Pubblichiamo un estratto di Ermes, la newsletter giornaliera con cui stiamo seguendo le Olimpiadi di Parigi curata da Riccardo Rimondi. Se non siete ancora iscritti potete farlo inserendo la vostra email nel form qui sotto.

La prima volta si presentò allo stadio con le stampelle e l’immagine della sua faccia in lacrime mentre guardava la finale di salto in alto fece il giro del mondo (sì, aveva già gareggiato a Londra 2012 ma non aveva speranze di podio e uscì già in fase di qualificazione). La seconda, aveva la divisa da gara addosso e tutti videro l’abbraccio con Mutaz Barshim, dopo che avevano deciso di spartirsi la medaglia d’oro. Mentre si accinge a salire in pedana, la terza visione olimpica di Gianmarco Tamberi lo ritrae con felpa, cappuccio, cappellino e mascherina mentre assicura che gareggerà. Stamattina cercherà di iniziare a cambiare quell’immagine, accostandone un’altra più simile a quella che si era vista negli ultimi mesi.

Tamberi è l’italiano più famoso dell’atletica mondiale, in Italia e fuori. Non da oggi: a Montecarlo, la notte che si lesionò il tendine della caviglia, nello stadio c’era gente con la barba tagliata a metà. Chi si presentava con l’half shave, quella sera, entrava gratis per vedere uno dei tre o quattro meeting più importanti della stagione. L’epilogo dell’alto ha dato una sorta di immortalità tanto a lui quanto a Barshim: ancora oggi, quando sono insieme, trovano sempre qualcuno che gli chiede di replicare quell’abbraccio.

Ha partecipato due volte all’All-Star Celebrity Game della NBA. Ha suonato la batteria prima di una finale mondiale del salto in alto, a bordo pedana. L’ultimo passo è stato farsi dare un passaggio in aereo dal presidente della Repubblica per andare a Parigi e, da portabandiera, finire in prima pagina per aver perso la fede nuziale nella Senna. Insomma Tamberi è un personaggio e può piacere o non piacere, di solito in maniera polarizzante. Raro che susciti indifferenza. Nel mentre, a vedere il personaggio mediatico, ci si rischia di dimenticare che è anche un atleta. E la marcia di avvicinamento che ha fatto dopo Tokyo lo segnalava nella forma della vita. Nel 2022 ha rotto – a livello tecnico e umano – col padre e ha preso come allenatore un altro ex di alto livello come Giulio Ciotti.

A seguire ha vinto i Mondiali di Budapest e il titolo europeo all’Olimpico di Roma con la miglior misura dell’anno, dopo aver rischiato una debacle clamorosa. In pedana a Parigi ci sale da campione olimpico, mondiale ed europeo in carica.

Senza girarci attorno, era favorito come mai nella sua carriera. Poi il vento ha iniziato a girare. Prima il piccolo infortunio al bicipite femorale che lo ha spinto a disertare le ultime gare prima di Parigi. E quello può capitare. Poi la tegola tre giorni fa, quando su Instagram ha annunciato di avere un probabile calcolo renale. “E ora mi ritrovo a 3 giorni dalla gara per cui ho sacrificato tutto quanto, sdraiato in un letto, impotente, con 38.8 di febbre”. Ha rimandato l’arrivo di 24 ore e poi lunedì la comparsa a Parigi, quasi irriconoscibile per com’era bardato. La febbre, a furia di farmaci, è scesa. “Il rene non mi fa più male come due giorni fa, quando ho sentito una fitta lancinante, anche se ho ancora un po' di fastidio”.

Stamattina alle 10.05 salterà nel gruppo A, lo stesso del suo amico Barshim, mentre Stefano Sottile sarà nell’altro. Si tratta di sopravvivere fino a 2,29, o di entrare tra i primi dodici. Se ce la farà, avrà tre giorni di tempo per riprendersi completamente e provare a chiudere la carriera come desidera.