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Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il Duce
23 lug 2020
Un estratto del libro uscito per Solferino editore.
(articolo)
11 min
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Pubblichiamo un estratto di "Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il Duce", di Federica Seneghini, uscito per Solferino editore.

Chissà se fu in seguito a quell’incontro che la Strigaro un po’ alla volta si mise in testa che dovevamo trovare nuove ragazze da coinvolgere negli allenamenti. Qua si non parlava d’altro: diceva che se fossimo state almeno tre formazioni avremmo potuto fare un torneo, e poi chissà, magari un giorno anche un campionato con le squadre che, ne era sicura, sarebbero nate in altre città d’Italia seguendo il nostro esempio.

Rosetta ovviamente era entusiasta e anche io ero d’accordo, solo che non sapevamo da che parte cominciare. Iniziammo a parlarne a tutte le ragazze che conoscevamo, alle nostre sorelle, alle cugine, alle amiche della scuola e alle colleghe. Rosetta attaccò un manifestino nell’atrio della scuola, anche se le sue compagne dell’istituto magistrale Rosa Maltoni Mussolini non erano per niente interessate al calcio, lo sapevamo bene. Ninì Zanetti ne parlò alle sue compagne del tennis, al centro sportivo Forza e Coraggio. Io provai a farne cenno alle sartine che ogni tanto incontravo alla merceria.

Ma non era facile perché ormai era arrivato dicembre e faceva troppo freddo per passare molte ore all’aperto. Pioveva quasi ogni giorno e certe volte la pioggia diventava una poltiglia che assomigliava alla neve, e quando non pioveva tirava un vento gelido che ci scoraggiava a uscire. E poi non avevamo né le scarpe, né le maglie adatte per scendere in campo in quelle condizioni.

Qualche volta il tempo era bello, invece. Così terso che in certi giorni di vento e di sole da alcuni vialoni del centro si vedevano le montagne. Me le ritrovavo di fronte quando uscivo in bicicletta la mattina, per andare a ritirare i vestiti di una cliente o a fare la spesa al Verziere. Posavo il piede a terra, rimanevo dritta sul sellino, e stavo qualche minuto a osservare la neve sulle cime lontane, con il cielo azzurro dietro. E mi ritrovavo a sorridere tra me e me e a pensare di essere di fronte a una specie di miracolo che persino il duro inverno milanese ogni tanto riusciva a concederci.

Giovanna intanto aveva accettato di farci da accompagnatrice e la domenica, le poche volte che con quel freddo riuscivamo ad allenarci, veniva con noi. Ogni tanto si portava dietro i bambini, ma più spesso li lasciava alla mamma e ai loro giocattoli di legno, bellissime creazioni uscite dal laboratorio di Archinti.

Con le ragazze stabilimmo un appuntamento fisso per parlare della squadra. Tutti i mercoledì alle diciotto, a casa nostra. Era lì che ci incontravamo noi del «Direttorio», come avevamo iniziato a chiamarci. Il nucleo fondante del Gruppo femminile calciatrici milanese.

Quel che accadeva durante queste riunioni è presto detto: stavamo un paio d’ore chiuse in camera mia e di Rosetta a discutere di tecnica e di schemi. E fu in un giorno così, verso la fine di dicembre del 1932, che la Strigaro ebbe un’idea.

Ci girammo appena verso di lei. Rosetta si stava rimpinzando di lupini buttata su una sedia, io stavo finendo un ricamo su una tovaglia che avrei dovuto consegnare il giorno dopo. C’era Ninì Zanetti e c’era anche la Lucchi. Eravamo tutte abituate alle sue idee, a quel tempo ne aveva sempre più di quante poi riuscisse effettivamente a realizzarne. Iniziative, feste, progetti per il futuro, investimenti anche. Quando eravamo insieme se ne stava spesso lì tutta assorta e poi all’improvviso si tirava su e diceva quella frase – «Ho un’idea» – con gli occhi che le brillavano.

