Giovanni Mpetshi Perricard ha 20 anni, un nome difficile da pronunciare e gli occhi perennemente aggrottati. Gli danno l’aria buffa dei personaggi brontoloni dei cartoni animati. Da qualche mese si aggira nel circuito ATP come lo spettro angosciante di un mondo futuro; sono queste le sembianze del cavaliere venuto ad annunciare l’apocalisse del tennis?
Senza girarci troppo attorno, Mpetshi Perricard è alto due metri e zero tre e da quell’altezza, esattamente due volte la rete da tennis, tira servizi terrificanti. Siamo in un’epoca in cui la velocità al servizio è comune e normalizzata, eppure Perricard riesce ad andare un po’ oltre, a scandalizzarci, a farci vedere qualcosa di nuovo. A dimostrarci che sì: si può persino tirare più forte, ancora più forte. Il servizio, già il colpo di gran lunga più importante per un tennista oggi, può diventare ancora più importante. Durante la finale di Basilea contro Ben Shelton, il suo servizio ha avuto una velocità media sulla prima di 222 km/h, e sulla seconda di 210 km/h. Una velocità che mette a dura prova i tempi di reazione visivi degli esseri umani, che sono costretti a rispondere in meno di un secondo (almeno secondo una stima fatta a spanne dal New York Times). Teniamo conto che la velocità della prima di servizio di Sinner, il numero uno al mondo, durante gli US Open è stata inferiore a quella della seconda di Mpetshi Perricard.
A inizio anno il suo obiettivo era entrare nei primi cento giocatori al mondo. Lo ha raggiunto a maggio. Un altro obiettivo era vincere un torneo ATP, e ci è riuscito a Lione e poi qualche giorno fa, a Basilea. Ora è entrato nei primi trenta giocatori al mondo e ci si chiede dove sono, veramente, i suoi limiti. Anche dopo la sua sconfitta in tre set a Parigi-Bercy contro Khachanov, arrivata anche per la disabitudine a giocare troppe partite di fila.
Nel 2024 ha uno score di 5-2 contro tennisti top-20. Allo stesso tempo può perdere anche contro tennisti modesti, o teoricamente alla portata. Dopo il piccolo exploit a Wimbledon, dove entrando da Lucky Loser ha raggiunto gli ottavi e dove si è portato a caso un paio di scalpi interessanti, ha vinto solo due partite fino a Basilea. Nel torneo svizzero ha poi battuto Auger-Aliassime, Shelton e Rune. Questa impredicibilità è legata alla sua giovinezza, ma anche a una certa imprevedibilità delle sue partite. Le sue partite creano degli strani paradossi di punteggio. A Wimbledon Musetti è riuscito a batterlo giocando due tiebreak finiti a nove. È stato il secondo maggior numero di punti giocati nei tiebreak in una partita. Portare strutturalmente le partite verso quelle fasi, dove i match diventano una cosa un po’ diversa, rende i suoi risultati piuttosto imprevedibili.
Queste stranezze, queste pieghe strane che prendono le partite con lui in campo, sono chiaramente legate al servizio. Mpetshi Perricard è il mostro finale dei serve-bot, la stirpe di giocatori che trasformano le partite in una sterminata sequenza di servizi vincenti, risposte a rete e un ritmo balbettante. Partite in cui è impossibile vedere un break, che si trascinano stancamente al tiebreak, dove poi diventa un gioco di nervi e dettagli. Un serve-bot, a sintetizzare, è un giocatore che fa molto affidamento sul servizio nelle sue partite. Ma non è solo questo, altrimenti anche Federer, per dire, o Sampras, potrebbero essere definiti dei serve-bot. Invece è un termine dispregiativo, che si usa con risentimento, per indicare soprattutto qualcuno che presenta una notevole sproporzione tra l’efficacia del proprio servizio e il resto del gioco.
Nel disprezzo per i serve-bot, c’è l’idea, più o meno implicita, che il servizio sia un colpo leggermente separato dal resto del gioco. Si esegue da fermi, hai la possibilità di ripeterlo e offre vantaggi più grandi di ogni singolo colpo. Si può costruire una carriera di alto livello su un grande servizio, ma non si può fare altrettanto su un grande dritto o un grande rovescio. Per questo chi critica i serve-bot parla di loro come se barassero, come se usassero un trucco. Naturalmente è un pensiero assurdo: Mpetshi Perricard gioca cercando di massimizzare i propri punti di forza, come fanno tutti i giocatori del circuito. D’altra parte non si può negare che questo tipo di tennisti crea un contesto di partita completamente diverso. Non è vero che, come diceva Federer parlando di Karlovic, «non è nemmeno tennis», ma è vero che ci mostrano una versione estremizzata di questo sport.
