Una cinquantina di giornalisti, una ventina di fotografi, un uomo in doppiopetto grigio con un boccale di birra in mano. La nuova vita di Giovanni Trapattoni inizia così, un brindisi con Klaus Augenthaler davanti a una folla adorante di accreditati, la foto con la maglia insieme a Kalle Rummenigge.
Non è il primo allenatore italiano a cercare l’avventura lontano dall’Italia, sicuramente è il primo a farlo con un palmares da far tremare i polsi. Quando il Trap, dopo aver chiuso il suo rapporto con la Juventus, ha deciso di proseguire la propria carriera al Bayern Monaco, in molti hanno storto il naso. Ha soltanto cinquantacinque anni, ma il fatto di allenare dal 1974 lo rende già vetusto agli occhi degli addetti ai lavori. Il mondo del calcio è cambiato grazie ai profeti della zona pura, l’uomo di Cusano Milanino pare un aggeggio preistorico.
Non sanno ancora che sta per cambiare le sorti di tanti colleghi: forse, senza di lui, non sarebbe mai iniziato quel massiccio periodo di esportazione che ha permesso ai tanti tecnici italiani di imporsi nelle aree più e meno nobili del calcio mondiale. Mentre lo accusavano di essere bollito, Giovanni Trapattoni aveva visto il futuro prima degli altri. Questa è la storia della sua esperienza – in due tempi – al Bayern Monaco, intervallata da un breve e infruttuoso ritorno in Italia. E limitarla a una conferenza stampa entrata nella storia per la schiettezza tipica del personaggio è a dir poco riduttivo.
«Trapattoni se ne va da uomo libero»
Il Trap era tornato alla Juventus dopo il passaggio interista, durante il quale erano arrivati lo scudetto dei record e una Coppa UEFA, ma Ernesto Pellegrini aveva deciso di sacrificarlo sull’altare della zona qualche anno più tardi, preferendogli Corrado Orrico. Per ironia della sorte, era stato richiamato al posto di un altro zonista convinto, Gigi Maifredi, con l’obiettivo di un ritorno allo status quo: il ritorno di Giampiero Boniperti aveva posto le basi per la restaurazione, ma la Juve di Trapattoni si era scontrata con il Milan degli Invincibili, uscendone con le ossa rotte per tre anni di fila: lo scudetto era rimasto un tabù, qualche idea tattica aveva lasciato basiti in molti – su tutte, l’arretramento di Vialli a centrocampo – ma era comunque arrivato un titolo prestigioso come la Coppa UEFA 1992/'93. Una bella vittoria nel doppio confronto con il Borussia Dortmund: i due Baggio a far saltare in aria la difesa giallonera al Westfalenstadion, doppietta di Dinone e gol di Andy Möller al Delle Alpi. Vialli, nel frattempo, era tornato a fare il centravanti: esperimento fallito.
L’ultimo trofeo vinto da Trapattoni come allenatore di un club italiano, prima dell’epopea in giro per l’Europa.
Nei primi mesi del 1994, mentre tutta l’Italia pensa al Mondiale, la Juve cerca un modo per ripartire. Lo trova in Marcello Lippi, rampante tecnico di un Napoli senza soldi ma con tante idee. Trapattoni, insieme a Boniperti, capisce che non è più aria di imprese. «L’unico rimpianto, che mi accomuna a Boniperti, è non aver saputo vincere lo scudetto in questa nuova esperienza».
Trap e la Juve si salutano in modo austero, sabaudo: qualche applauso, nessuna scena sopra le righe, uno striscione sobrio («Gli amici non si dicono addio, ma arrivederci») e un pizzico di nostalgia. Sta nascendo una nuova Juve, con Bettega e Giraudo ai posti di comando: mentre Trapattoni archivia la sua seconda vita juventina con un 1-0 all’Udinese, La Stampa già critica le nuove operazioni. «Saranno a Marsiglia per contattare Deschamps più che Boli, e il centrocampista francese rimane un mistero: cosa può farsene Lippi in un reparto che conta già su Dino Baggio, Conte e Paulo Sousa?», si interroga Marco Ansaldo. Pensieri che non turbano il Trap, già proiettato a Monaco: «Lo so già, l’Avvocato continuerà a chiamarmi anche mentre sarò al Bayern. Lo ha sempre fatto, perché dovrebbe fermarsi adesso?».
