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I giocatori più creativi del 2021
30 dic 2021
I 10 calciatori che hanno creato più occasioni da gol nei cinque principali campionati europei.
(articolo)
19 min
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Il momento della creazione, nel calcio così come in qualsiasi altro ambito, è vera e propria magia. Se avete visto Get Back di Peter Jackson saprete che in questa frase c'è poca allusione, la creazione sembra davvero un processo magico. Come descrivere altrimenti Paul McCartney che sembra quasi evocare “Get Back” da un semplice giro di chitarra, modellarlo con la voce come un pezzo d’argilla informe, catturarlo con il suo strumento come se la canzone fosse sospesa nell’aria e lui non dovesse fare altro che indovinare la giusta combinazione di suoni e parole per farla apparire? Questa incredibile scena di Get Back non è troppo diversa dal momento della creazione in una qualunque partita di calcio, dove un ammasso apparentemente informe di passaggi, errori e tentativi a un certo punto produce un’occasione da gol attraverso l’intervento ispirato di qualcuno.

Certo, l’evoluzione della tattica e l’attenzione al gioco collettivo ha cercato di standardizzare la produzione di questi momenti (proprio come nella musica), e non bisogna sottovalutare l’importanza delle condizioni tattiche necessarie alla creazione di un’occasione da gol, che però in fondo rimane la rottura del rumore bianco su cui si regge una partita per la quasi totalità del tempo. Forse è per questo che ha un effetto così potente su di noi. Così come guardiamo ipnotizzati Paul McCartney cercare la parola o il suono che gli permetterà di evocare “Get Back” come Gandalf che prova ad aprire le porte di Durin, allo stesso modo veniamo rapiti dal momento della creazione su un campo da calcio: quando un’occasione da gol viene creata interrompiamo quello che stiamo facendo o dicendo, ci alziamo senza accorgercene per guardare meglio, focalizziamo tutta la nostra concentrazione nel momento presente. Se non è magia questa allora cos’è la magia?

Mai come in questi ultimi due anni abbiamo avuto bisogno di questi momenti magici. Non solo perché con gli stadi chiusi e gli spalti ancora semivuoti l’unica creatività concessa era quella dentro il rettangolo di gioco, ma anche perché nella difficoltà della pandemia ci siamo aggrappati a questi momenti con ancora più disperazione del solito. E quindi eccoveli i giocatori più creativi dell’anno che sta per chiudersi, o forse dovrei dire i migliori maghi. Per selezionarli mi sono fatto aiutare dai numeri restringendo la ricerca ai giocatori dei cinque principali campionati europei che, nelle rispettive leghe (escluse quindi coppe nazionali ed europee, e le competizioni per Nazionali), secondo i dati di Alfredo Giacobbe hanno totalizzato almeno 12 assist, almeno 100 passaggi chiave e almeno 15 Expected Assist. I dieci giocatori che rispettano queste tre condizioni sono esattamente dieci, e saranno classificati in base proprio al numero di Expected Assist, che al contrario dell’assist misura la capacità di mettere nelle condizioni un giocatore di segnare al di là dell’effettivo talento realizzativo di quest’ultimo, e al contrario del passaggio chiave riesce a quantificare la pericolosità del tiro creato. Alla fine troverete anche una sorpresa (o non si annunciano, le sorprese?) perché alla fine insomma è pur sempre il periodo di Natale.

10. Hakan Calhanoglu (16 assist, 144 passaggi chiave, 15.01 xA)

Calhanoglu è forse il calciatore della Serie A di cui si è discusso di più quest’anno. Calhanoglu che al Milan viene sottilmente criticato per non riuscire ad alzare il proprio livello nei big match; Calhanoglu di cui viene messo continuamente in discussione il reale valore, che finisce in scadenza e passa dal Milan all’Inter, che segna al derby con la sua nuova maglia mostrando al pubblico le orecchie e la totale assenza di rimpianti; Calhanoglu, soprattutto, che in nerazzurro si scrolla di dosso l’etichetta di giocatore verticale e meccanico che si portava dietro dal Bayer Leverkusen quando Emanuele Atturo parlava di “fascino della creatività iper-disciplinata”; Calhanoglu che all’Inter inizia a diventare quel regista d'attacco che forse in molti si aspettavano al suo arrivo in Italia, ormai quattro anni fa. Calhanoglu che, in definitiva, trova la sua definitiva consacrazione, affermandosi come il giocatore offensivo più influente del campionato.

