nostro calcio. Una scelta in fondo logica per una Nazionale di calcio, limitata nel suo sviluppo dal tempo a disposizione per lavorare sulla propria identità, specie in assenza di un univoco indirizzo tecnico-tattico per tutte le Nazionali giovanili.
I PROBLEMI VISTI CON LA GERMANIA
Le partite con la Germania hanno però mostrato che del 3-5-2 nazionale l’Italia di Spalletti ha importato, oltre alle presunte certezze tattiche, alcuni difetti strutturali.
Nella gara di andata a San Siro si era vista la difficoltà del 3-5-2 a portare con continuità il pressing alto contro la costruzione bassa avversaria a causa dei troppi uomini sulla linea arretrata. Correlata a questa, poi, la tendenza a farsi schiacciare e a concedere il palleggio nella propria metà campo a una squadra come la Germania, capace di gestire il possesso del pallone.
Al 4-2-3-1 schierato da Nagelsmann a San Siro, in fase di impostazione bastava abbassare uno dei due interni – Goretzka e Gross – tra i due centrali per generare superiorità numerica e posizionale contro il fronte d’attacco – Kean/Raspadori - del 3-5-2 di Spalletti e abbassare così gli azzurri consolidando il possesso. Fino al gol del vantaggio realizzato dal centravanti del Borussia Monchengladbach Kleindienst la Germania ha avuto più del 61% di possesso palla.
In fase di attacco, il gol azzurro era nato da una tipica azione da 3-5-2, con il sovraccarico della zona del terzino avversario del lato debole con la coppia mezzala-esterno di centrocampo (quinto) e lo sfruttamento di questa zona di superiorità, raggiunta con un lungo cambio di gioco dalla fascia opposta.
Un’altra ottima occasione da gol, capitata tra i piedi di Kean al minuto trentuno del primo tempo, era poi nata da un altro tipico sviluppo offensivo del 3-5-2, con la giocata di prima dell’esterno di centrocampo con il piede interno (Politano a destra, con il piede sinistro) alle spalle della linea difensiva, per trovare il taglio del centravanti, in questo caso Moise Kean. Tuttavia, assieme al successo di alcuni sviluppi tipici del 3-5-2, l’Italia aveva trovato qualche difficoltà a uscire dalla prevedibilità e dalla rigidità del modulo di gioco.
A Dortmund Spalletti ha amplificato il carattere difensivo del suo 3-5-2 inserendo Gatti al posto di Politano, alzando nel ruolo di “quinto” Di Lorenzo che ha invece lasciato la posizione al difensore della Juventus. Più avanti Maldini ha preso il posto di Raspadori, disponendosi decisamente in verticale alle spalle di Kean in maniera più accentuata di quanto fatto dal giocatore del Napoli. I risultati sono stati disastrosi. La Germania ha mutato il 4-2-3-1 visto a San Siro in un 3-4-3 che ha soffocato, con il pressing e la riaggressione, la squadra azzurra. Gli uomini di Nagelsmann hanno pressato il 3-5-2 azzurro accettando la parità numerica anche in zona arretrata con Tah su Kean. La risalita del campo azzurra non è riuscita a trovare le solite direttrici: Ricci è stato francobollato da Goretzka, le tracce fuori zona di Bastoni sono state seguite da Sané, mentre le corse interno-esterno delle mezzali sono state gestite dai due braccetti della difesa a 3 tedesca Rudiger e Schlotterbeck.
L’Italia ha quindi provato spesso a risalire il campo utilizzando la palla addosso ai due riferimenti offensivi, Maldini e Kean, una giocata forzata dai tedeschi, ma comunque nel “playbook” del 3-5-2 azzurro. Daniel Maldini, svariando e abbassandosi, ha avuto la possibilità di trovare, specie a inizio partita, qualche ricezione più libera dal pressing avversario, ma non è poi stato preciso nel consolidare il possesso, finendo per eclissarsi nel corso del primo tempo. Oltre ai tre gol subiti, nei primi 45 minuti l’Italia è stata totalmente in balia della Germania, che ha avuto il 64% di possesso palla, ha effettuato l’incredibile numero di 18 tiri in porta in 45 minuti e collezionato 4 grandi occasioni.
Tralasciando quello subito da Musiala, francamente del tutto inaccettabile per distrazione e ingenuità, i gol subiti dall’Italia rappresentano bene le enormi difficoltà incontrate dagli azzurri nei primi 45 minuti. In occasione del rigore causato da Buongiorno per il fallo su Sané, l’Italia è stata presa in contropiede dopo il fallimento di un pessimo tentativo di pressing offensivo che ha aperto voragini alle spalle della pressione alla ripartenza tedesca.
L’Italia pressa in maniera disordinata, con tanti uomini ma senza intensità, dando a Kimmich la possibilità di alzare la testa e di trovare Stiller oltre la linea di pressione, colpevolmente ignorato da Barella. Stiller trova un enorme spazio da esplorare in conduzione per la transizione che porterà al fallo da rigore di Buongiorno su Sané.
Nel terzo gol, l’azione insistita degli uomini di Nagelsmann nei dintorni dell’area di rigore italiana, è stata invece innescata dalla riaggressione tedesca, che ha riconquistato palla nella metà campo azzurro sul solito anticipo forte di Schlotterbeck sulla mezzala Barella.
L’Italia prova a muovere il pressing tedesco alzando Buongiorno e disponendosi con una linea a 4. Bastoni cerca in verticale Barella, ma l’aggressività dei tedeschi genera un netto anticipo del braccetto Schlotterbeck sulla nostra mezzala. È solo uno dei 47 recuperi del pallone dei tedeschi nella nostra metà campo e genera l’azione che si concluderà con il gol di Kleindienst.