Proprio l’addio con Agnelli è il più sentito. L’Avvocato convoca squadra e tecnico a Villar Perosa, c’è da salutare Giuan e Boniperti, i due uomini a cui ha legato i più grandi successi bianconeri. Parla direttamente ai giocatori: «Mi dispiace che Trapattoni se ne vada, farete bene a non dimenticare i suoi insegnamenti: se volete vincere, i suoi consigli vi saranno molto utili. È un pezzo importante della Juventus che se ne va». Parlano a lungo, l’Avvocato e il Trap. Agnelli si complimenta, ha capito il peso della scelta del tecnico: «Lei dimostra di avere tanto coraggio con questo trasferimento all’estero. Sono sicuro che farà bene, perché lei vale. Il calcio tedesco è vero, autentico, all’avanguardia: le darà soddisfazioni». Passa qualche mese e Trapattoni rilascia un’intervista fiume, che sa di sfogo, di confessione. «Tradito io? Ma per carità, e da chi poi, dagli Agnelli? La verità è che l’Avvocato si è stufato del calcio, gli è uscito dagli occhi. La crisi, l’auto che in quel momento non andava in tutto il mondo, Tangentopoli, la disoccupazione: la voglia di pallone ti passa dal cervello. Non ha senso parlare di tradimento. Che poi uno si senta escluso, è un altro discorso. Allora, diciamolo pure: il sottoscritto ne aveva le scatole piene. Ti attaccano sui soldi, sul gioco, perché la lingua ti gira in bocca e ti esce una cazzata su un congiuntivo, un avverbio. E loro sempre a darti addosso, a sfotterti».
Sono anni in cui Trapattoni è ospite fisso – suo malgrado – delle rubriche di Mai Dire Gol, con le sue interviste post partita all’insegna degli arrotolamenti verbali. La Gialappa’s è solo uno dei bersagli polemici di un uomo in guerra con il modo di vedere e vivere il calcio in Italia, che non è diventato malato soltanto negli ultimi anni con la deriva dei social, ma lo è già da tempo immemore. «Nessuno guarda il tuo lavoro, quello che sei, quello che fai. E allora sa cosa fa uno come Trapattoni? Saluta gli incivili e se ne va, perché Trapattoni è un uomo libero. Trapattoni è un nonno, perdio. E sa cosa vuol dire questo? Che gli obblighi sono finiti, che i figli sono grandi, che guardi tua moglie negli occhi e puoi dirle: cambia tutto, Paola. Partiamo domani, via dall’Italia. Lei annuisce e fila a fare i bagagli».
I primi mesi del Trapattoni tedesco sanno di luna di miele: tutto è bello, tutto è giusto. Eredita una squadra che si è raddrizzata in corso durante la stagione precedente, merito di Franz Beckenbauer, arrivato al posto di Ribbeck a inizio gennaio per portare i suoi alla vittoria in Bundesliga in un finale thrilling, tipico di quegli anni in Germania: 2-0 allo Schalke e successo in volata, di un solo punto, sul Kaiserslautern. Sugli altri fronti non c’era più nulla da fare: fuori ai sedicesimi in Coppa UEFA contro il Norwich, fuori al quarto turno in Coppa di Germania con la Dinamo Dresda. «Qui ho trovato gente che lavora, seria, operosa. Senza tante storie per la testa. Incomincia il ritiro e dico: “Sveglia alle 7”. E loro: “Ja, mister”. Alle 8 sono già in campo a sudare. Ve lo immaginate da noi? Sarebbe subito “Cazzo, mister”. E poi fiumi di inchiostro, polemiche, accuse, inchieste. Critici, psicologi, tifosi, giornalisti di costume, le solite facce note delle TV nazionali e le solite ignote di mille televisioni sconosciute, tutti a dire la loro, tutti a insegnarti a vivere. Roba da pazzi».
