Cominciamo con un po’ di numeri: 32 (anni), 1.92 (altezza), 77 (chili). Sui chili però dobbiamo specificare. 77,5 sono quelli che ha dichiarato fino a gennaio 2024, poi a metà giugno sono diventati 75,5 e, sotto Olimpiadi, si sono ridotti a 74 secchi. 74 chilogrammi netti di puro muscolo sgocciolato su un corpo lungo e tonico. Lui dichiara il 3,3% di massa grassa. Non so se avete presente la pelle dei body builder quando sono tirati sotto gara. Uno strato lipidico sottilissimo a fare la radiografia delle fasce muscolari, tipo Domopak, solo che è pelle.
Era il 20 agosto quando l’altista che deteneva un record di 2.39 di salto in alto, doveva assolutamente occuparsi di far rientrare le coliche renali. E così addio Olimpiadi. Fake news avevano insinuato che le coliche fossero la conseguenza di un’alimentazione sballata. Una dieta troppo drastica, restrittiva, dannosa per la salute. «Dopo i tanti esami fatti è emerso che sono geneticamente predisposto a questo tipo di problema», ha però precisato Tamberi. E ancora: «stanno girando cavolate colossali».
Le cavolate colossali a cui si riferisce riguardano i commenti che hanno cominciato a fioccare riguardo il suo corpo ultraleggero e ai metodi per ottenerlo. Ha sfidato gli dei e il risultato è stata la punizione divina. Icaro ha osato troppo e alla fine è caduto dal cielo. Tamberi ribadisce: «La mia dieta è stata studiata e condivisa da diversi professionisti e sono più di 10 anni che seguo questo regime alimentare senza mai aver avuto problemi e facendo regolarmente controlli. Difficile pensare di cambiarla così di punto in bianco nell’anno più importante della mia carriera senza un motivo preciso... Sono il primo a dirvi che è una dieta molto stretta e difficile, come tutti gli allenamenti che faccio durante l'anno sono molto pesanti e studiati per portarmi al limite, ma questo è l'unico modo che un atleta ha per provare a raggiungere il proprio massimo livello […] Adoro mangiare e fare la bella vita come chiunque altro, ma per vincere le Olimpiadi nel 2021 ho dovuto fare un'infinità di sacrifici».
Adoro mangiare, dice Tamberi.
Mentre scrivo è il 19 ottobre 2024 e lui si trova a New York in vacanza con la moglie Chiara Bontempi. Le stories che carica su Instagram sono un’alternanza di skyline in controluce e selfie. Sono felici, belli, sorridenti. Nell’ultimo post ammiriamo una carrellata di scatti del viaggio: la vista panoramica dal finestrino dell’aereo, la metropoli da vicino, lui che fa la linguaccia da rocker con gli occhiali da sole in total black mentre cammina nel viavai, e poi lui seduto al tavolino del bar per la colazione: pancake, brioche, crostate, ciotoline di marmellata, miele e sciroppo d’acero. Lui e il cibo. Cibo ipercalorico da sforo del regime alimentare.
“Gimbo” ha in mano una tazza grande, presumibilmente di caffè, mentre il piattino che ha davanti a sé è vuoto. Il cibo c’è, l’immagine suggerisce che quelle cose le mangerà a breve, ma non ne abbiamo prove. Intanto però quelle foto lanciano un messaggio nemmeno troppo subliminale: qui relax, cose buone, ghiotte, riposo, strappo alla dieta, vita bella, nessun disturbo alimentare all’orizzonte: adoro mangiare.
Sono tempi difficili per i corpi magri. C’è sempre il sospetto che per ottenerli si sia adottata una forzatura. Il sospetto che dietro quella perfezione si celi un ennesimo approccio dismorfobico. Un corpo magro, troppo magro, è un corpo artificiale, difficile. Non ovvio. Non naturale. Un corpo che attrae i pensieri e desideri sinistri, voglia di emulazione. Il corpo magro è segretamente ambito. Nonostante consciamente si abbia dimestichezza con la body positivy e il suo messaggio di inclusività del multiforme, il corpo magro rimane socialmente, ancestralmente, un concetto dominante. Storicamente ci appartiene. Non si tratta di scelte personali – ci sono anche quelle, ovviamente – si tratta di essere immersi in una cultura che ha forgiato il nostro approccio col corpo, il nostro modo di intendere il bello. Che si voglia superare l’idea di perfezione fisica collegata unicamente al corpo magro è lodevole e giusto ma rimane comunque a livello collettivo la macroimpronta di un uber-corpo che giganteggia e attira in tutta la sua dis-umana magrezza.