QUANTO FIDARCI DI QUESTO SECONDO TEMPO?
È difficile leggere lo sviluppo del secondo tempo dopo un primo tempo così disastroso. Non è ben chiaro dove si ponga il confine tra la capacità di reazione dell’Italia e un calo di tensione della Germania. Di certo Spalletti ha messo mano alla formazione sostituendo già nell’intervallo Gatti e Maldini con Politano e Frattesi. Chiaramente, sulla base della medesima struttura 3-5-2, le caratteristiche degli interpreti hanno variato quella dell’intera squadra. La vivacità di Politano, schierato come esterno di destra con l’abbassamento di Di Lorenzo come braccetto di destra ha portato imprevedibilità alla fase offensiva azzurra e il contributo in impostazione dello stesso Di Lorenzo, in un ruolo ormai a lui più consono, ha aiutato la squadra ad avere più controllo del pallone e della manovra. Anche l’ingresso di Raspadori, molto a suo agio nel ruolo di seconda punta mobile attorno a Moise Kean – un ruolo ricoperto nel Napoli in coppia con Lukaku – ha portato brillantezza tecnica.
Oltre ai due gol di Kean e al calcio di rigore di Raspadori nei minuti di recupero, l’Italia non ha prodotto tante occasioni da rete, riuscendo a tirare in porta solo altre due volte, con un inserimento profondo in area di Frattesi su un cross di Udogie a inizio ripresa e con una conclusione da fuori area di Raspadori appena dopo il gol del 3-2 di Kean.
COSA TRARRE DA QUESTE DUE PARTITE?
Il doppio confronto ha confermato che, anche a confronto con una Germania sperimentale priva di alcuni importanti giocatori quali, per esempio, Wirtz e Havertz, il talento offensivo a disposizione di Nagelsmann è superiore a quello italiano. Una considerazione forse banale, difficilmente risolvibile in tempi brevi, ma importante per potere immaginare la costruzione di una Nazionale il cui obiettivo irrinunciabile è la qualificazione al prossimo Mondiale.
Durante la stagione dello scudetto vinto a Napoli, Luciano Spalletti aveva reso diffusa la necessità di affrancarsi dalle rigidità del calcio posizionale sostenendo, in una dichiarazione più volte ripresa, che gli spazi liberi per la manovra offensiva non sono più quelli tra le linee, codificati dal sistema difensivo avversario, ma quelli “tra i corpi” dei difensori, da creare, ricercare ed esplorare in maniera fluida contro difese sempre più orientate a marcare da vicino gli appoggi al portatore di palla.
La prima versione dell’Italia di Spalletti ha ricercato questa fluidità nell’occupazione degli spazi finendo però per perdersi nella confusione tattica in assenza di un consolidato canovaccio interpretativo. Tornando al 3-5-2, Spalletti ha voluto ripartire dalle fondamenta, fornendo ai giocatori una struttura nota e di semplice lettura. Tuttavia, consapevole dal rischio di un’eccessiva rigidità insita nel modulo di gioco, in alcune interviste rilasciate alla stampa circa un mese fa Spalletti ha tracciato la road map dello sviluppo della sua Nazionale, sottolineando la necessità di apportare imprevedibilità al suo sistema, “ibridandolo” con alcuni concetti non pienamente sviluppati durante gli Europei, mediante l’utilizzo di giocatori in grado di “saltare l’uomo” e di calciatori con caratteristiche diverse.
Oltre al diverso livello di talento offensivo, la differenza più evidente tra Germania e Italia nella doppia sfida, è sembrata quella del maggiore agio dei giocatori tedeschi nel giocare sotto pressione e con intensità e velocità assecondando il ritmo della partita, senza preoccuparsi troppo del controllo della stessa. Pur disponendo di giocatori intensi e verticali, come Barella e Tonali, e con un Kean davvero in grande spolvero, l’Italia è sembrata complessivamente meno capace di surfare tra le onde dei match, di accettare e giocare nel caos, orfana di un controllo tattico della partita che l’intensità avversaria le ha negato.
La scelta di ripartire dal modulo feticcio del calcio italiano e le considerazioni di Spalletti circa la necessità di apportare variazioni al suo 3-5-2, sono di certo condivisibili. Il modulo di gioco non dovrebbe mai essere una camicia di forza per i calciatori, ma il 3-5-2 “all’italiana” può in effetti portare a una sorta di ingabbiamento dei possibili sviluppi, ancorandosi a giocatori di corsa sull’esterno e a mezzali di inserimento a centrocampo, e tagliando fuori, invece, ali dal raggio di azione più ridotto e offensivo, e centrocampisti più tecnici, ma magari meno capaci di coprire ampie porzioni di campo. Pur facendo i conti con un talento offensivo non troppo diffuso, Spalletti sembra avere chiara la gabbia tattica a cui deve sfuggire per evitare una rigidità eccessiva della propria squadra.
Al di là di questo, però, occorrerà fare un ulteriore passo in avanti e accettare un calcio in cui i giocatori siano in grado di accettare e governare una certa dose di imprevedibilità tattica, rinunciando al contempo a una analoga dose di controllo, che il coraggio e l’intensità con cui le migliori squadre affrontano i match rendono ormai inevitabile se si vuole competere ad alto livello.
Al di là di ogni considerazione su uomini e moduli di gioco, è questo forse il passo più necessario non solo per la Nazionale ma per l’intero calcio italiano.