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Cos'è un giocatore "di gamba"?
06 set 2024
06 set 2024
Su una recente (ma nemmeno troppo) ossessione italiana.
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IMAGO / Sportimage
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Secondo Freud, nel feticista l’eccitazione sessuale è rivolta a un oggetto parziale piuttosto che a un’identità completa. Il feticismo negli allenatori di calcio, e nei tifosi, e nei direttori sportivi, si è sempre concentrato sui piedi. «Che bel piede!», «Che piedino!», «Ha il piede caldo», «Ha il piede delicato». Tutti questi appassionati di piedini amano il rapporto sensuale che si instaura tra tali piedini e il pallone. Il piede è “dolce”, è “fatato”, è “educato”, è un “bel piede”: ha una sua capacità misteriosa di manipolare la sfera, indipendente da chi quel piede lo controlla. È un piede che ci sa fare.

Cambia il calcio, cambiano i gusti, cambiano le fisse, i feticismi e il linguaggio che li descrive.

E così negli ultimi anni, ma soprattutto negli ultimi mesi, è tutto un invocare “giocatori di gamba”. Il feticismo è dunque risalito nel corpo umano, passando dai piedi alle gambe. L’espressione fa parte del vocabolario morto del calcio, che raccoglie i termini gergali che provano a catturare le nostre impressioni davanti alla partita. Termini che ripetiamo abbastanza spesso da scollarli progressivamente dal loro significato originario, barchette di parole alla deriva. Vagano sulle nostre bocche, e su quelle degli allenatori, impalpabili e ormai capaci di esprimere un senso solo vago.

L’espressione è stata menzionata da Alessandro Bonan in una puntata di qualche tempo fa su “Calciomercato l’originale”, quando il conduttore si è messo alla lavagna per segnalare tutti i vocaboli della lingua morta del calcio. Un’iniziativa segnalata anche da Aldo Grasso in un articolo del Corriere della Sera. “Di gamba”, “I quinti”, “Touche”, “A rimorchio”. Espressione figurative usate come se fossero letterali. Dalla lista si capisce che Bonan guarda pochi highlights ufficiali della Lega, con tutti quei palloni “shiftati” e “srotolati”.

Chi è particolarmente sensibile a questi usi si copre le orecchie come quando le unghie graffiano la lavagna. Sono usi polverosi che rendono la lingua un po’ più opaca, meno precisa, e quindi meno utile. Questi usi però hanno il pregio di rivelarci le idiosincrasie che nascondono. In particolare, in questo caso, una fissa per i giocatori “di gamba”.

Chi usa l’espressione “di gamba” di solito non spiega nemmeno a cosa si riferisce, come se fosse immediato per tutti. Come se questo tipo di linguaggio fosse l’aria che respiriamo, l’acqua in cui nuotiamo da appassionati di calcio. Ma cosa significa giocatore “di gamba”?

Si intende un giocatore dinamico, un giocatore che corre parecchio e ad alta intensità. Un giocatore che pressa in avanti, duro nei duelli, forte delle aggressioni e nelle riaggressioni. Un giocatore le cui gambe “frullano”, “mulinano”, quasi sono incontenibili. Un giocatore che schizza addosso agli avversari e al pallone. Un giocatore con la gamba “frizzante”. Un giocatore che copre il campo come un’effervescenza. Un giocatore che scoppia di salute - da non confondere però con l’espressione “il polmone”, che si riferisce a un giocatore generoso e dalla grande resistenza, ma che va sempre allo stesso ritmo.

Un altro modo per definire un “giocatore di gamba” è un “giocatore di passo”, che però non si usa quasi più, sostituito dal più deciso “giocatore col cambio di passo”. Il contrario è un giocatore “monopasso”, cioè un giocatore incantato su una marcia sola, che sa andare a una sola velocità. I giocatori oggi devono mordere, strappare, divorarsi il campo all’improvviso («I calciatori devono mangiarsi l’erba» si dice). Il giocatore di gamba, in genere, è paragonato a un trattore. Un’immagine non così precisa, se non che il trattore, appunto, si mangia l’erba. «El Tractor» Javier Zanetti aveva delle gambe così grosse e potenti che sembravano andare da sole; lo facevano muovere come se avesse montato da qualche parte un piccolo motorino elettrico. E in effetti del giocatore si gamba si dice anche che ha “un bel motore”.