A Monaco di Baviera, Trapattoni ritrova la calma, la serenità. E ritrova Paola, sua moglie. Si erano conosciuti a Grottaferrata, per le Olimpiadi. Studiava dai nonni che avevano un bar, Giuan era in ritiro con la Nazionale. Gli allenamenti lo sfiancano ma lo staff dice che in campo non si può bere, ogni giocatore ha un buono per una bibita da spendere ad allenamento già concluso. «Il mio socio era Maldini, non ci facevamo nemmeno la doccia. Sporchi e assetati, come nel deserto, ci precipitavamo in quella grotta scavata nel tufo per farci uno stivaletto di bianco. Beh, una volta lei era là, dietro al banco, a dare una mano…».
Dopo anni di pendolarismo da Torino verso Cusano, ora Paola, che non guarda le partite, si è trasferita con lui a Monaco. Una fedele alleata in una sfida che si prospetta tutt’altro che semplice: «Beckenbauer mi ha detto che sono condannato a vincere, è il mio destino e vedrò di accontentarlo. Preparare psicologicamente la squadra è un pensiero serio, per via della lingua. Ma imparerò, orco zio se imparerò».
Fatica, ritorno in Italia, fallimento
I propositi baldanzosi di Trapattoni fanno presto i conti con la realtà. Il suo Bayern stecca immediatamente, nel giorno della Supercoppa tedesca con il Werder Brema di Otto Rehhagel: 3-1 dopo i supplementari. Sono arrivati giocatori importanti a rinforzare la squadra campione di Germania: Oliver Kahn, destinato a diventare un monumento del club, lo svizzero Alain Sutter e Jean-Pierre Papin, giunto al termine della sua avventura rossonera. Ha a disposizione una squadra profondissima. La stella è Mehmet Scholl, che quando tocca il pallone lo fa cantare, ma il leader del Bayern Monaco è Lothar Matthäus, che deve ancora vivere la transizione verso il nuovo ruolo di difensore centrale, visto che il Trap lo vede meglio a centrocampo. Fatica a trovare lo spazio che meriterebbe Jorginho, reduce da un Mondiale da sogno con il Brasile.
Secondo giro, seconda sconfitta. Ed è un tonfo traumatico, quello con i dilettanti del Vestenbergsreuther, che sembra uno di quei termini tedeschi capaci di riassumere in qualche sillaba concetti complicatissimi, e invece è soltanto il nome di un modesto club di un paesino non lontano da Norimberga. Il Bayern è fuori dalla Coppa di Germania al primo turno per la terza volta in quattro anni ma si parla già di fallimento del Trap e di una fronda guidata da Matthäus per far fuori il tecnico. L'ex stella dell'Inter, invero, non si nasconde: «Ho abbastanza esperienza per non farmi indicare da lui la posizione da assumere in campo. Una cosa è certa: giocando così, non resteremo campioni di Germania». Anche Helmer è dello stesso avviso: «Dovrei dire molte cose sul modo in cui ci sta allenando». Il Milan invita i bavaresi a San Siro per il Trofeo Berlusconi e l'allenatore sente già il fiato sul collo: «Ho paura che la squadra diventi insicura, dovremo acquisire una maggiore elasticità mentale e giocare con più umiltà. Ho firmato per un anno, entro tre mesi potrei tornare a casa e andarmene al mare o a sciare».
Siamo al 17 agosto e la luna di miele è già finita. Finalmente arriva la Bundesliga e una vittoria per 3-1 sul Bochum davanti al pubblico di Monaco, ma è una gioia che dura poco. A Friburgo, seconda di campionato, il Bayern prende cinque schiaffi sul muso. I titoli dei giornali tedeschi passano dallo scetticismo («Giovanni, che facciamo?», Abendzeitung) ai giochi di parole («Schiappattoni», Bild). «Non abbiamo perso per problemi di ambientamento e di inserimento dei giocatori nuovi, sono i vecchi a giocare senza cuore», dichiara il Trap in quello che sembra un attacco abbastanza chiaro a Matthäus.