Sotto le foto di lui e il cibo, qualcuno scrive:
Mangia che è meglio.
Cavolo devi dimostrare che mangi come le influencer anoressiche…
Le persone fanno fatica a stare a dieta e si interessano alle condotte alimentari altrui. Guardano cosa fanno gli altri. Vogliono vedere se gli altri stanno facendo come loro. La community si affaccia sui profili dei vip e controlla se stanno facendo giusto. I personaggi popolari devono rientrare in quella che l’opinione pubblica definisce comportamento probo e ragionevole da veicolare, altrimenti vengono bacchettati. Guai a macchiarsi di essere troppo elitari. Guai ad avere un corpo difficile. La community punisce. Singolarmente non siamo che voci di corridoio ma, una volta messi insieme sotto a un post, diventiamo un megamostro a mille occhi che sputa e sentenzia la verità. Il corpo di un campione può diventare un corpo perdente in un attimo, basta una foto sbagliata, un messaggio ambiguo. Il corpo difficile di un campione riverbera sui nostri corpi. Fa risuonare nei nostri corpi normodotati, i conflitti legati alla nostra imperfezione. Il corpo dell’atleta forma un allarme luminoso per i corpi altrui, soprattutto per quelli dei ragazzi, che sono spesso terreni di guerre personali.
Il disturbo alimentare funziona a livello mediatico solo se tu ammetti di averlo e di volertene liberare. Se invece mantieni il regime, allora verrà subito stigmatizzato. Hai manie di perfezione. Sei di cattivo esempio.Il bisogno di essere perfetti non è nazional-popolare. Non si empatizza con qualcuno che sta a stecchetto. Non sono simpatici i personaggi ligi alla dieta. Non ci fidiamo di chi rinuncia a pizza gelato e patatine. L’ultramagro, la sottigliezza, la leggerezza, una volta erano valori esemplari, modelli da perseguire, poi ci siamo accorti che un corpo inarrivabile manda in crisi, genera frustrazione. Purtroppo ci affascina ancora, quindi ha potere su di noi e inevitabilmente proietta ombre tetre sui nostri corpi mortali, sui nostri stili di vita. La magrezza è diventata un ennesimo carico aggiunto al nostro bisogno di alzare l’asticella e quindi ne va ribassata la spinta, va depotenziata la sua capacità di seduzione. Sorge all’orizzonte la parola toxic. Il corpo magro è tossico.
Tamberi con le coliche e il corpo tiratissimo, intossica l’immaginario collettivo. Triggera. Crea fastidio sociale. Anche se la sua è una magrezza tecnica. Anche se lui per professione deve saltare il più in alto possibile e per farlo gli occorre un corpo leggero. Perché un chilo in più può zavorrarlo a terra, e un chilo in meno può valere l’oro. Se è vero che quel corpo è innanzitutto un corpo sportivo, un corpo limato e sagomato a dovere per arrivare primo in una gara, è anche vero che, in quanto corpo perfetto, ha una potenza estetica che influenza il nostro modo di percepire il vincente. Il suo corpo, sgrassato delle umane morbidezze, nonostante sia condizionato per accaparrarsi la medaglia, è anche un corpo estetico. Il corpo tecnico si sovrappone al corpo estetico. Tamberi è un campione ma è anche un ragazzo bello, umile, genuino. La sua magrezza sa di sport ma sa anche di glamour. E così “Gimbo" e la sua dieta diventano potenziali punti di riferimento. Potenziali mine di confronto. Potenziali motivi di raffronto. Potenziali notti insonni per chi del proprio corpo si cruccia, si dispiace, si arrabbia. Il corpo di Tamberi è toxic per noi. Ci sta intossicando con la mania di perfezione. Noi che guardiamo, vogliamo saperti normale. Perfetto, ma normale. Il mostro a mille teste della community che vive in regime di normalità ha bisogno di sentirsi rappresentato. Vogliamo eroi normali. Ci hanno propinato per anni immaginari tossici. Ora è arrivato il tempi di disintossicarci dall’inarrivabile e di praticare l’arrivabile. La vita deve essere a portata di mano. Più facile. Raggiungibile. Ce lo insegna il virtuale, il futuro è azzerare la distanza tra due punti. La body positivity applica lo stesso principio: accorcia la distanza tra idea e realtà, e ci fa arrivare prima e in maniera più agevole alla meta. La magrezza viene corretta. Mitigata. Gli eccessi vengono ospedalizzati. Medicalizzati. Sintetizzando: essere magri prima era eleganza chic, ora sa di malattia. Di conseguenza, nessuno è più grasso. I grassi non esistono. La parola grasso non si dice, è squalificante. Siamo solo diversamente curvy.
