Scamacca si è battuto sul petto, si è portato la mano all’orecchio, ha allargato le braccia e poi guardando un punto davanti a sé - guardando nel vuoto, o magari concentrandosi su una persona in particolare nel pubblico - ha iniziato a parlare con l’aria di uno appena sceso dalla macchina per litigare. Un attimo prima aveva schiacciato la palla in rete con un colpo di testa dritto, un movimento del collo secco come quello che segue di solito un confronto testa-contro-testa e che, se non sei abbastanza rapido da abbassare la tua di testa e proteggerci con la fronte, può romperti il naso. Era il ventesimo minuto di gioco e Gianluca Scamacca aveva segnato il gol dell’1-1 in una partita, quella con la Salernitana, che aveva poco da dire sulla stagione sua o del Sassuolo. Non c’erano ragioni per cui dovesse essere nervoso, o minaccioso, e probabilmente non era affatto nessuna delle due cose. Era solo se stesso. Naturalmente minaccioso, uno che non vorresti vedere veramente arrabbiato.
Quello alla Salernitana era il suo dodicesimo gol stagionale (con un rigore). Scamacca è andato per la prima volta in doppia cifra da quando è professionista, ed è titolare solo dallo scorso ottobre, nel Sassuolo che ne possiede il cartellino dal 2017. A ventitré anni ha già vissuto un paio di vite. Come scrivevamo già lo scorso novembre, quando Scamacca aveva dovuto prendere di nuovo le distanze da una famiglia che, come tutti noi, non si è scelto (lo aveva già fatto dal padre che aveva rotto delle auto nel parcheggio di Trigoria, lo ha dovuto fare persino per il nonno, il nonno!, che ha minacciato un uomo con un coltello) «la sola violenza davvero riconducibile a Gianluca Scamacca è quella del suo talento calcistico».
La parabola sportiva di Scamacca sembra quella dei pugili precoci che cominciano a combattere a dodici anni da dilettanti e arrivano al professionismo con un centinaio di incontri alle spalle. Tutti sanno di quando a sedici anni - grande e grosso come un frigorifero scaricato al centro del campo in mezzo a ragazzini che gli arrivavano all’ombelico; o meglio, grande e grosso come è adesso in mezzo a ragazzini normali - ha lasciato il settore giovanile della Roma per volare in Olanda, al PSV, dove pensava di esordire al più presto in prima squadra. Quella, volendo, possiamo considerarla la sua prima vita.
È stato un momento, una scelta, che avrebbe influenzato non solo la sua crescita ma anche la nostra percezione, spingendoci a dubitare di lui quando il suo percorso di crescita - la seconda vita passata tra i prestiti in Serie B, i primi timidi passi in Serie A e un bel Mondiale u20 in cui l’Italia è arrivata in semifinale, nel 2019 - ha preso una strada più comune. Ma come, doveva essere il nuovo Ibrahimovic e non segna neanche dieci gol in campionato?
Quasi tutti però dimenticano che anche il giovane Ibra ha avuto le sue difficoltà, che a diciott’anni faceva la panchina nella seconda divisione svedese e che durante la prima stagione all’Ajax era finito a fare la panchina a Mido. Calciatori come loro, con un talento praticamente già formato dall’inizio - la cosa che veramente li accomuna, oltre all’aria minacciosa di cui sopra e ai «piedi tecnici», come disse Ibra a un giornalista olandese il giorno della sua presentazione - più che imparare cose nuove, per crescere devono adattare le proprie qualità a un contesto competitivo di volta in volta superiore, acquisire confidenza, fiducia e esperienza.
È una questione di stile, più che di valore assoluto: molti calciatori si trasformano nel corso della propria carriera mentre altri, pur cambiando un minimo e aumentando il proprio registro, giocano come il primo giorno che hanno infilato gli scarpini ai piedi. Per giocatori come loro è una questione di tempo. Le somiglianze tra i due, però, finiscono qui, a Scamacca manca il dinamismo, l’elasticità muscolare e l’autosufficienza - la capacità di cominciare e finire un’azione senza bisogno dei compagni - oltre che l’immaginazione, il genio, il carisma di Zlatan.
Ma di giocatori come Zlatan ne nascono un paio per generazione, per fortuna non è su di lui che Scamacca, o chiunque altro, deve tarare i propri obiettivi di crescita. «È uno degli attaccanti più forti», ha detto Scamacca di Ibra. «Il paragone è un motivo d'orgoglio, perché è un campione». E basta questo, è il sottinteso. Anche se qualcosa di zlatanesco in lui c’è, effettivamente.
Per Scamacca è già qualcosa essere arrivato ad essere considerato un giocatore affidabile in quella che è la sua seconda stagione in Serie A. Dionisi ci ha messo un po’ a dargli fiducia e a trovare il modo per farlo giocare insieme a Raspadori. La sua prima partita da titolare in campionato è del 17 ottobre, quella contro il Genoa in cui ha segnato due gol in diciannove minuti.
Il primo è uno di quei gol che segnerebbero in pochi: controllo di petto entrando in area di rigore, stretto tra due difensori, e colpo di punta in anticipo con cui manda la palla sotto l’incrocio. Anche il secondo è meno banale di quel che sembra a prima vista, un tap-in da pochi passi, sul secondo palo, che però Scamacca esegue allungando il passo e colpendo la palla con l’esterno del piede.
