Davanti al muro di tifosi che urlano e ridono, Scamacca si stringe nelle spalle come a dire: perché tutto questo trambusto? L’Atalanta è appena passata sul 0-2 ad Anfield; De Keteleare lo ha trovato sorprendentemente solo al centro dell’area avversaria e lui ha messo la palla in porta semplicemente allungando un piede, come se fosse una pratica burocratica. Scamacca ha fatto sembrare facile ciò che nel calcio è più difficile, e forse è questo il significato della sua esultanza: davvero vi basta così poco? Un'esultanza solo appena più accennata ha contraddistinto anche il gol di ieri, arrivato sparando sotto la traversa con il collo destro un pallone che si era alzato forse inavvertitamente con la punta del sinistro.
Di Gianluca Scamacca si parla sin da quando, nelle giovanili della Roma, abbatteva come birilli ragazzini alti la metà di lui. I ragazzi cresciuti troppo in fretta che dominano nelle Primavere dividono sempre: c’è chi li attende come messia nel calcio professionistico e chi li aspetta al varco del momento in cui il vantaggio fisico sarà sparito. Con Scamacca c’era un ulteriore di livello di discussione, però, e cioè cosa il suo talento prometteva. Non solo un attaccante di un metro e 95 capace di bullizzare le difese avversarie, ma anche un giocatore con un fisico da numero nove e una sensibilità tecnica, una visione di gioco e una capacità balistica da numero dieci. Con i colpi di tacco sulla trequarti, i filtranti no-look e le bombe sotto la traversa, Scamacca prometteva di portarci il sacro Graal del talento offensivo, l’unione dei due ruoli più decisivi del gioco del calcio. Di conseguenza, la discussione intorno a lui si è polarizzata per tutto il resto della sua carriera, tra chi ha continuato a credere a questa promessa e chi pensava fosse una truffa.
Non solo il dibattito, anche la sua carriera è sembrata muoversi tra questi due estremi. Dopo appena una manciata di partite con le giovanili del PSV, il Sassuolo si è affrettato a riportarlo in Italia, come un capolavoro d’arte trafugato. Dopo metà stagione discreta all’Ascoli, in Serie B, il Benfica ha provato ad acquistarlo presentando un’offerta da 25 milioni di euro. Dopo sei mesi positivi al Genoa, si è parlato di un interesse della Juventus. Dopo una buona stagione al Sassuolo è arrivato il trasferimento in Premier League. Bastava poco ogni volta per tornare a credere alle promesse di Gianluca Scamacca.
Quando la scorsa estate, dopo la triste stagione al West Ham, ha scelto l’Atalanta, c’era aria da resa dei conti. Lì avrebbe trovato un allenatore famoso per realizzare i talenti impossibili, e una squadra capace di gonfiare le statistiche di qualsiasi attaccante: sembrava tutto pronto per il suo arrivo nell’alta società. Anche in Nazionale si era creato un vuoto al centro dell’attacco fatto proprio a forma di Gianluca Scamacca. Lui nel frattempo aveva accumulato qualsiasi esperienza: all’estero, in Serie B, in Serie A, in Premier League; prima di Gasperini era stato allenato da Thiago Motta, De Zerbi, David Moyes. Se non ce l’avesse fatta nemmeno così, non ce l’avrebbe mai fatta. E, fino a pochi giorni fa, pensavamo che non ce l’avrebbe mai fatta.
È difficile non ricondurre quest’ultima, ennesima, breve rinascita di Gianluca Scamacca alla sorprendente esclusione dall’ultimo giro di convocazioni di Luciano Spalletti in Nazionale. Senza alcuna prova concreta, in molti hanno ricondotto la scelta del CT al discorso molto duro che ha tenuto a fine febbraio. «Alcuni giocatori devono aver creduto che Spalletti abbaia e poi non ha i dentini, invece si sbagliano e ora ci sono delle cose che vanno messe in chiaro», aveva detto Spalletti alla Gazzetta dello Sport. «Da qui in avanti le Playstation le lasciano a casa e non le portano più. Glielo invento io un giochino a cui pensare per distrarsi la notte. Vengono da me e gli do i compiti da fare la sera se non sono bastati quelli di giorno. Perché in Nazionale si sta sul pezzo, concentrati, non si cazzeggia». Pochi giorni dopo il Corriere di Bergamo invitava i suoi lettori a fare due più due, descrivendo Scamacca come un “patito della Playstation”, un giocatore “apatico, indisponibile alla lotta, per niente incline al sacrificio”. Forse quella del giornale era una ritorsione per i 27 minuti vacui giocati da Scamacca contro il Milan, il 25 febbraio, un riassunto della sua stagione immatura. «La gente non sa quello che faccio in camera mia, si parla di Playstation senza sapere. Ma non ci rimango male, me ne frego. È da quando ho 16 anni che volano pregiudizi su di me», ha risposto lui, circa un mese dopo, ostentando il suo risentimento dopo il gol al Napoli che ha aperto questa piccola serie fortunata.