La figura di Beckenbauer, ingombrante vice-presidente, non aiuta: «Se vuole riprendere la squadra in mano, non c'è problema». I successi con Gladbach e Duisburg e la vittoria nel derby con il Monaco 1860 non bastano a risollevare l’ambiente, perché il Bayern infila, dal 17 settembre al 19 novembre, sette pareggi e una sola vittoria. Perde soltanto una volta, ma lasciare i due punti contro una big come il Borussia Dortmund ha il retrogusto amaro dell’addio ai sogni di gloria. In compenso, facendo il minimo indispensabile in un girone dominato dal Paris Saint-Germain, i bavaresi passano ai quarti di finale di Champions League. Il ruolino non fa sognare – doppia vittoria con la Dinamo Kiev, doppio pari con lo Spartak Mosca, zero punti raccolti contro i parigini – ma almeno c’è un fronte che fa ben sperare. Non bastassero i problemi sul campo, ci si mettono anche gli infortuni di Matthäus, Papin e Kostadinov, oltre a una bufera provocata da Mehmet Scholl. Nell'annuario ufficiale del club, a ogni giocatore è stato chiesto lo slogan elettorale preferito. Il numero 7 ha pensato di rispondere «Appendete i Verdi fino a quando ci sono ancora alberi», scatenando il delirio alla vigilia del rinnovo del Parlamento regionale. Hans Linde, esponente dei Verdi, lo denuncia per diffamazione e minacce.
Mentre soffre in Germania, Trapattoni torna d’attualità in Italia. Gli azzurri hanno perso a Palermo contro la Croazia e Sacchi pare a un passo dall'esonero: «Sono disponibile ad allenare la Nazionale anche se non ci ho mai pensato. Sarebbe comunque ingeneroso nei confronti di Sacchi propormi ora, ma sarei disponibile se si presentasse l’occasione. Probabilmente non si è ancora capito che in questo momento in Italia non c’è una generazione di calciatori mentalmente pronta a giocare a zona», dichiara il Trap in maniera ben poco elegante. Alla lunga sosta invernale, il Bayern Monaco arriva quarto in classifica e di fatto già fuori dalla lotta per il Meisterschale. Si deve tornare in campo a fine febbraio, a metà mese arriva l’annuncio: a fine anno, Giuan tornerà in Italia. «Mi hanno chiesto di restare ma ho preferito dare subito una risposta chiara: non ho avuto contatti con nessuno, mi sento più libero e tranquillo. Lascio la Germania perché ho un dovere preciso nei confronti della famiglia: di mio figlio, che ha perfezionato l’inglese ma ha perso un anno a scuola, e vedrò se sarà possibile farglielo recuperare da privatista; di mia moglie, che quassù non conosce nessuno».
In Bundesliga finisce al sesto posto, in Champions la corsa si interrompe in semifinale, dopo aver eliminato l’IFK Göteborg e aver fermato l’Ajax almeno nella gara d’andata, pur tra mille assenze, prima di perdere 5-2 ad Amsterdam.
La semifinale di ritorno con l’Ajax: sono notti in cui Jari Litmanen sembra qualcosa di molto vicino al concetto di perfezione.
Chi si aspetta un ritorno in Italia in grande stile deve però rimanere deluso. Le panchine delle big sono blindate: la Juventus ha vinto il titolo con Lippi, Capello ha visto sfumare la Champions League contro l’Ajax ed è pronto a un nuovo giro di giostra alla guida del Milan, Massimo Moratti non vuole rivoluzionare la guida tecnica dell’Inter, appena rilevata da Ernesto Pellegrini. Difficile anche trovare spazio in uno dei club subito alle spalle delle grandi: Zeman è arrivato secondo al suo primo anno di Lazio, Nevio Scala ha vinto la Coppa UEFA alla guida del Parma, Mazzone ha portato la Roma a un discreto quinto posto.
Trapattoni riparte da Cagliari, raccogliendo l’eredità del Maestro Tabarez, una buona nona piazza a soli tre punti dalla zona UEFA. Giuan è sugli spalti del Delle Alpi quando i sardi perdono la possibilità di accodarsi al treno europeo contro la Juve già campione d’Italia: seduto al fianco di Cellino, prende appunti sul Cagliari che verrà. Qualche giorno prima, aveva lasciato il Bayern Monaco con un colpo di coda, battendo il Werder Brema capolista all’ultima giornata: titolo al Borussia Dortmund e pive nel sacco per Otto Rehhagel, suo successore. «Lo avevo detto che non avremmo regalato nulla. Non torno sconfitto, mi sento vincitore, il bilancio è positivo e non mi interessano pregiudizi e cattiverie. Abbiamo fatto un punto in più dello scorso anno, quando il Bayern vinse il titolo. Se questa gente mi ringrazia e mi vuole bene, un motivo ci sarà. Dovessi scegliere ora, forse resterei qui. Ma qualche mese fa mi sentivo un estraneo, non parlavo e non capivo. La Sardegna mi affascina, la mia nuova scommessa è portare il Cagliari in UEFA. Tabarez ha vissuto in Italia emozioni come le mie in Germania: ha lavorato bene, gli ho fatto i complimenti, non merita di tornare nell’ombra. Sarei andato anche in B, alla Reggiana, se non mi avesse chiamato Cellino. Amo ancora l’erba, il pallone, mi sento giovane e pieno di stimoli, anche se non devo dimostrare più niente a nessuno».