Ma in quel momento la sua faccia era più composta del solito.

«Dobbiamo scrivere una lettera ai giornali» annunciò.

«Una lettera?» le fece eco Rosetta.

«Una lettera, sì.» Davanti ai nostri sguardi interrogativi, senza perdersi in tante spiegazioni, mi chiese per favore di andare a prenderle un foglio e una penna.

Andai in cucina.

«Secondo me fu quello il primo sciopero femminile a Lodi» stava dicendo la mamma ad Archinti, che era passato a salutarci e si stava bevendo un caffè. «E pensa che eravamo ancora nel secolo scorso, figurati. Come eravamo giovani, abitavamo ancora nella nostra bella casa di via Cavour.»

Mi fermai un momento a guardarli e pensai che fosse una fortuna non dover più star lì a sentirli parlare di politica, di lavoro, di storie vecchie che avevo già sentito cento volte a tavola, a Natale, durante le cene e i nostri pranzi di famiglia, né sentirli più parlare tutto il tempo di Lodi. Anche noi figlie amavamo Lodi, certo, era la città dove eravamo nate, ma in fondo noi ci avevamo vissuto solo pochi anni. Per noi la casa di cui la mamma parlava sempre con nostalgia era solo il luogo dove eravamo state bambine.

Aprii la credenza, presi carta, penna e calamaio e tornai in camera. La Strigaro si era tolta le scarpe e si era messa una copertina sulle gambe, seduta sul mio letto, con le spalle attaccate al muro e le gambe distese sul materasso.

«Ecco qui» dissi.

E lei iniziò subito a scrivere.

Quando ebbe finito, rilesse ad alta voce e ci passò il foglio perché mettessimo le nostre firme in fondo alla pagina.

Eravamo soddisfatte, sì, era venuta bene.

Solo la Lucchi scosse la testa, scettica. «Figurati se ce la pubblicano» obiettò.

Ma poi firmò lo stesso anche lei.

Il 1933 per noi cominciò così, all’insegna dell’attesa. Tutte le mattine, prima di andare al lavoro, la Strigaro faceva «la nostra rassegna stampa», così la chiamava. Entrava in un caffè di corso Buenos Aires, sempre lo stesso, ordinava un cappuccino e una brioscia e si metteva in un angolo della sala a sfogliare i giornali alla ricerca della nostra lettera.

Un mercoledì eravamo a casa, durante una delle nostre riunioni, quando Giovanna comparve sulla porta, si appoggiò allo stipite con le braccia conserte e si mise a guardarci.

«Ma solo di calcio riuscite a parlare? Avete letto cosa sta succedendo in Germania?» chiese con un misto di rabbia e preoccupazione negli occhi. E poi aggiunse:

«Qui va a finire male».

«Hitler sembra un pazzoide» rise Rosetta.

«Con i baffi a spazzolino» aggiunse la Lucchi. Ci sembrava una cosa così lontana da noi, di cui ci importava proprio poco.

E invece aveva ragione lei, povera sorella, anche se noi ragazze avremmo capito solo molto tempo dopo cosa stesse succedendo davvero. Il 30 gennaio 1933, un certo Hindenburg, presidente della repubblica tedesca, aveva riconosciuto a Hitler le credenziali di cancelliere. Da forza rivoluzionaria, ci spiegò Giovanna, i nazisti diventavano forza di governo e avrebbero presto mostrato il loro vero volto.

«Ci potete scommettere» disse di nuovo in tono amareggiato. «Qui va a finire male.»

Ma ormai la ascoltavamo con un orecchio solo. Se anche avesse avuto ragione, cosa potevamo farci noi? E comunque le cose che riuscivano a emozionarci erano altre.

La mattina del 15 febbraio, la Strigaro arrivò a casa nostra tutta trafelata, fradicia di pioggia e con le guance paonazze. Si tolse la sciarpa, il cappotto e il cappello e li buttò come al solito dove capitava.