I numeri dimostrano chiaramente quanto è radicale il gioco di Mpetshi Perricard. Nelle ultime 52 settimane ha servito una media di 18,6 ace per partita; il secondo in classifica, Hubert Hurkacz, ha una media di 13,8. Il 43% dei suoi servizi non ha risposta. Per contestualizzare, Hurkacz ha il 36%, Shelton ha il 35%, Zverev il 31%. Insomma, è una differenza grande, rispetto ai migliori, se non guardiamo solo gli ace. Secondo una metrica avanzata di Jeff Sackman, Mpetshi Perricard vince il 50,8% dei punti grazie al servizio. È una percentuale spaventosa, che lo pone a metà tra i big server attuali (Hurkacz vince il 42% grazie al servizio) e il golem Ivo Karlovic (54%), ma comunque più vicino al croato che agli altri. Bisogna però soprattutto parlare della sua seconda palla, che è ciò che rende Mpetshi Perricard un incubo del circuito ATP. «È come se servisse due prime palle» ha detto Ben Shelton, ed è letteralmente così, visto che la sua seconda corre più veloce della prima di servizio non di molti, ma di quasi tutti i giocatori del circuito.
Tenete presente questo dato, che personalmente è quello che mi spaventa di più: il 30,5% delle seconde palle di Mpetshi Perricard non ritorna in campo. È praticamente la stessa percentuale che un fenomeno del servizio come Alexander Zverev ha sulla prima palla.
Il servizio di Perricard è devastante grazie anche al vantaggio della sua altezza. Abbiamo detto che serve da due metri e zero tre, ma non è corretto. In estensione il braccio di Perricard unito alla sua racchetta, e contando un lieve solamente da terra, si distende per circa un altro metro. Allora siamo ben oltre i tre metri d’altezza, forse ci avviciniamo anche ai tre metri e mezzo. Praticamente l’altezza di un primo piano di un palazzo.
Servire da quella cima permette, per una banale questione geometrica, di colpire più facilmente gli angoli corti del campo. È come se Perricard potesse colpire una porzione di campo più grande. Per lui è più facile mettere prime in campo, e anche servire ace, visto che gli angoli corti ed esterni possono rimbalzare più rapidamente fuori dal campo. Ovviamente non basta essere così alti, il servizio è comunque il colpo tecnicamente più complesso di tutto il tennis. Perricard ha anche una meccanica eccezionale, una grande compostezza nell’organizzare questi due metri. Nella fase di caricamento riesce a portare il busto molto molto all’indietro, per preparare una frustata violenta e molto rapida. È un servizio esplosivo e strappato. Uno dei singoli colpi più devastanti del circuito, «Il miglior servizio del circuito» lo ha definito Alcaraz.
A 21 anni l’impressione è che possa persino migliorare, o quanto meno diventare più costante, ingrossando le statistiche citate sopra. A Wimbledon, dove il suo braccio era caldo, ha servito 105 ace nei primi tre turni. Centocinque. È rimasto in cima alla classifica degli ace nonostante l’eliminazione agli ottavi di finale. Nei tornei in cui è in forma è praticamente impossibile da breakkare. Nel circuito nessuno, a parte Sinner, ha vinto la sua percentuale di punti al servizio. Nella sua ultima partita giocata, a Parigi-Bercy, ha stilato un capolavoro programmatico nel primo set contro Khachanov. Ha ottenuto il primo set pur avendo vinto appena due punti in risposta; 2/37 dimostra un livello di efficienza ed economia delle risorse miracolosa. Del resto a Parigi è arrivato a quasi cento turni di servizio tenuti consecutivamente.
Per questo le partite di Mpetshi Perricard diventano qualcosa di difficile da decifrare. Si trascinano apatiche verso il tiebreak e finiscono per decidersi su dettagli davvero piccoli e pochissimi punti. I giocatori avversari sono costretti a giocare su un territorio mentale quasi impossibile. In risposta devono rimanere pazienti e concentrati. Devono sperare che si apra una crepa, anche una piccolissima crepa, nella performance al servizio di Mpetshi Perricard, e farsi trovare pronti. Devono però anche capire quando vale la pena investire le proprie energie mentali e quando invece risparmiarle. Non possono permettersi di farsi strappare il servizio, altrimenti la partita gli scivolerà velocemente via dalle mani. Mpetshi Perricard lo sa e cerca di mettere pressione quando è in risposta. Gioca un tennis praticamente all in, senza intermezzi e senza alcuna manovra da fondo. Appena ha la possibilità, cerca un vincente. La partita prende un ritmo rapsodico e strano, sonnolento ma anche scostante. Il tennis sembra lo stesso, ma anche qualcosa di leggermente diverso dal solito. Mpetshi Perricard si presenta a rete con un’urgenza strana per le nostre abitudini; vuole tagliare corto: se può vincere il punto bene, sennò si pensa al punto successivo. Non ha bisogno di pensare in modo troppo strategico, e questo gli permette di risparmiare molte energie mentali e di giocare seguendo uno strano flow, libero e al contempo rigido e blindato attorno ai suoi turni al servizio. Gioca in modo istintivo, ma è un istinto molto ragionato. Mpetshi Perricard è uno che studia. Ha guardato molti video di John Isner e Ivo Karlovic; sta cercando di capire come giocare come loro, ma anche come superare i loro difetti.