Il mercato estivo lo priva del gioiello Dely Valdes, acquistato dal Paris Saint-Germain: al suo posto arriva l’uruguaiano Dario Silva. Il centrocampo viene rinforzato con due elementi di esperienza come De Napoli e Venturin, per la difesa c’è Bonomi dalla Lazio. Su richiesta del tecnico, Cellino mantiene l’ossatura: restano i vari Firicano, Bisoli, Pusceddu, Oliveira. Nel giorno dell'approdo a Cagliari, Trap viene accolto dal sindaco, la banda e tanti tifosi. «Sono commosso. Vivo nel calcio da anni, dovrei essere pronto a tutto, eppure non me l’aspettavo».
Firma un annuale, come sempre, anche se per i maligni è sintomo di un futuro da commissario tecnico dopo Euro 1996. «Ciò non vuol dire che a fine anno lascerò la Sardegna, sono convinto che ci siano i presupposti per fare bene, magari per aprire un ciclo. Mazzone, Radice e Giorgi mi hanno detto che qui si lavora bene, ho fatto la scelta giusta. Ogni squadra ha il suo scudetto, non mi pongo limiti verso l’alto. È vero che ho sempre lottato per vincere, ma non dimenticatevi dei giovani che ho lanciato: ho vinto anche con Galderisi e Marocchino».
Il Cagliari è la prima squadra a radunarsi delle diciotto di A, nel ritiro di Vipiteno si suda, ma il confronto con il campo e le gare ufficiali è impietoso. KO all’esordio in campionato a Udine, decide Bierhoff. Il nastro del Trap sembra lo stesso di Monaco: «La squadra ha avuto scarsa coscienza dei propri mezzi, ho visto giocatori bloccati psicologicamente». In Coppa Italia servono i supplementari per piegare la Lucchese, l’esordio casalingo viene reso amaro da una zampata di Signori, poi altra sconfitta esterna a Firenze (3-1). Tre ko in tre gare, la vista sulla quarta di campionato con la Juventus è dal basso, da quota zero punti. «Uno ha scritto che a Firenze i tifosi sardi mi hanno contestato, ma è uno che ce l’ha con me da tanto tempo. Non mi hanno contestato, mi hanno incoraggiato, non è finito proprio niente. Dopo tre giornate, neppure la UEFA è irraggiungibile. Ho spiegato ai ragazzi che l’esempio è la Juve, dove c’è chi ha vinto lo scudetto eppure torna indietro a difendere».
E così, mentre il calcio europeo è alle prese con la Corte di giustizia e il caso Bosman, Valerio Fiori para anche i moscerini del Sant’Elia: Cagliari-Juventus 0-0. Gli isolani cadono anche a Genova, sponda Samp, prima di conoscere finalmente la vittoria: 1-0 alla Cremonese, decide un rigore di Oliveira. Trapattoni parla sempre meno, anche se i suoi si ripetono in Coppa Italia eliminando la Sampdoria. Nonostante i due successi consecutivi, sente che gli sta sfuggendo qualcosa. Lo si capisce quando si presenta, scuro in volto, ai microfoni dei giornalisti dopo la sconfitta interna con la Roma: «Da tre o quattro gare non riesco ad analizzare come vorrei quello che sta accadendo al Cagliari. È da tempo che ho dubbi e perplessità, continuo a chiedermi cosa ci stia capitando. Sono pronto a qualsiasi decisione per il meglio della squadra». Eppure, il Cagliari sta crescendo. Dà battaglia a San Siro contro il Milan (3-2), vince di misura con il Torino uno scontro salvezza, batte 2-0 il Napoli il 26 novembre, si impone ancora in Coppa Italia nell’andata dei quarti di finale, piegando l’Atalanta con il primo gol rossoblù di Fabian O’Neill, uno che lascerà il segno in Sardegna.