«Fai piano che mamma ha la febbre» disse Rosetta accogliendola sulla soglia. «Non ha dormito tutta la notte.»

«Dov’è?»

«È in camera sua» spiegai io accennando con la mano verso la porta chiusa della mamma. «Ha una tosse…»

«Vi devo solo far vedere una cosa» sussurrò la Strigaro in un tono di scuse, togliendosi piano le scarpe ed entrando in cucina in punta di piedi.

In mano aveva il «Guerin Sportivo», sgualcito come sono le riviste che si leggono da cima a fondo.

«Ecco qui» disse, battendo l’indice sul foglio.

Un gruppo femminile di calcio?

Milano, febbraio 1933

Caro «Guerino»,

Il gioco del calcio che appassiona così tanto le folle sportive non è coltivato, sia pure come esercizio ginnastico, dall'elemento femminile. In Francia, in Inghilterra, ci sono dei Clubs femminili bene organizzati e si svolge annualmente il campionato femminile. Perché non tentare anche fra noi qualche cosa? Le giovani donne italiane già praticano gli sports dell’atletica leggera, pallacanestro, il nuoto, il pattinaggio, lo sci, la scherma, il tennis, ecc., bene affermandosi. E perché allora non praticare il calcio? Un gruppo di tifosine hanno preso l’iniziativa di costituire un Gruppo di calciatrici. Tutto sarà proporzionato al sesso, il quale da questo sport dovrà trarre un vantaggio fisico. Nel concetto delle fondatrici, senza darsi delle arie, s’intende di praticare lo sport del calcio come esercizio fisico. Le adesioni gratuite si ricevono per scritto segnando nome, cognome, età, presso la signorina Losanna.

Strigaro, Ditta Cardosi, via Stoppani 12 – Telefono 20-272 – Milano – Grazie e saluti.

Alcune proponenti

Era la nostra lettera.

Rosetta alzò gli occhi un momento, con l’espressione incredula, poi li riabbassò sulla rivista. E anche io lessi tutto un’altra volta, per essere sicura di avere capito bene.

«La nostra lettera» ripetei alla fine con un filo di voce.

«Incredibile» aggiunse mia sorella.

«L’ha pubblicata pure “Il Littoriale”» chiosò la Strigaro tirando fuori dalla borsa il giornale «ma lì hanno voluto aggiungere un loro commento.»

Un nostro parere? Che S. Benedetto da Norcia quando disse a’ suoi monaci «Mens sana in corpore sano» non pensava che tempo sarebbe venuto in cui gentili fanciulle avrebbero usato il suo motto per giocare al calcio.

Rosetta arrossì: «Ma, possono… scrivere così?».

La Strigaro alzò le spalle con un gesto che voleva dire: «Sì, ma non importa, ragazze, il punto è un altro». Aveva ragione lei. E ce ne rendemmo conto molto presto. Quel pomeriggio stesso a dire il vero, quando io e Rosetta andammo in negozio da Cardosi a prendere la barbera per la mamma. Lui non c’era, la Strigaro era alla cassa. Quando ci vide entrare, poggiò il libro aperto che stava leggendo sul tavolaccio di legno.

«Non sapete chi è venuto prima» disse senza nemmeno salutarci.

«Chi?» chiese Rosetta sedendosi su uno sgabellino.

«Due sorelle dell’Acquabella.»

«Due sorelle dell’Acquabella?»

«Hanno letto la nostra lettera sul “Guerino”, una delle due mi ha spiegato che erano anni che sperava in un’occasione del genere. A calcio ci hanno giocato quando erano piccole, in campagna dagli zii, con i fratelli, credo, ma ora che sono grandi non sanno più come fare.»

«Sta funzionando» mormorò Rosetta.

«Sta funzionando, sì» confermò la Strigaro. «Dobbiamo insistere.»

Così, il giorno seguente scrivemmo di nuovo al «Guerino». Finalmente avevamo un piano ed eravamo tutte convinte che avrebbe funzionato.