Fino a quel gol - era il 30 marzo scorso - era vero, però, che la stagione di Scamacca era stata estenuante. Un attaccante capace di segnare gol di tacco, come quello segnato a ottobre contro l’Empoli, e che allo stesso tempo pareva prigioniero delle stesse premesse impossibili su cui si basava il suo talento. Un giocatore enorme, con le spalle larghe come un buttafuori, incapace però di difendere il pallone con il corpo, travolto alle spalle da difensori sempre più reattivi di lui. A volte sembrava un elefante sui pattini. Un talento con l’ambizione di rivoluzionare il ruolo, ma che doveva ancora imparare l’ABC. Lo stesso Gasperini sembrava averlo bocciato ben prima di Spalletti. «L’unico problema è considerare Scamacca un grande campione, oggi non è possibile», aveva detto in maniera forse inconsapevolmente caustica prima che l’Atalanta venisse travolta dall’Inter a San Siro (con Scamacca rimasto a sedere in panchina).
Al suo posto, al centro dell’attacco, ce l’aveva fatta persino Charles De Ketelaere, un trequartista alto come una giraffa e fragile come una foglia secca, che a sua volta sembrava promettere l’impossibile. Scamacca è stato così costretto a segnare nei ritagli di tempo, confinandosi in un paradossale ruolo da comprimario. Da una parte lo scarso minutaggio concesso da Gasperini gli permetteva di avere una media gol migliore di qualsiasi altro attaccante italiano, dall’altra sembrava dimostrare la sua inadeguatezza in una squadra in corsa non solo per un posto nella prossima Champions League, ma anche per la vittoria della Coppa Italia e della Europa League. Se gioca così poco, un motivo ci sarà, no? Il numero di gol, o meglio la media gol/minuti, era l’ultima foglia di fico per un attaccante che ha sempre promesso di essere di più di un attaccante. Un’idea di giocatore troppo bella per essere vera, e che infatti era rimasta solo un’idea.
Poi però sono arrivati i gol contro Napoli, Cagliari e Verona, e soprattutto la doppietta di Anfield. Una continuità realizzativa che raramente ha avuto e che ha riacceso il dibattito, con tanto di accuse a Spalletti e richieste di scuse. Ciò che è interessante rimane il rapporto tra il gol e il resto del suo gioco, come sempre con gli attaccanti. Scamacca, in carriera, non ha mai segnato moltissimo complessivamente, ma forse le sue capacità realizzative sono state frenate da un minutaggio sempre basso a causa di infortuni e scelte tecniche. Da una parte, quindi, i gol sono una misura oggettiva del suo valore in crescita, dall’altra ancora oggi non si può pensare ridurre il suo gioco solo al gol. Paradossalmente è proprio questa considerazione a tutto tondo del suo talento che ha finito per sminuire delle qualità in fase di finalizzazione di cui forse si parla meno di quanto si dovrebbe. Tra gli attaccanti della Serie A, solo Jovic ha un tasso di conversione dei tiri in gol migliore di quella di Scamacca, che in campionato ha segnato 9 gol da appena 5,15 xG. Non ci sono molti altri giocatori a battere così tanto le aspettative del modello di StatsBomb, per quanto riguarda gol e assist. Lo fanno solo Lautaro, Pulisic e Dybala, tre dei giocatori migliori del campionato italiano.