Il pari di Piacenza va bene a entrambe, nella corsa verso Natale il Cagliari inizia a prendere il volo: 2-0 all’Atalanta, stavolta in campionato, e tre punti corsari a Vicenza sulle ali di Oliveira, sbancando il Menti che resisteva inviolato da 27 mesi. Alla quattordicesima giornata, i sardi sono pienamente in linea con le ambizioni di inizio anno: venti punti come la Sampdoria, uno in meno della Roma, due lunghezze di ritardo su Lazio e Atalanta quinte. In mezzo, l’eliminazione in Coppa Italia, con il ribaltone subito dall’Atalanta.
Il girone d’andata si chiude male: tre sconfitte a cavallo dell’anno nuovo (Inter, Padova, Parma), poi quattro gol all’Udinese con il tridente Muzzi-Dario Silva-Oliveira sugli scudi. Il tracollo in casa della Lazio riapre vecchie ferite: «Se Cellino vuole dare una scossa e cacciarmi, lo faccia subito: sono pronto a tutto». All’ipotesi Nazionale non crede più nessuno: sono tutti convinti che Trapattoni possa tornare al Bayern Monaco. Il 4-1 a Torino, con la Juventus, è l’ultimo atto di un’esperienza all’insegna dei saliscendi. Il Trap si dimette e tuona contro Cellino: «Non potevo farmi prendere ancora in giro. Mi spiace di aver contribuito ad alimentare illusioni eccessive, ho sbagliato a parlare di coppa UEFA e me ne assumo la responsabilità. Forse l’errore più grave l’ho commesso quando ho accettato questa avventura». Prima delle dimissioni, un giallo. Dopo il match con la Juventus, i giornalisti chiedono a Trapattoni dell’esonero: «Non capivo, mi aveva stretto la mano dandomi appuntamento all’allenamento del martedì, non c’era stato nessun litigio». Il lunedì sera, in diretta da Biscardi, tutti avevano dato per fatto l’esonero. «Ancora la Germania nel mio futuro? Chissà. Per ora vado a casa».
«Appena l’aereo si è alzato, una festa esagerata». Per vie traverse, la Gialappa’s non risparmia l’ultima frecciata al vecchio amico-nemico.
Il ritorno in Baviera
Per qualche settimana, a cullare l’idea Trapattoni è Silvio Berlusconi, che risolve il dilemma scegliendo il predecessore del Trap a Cagliari: «Vinceremo ancora col comunista Tabarez». La seconda chiamata del Bayern è irresistibile per Giuan, che sente ancora nel cuore l’affetto dei tifosi bavaresi nelle sue ultime uscite. Anche stavolta succede a Franz Beckenbauer, che ha preso la panchina nel rush finale al posto di Rehhagel, vincendo la finale di Coppa UEFA e chiudendo secondo in campionato.
La notizia del secondo espatrio fa meno rumore della prima volta, anche perché in contemporanea c’è Capello al Real Madrid a prendere le prime pagine. Ormai la strada è tracciata, anche Bigon (Sion) e Maifredi (Esperance) tentano l’avventura all’estero. Stavolta, oltre a Matthäus, trova un altro vecchio interista come Klinsmann. Dal mercato giungono due rinforzi di grido: Mario Basler, strappato al Werder Brema, e Ruggiero Rizzitelli, che andrà a formare la coppia-gol con Klinsmann. Trap saluta prestissimo l’Europa – fuori al primo turno di UEFA con il Valencia – ma in Bundesliga vede i suoi stabilmente in testa già dalle battute iniziali del torneo. Rizzitelli ha una partenza fulminante, tre gol in tre partite, e sa giocare bene sia con Klinsmann che con Zickler. «Non devo esaltare io le qualità di Ruggiero, si è integrato talmente bene che sembra sia al Bayern da anni».