Tamberi è nato con un corpo raro. In giro ce ne sono pochi di corpi come il suo. Non fa media. Non è un regolare. È un’eccezione. E questo lo fa diventare un corpo utopico. Pur sapendo che non potremo mai diventare come lui, quel corpo risulta vincente e, come tale, su scala minore, anche noi, coi nostri corpi normal, potremmo prendere spunto. Forse non diventeremo dei campioni olimpici, ma almeno un minimo potremmo migliorarci. Con buona pace della body positivity, dell’orgoglio curvy, e del Ti devi piacere come sei, sei bellissimo così come sei e, sebbene si stia cercando di veicolare una bellezza diversa, sclassificata, rimane comunque il desiderio del corpo perfetto.
Credo che sia nell’ordine dell’umano desiderare il miglioramento. Tendere verso una meta. Progettare, trasformare, diventare sono tensioni esistenziali e valgono anche per il corpo. E il megamostro dei follower le contiene anche solo inconsciamente. Vedere riuscire altri in qualcosa che per noi è difficile da ottenere, genera invidia. Si subisce il fascino e si prova invidia per qualcosa che però a livello razionale avremo imparato a giudicare come sbagliata. L’invidia provata e mai ammessa per il corpo altrui farà scrivere commenti sotto ai post, genererà messaggi moraleggianti, ragionevoli, e censori. In nome del non-esagerare, del non è sano, non ti fa bene, ci si prenderà la libertà di essere punitivi con i corpi altrui. Lo dico per il tuo bene nasconde tutta una serie di frustrazioni per il proprio, di bene. La body positivity, con tutte le sue buone intenzioni, cela e contiene una cattiveria latente verso i perfetti. Se nessuno ci riesce, allora anch’io sarò giustificato a non esserlo. In un prossimo futuro distopico, mi immagino proprio l’imposizione di un corpo regular, senza picchi, così nessuno ci rimarrà male.
«A colazione mangio fette biscottate integrali con marmellata senza zuccheri e ricotta light, un cappuccino col latte scremato. A pranzo 120 grammi di pasta in bianco, a merenda 40 grammi di parmigiano o un toast con pane integrale, prosciutto senza grassi e formaggio senza grassi, a cena proteine con carne magra. Io la spesa la faccio guardando i valori nutrizionali!», dice Tamberi in un’intervista su GQ. Tamberi in giro per New York cammina e a ogni falcata il suo corpo crea un turbinio fatto di lembi di cappotto, di riccioli ribelli, di occhiali da divo. Ogni passo è un ritmo con cui il corpo imprime la sua presenza. Largo, piatto e tonico come i modelli di Armani che da lì a breve andrà a vedere sfilare. Tamberi si lascia fotografare mentre addenta street food comprato per pochi dollari, e poi però eccolo sul tappeto rosso assieme alle celebrità. Tamberi è l’alto e il basso. È l’élite e la nicchia. È il cheap e lo chic. È il corpo della porta accanto e il corpo campione. Tamberi non doveva dirci che mangiava così poco. Questo non ce lo doveva fare. Perché noi vorremmo mangiare un po’ meno ma non ci riusciamo.
Vorremmo tanto eliminare la presenza dei disturbi alimentari, come se il punto fosse solo un bisogno estetico. Non lo è. Il corpo in quanto umano è sempre disturbato. Non esiste un corpo indisturbato, perfettamente padrone di sé. Così anche il corpo del megamostro a mille occhi mantiene il germe del disturbo. Il disturbo fa parte del nostro sentire comune. Chi sarebbe il disturbato? Io che esibisco il corpo magro, o tu che guardi e stimi in nome di un giusto o sbagliato? Quando valutiamo la correttezza di un corpo eccessivo, a che tipo di benessere facciamo riferimento, a quello di chi lo persegue, o al nostro che ne è lontano? Esistono corpi privati che possiamo modificare senza pensare a cosa ne diranno gli altri o no? I corpi sono di tutti e in quanto comuni bisogna livellarli per non far dispiacere nessuno. Rigiro quest’ultima a interrogativa: i corpi sono di tutti e, in quanto comuni, hanno diritto a essere livellati per non far dispiacere nessuno? Rispondete, se vi va.