Non ci saremmo stupiti se avesse lanciato il giavellotto a settanta metri. Se nel momento di massima esaltazione si fosse strappato la polo Armani della Nazionale per correre i 100 metri in meno di 10 secondi. Se l’Italia a Tokyo ci ha ricordato che possiamo essere felici, Giovanni Malagò è stata una delle facce di questa felicità.
Bello come un attore, ubiquo come le divinità (o come i bravi politici), in queste due settimane l’abbiamo visto dappertutto. C’era quando si è trattato di mettere il cappello sui due magnifici ori in pochi minuti di Tamberi e Jacobs, ma anche quando Caterina Marianna Banti e Ruggero Tita difendevano la vittoria meno celebrata della spedizione nelle acque cobalto dell’isola di Enoshima. C’era a Casa Italia per guidare i trenini per Federica Pellegrini o per la foto di rito con il bronzo inaspettato di Abraham Conyedo. Era lui a spingerci a mani nude verso il traguardo - raggiunto - delle 40 medaglie. Lui al telefono con Mario Draghi, come fosse l'amico di sempre («Mario, alla grande, guarda che questa cosa vale più degli Europei eh, questa è planetaria» gli dice mentre cammina lungo la pista di atletica dove pochi minuti prima Jacobs e Tamberi avevano cambiato lo sport italiano); lui a stringere mani, abbracciare atleti; lui a schernire la scherma, esaltare l’atletica. Ancora lui a bacchettare la politica, ricordarci che lo sport deve essere più centrale nella vita del paese, sempre, non solo in questa magica estate italiana.
Porta bandiera in pectore, faccia tosta di due settimane che ci porteremo dietro a lungo. Giovanni Malagò, diventato l’idolo dei social; i capelli bianchi e la pelle abbronzata. Giovanni Malagò croce e delizia, la villa a Sabaudia da condonare e lo ius soli sportivo. Una figura troppo grande, troppo ambigua, troppo tentacolare per essere risolta in due battute. L’hanno chiamato il “grande Gatsby di Roma Nord”, “Megalò” soprannome in quota Dagospia, scavezzacollo, principe di Roma, “Giovannino” per gli amici di sempre; sempre con quel fare dispregiativo che si riserva ai figli di papà, a chi al completo austero ha sempre preferito l'eleganza e le cravatte Marinella. Eppure da quasi 10 anni - dal 2013 - Malagò è il capo dello sport italiano e tanto altro ha fatto nello sport prima. Che si tratti di calcio o di badminton, di organizzare un’Olimpiade a Roma nel 2024 o una partita di calcetto al Circolo Canottieri Aniene è sempre lui che bisogna chiamare.
Se il portamento è ancora da vitellone, il curriculum è da eminenza non tanto grigia.
Chi è Giovanni Malagò
Il padre è stato per anni il vice presidente della Roma, la madre fuggì da Cuba durante la rivoluzione castrista. «Erano molto benestanti. Pensa che seppellirono la fortuna di famiglia nel giardino di casa, presero una tinozza ed espatriarono» ha raccontato. Oggi dice di avere un ottimo rapporto con Antonio Castro-Soto, figlio di Fidel e importante funzionario del baseball cubano.
Nato nel 1959, cresce nella Roma bene, distante da tutte le contestazioni di quegli anni («Io stavo lontano da tutto»). Si forma sui banchi di Economia e Commercio de La Sapienza, dove si laurea con 110 e lode. Nel 1999 il titolo gli verrà annullato per aver comprato tre esami, con l'aiuto di un bidello che falsificava le firme dei docenti. Lui negherà tutto, senza però riuscire a dimostrare la sua innocenza - parole sue - causa prescrizione. Nel 2005 riuscirà a dare i tre esami mancanti e a laurearsi a 46 anni, all’Università di Siena.