Nell’arco di un anno Calhanoglu ha cambiato completamente la percezione che di lui c’era in Italia, pur mantenendo caratteristiche estremamente peculiari. Non so in quanti ricordano che al Bayer il trequartista turco era uno specialista dei calci di punizione diretti, anche da distanze estreme - qualità che non ha perso del tutto, e che anzi col tempo ha come raffinato in un talento unico nel servire un compagno in area su palla inattiva. Calhanoglu vive la condizione abbastanza paradossale di essere in questa stagione il secondo giocatore della Serie A per Expected Assist (dietro Malinovskiy) ma di non essere nemmeno il primo dell’Inter per Expected Assist in open-play (davanti a lui, a notevole distanza, c’è Nicolò Barella). I suoi passaggi chiave sono una lunga lista di calci d’angolo e punizioni indirette in cui la palla, quando non è calciata in porta direttamente (la Roma ne sa qualcosa), si alza come un falco sopra la traversa per poi scendere in picchiata sulla fronte di un compagno. Nelle sue traiettorie c’è questa violenza: sembra lui a colpire i suoi compagni più che quest’ultimi la palla, come se ad ogni calcio da fermo riflettesse su quale sia lo spigolo migliore della fronte di Skriniar per mandare il pallone in porta. All’Inter, però, Calhanoglu è anche diventato un giocatore più sfumato, complesso; un trequartista a tratti riflessivo che sa dare a volte addirittura la pausa, che si abbassa fino in mediana per agevolare il possesso della sua squadra.

All’avvicinarsi del 2022 forse, più che guardare al futuro, Calhanoglu dovrebbe chiedersi: l’anno scorso sarei stato capace di dare questo filtrante d’esterno dolce come un Ferrero Rocher che, dopo aver tagliato a metà il Torino, passeggia davanti a Lautaro Martinez come un cane fedele?




9. Raphinha (12 assist, 101 passaggi chiave, 15.57 xA)

Tra gli alti e i bassi del Leeds di Bielsa - che ha chiuso lo scorso anno nono a pochi punti da Arsenal e Tottenham, e che attualmente è sedicesimo a un passo dalla zona retrocessione - la notizia più rilevante è rimasta Raphael Dias Belloli, detto Raphinha. Dopo una stagione d’esordio in Premier League da 6 gol e 9 assist che sembrava dover annunciare qualcosa di grande, l’ala brasiliana ha continuato a crescere nonostante i risultati della sua squadra e oggi è accostato a quasi ogni top club europeo che si rispetti.

Raphinha è arrivato in Europa con un percorso inusuale per un giovane talento brasiliano: dopo la crescita giovanile nell’Avaì, squadra attualmente nella Serie B brasiliana, ha saltato a piè pari i grandi club brasiliani per trasferirsi a vent’anni in Portogallo. Lì Vitoria Guimaraes, Sporting Clube e poi, invece del salto definitivo nell’élite, ancora due tappe inaspettate: Rennes e infine Leeds. Forse è stato proprio questo percorso così tortuoso che lo ha portato a essere contaminato da molti campionati diversi a renderlo il giocatore poliedrico che è adesso: Raphinha è un giocatore freddo sotto porta nonostante le richieste tattiche e atletiche di Bielsa, ma anche estremamente creativo, soprattutto quando parte dall’esterno e può accentrarsi palla al piede. Il numero 18 del Leeds sembra aver piegato l’arte illusoria del calcio brasiliano ai ritmi di quello inglese e il suo stile mantiene quel qualcosa di furtivo e sfacciato tipico degli illusionisti verdeoro: quando conduce palla con la punta del sinistro (in maniera simile a come faceva Ronaldinho, a cui è legato da una strana amicizia d’infanzia) non sai mai quando sta per pugnalarti con un filtrante alle tue spalle.