La cosa strana del suo gioco, ciò che lo rende davvero bizzarro, è che per quanto abbia le sembianze di un mostro proveniente dal futuro, Perricard ha un’impostazione di colpi, come dire, molto classica. Il suo allenatore, Emmanuel Planque, si è definito «Un allenatore vecchio stile». Mpetshi Perricard tira il rovescio a una mano, cioè il colpo che più facilmente associamo a un giocatore stiloso e inefficace. Il suo rovescio fa tranquillamente a meno di tutta la parte estetica: non è arioso, barocco e non restituisce nessuna vibrazione della scherma. Mpetshi Perricard lo tira piatto, bloccato, cercando più che altro di sparare un vincente. Gioca il rovescio a una mano per una questione di efficienza: gli permette di essere più offensivo. Quando deve attaccare, come dire, non è male. Sembra cercare un impatto casuale per mandare la palla forte da qualche parte. Talvolta funziona. Quando è attaccato da quel lato fa abbastanza pena vederlo annaspare. Come potete immaginare non è un colpo al livello della sua classifica, probabilmente non è un colpo adeguato. Ma la sua importanza è relativa, Mpetshi Perricard può fare tranquillamente a meno di questo colpo. Col dominio che gli assicura il servizio, e una mobilità tutto sommato buona, riesce a giocare il suo rovescio pochissime volte. Sackman ha contato 28 rovesci non in back giocati nella finale di Basilea. È come se questo colpo non esistesse, in pratica. I suoi avversari sanno chiaramente delle sue difficoltà da quel lato, eppure lo sappiamo: riuscire davvero a sfruttare quella vulnerabilità, scavando nel muro eretto dal servizio, non è facile.
Non solo Mpetshi Perricard allora restringe la fisionomia delle partite a pochissimi punti, ma anche a pochissimi colpi. È un tennis asciugato verso uno spettro di possibilità minimale.
Quando gli chiedono di descrivere il suo stile di gioco va dritto al punto: «Voglio essere aggressivo». Dal lato del dritto gioca più o meno allo stesso modo. Se ha una palla buona attacca, e se non ha una palla buona, attacca lo stesso. La sua aggressività estrema, persino scellerata, ha senso per lui. Gli permette di nascondere le sue debolezze. Sul dritto, però, riesce a essere anche efficace e a trovare vincenti inattesi terribilmente violenti. Rispetto a gente come Isner, Opelka o Karlovic, è innegabile che Mpetshi Perricard si muova meglio; è più leggero, più rapido nel gioco di piedi. Cosa più importante: sembra leggere bene il gioco e le traiettorie.
Come per far cadere tutte le categorie pre-concette del tennis, Mpetshi Perricard non solo gioca il rovescio a una mano, ma scende anche tanto a rete. Almeno per gli standard del 2024. Nessuno va a rete con la sua frequenza nel circuito, e lo fa con un tasso di vittoria del punto piuttosto basso. Anche in questo caso, non importa: l’importante è provarci, e comunque mettere pressione. Anche quando perde il punto, lo stile aggressivo di Mpetshi Perricard mette ansia ai suoi avversari, gli toglie tempo, ritmo e coordinate.
Grafico di agosto tratto da R/Tennis.
C’è una dichiarazione di Mpetshi Perricard a Le Monde che mi ha messo i brividi: «Quando colpisco voglio infliggere dolore». Una dichiarazione da vero villain, che sicuramente non piacerà a chi vede nel tennis un’arte del bel gesto, dove la violenza deve essere sempre sublimata. In Mpetshi Perricard, invece, è sempre pornograficamente evidente. Più che a Ivo Karlovic, il suo stile di gioco ricorda quello dei bombardieri dei campi veloci degli anni ’90. Quelle creature nate da una deviazione evolutiva malata di Boris Becker. In particolare Mpetshi Perricard ricorda il tennis brutale e ansiogeno di Richard Krajicek, di cui David Foster Wallace aveva offerto questa descrizione: «Si lancia verso la rete come se questa gli dovesse dei soldi, e in generale gioca come una gru impazzita».