A maggio Daniele De Rossi, allenatore della Roma, aveva chiarito che alla sua squadra servivano giocatori “di gamba”; un mese prima, dopo aver perso contro il Bayer Leverkusen, si era giustificato “hanno una gamba diversa”. Come avrete notato, “gamba” è sempre al singolare, come “l’orecchio” del musicista o “la mano” del chirurgo.

Un mese dopo Luciano Spalletti, ct della Nazionale, aveva commentato la tremenda sconfitta contro la Spagna dicendo che c’è stata una “differenza di gambe”, e anche “se non hai la stessa gamba degli altri le scelte non le puoi fare con gli stessi tempi di reazione”.

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Sembra esserci qualcosa di ineluttabile in queste gambe. Puoi provare a inventarti di tutto: avere la tattica migliore, giocatori più tecnici e talentuosi, ma se non hai gamba è tutto inutile. Dopo qualche giro argomentativo, con lo sguardo assente e dandosi ritmo con i clic della penna, Spalletti conclude: «Alla base si è evidenziato questo: che loro avevano una gamba, al di là delle qualità tecniche… i tempi di reazione in generale sono stati differenti». Il giornalista vuole vederci chiaro, come se la spiega, il mister, questa differenza di “freschezza di gamba”? Perché hanno tutti le gambe fresche tranne i nostri? Mangiamo troppo pesante, forse? Abbiamo questa dieta che ci fa campare a lungo ma non ci fa andare forte in campo?

«Non abbiamo recuperato la condizione», risponde Spalletti. È una questione quindi di riposo, contingente. Dopo l’eliminazione contro la Svizzera, però, il problema diventa ontologico: «Hanno dimostrato di avere più gamba», «Abbiamo sofferto qualche individualità come gamba». La gamba, insomma, non la alleni: ce l’hai o non ce l’hai.

Dello stesso parere è De Rossi, che qualche giorno fa ha detto: «Un giocatore con grande fisicità può insegnare a pensare di più quando ha la palla. A un giocatore come ero io, non puoi insegnare ad andare velocissimo nel breve e velocissimo in tutte le parti del campo». De Rossi, quindi, ribalta uno degli assunti più noti del calcio, e cioè che la tecnica non si insegna mentre il lato atletico è allenabile. De Rossi dice il contrario. Del resto con la gamba frizzante si nasce.

Per Spalletti, una volta che c’è questa differenza di gamba, di che vogliamo parlare?

«Se il ritmo è questo qui diventa difficile parlare di altro. Nella partita precedente avevo detto che probabilmente non li avevo fatti recuperare e portare freschezza. Stavolta l’ho fatto ma poi nella intensità è stata la stessa partita e siamo stati sotto livello rispetto all’avversario». È il commento arrivato sempre dopo la brutta eliminazione con la Svizzera. Questo linguaggio riduce un po’ brutalmente i calciatori a un pezzo del loro corpo, come si fa con l’arte della macellazione animale.

Massimiliano Allegri, in effetti, li paragona direttamente ai cavalli: «Devi andare a vedere i cavalli al mattino e guardare come muovono le gambe. È la stessa cosa con i giocatori. Vai a vedere i giocatori e guardi come muovono le gambe, solo così che scopri se sono in buona forma o meno». Quando un giocatore sta meglio «Ha una gamba diversa» dice Allegri. È sinceramente bello immaginare questi allenatori con le braccia dietro la schiena a fissare le gambe dei giocatori.