Bielsa gli chiede di farlo soprattutto nel mezzo spazio di destra, oppure di ricevere sull’esterno (anche a sinistra) e di condurre la palla verso l’area per disordinare la difesa avversaria. Con il lento tramonto di Neymar, se siete alla ricerca di nuova luce e amate il calcio per strada brasiliano non potete perdervi l’evoluzione di Raphinha. Uno che per raccontarsi a The Player’s Tribune ha iniziato ricordando le sue partite nei tornei vàrzea, competizioni dilettantistiche brasiliane su campi polverosi in cui ti vengono a minacciare di morte prima dell’inizio della partita nello spogliatoio. Ora dice: «Quando gioco adesso voglio essere fischiato. Voglio la pressione e l’intimidazione». Anche se sotto i piedi ha l’erba verde e non più la ghiaia, il suo gioco non sembra essere cambiato molto.




8. Kevin de Bruyne (12 assist, 106 passaggi chiave, 15.87 xA)

Per de Bruyne il 2021 è stato un anno più duro di quanto non sembri. Prima la sconfitta in finale di Champions, poi l’ennesimo fallimento con il Belgio dell'epoca d’oro: nonostante le decine di vittorie con il City, continua a mancare l’occasione che lo consacrerebbe come il giocatore più importante della sua generazione. Anche la sua corsa sembra ormai appesantita dalle molte delusioni: nonostante abbia ancora trent’anni, de Bruyne sembra già dentro la sua versione lenta e imbolsita da giocatore al tramonto. Eppure, nonostante tutto questo, de Bruyne ancora oggi «ha qualcosa di unico al mondo», come ha detto Guardiola pochi giorni fa, e sa colpire il pallone come nessun altro. Le sue compilation di palle inattive restituiscono lo stesso appagamento estetico dei canestri da tre fatti da dietro la linea di metà campo sul suono della sirena, ma senza la loro estemporaneità da miracolo irripetibile. De Bruyne può ripetere quel tipo di traiettorie su scala industriale facendo assomigliare i palloni a quelli ricostruiti al computer nelle pubblicità coi trick in post-produzione. È per questo senso di inorganico e artificiale che personalmente preferisco i momenti in cui de Bruyne è costretto dal gioco e dalla macchinosità dei suoi movimenti ad accorciare i tempi, trovando soluzioni geniali mentre fatica a coordinarsi. Momenti in cui sembra molto più elegante di quando conduceva il pallone in verticale come un motoscafo che frange le onde a tutta velocità.

Nella partita al Parco dei Principi contro il PSG a settembre, per esempio, colpisce il pallone d’esterno per anticipare l’arrivo di Verratti con lo stesso sforzo apparente di chi sta buttando il pallone in piscina tanto per, trovando Sterling solo ai limiti dell’area piccola con la difesa di Pochettino schierata. Le acrobazie circensi con cui Sterling e Bernardo Silva riescono a non mettere il pallone in porta lo fanno assomigliare ancora di più a un nobile francese del ‘700 che sta lanciando brioche dalla finestra.




7. Dimitri Payet (18 assist, 123 passaggi chiave, 16.08 xA)

Siamo lontani dai picchi del 2016 in cui Payet sembrava un giocatore di PES inserito in una partita reale, ma il trequartista del Marsiglia rimane uno dei giocatori più divertenti da veder giocare in assoluto - tanto più nel contesto pazzo di questa stagione di paura e delirio con Sampaoli in panchina. Per Payet la creatività è uno spettro molto ampio di possibilità: d’esterno, d’interno, su palla inattiva, di prima, dopo una lunga conduzione, alla fine di un lungo dribbling orizzontale, spalle alla porta, fronte alla porta, di petto. Dentro la tavolozza del capitano del Marsiglia si può trovare di tutto: anche un filtrante spalle alla porta di prima di mezza punta a mettere il compagno da solo davanti al portiere.