Da quel giorno, salvo in tre occasioni, quando è stato disponibile Dionisi lo ha sempre fatto partire titolare. A inizio dicembre ha segnato un gol contro il Napoli in cui ha stoppato di petto un cross di Kiryakoupulos da sinistra che pareva troppo arretrato persino perché ci arrivasse di testa, con lo stop si è mandato il pallone sul piede destro e, girando su se stesso con l’agilità di un peso leggero, ha calciato al volo sorprendendo Koulibaly e Mario Rui, colpendo la palla così forte che quando Ospina stacca i piedi da terra la palla gli è passata sopra la testa e ha già colpito la rete.
Pochi giorni prima aveva segnato al Milan - ovvero a Maignan, il miglior portiere del campionato - calciando di piatto da trenta metri, quando avrebbe potuto avvicinarsi maggiormente alla porta o servire Raspadori alla sua sinistra o Berardi alla sua destra, entrambi liberi. «Volevo tirare così: o finiva in tribuna o finiva così», ha detto lui. E con volevo tirare così Scamacca probabilmente intende volevo provare a calciare come se la palla fosse un frisbee e dietro la porta di fosse un cane con la bocca aperta pronto a saltare due metri e prenderlo al volo.
Con 11 gol su azione, Scamacca ha superato di molto le aspettative (7.7 Expected Goals senza considerare i rigori: +3.3 secondo i dati Statsbomb). Tira 3.6 volte a partita (è il quinto giocatore a calciare di più del campionato) con una distanza media di 16.2 metri, il limite dell’area, scegliendo spesso, cioè, di calciare da lontano, da posizioni e con angoli improbabili, con gente davanti o con il corpo di trequarti rispetto alla porta.
A volte Scamacca sembra calciare anche perché è la soluzione più facile alla sua portata, che gli evita di portare palla, cosa in cui non è ancora a proprio agio. Come se calciare in porta sia l’opzione più valida quando proprio non gli viene in mente nient’altro, quando non sembrano esserci spazi né compagni liberi. Anche da questo dipende l’effetto sorpresa di alcuni suoi tiri, improvvisi e poco razionali.
Spesso calcia da fermo, sempre fortissimo e riuscendo, quando colpisce la palla come vuole, a darle anche precisione. Anche nel gol annullato in semifinale con l’Ucraina, nel Mondiale under 20, c’è qualcosa di strano, di non naturale, nella forza che riesce a dare al pallone colpendolo quasi rannicchiato dal limite dell’area, cadendo mentre si gira verso la porta. Intervistato da Inside Serie A ha detto che di non avere spiegazioni razionali riguardo al suo modo di calciare il pallone, che dipende «da qualcuno che mi ha messo una mano in testa». Ha anche aggiunto di essere stato «ossessionato» da sempre dal tiro in porta e che era «l’unica cosa che amavo fare da piccolo».
A fine febbraio il Sassuolo ha giocato una grande partita a San Siro (vincendo 2-0) in un momento di appannamento dell’Inter che le è costato la testa della classifica. Nell’attacco fluido del Sassuolo i 4 attaccanti (Berardi a destra, Traoré a sinistra, Scamacca e Raspadori al centro) si scambiano spesso posizione e si alternano nei movimenti incontro alla palla e in profondità e danno vita a transizioni rapide di grande bellezza ed efficacia.
Nel gol segnato di testa da Scamacca, il secondo, l’azione comincia proprio da un suo movimento verso la palla, sulla fascia destra, per aiutare la squadra a uscire dalla pressione nerazzurra. Pressato alle spalle da de Vrij, Scamacca aspetta che si stringano su di lui anche Barella e Perisic e quando non sembra esserci più spazio si inventa un tunnel per servire un compagno a pochi passi. Ci vorranno poi un altro paio di giocate eccezionali (un controllo al volo di Raspadori e un dribbling di Maxim Lopez) per dare lo slancio all’azione che lo porta a saltare da solo sul secondo palo, permettendogli di mirare con calma sul palo più lontano.
Due anni fa l’agente di Kulusevski, ricordando un torneo in cui il Malmo aveva perso con la Roma, per giustificare la squadra del suo assistito ha ricordato che in attacco c’era «un giocatore grande il doppio degli altri». Quell’attaccante, ovviamente, era Scamacca. Oggi ha segnato contro le migliori difese del campionato e il suo vantaggio fisico, quello che lo faceva sembrare sproporzionato da giovane, è rimasto intatto.
Lui ha ringraziato Dionisi per la fiducia e per le indicazioni tattiche, ma non sembra un giocatore che un allenatore può davvero modellare. Al massimo si potrà aumentare il ritmo e il volume delle sue giocate, ma con quella tecnica e quella forza Scamacca ha imparato a giocare senza ripetere le stesse cose, tenendosi aperta ogni possibilità, improvvisando e seguendo le proprie intuizioni. Ma anche in questo caso: non c'è niente di provocatorio, di ribelle o rabbioso in lui: è semplicemente fatto così.
Finché l’aura di minaccia, il pelo che gli si alza sulla schiena quando entra in possesso della palla sulla trequarti, e la capacità di vincere i duelli individuali fisicamente e tecnicamente - anzi spesso, quando non li vince, è perché usa troppo poco il fisico provando a uscirne solo con la tecnica - Scamacca sarà sulla buona strada. Sempre più a proprio agio, sempre più comodo nelle difese della Serie A.