Ma è lo stesso Scamacca a mettere in secondo piano i suoi gol, nell’ecosistema del suo gioco. «Da quando sono arrivato c’è stato un cambiamento netto. Non per i gol segnati, ma per come affronto le partite e per quanto corro, per l’intensità che metto in campo», ha detto dopo il 2-2 contro il Verona. Anche dopo la doppietta al Liverpool non sembrava troppo in vena di parlare dei suoi gol, e il commentatore di Sky, Andrea Marinozzi, ha provato quindi ad elogiarlo parlando del suo coinvolgimento in fase di pressing.
Sull’importanza del gol rispetto a tutte le altre qualità per il ruolo del centravanti si discute praticamente da quando è stato inventato il calcio. È il gol a permettere a un attaccante di giocare meglio, o tutto il resto del lavoro a portare un attaccante a segnare più gol? È celebre, su questo argomento, l’incontro che Fabio Capello e Zlatan Ibrahimovic (a cui in gioventù Scamacca è stato accostato) ebbero alla Juventus. «Lui mi ha detto che mi metteva a posto tirandomi fuori l’Ajax che avevo in corpo», ha detto una volta Ibrahimovic di Capello. «Voleva che fossi più concreto e diretto in campo, il miglior modo per un attaccante per aiutare la squadra era fare gol». È difficile uscire da questi discorsi con risposte definitive. La freddezza sotto porta non è la prima qualità che ricordiamo di Ibrahimovic, ma senza la valanga di gol con cui ha sotterrato la sua carriera, ricorderemmo allo stesso modo anche tutto il resto?
Questa aspirazione a fare di più del gol, fa passare gli attaccanti che ci provano per degli snob: alla fine, effettivamente, cosa c’è di più importante nel calcio? Anche ieri, che contro il Verona ha segnato sia un gol (bellissimo) che un assist (bellissimo), Scamacca ha detto di preferire l’assist. «Sono contento abbia segnato il mio compagno», ha detto a fine partita con un’umiltà che non sembra appartenergli. Anche Gasperini sembra convinto di poter andare oltre alle semplici medie realizzative, per restituirci un giocatore più complesso. «Scamacca ha mezzi che conosciamo tutti e ora è cresciuto, sono felice, segna con regolarità. Ma non mi accontento mai, voglio che arrivi a giocare con più continuità e con più tempo. Voglio che diventi ancora di più un atleta, non si finisce mai di migliorare».
Non è solo questione di tenuta atletica, però. All’Atalanta, Scamacca sembra aver asciugato il suo gioco, rendendolo più essenziale. Quando viene incontro sulla trequarti cerca di toccare di meno il pallone, anzi, spesso gioca di prima, probabilmente per anticipare l’arrivo dei difensori alle sue spalle, e non esporsi a una sfida in cui è ancora ben lontano dall’essere il migliore. Questo lo costringe a essere troppo frettoloso a volte, ma gli permette anche di perdere molti meno palloni in zone pericolose, e in maniera meno goffa. C’è una giocata che sembra aver imparato a memoria, e che è possibile che Gasperini abbia codificato per lui come un esercizio da ripetere a memoria. Movimento incontro, stop ad aprirsi il gioco verso il lato opposto, apertura per l’esterno. Di giocate di questo tipo ne realizza almeno una, due a partita.
Su questa nuova essenzialità Scamacca sta provando a ricostruire le cose che ci aveva promesso. Contro il Liverpool, il 3-0 di Pasalic è stato innescato da un suo filtrante per Ederson che è passato in mezzo alle gambe di Konaté. Contro il Verona la scena si è ripetuta in maniera simile: Scamacca si è abbassato fino al centrocampo, attirando fuori posizione Magnani, e di prima ha servito l’inserimento di Ederson, che si era buttato nello spazio liberato dal centrale del Verona. L’intesa con il centrocampista brasiliano forse è il segno che anche l’Atalanta sta imparando a conoscere Scamacca. Un attaccante che non sa trascinare la difesa avversaria da una parte all’altra del campo come Zapata, o allargarsi per puntare l’uomo in uno contro uno come Muriel, ma che è capace di associarsi in spazi stretti come una mezzala e lanciare un inserimento in profondità come uno di quei fantasisti di cui piangiamo l’estinzione.
Chissà, magari anche segnare come un centravanti vero.