(Grazie Milik per aver sprecato questa facile occasione permettendoci di rimanere concentrati sull’assist di Payet e ricordandoci dell’importanza dell’arte per l’arte)




6. Lionel Messi (13 assist, 101 passaggi chiave, 16.53 xA)

Il 2021 è stato l’anno in cui per la prima volta abbiamo storicizzato Messi, mettendolo inconsapevolmente nel passato. Con la fine drammatica della sua esperienza a Barcellona - di fatto l’unica squadra di cui gli avevamo visto indossare la maglia - si è creato un prima e un dopo, come se la sua storia fosse finita con il passaggio al PSG. Forse è questo che ci ha fatto mal digerire per la prima volta la vittoria del Pallone d’Oro - avvertito come inattuale o addirittura immeritato - e soprattutto che ci ha fatto dimenticare che giocatore enorme sia Messi ancora oggi. Il fatto che sia in questa classifica e anche piuttosto in alto, nonostante abbia saltato buona parte della seconda metà di stagione (appena 11 partite in campionato con il PSG per un totale di 865 minuti fino ad adesso), ci racconta una minuscola parte di questa grandezza. E cioè che Messi è ancora oggi uno dei più grandi creatori di gioco al mondo, e che questa è solo una parte del suo talento - probabilmente nemmeno la più importante.

I nostalgici annuiranno con il fazzoletto gonfio di lacrime rivendendosi i cross alle spalle della difese avversarie per i tagli esterno-interno di Jordi Alba. Ma la storia di Messi nel frattempo è andata avanti. Prima con la storica vittoria della Copa America: torneo che non a caso ha terminato da miglior assistman. Poi con la maglia del PSG con cui, tra l’indifferenza del nostro snobismo nei confronti della Ligue1, continua a realizzare assist fuori dal mondo come questo:




5. Memphis Depay (14 assist, 130 passaggi chiave, 17.94 xA)

Casualmente o meno, il 2021 del Barcellona ha inghiottito in una nube di decadenza e disperazione qualsiasi cosa. Abbiamo assistito con sgomento prima alle lacrime di Messi poi a quelle di Agüero, al naufragio del progetto della Superlega e alle imbarazzanti difficoltà finanziarie. Tutto questo ha rivestito di una patina sporca anche storie belle come quella di Memphis Depay, arrivato al Barcellona dopo essere diventato una leggenda del Lione in mezzo a una carriera complicata. Credo sia proprio questa patina a farci percepire Depay più in declino di quanto effettivamente non sia, dopo che nel 2021 ha chiuso la sua stagione a Lione con 20 gol e 12 assist, e si è messo in testa della classifica capocannonieri delle qualificazioni europee ai Mondiali (insieme a Kane) raggiungendo Cruyff nella classifica all-time dei marcatori dell’Olanda.

La realtà a Barcellona è quella che è, ma Depay sta giocando come sembra non possa a meno di fare: al centro dell’attacco, con i calzettoni abbassati, da leader tecnico. Dopo l’infortunio al ginocchio alla fine del 2019 il fisico d’altra parte lo ha costretto a trasformare il campo da calcio in uno da calcetto, e questa è la cosa più affascinante di vederlo giocare, persino in un contesto grigio come quello attuale a Barcellona. La lentezza con cui si prende responsabilità sulla trequarti, il modo vintage in cui tiene gli avversari alle spalle e sbircia per vedere il gioco dietro di sé, l’uso manierista e compiaciuto della suola per spostare il pallone. Forse è per questo motivo che le cose migliori gliele si vede fare in area - il suo personale campo da futsal - dove potrebbe giocare con le All-Star e i pantaloni lunghi della tuta.




4. Trent Alexander-Arnold (15 assist, 128 passaggi chiave, 19.50 xA)

Quante occasioni da gol si possono cavare da una singola azione? Inserendosi nel mezzo spazio di destra partendo dalla difesa e crossando tra difesa e portiere ogni volta con lo stesso identico punto dell’interno destro, Trent Alexander-Arnold sembra urlarci: infinite. Come un maestro di calligrafia giapponese, il terzino del Liverpool sta esplorando tutte le sfumature della creatività umana attraverso la ripetizione di un unico gesto: il cross d’interno destro tra difesa e portiere per l’appunto. Certo, ci sono a volte delle minime variazioni: il cross basso dal lato esterno dell’area di rigore, il filtrante d’interno destro di prima al limite dell’area, il cross basso diagonale dal mezzo spazio di destra. Insomma, avete capito: rassegnatevi al fatto che Alexander-Arnold ha trovato il glitch nel matrix di questo sport. Mentre lui continua a accumulare passaggi chiave su passaggi chiave vi dovrete accontentare della skin da trequartista nostalgico che si è comprato qualche mese fa, con i calzettoni abbassati, la maglietta fuori dai pantaloncini e i capelli spettinati. O se preferite dei rari momenti di libertà che si concede.