Ma la vera formazione di Malagò avviene al Circolo Canottieri Aniene, che frequenta dalla nascita. Qui si innamora dello sport (il suo primo ricordo sportivo è nella piscina del circolo, quando aveva 5 anni) e sempre qui inizia la sua carriera da atleta onnivoro. Tennis, canottaggio, nuoto, non c’è niente in cui Malagò non eccella, ma dove trova il suo posto al sole è nel “calcetto”, come si chiamava all’epoca («si giocava con le Superga, su campi di terra battuta»). Con la maglia del Circolo vince due Coppe Italia nel calcio a 5, a cui poi aggiungerà 3 Scudetti e altre 2 Coppe Italia con un'altra squadra romana, la Roma RCB. Questi successi lo portano addirittura a partecipare, nel 1982, al primo pionieristico Mondiale di calcio a 5 indossando la maglia dell’Italia.
Il “calcetto” una passione abbandonata solo di recente - causa legamenti del ginocchio dice lui - ma che gli ha dato grandi soddisfazioni anche in età avanzata. Qui è decisivo, segnando anche un gol da centrocampo.
Alla carriera da calciatore affianca quella di venditore di auto di lusso nella concessionaria di famiglia, la Samocar (una delle più grandi e prestigiose d’Europa). Dietro i vetri a specchio dell’autosalone di via Pinciana, vista Villa Borghese, conosce Luca Cordero di Montezemolo e Cristiano e Lupo Rattazzi, figli di Susanna Agnelli, che diventano i suoi migliori amici. In questo periodo nasce la leggenda di Malagò principe della mondanità. Casinò, feste, salotti, circoli, non c’è serata esclusiva dove non è possibile incontrarlo. Impeccabile nel vestire, invidiato nella compagnia femminile (Berlusconi una volta vedendolo arrivare disse: «Ecco Malagò, esperto di sport e dell’altra metà del cielo»). Un momento d’oro ben immortalato dal fotografo Umberto Pizzi, braccio armato della Roma Cafonal di Roberto D’Agostino (anche se Malagò non cadrà mai in quella cafonaggine che spesso ammanta la borghesia romana).
È in quelle serate che si crea le infinite amicizie nel giro della politica, della cultura, dell’imprenditoria che gli torneranno utili in futuro. «Un’intelligenza mondana», la chiamerà anni dopo, che lo porta nelle grazie di Gianni Agnelli, che spesso lo chiamava la mattina presto per avere notizie e gossip sulla Roma bene.
Alla vita mondana, nel 1997, inizia ad affiancare una serie di incarichi nello sport sempre più importanti. Il primo è il ruolo di presidente nel “Comitato organizzatore per il Cinquantenario della Ferrari” (marchio con cui ha un rapporto strettissimo). Subito dopo arriva l’elezione più importante, quella a Presidente del Circolo Canottieri Aniene. Adagiato lungo il Tevere (ma abbastanza vicino all’incrocio con l’affluente Aniene, da cui prende il nome) il CC Aniene è un luogo mistico della romanità, un centro sportivo dove - parole di Alberto Statera - si trova la “più formidabile concentrazione di upper class della capitale. Una sorta di stanza di compensazione dei poteri borghesi dei ruoli e della ricchezza, il melting-pot perfetto di commercianti e professionisti, costruttori e alti burocrati, personaggi dello sport, dello spettacolo e imprenditori”.
È quello che una volta veniva chiamato il “generone romano”, che al Circolo di Malagò può rilassarsi, dove ci si dà del tu per statuto («perché nessuno si deve sentire nessuno»), dove - sempre per citare le parole dell’attuale presidente del CONI «è ammesso il cazzeggio più che il business, non siamo una lobby d’affari, ma una lobby dei rapporti umani». Dove però non sono ammesse le donne se non per meriti sportivi (Possono entrare con un uomo, uno dei soci, frequentare il ristorante, la zona sociale), e non conta né colore né schieramento politico. Qui Malagò costruisce la sua fortezza, trasforma il capitale umano di amicizie e frequentazioni in una posizione di potere, ma soprattutto diventa una figura abbastanza importante da far cambiare i regolamenti: per 20 anni di seguito ne è stato il presidente, da tre “Presidente onorario”, ma il Presidente Fabbricini è un suo uomo.