Hanno chiesto a Daniil Medvedev se Mpetshi Perricard può diventare un top-10 o vincere uno Slam. Sulla classifica è stato ottimista, mentre sullo Slam ha avanzato un ragionevole dubbio: «A Basilea è andato tre volte al terzo set, e fare troppi quinti set negli Slam sarebbe complicato per lui». Il suo gioco, in effetti, si gioca su margini stretti anche per lui. Ha bisogno di giocare molto bene i punti decisivi delle partite, e più si alza il livello e meno è facile. A 21 anni però i suoi margini di miglioramento sono più che promettenti. I big-server, in genere, maturano un po’ più tardi rispetto agli altri tennisti. Ci mettono un po’ a limare i loro limiti verso uno standard accettabile, e leggere meglio il gioco, con l’esperienza, aiuterà Mpetshi Perricard a subire ancor meno le fluttuazioni più negative del proprio stile. Cosa ancora più spaventosa: il suo servizio sembra avere margini di miglioramento, se non nei picchi almeno nella costanza. Chiaramente tutto passa dalla risposta: come nota Sackman, nessun giocatore nella top-50 vince meno del 14% dei propri turni in risposta. Al momento Mpetshi Perricard ne vince solo il 10%.
Le sue somiglianze con giocatori anni ’90 dovrebbero farci riflettere. Per quanto Mpetshi Perricard sembri venire dal futuro, in realtà il suo stile è datato rispetto alla configurazione che ha preso il tennis oggi. Il rallentamento delle superfici di inizio 2000, e l’arrivo dei Big-3, ha sostanzialmente causato l’estinzione ai vertici dei bombardieri; dei giocatori che servono forte e colpiscono violento. Ci sono ancora, ovviamente, servitori eccezionali, ma in generale il tennis è andato in una direzione diversa, in cui è difficile sopravvivere ad alti livelli con uno stile di gioco troppo estremo. Bisogna saper fare tutto, non basta saper fare poche cose molto bene. I migliori servitori che ronzano attorno alla top-10 - Hurkacz, Zverev, Fritz, Tsitsipas - hanno comunque uno stile di gioco piuttosto completo e una mobilità da fondo che gli permette una buona flessibilità strategica. E in ogni caso nessuno di loro ha ancora vinto uno Slam e il tennis promette di essere dominato, nel prossimo futuro, da due giocatori come Alcaraz e Sinner, il cui peso del servizio è ulteriormente relativizzato anche rispetto ai Big-3.
Mpetshi Perricard sembra uno di quei personaggi enigmatici, tipo Kaspar Hauser o Chance di Oltre il Giardino, arrivati da un oltre-mondo per dirci qualcosa, non è chiaro cosa. Si muove meglio di alcuni big-server del passato, ma è comunque un caso limite. Per questo sarà interessante osservare l’evoluzione della sua carriera, perché può avere un impatto sulla forma del tennis attuale. Mpetshi Perricard sta portando i limiti del servizio verso nuovi territori, e chissà se non alimenterà discorsi, anche a livello istituzionale, su contro-misure da adottare per limitare il peso del servizio. Si parla da anni di togliere la seconda palla, per esempio, anche se non è assolutamente detto che un cambiamento simile non finisca per avvantaggiare giocatori come il francese. In questo secolo però i cambiamenti del tennis sono andati verso una direzione chiara: meno tempi morti, scambi più lunghi. Rispetto a questo zeitgeist, Mpetshi Perricard ha un ruolo anti-sistema.
Per questo il suo arrivo ha sollevato le solite discussioni ideologiche su cosa è o cosa dovrebbe essere il tennis. In pochi mesi ha già attirato a sé un notevole stuolo di haters che riguardo a lui tagliano corto: non è tennis. Non dovrebbe essere tennis. L’estetica si mischia alla morale. Sono discorsi che ignorano l’aspetto che forse rende più bello questo sport, e cioè la sua varietà interna. Il fatto che col cambiamento di superfici, clima e stili di gioco, possiamo avere esperienze estetiche e contesti molto differenti tra loro. Per tutti i mutamenti infrastrutturali degli ultimi anni, questa varietà si è molto ridotta, e allora dovremmo celebrare con gioia l’arrivo di questo strano mostro, questa specie di fiera medievale, questo tennista alto più di due metri che colpisce per infliggere dolore.