3. Bruno Fernandes (15 assist, 140 passaggi chiave, 19.69 xA)

Le molte vicende che continuano ad uscire periodicamente da quella nebulosa impazzita chiamata Manchester United - la fine dell’era Solskjaer, il ritorno di CR7, l’arrivo di Ragnick - non permettono di parlare a sufficienza dell’incredibile evoluzione di Bruno Fernandes, un mostro bulimico di statistiche aliene nel corpo di un bambino che ha smesso di crescere troppo presto. Il trequartista portoghese ha chiuso la scorsa stagione con 24 gol e 15 assist in tutte le competizioni (!), in questa siamo già a 5 gol e 9 assist. La sua influenza è necessariamente diminuita con l’arrivo di Cristiano Ronaldo - il campo è troppo piccolo per due buchi neri - ma Bruno Fernandes rimane ancora oggi un trequartista unico, che conosce come nessun altro gli angoli bui del caos trovando l’oro nei luoghi e nei momenti più inaspettati come un rabdomante. Bruno Fernandes sembra voler cercare la verità nell’assurdo, trovando i compagni alla fine di traiettorie impazzite, di colpi solo apparentemente casuali, fatti con parti del piede che non avevamo mai visto utilizzare in questo modo. Persino nell’umiliante sconfitta per 0-5 contro il Liverpool, per esempio, lo vediamo far schizzare in alto un passaggio a mezza altezza molto potente di Shaw con il piatto, che ricade in area esattamente sul piede di Rashford.

Quanta conoscenza - del pallone, del calcio, dei movimenti dei compagni e degli avversari - ci vuole anche solo per pensare un filtrante simile? E quanto spregio della convenzionalità serve per realizzarlo proprio in questo modo?




2. Filip Kostic (20 assist, 131 passaggi chiave, 20.60 xA)

Kostic è di sicuro il nome più sorprendente di questa lista: un’ala sinistra dell’Eintracht Francoforte di quasi 30 anni con numeri da primo della classe, che in Italia associamo all’assurdo naufragio della trattativa che poco tempo fa avrebbe dovuto portarlo alla Lazio l’estate scorsa (per chi non si ricordasse: secondo il suo agente l’Eintracht diede volontariamente un’email sbagliata alla Lazio per dirgli che non era arrivata nessuna offerta, l’Eintracht rispose che invece era stata la Lazio a sbagliare l’indirizzo email a cui mandare l’offerta dimenticandosi la K di “Frankfurt”). Dopo un litigio che sembrava insanabile, Kostic, che ancora interessa molto alla Serie A (gli ultimi rumor lo vogliono vicino all’Inter), è rimasto all’Eintracht, dove continua a scendere sulla fascia sinistra e a trovare con i suoi cross l’ago nel pagliaio. La sua interpretazione del calcio, come avrete capito, non è molto moderna ma proprio per questo, inserita nel gioco attuale, risulta affascinante: spesso sembra che Kostic voglia infilarsi in un vicolo cieco da solo, come se per affinare la sensibilità del suo sinistro avesse bisogno del maggiore grado di scomodità possibile. Guardare i suoi cross uno dietro l’altro non è consigliato ai claustrofobici: pensate a Houdini che si lega con le catene dentro una scatola, viene gettato in mare, e dopo pochi minuti ne esce calciando un pallone esattamente sulla testa di quell’avversario in area che proprio non avevate visto.