Il Circolo Canottieri Aniene non è solo il luogo dove organizza serate, presentazioni, riunioni, ricevimenti. È anche una società sportiva che Malagò ha portato tra le migliori al mondo. Grazie a lui sono entrati a farne parte atleti con medaglie olimpiche come Josefa Idem e Federica Pellegrini, la sportiva italiana più importante degli ultimi 20 anni e sua grande amica, ma anche molti altri atleti di punta tra canottaggio, nuoto, tennis (20 portati a Tokyo tra Olimpiadi e Paralimpiadi). Ma anche in grado di crescerne: qui si è allenato anche Matteo Berrettini, fresco finalista a Wimbledon.
Gli impegni nello sport
Ma il Circolo Canottieri Aniene è solo l’inizio: nel giro di pochi mesi Malagò diventa Consigliere Delegato FIGC per i 100 anni della Federazione, Responsabile del Comitato d'Onore e delle Relazioni Esterne di Roma 2004 - il primo timido tentativo di portare le Olimpiadi nella Capitale. Tra il 1998 e il 1999 è il Presidente del Comitato Organizzatore degli Internazionali d'Italia di Tennis, dove cerca di rendere la giacca obbligatoria per il Villaggio VIP. Nel 2000/01, con l’ingresso di Toti, diventa il Presidente della Virtus Roma, di cui era già amministratore delegato. A tutti questi incarichi, si aggiunge il lavoro come amministratore delegato nella società di famiglia (con 250 dipendenti), un doppio binario che lo accompagna ancora oggi. I suoi introiti vengono dalle varie imprese, tra quelle familiari e le altre messe in piedi con gli amici, e dai molti ruoli in diversi consigli di amministrazione. I soldi che riceve come stipendio dal CONI sono tutti devoluti in beneficenza. Un'instancabile dedizione al lavoro che pare cozzare con la sua fama da amante della vita notturna. In un’intervista a Repubblica dal titolo Manager salotto & bottega in cui gli si chiede conto della sua già discreta ubiquità, Malagò risponde: «Basta non posso prendere altri impegni. Le uniche cose su cui posso fare davvero qualcosa, le uniche che mi interessino sono: Roma, il lavoro e lo sport».
Eppure il 19 aprile 2001 mette il primo piede dentro al CONI, venendo eletto con 22 voti nella Giunta Esecutiva, in un’elezione non senza colpi di scena. A garantirgli il posto, pare, sia la volontà di Gianni Petrucci, in quel momento a capo dello sport italiano, e soprattutto di Franco Carraro (altra figura intramontabile tra sport e politica). «Questi risultati sono per certi versi sorprendenti, ma dimostrano che non erano elezioni scontate. Ancora una volta ha vinto la democrazia e questo è un bene. Come mi sento? Da un lato contento per il mio risultato, dall'altro mi dispiace per gli amici che non ce l'hanno fatta» è il commento di Malagò, sempre attento agli amici.
Da questa elezione inizia l’inarrestabile scalata di Malagò allo sport italiano. Dal primo giorno mostra una inscalfibile capacità di esserci. Che si tratti di mettere sotto contratto il neo bi-campione olimpico Domenico Fioravanti per il Circolo Canottieri Aniene, oppure di commentare l’uscita dell’Italia dai Mondiali di Giappone e Corea tirando una frecciatina all’arbitro, Malagò c’è sempre. È lui a mettere a disposizione il suo Circolo e a fare da padrone di casa alla presentazione del libro di Mario Pescante, Le antiche Olimpiadi, il grande sport nel mondo classico, sempre lui a essere eletto da Franco Sensi “Cavaliere della Roma” - insieme, tra gli altri, a Massimo D’Alema - per l’assoluta fedeltà mostrata alla maglia.
L’amore per la Roma è uno dei tanti tratti caratteristici di Malagò. Sempre presente nella Tribuna Autorità dell’Olimpico, ha raccontato di aver visto più di 100 derby allo stadio. In un’intervista ebbe modo di dire «Alla Roma penso spesso, non l'ho mai cronometrato, ma come posso ci penso». Recentemente ha detto che per ben due volte gli è stata proposta la presidenza della squadra giallorossa. Negli anni è diventato anche grande amico di Francesco Totti, con cui condivide l’amore per Sabaudia, feudo della borghesia romana sul litorale dove possiede una delle ville più belle e chiacchierate. È su di lui che i fratelli Vanzina, amici di infanzia di Malagò, modellarono il personaggio di Luca Covelli in Vacanze di Natale, elegante, romano e romanista.