Giocatori che sgambettano dentro i pantaloncini, sul prato, e cercano di leggerle come aruspici con le interiora animali, e viene in mente quel film di Truffaut - L’uomo che amava le donne - in cui il protagonista è ossessionato dalle gambe femminili. La camera del regista segue queste gambe freneticamente, si sposta da un paio di gambe all’altro, assecondando un desiderio che non si può veramente saziare.

Quando si invocano “giocatori di gamba” la premessa è sempre che “il calcio è cambiato” o che “il calcio non è più quello di una volta”. Allora, presumiamo, prima questa gamba non serviva o serviva meno. Adesso è tutto un calcio “di gamba”. Forse per la crescente importanza delle fasi di pressing e gegenpressing nel calcio, che a loro volta si trascinano tutto un dizionario volitivo: “andarli a prendere”, “mangiarseli”, “aggredirli”, “saltargli addosso”. Oggi tutte le squadre vogliono dominare, e vogliono farlo a partire dal pressing e dal gegenpressing. Bisogna avere giocatori con certe caratteristiche, giocatori con una certa “gamba”. Ralf Rangnick, grande maestro del calcio tedesco, non ha mai messo sotto contratto giocatori con età superiore ai 24 anni: per lo stile di gioco che vuole per le proprie squadre servono gambe giovani. In Italia, dove storicamente si è giocato un calcio lento e cerebrale, l’intensità del Genoa e dell’Atalanta di Gasperini sono state rivoluzionarie.

Di Gasperini si dice che vuole: «Atleti fortissimi, giocatori di gamba». In effetti se il Gasp perde, poi spiega: «La gamba non è stata quella giusta»; se vince allora è perché la squadra: «Ha cuore e gamba»; se un giocatore gli piace dice che: «Ha gamba, viaggia». È proprio Gasperini, però, ad ammonirci sui rischi del ridurre tutto alla gamba: «Se la testa funziona male, le gambe vanno anche peggio».

Insomma, per fare un certo tipo di gioco, intenso e ad alti ritmi, serve molta gamba. Allora chiedono a De Rossi, allenatore ambizioso, se il calciomercato gli ha portato in dote il quantitativo di gamba desiderata. Quanta gamba ha aggiunto la Roma? «Parecchia» rassicura De Rossi, ma la gamba non è mai abbastanza: «Con Danso ne avremmo avuta di più».

De Rossi spiega anche che è una questione di complementarietà: ci vogliono giocatori “di piedi” e giocatori “di gamba”, lo yin e lo yang.

Ad ogni modo, è un fatto di caratteristiche: in Italia non nascono giocatori “di gamba”. «Non abbiamo tanti calciatori che hanno qualità di corsa» si lamenta Spalletti. Si ritorna alla grande teoria etnica elaborata da Brera: gli italiani sono piccoli, storpi e mal nutriti, non possono competere a livello atletico col resto dei popoli. «Purtroppo non è che i mediterranei vadano famosi per le loro qualità muscolari e propriamente atletiche. Sono di antica intelligenza e prontissima intuizione. Chi vuol indurre sull’avvenire del nostro calcio, può farlo rischiando poco». Il catenaccio, la mentalità difensiva, insomma, come conseguenza inevitabile dell’inferiorità atletica degli italiani, della loro assenza “di gamba”.

Allora scorriamo le convocazioni recenti di Spalletti e ci chiediamo quanti di questi giocatori abbiano gamba o no. Riusciremo un giorno ad avere gamba come tutte le altre nazionali? Forse il problema è il contrario di quello che diceva Bonucci, e cioè che mangiamo troppa pastasciutta? Riusciremo a stare al passo del calcio contemporaneo con questa dieta? Cosa mangiano gli svizzeri che noi non mangiamo? Dobbiamo sostituire l’olio col burro e tradire noi stessi?

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Allora potremmo parafrasare il protagonista de L'uomo che amava le donne e adattare una sua famosa citazione al mondo del calcio: «Le gambe dei calciatori sono come dei compassi che misurano il terreno da gioco in tutti i sensi, dandogli il suo equilibrio e la capacità di andarli a prendere alti».

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