Il 2021, nonostante le turbolenze di mercato, è stato fortunato per Kostic. Non solo per l’ottimo quinto posto ottenuto dall’Eintracht la scorsa stagione (nient’affatto estemporaneo, dato che i buoni risultati sono continuati anche in questa stagione), ma anche la qualificazione diretta a Qatar 2022 con la Serbia dopo la clamorosa vittoria contro il Portogallo a Lisbona. Chissà, forse l’anno prossimo sentiremo parlare un po’ di più di Filip Kostic.




1. Thomas Muller (31 assist, 148 passaggi chiave, 23.88 xA)

Cosa avreste risposto se qualcuno vi avesse detto cinque anni fa che Thomas Muller sarebbe diventato il più grande creatore di gioco del calcio europeo? Probabilmente vi sareste preoccupati di un’Apocalisse imminente, e infatti non sareste andati troppo lontani dalla verità. Muller è esattamente il contrario di cosa ci aspettiamo da un numero 10: è sgraziato, è aggressivo e molti dei suoi assist non sembrano nemmeno dei veri e propri passaggi. Insomma, vi sembra un assist questo?

Come ha scritto Daniele Manusia in un pezzo chiamato Satana Muller: «Le qualità di Thomas Müller sono intangibili, e questo non ci va giù. Lui sembra esserne consapevole, ci gioca anzi, con la certezza degli stregoni che manovrano le forze oscure: è celebre l’intervista del 2011 in cui si è definito da solo un Raumdeuter, cacciatore di spazi, investigatore di spazi, oppure, e forse è la traduzione migliore in assoluto, interpretatore di spazi – come se gli spazi fossero dei sogni, che si affacciano sulla soglia della nostra coscienza e hanno bisogno di qualcuno che gli dia un senso prima che svaniscano: certo, anche messa così non è che si capisce meglio cosa esattamente sappia fare meglio degli altri».




Bonus: Dusan Tadic (28 assist, 203 passaggi chiave, 30.20 xA)

Guardando i numeri di Dusan Tadic si potrebbe dire: ci sono i giocatori creativi, poi c’è Dusan Tadic. Ok, l’Eredivisie non è convenzionalmente considerato uno dei cinque principali campionati europei (e questo è il motivo per cui Tadic è teoricamente fuori da questa classifica come contributo bonus), ed è sicuramente vero che il gioco dell’Ajax possa gonfiare alcuni numeri, ma come si fa ad ignorare un giocatore che nel 2021, contando anche le coppe europee (visto che vi fidate così poco del campionato olandese), ha realizzato 37 - TRENTASETTE - assist?

Pensavamo che il suo splendido canto del cigno fosse arrivato nel 2019 con la sua incredibile esibizione al Bernabeu e invece a quasi tre anni di distanza rieccoci qui. Tadic è vivo e danza insieme a noi: non più da falso nove, dove adesso l’Ajax ha messo un vero nove (il finalizzatore spietato Sebastian Haller), ma da ala sinistra. Certo, la sua influenza sul gioco è diminuita: non vediamo più la manipolazione degli avversari con il corpo, l’uso pornografico della suola. Ma anche questa versione più minimale, come un artista che è arrivato alla sublimazione definitiva della sua estetica, non è da meno: spesso Tadic mette solo una finta di corpo o un ultimo passaggio a complemento del mastodontico gioco dell’Ajax, come se fosse irriconoscibile senza la sua firma. Il trequartista serbo è il tipo di giocatore che ama al punto la creazione del gioco che è ricorrente, nelle sue compilation di assist, vederlo arrivare fino a un passo dal portiere avversario solo per fintare il tiro e passarla al compagno che nel frattempo si è liberato da solo in mezzo all’area. Nel 2021, per lui, sono arrivati però anche piaceri meno fini di questo.

È suo, infatti, l’incipit al momento più importante della storia della Nazionale serba degli ultimi anni. Un cross che plana sull’area del Portogallo come un gabbiano che scruta il mare e trova alla fine della storia la testa di Mitrovic, che manda la Serbia ai Mondiali e il Portogallo all’inferno. Sarà bello continuare ad ammirare Tadic anche fuori dall’Olanda, anche dopo la Champions League dove l’Ajax ha asfaltato la fase a gironi. Perché il calcio, senza giocatori come lui, è uno sport dimenticabile.




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