Ma è forse l’organizzazione degli eventi sportivi il suo core business. Nel 2005 viene scelto come Presidente del Comitato Organizzatore degli Europei di Pallavolo che si svolgeranno a Roma, ma è solo una tappa. Il grande momento di Malagò arriva sempre nel 2005: c’è lui a capo del comitato promotore che a Montreal batte sul filo di lana Yokohama e si aggiudica i Mondiali di Nuoto del 2009 per la Capitale. È il suo ingresso ufficiale nelle stanze del potere. Malagò che parla con Veltroni, allora amato sindaco di Roma; che discute amabilmente con Gianni Letta, potentissimo sottosegretario del Governo Berlusconi, ma soprattutto grande amico di famiglia; che viene difeso da Alemanno, quando nella Capitale cambia il vento e il colore della poltrona di sindaco
Ma per Roma 2009 le cose non vanno come sperato: Malagò si ritrova impelagato in una tempesta di lavori che vanno a rilento e inchieste della Procura di Roma che si accumulano. I litigi all’interno dell’organizzazione sono all’ordine del giorno. Malagò minaccia dimissioni, prova a surfare sui problemi, respingere le accuse, rimane al suo posto. Alla fine i Mondiali sono un successo sportivo - l’Italia vincerà due ori con la Pellegrini e uno con l’atleta di casa Alessia Filippi (ma questa edizione verrà ricordata soprattutto per l'alto numero di record mondiali fatti registrare grazie ai costumi, ben 43) - ma una lettera scarlatta per quanto riguarda la possibilità di realizzare grandi eventi a Roma. Tra opere finite in ritardo o mai finite si staglia, proprio in senso fisico, la famosa Vela di Calatrava. Doveva essere la copertura di un futuristico stadio del nuoto progettato, è rimasta una cattedrale nel deserto, simbolo della decadenza della città.
Malagò si troverà coinvolto in varie cause, tra cui alcune legate a Aquaniene, progetto costola del suo circolo composto da una polo natatorio che oggi è chiamato Il centro sportivo di Roma Nord. Ne uscirà pulito nel 2012 “perché il fatto non sussiste”. Il suo compito, dirà, era puramente legato alla parte sportiva, lasciando l’organizzazione degli spazi e degli impianti ad altri: «Non ho mai firmato un assegno» è la sua difesa.
Presidente dello sport
Così pulito da riuscire nell’impresa impossibile. Partito come outsider nella sfida contro Raffaele Pagnozzi, uomo di Petrucci, per la poltrona più importante del CONI - come rappresentante del nuovo in contrasto con il vecchio -, il 19 aprile 2013 ottiene 40 voti dalle Federazioni contro i 35 dello sfidante. Alla lettura del 39esimo voto, quello per la matematica vittoria, Malagò attraverserà tutto il lunghissimo corridoio di corsa per andare ad abbracciare le due figlie, perché un altro mantra di Malagò è “la famiglia prima di tutto” (insieme ai cani Labrador, con cui Malagò ha diviso tutta la vita, tanto da tatuarsi per la prima volta a 56 anni il volto del suo cane Mu, appena scomparso).
È il punto di arrivo. Dalla cima del CONI Malagò trova perfetta applicazione alla sua rete di conoscenze, di idee imprenditoriali e sportive. Su tutte però ce n'è una che quasi lo ossessiona: l’Olimpiade a Roma. Dopo aver fatto parte del fallimentare tentativo per Roma 2004 e aver preso diretto in faccia il no di Mario Monti per Roma 2020, una candidatura arrivata proprio nel momento in cui in Italia si affacciava la parola “austerità”, Malagò è il capopopolo della grande onda per Roma 2024, in quella che sembra la volta buona. In un incrocio geopolitico favorevole (la candidatura di piazze poco amate e le cattive condizioni di altre) Roma sembra avere una corsia preferenziale per la vittoria, ma c’è l’ostacolo 5 stelle.