«Vedrete che entro fine mese avremo una cinquantina di iscritte» assicurò la Strigaro, chiudendo la lettera e passando la lingua sul francobollo.

Tre giorni dopo arrivò a casa nostra quasi di corsa, al quarto piano aveva il fiatone. La porta era socchiusa, la spinse ed entrò in camera senza nemmeno togliersi il cappotto. Rosetta stava studiando al tavolo di fronte alla finestra, io mi ero messa a cucire vicino alla stufa.

«Ecco qui» disse brandendo il «Guerino» con un’espressione di trionfo in faccia. Non stava più nella pelle.

«Voglio proprio vedere la Lucchi, che non ci credeva.»

Le giovani calciatrici milanesi fanno sul serio!

Milano, 19 febbraio 1933 – XI Preg. Sig. Direttore del «Guerin Sportivo»

Torino

Per ringraziarla sentitamente e pubblicamente per la pubblicazione della nostra precedente lettera sul suo importantissimo e simpatico periodico, la quale pubblicazione ci ha procurato parecchie adesioni al costituendo «Gruppo Femminile di Calcio» e questo denota l’importanza e la diffusione del «Guerin Sportivo» qui in Milano (sapevamcelo! N.d.R.). Lei è il benemerito della nostra causa. Siamo già in 30 e in una prossima domenica contiamo di misurare le nostre forze e costituire le squadre che presto o tardi dovranno misurarsi in competizioni amichevoli con altre squadre femminili di calcio. Ormai l’idea è lanciata e indietro non si torna. Non si spaventino i nostri genitori, praticheremo il gioco del calcio femminile. Si può essere brave bimbe di casa e praticare uno sport. Meglio l’aria salubre dei campi sportivi che quella malsana delle sale da ballo.

Noi dobbiamo essere riconoscenti al Signor Ugo Cardosi dell’Unione Sportiva Livorno, già fondatore della Croce Verde e della Società Sportiva Esercenti di Milano, di aver lanciato la proposta. Le signorine che hanno piacere di accoglierla, possono inviare la domanda gratuita al «Gruppo Femminile Calcistico», via Stoppani 12, Milano.

Noi facciamo sul serio. Abbiamo delle adesioni infuocate d’entusiasmo. Ci sono con noi maestre, sarte, impiegate, modiste, studentesse e tutte sono impazienti di cimentarsi. Gli uomini ci discutono con meraviglia e curiosità, ma non c’è niente da meravigliarsi perché ormai lo sport ha conquistato anche la donna. Una notizia che le farà piacere, sig. Direttore, ed è che le nostre bimbe porteranno la maglia, anche per non creare discordie fra tifosine Milaniste ed Ambrosiane, coi colori della grande Juventus.

Perdoni sig. Direttore il bottone che Le abbiamo attaccato. Siamo donne! RinnovandoLe i nostri ringraziamenti, sportivamente La salutiamo.

Firmate: Strigaro Losanna, Del Mestre Silvia, Marchi Frida, Lucchi Maria, Solina Augusta, Zanetti Nini, Frigerio Carla, Lo Verro Maria, Magnaghi Angela, Comerio Onorina, Lapini Marcella, Boccalini Rosetta, Boccalini Marta, Botta Anny, Mantoan Jole, Cappella Elena, Dell’Orto Wanda, Glingani Nidia, Torri Wanda, Carozzi Eva, Mistura Pina, Dal Pan Ester, Amodeo Brunilde.

Ci sentimmo invincibili a vedere le nostre parole e i nostri nomi stampati nero su bianco. Invincibili e unite. Il calcio era un gioco meraviglioso e noi saremmo state capaci di giocarlo meravigliosamente, l’avrebbero capito tutti. Avremmo partecipato ai Mondiali quel giorno, se qualcuno ce l’avesse chiesto. E invece, a ripensarci adesso, furono proprio quelle lettere, e quella nostra voglia di farci sentire, a metterci nei guai.

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