Nel girone d’andata, il Bayern incassa una sola sconfitta (3-0 a Brema), girando in testa prima della sosta invernale. «Penso sia finito il tempo in cui all’estero ci ritenevano dei pizzaioli catenacciari, ora si tolgono il cappello e ci studiano. Non direi no alla Nazionale se mi volesse alla scadenza del contratto con il Bayern». La squadra sbanda al rientro in campo: un pareggio e due rovinosi ko esterni nelle prime cinque partite del nuovo anno, ma questo è un gruppo totalmente diverso da quello di due anni prima. Il Dortmund di Ottmar Hitzfeld si fa distrarre dalla Champions e abbandona la vetta dopo averla conquistata, il duello si infiamma con il Bayer Leverkusen. Con una raffica da grande squadra, Matthäus e compagni piazzano cinque successi di fila, pareggiano a Dortmund e poi rifilano cinque gol al Fortuna Düsseldorf per rimanere a +3 sulle aspirine.
La certezza del Meisterschale arriva dopo il 4-2 allo Stoccarda, alla penultima di campionato. «Vincere così è come guardarsi allo specchio e riscoprirsi, vedere trasformati in realtà i sacrifici, un riconoscimento al sudore rimasto sempre attaccato alla mia pelle. Dieci anni fa andavo di moda, poi si scopre che la linea verde avanza e passi per superato. Lo dico senza acredine, ma ciò che non tollero è il modo in cui mi hanno criminalizzato. Noi tecnici italiani abbiamo vissuto con tale intensità le esasperazioni del calcio da saper scovare lo stratagemma per fottere gli altri».
Il Trap e Rizzitelli cantano "Nel blu dipinto di blu" davanti a centomila persone a Marienplatz, un grande momento per tutti gli italiani presenti in Baviera. (Foto di Andreas Rentz / Bongarts / Getty).
Dopo il titolo, Trapattoni pensa di lasciare. Lo sta pressando da mesi Franco Sensi, scottato dall’esperienza Carlos Bianchi. Il patron romanista mette sul piatto un biennale da 3,6 miliardi a stagione, Giuan ci pensa, anche per riportare finalmente la moglie nella sua Roma. Alla fine, però, rifiuta: «C’era la volontà di trasferirmi, non lo nego, ma il mio contratto scade a giugno 1998 e ho avuto un colloquio con Beckenbauer per tagliare la testa al toro. Ho soltanto rispettato il mio contratto».
In Germania lo raggiunge Nevio Scala, scelto dal Borussia Dortmund dopo l’addio di Hitzfeld, che ha deciso di lasciare avendo appena vinto la Champions League. L’esordio in campionato è uno shock: il neopromosso Kaiserslautern si impone in casa del Bayern. Nessuno, in quel momento, immagina che i vari Kuka e Sforza, guidati da Rehhagel (ancora lui), possano competere con i bavaresi per il titolo. Il testa a testa, invece, dura per tutta la stagione. Il Trap perde anche lo scontro diretto di ritorno, non riuscendo a dare la svolta. Dopo le sconfitte con Hertha Berlino e Colonia, il tecnico è fuori di sé. Il ko con lo Schalke, il terzo consecutivo, è la goccia che fa definitivamente traboccare l’ira del Trap. È il momento più complicato della stagione, perché alle porte c’è anche il duello Champions con il Borussia Dortmund: 0-0 all’andata, chi passa va in semifinale.
I 3 minuti e 53 secondi che proiettano Trapattoni nella leggenda. Mentre urla che «Ein Trainer ist nicht ein Idiot», aiutato da quei tratti somatici che potrebbero tranquillamente farlo passare per tedesco, Trap è perfettamente credibile. La Gialappa’s analizzerà lettera per lettera le sue costruzioni grammaticali.
Di tutto l’arco bavarese di Trapattoni, sembra essere rimasta soltanto questa conferenza. Per quanto epocale, non è tutto lì. La campagna europea si ferma per mano di un gol di Chapuisat nel supplementare, il Kaiserslautern vince il titolo in volata, al Bayern resta la consolazione della Coppa di Germania, vinta in finale contro il Duisburg: è il ventesimo alloro della carriera del Trap, pronto a tornare in Italia, ma non alla guida della Nazionale. Ripartirà dalla Fiorentina, facendo sognare Firenze per una ventina di partite, prima di uno strappo assassino patito da Batistuta e di un aereo di troppo preso da Edmundo, in fuga per il carnevale nel momento sbagliato. Arriverà anche alla tanto agognata Nazionale, ma non sarà un matrimonio felice come quello con la sua Paola.