È il settembre del 2016 e Virginia Raggi è stata appena eletta sindaca di Roma. Grillo si era già espresso contro i Giochi a Roma, così come Di Battista, che poi - si scoprirà dopo - aveva chiesto un parere al suo meccanico, ricevendone un niet come risposta. Raggi e Malagò devono incontrarsi nell’ufficio della sindaca alle 14:30, prima di una conferenza stampa fissata per le 15:30. La sindaca però dà buca. Un contrattempo, dirà lei; una diserzione, si scoprirà poi.
È la pietra tombale sul progetto più magnifico di Malagò, quella di portare il meglio che lo sport può offrire nella sua città. Il Presidente del CONI si smarcherà dalla polemica in modo molto malagò («Scuse da parte del sindaco? No, una donna non deve mai chiedere scusa, non c'è problema»), anche se poi confesserà di non aver dormito per giorni.
A ritornare in quei giorni sono i fantasmi del 2009, le piscine nel deserto, le vele vista Grande Raccordo Anulare, una battaglia molto romana e papalina. Una ferita che era sembrata ricucirsi in fretta, mentre il sistema di potere che lo assecondava (il centrosinistra di Renzi, il centrodestra di Berlusconi) veniva travolto da altri problemi così come poi tutto il mondo, ma che si è riaperta in questi giorni, mentre ci riempivamo gli occhi con i Giochi di Tokyo e iniziavamo a guardare con acredine verso Parigi, che li ospiterà nel 2024.
In tutto questo Malagò è rimasto sempre dalla parte giusta. Rieletto per un secondo mandato a furor di popolo, si è fatto in modo di affidargli anche il terzo con uno specifico emendamento chiamato salva-Malagò (che gli garantirà anche un quarto, se vorrà). Negli anni quasi tutti i suoi nemici sono diventati amici. Dopo l’ultima elezione sono arrivati i complimenti della Raggi su Twitter. Petrucci da nemico è diventato amico. Gravina e il calcio, tutti con Malagò. Franco Carraro una volta l’ha descritto come un «fenomeno», come uno di «quei giocatori che alla roulette capiscono il colore sul quale puntare. E passano dal rosso al nero e viceversa. Sempre al momento giusto».
Nel 2018 è stato il commissario straordinario alla Lega Serie A, svolgendo un ruolo importante nella gestione dei diritti TV. Nel 2019 c’era lui a esultare con la delegazione italiana per l’assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2026 a Milano e Cortina, che non saranno quelle estive ma è già qualcosa. C’era lui a gestire lo sport durante la pandemia, mostrando la sua faccia tranquilla in un momento di tempesta che poteva spazzare tutti via. E soprattutto c’era lui a Tokyo, a metterci la faccia.
Malagò, il presidente più vincente di sempre. L’uomo di Tokyo, delle 40 medaglie. Nell’ultimo giorno delle Olimpiadi ha centrato un’altra vittoria, con l’ingresso di Federica Pellegrini nella commissione atleti di CIO. Ha avuto ragione e ora può sparare in alto. La prima richiesta è stata lo ius soli sportivo, una misura che aiuterebbe sicuramente lui e il suo regno, quello dello sport, ma non di certo i diritti di tutti. Vedremo. L’altra sono i Mondiali del 2030, perché c’è sempre qualcosa da fare, un evento da organizzare.
Insomma, che vi piaccia o non vi piaccia, Giovanni Malagò è sempre al momento giusto, al posto giusto, con la camicia giusta. Malagò amico di tutti e, forse per questo, amico anche delle persone giuste. Malagò maestro di vita. Malagò esempio del fare, ma anche del non fare: medaglie d’oro e cene altrettanto d’oro. Generone romano e imprenditorialità sabauda. Giovanni Malagò che può essere tutto oppure niente. Questa volta è stato il volto della nostra felicità, la prossima chissà.