La Pasqua, nel 2007, cadde l'otto di aprile. Ma quel giorno, l'otto aprile del 2007 appunto, in Belgio, verrà principalmente ricordato per la 91esima edizione della Ronde van Vlaanderen, meglio conosciuta a sud delle Alpi con il nome di Giro delle Fiandre - o, più semplicemente, il Fiandre. In Belgio la chiamano solo De Ronde, “Il Giro”: per l'appassionato fiammingo di ciclismo il mondo comincia ad Anversa e finisce a Oudenaarde. E nel 2007 il Fiandre lo ha vinto un italiano, Alessandro Ballan, davanti al belga Leif Hoste, uno che sulle pietre ci è nato e cresciuto.
Non sappiamo dove fosse Alberto Bettiol in quel momento, a cosa stesse pensando, ma sicuramente a 13 anni è difficile che avesse già l'ambizione di vincere lui stesso, 12 anni dopo, il Giro delle Fiandre. Sappiamo invece che pochi mesi dopo, nel settembre del 2007, Marta Bastianelli era a vincere il Campionato del Mondo su strada, a Stoccarda. Ieri, per uno strano percorso del caso, Bastianelli e Bettiol erano insieme sul podio, a festeggiare una vittoria che per lui significa l’inizio di una promettente carriera, e per lei la consacrazione definitiva di un’atleta straordinaria.
Per chi non segue il ciclismo: vincere il Giro delle Fiandre è come vincere il Roland Garros, come ha saggiamente scritto ieri Paolo Condò su Twitter. Gli italiani hanno vinto lassù solo 10 volte prima di ieri, di cui tre volte con Fiorenzo Magni (che fece tripletta dal 1949 al 1951) e una con Dino Zandegù (nel 1967). Le altre vittorie sono arrivate fra il 1990 e il 2007: il primo è stato Moreno Argentin ('90), poi verranno Bugno ('94), Bartoli ('96), Bortolami (2001) e Tafi (2002) prima della vittoria di Alessandro Ballan in quel giorno di Pasqua di 12 anni fa.
Da allora, il ciclismo italiano ha vissuto una crisi strutturale prima ancora che nei risultati. Lo stesso Ballan vivrà una seconda parte di carriera molto tormentata e i talenti che verranno dopo, come quello di Filippo Pozzato, si riveleranno effimeri o non all'altezza. L'anno scorso, a domare le pietre del nord, ci aveva provato persino Vincenzo Nibali, uno che col pavé ha veramente poco a che fare, con scarsi risultati.
Foto di Yorick Jansens / Getty Images
Senza che nessuno se l'aspettasse davvero, quindi, a riportare in Italia il De Ronde è stato Alberto Bettiol, un venticinquenne toscano che corre nella EF Education First, semisconosciuto fino a poche ore fa e con zero vittorie in carriera fra i professionisti. Neanche una "corsetta" minore, una frazione in una corsa a tappe di quelle che vengono trasmesse in differita su canali improbabili. Zero.
Da dove spunta fuori Bettiol
Alberto Bettiol è passato molto giovane al professionismo, nel 2014, ma ci ha messo un po’ per assorbire il salto. È cresciuto con calma, senza fretta, seguendo con umiltà e dedizione il suo percorso. Fino a ieri, di lui si sapeva solo che era un buon cronoman, forte sul passo e con buone doti di fondo. Tutto qui. Nessun risultato eclatante o una giornata di grazia, piuttosto un lento e tortuoso cammino, sempre nel World Tour ma mai davvero distinguendosi nel gruppo.
In passato aveva corso il Giro delle Fiandre tre volte, finendo 24° nel 2017 e non finendo affatto nel 2016 e 2018. L’anno scorso il suo miglior risultato sul pavé fu il 67° posto alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne vinta da Dylan Groenewegen prima di una serie di DNF (la sigla che si usa per indicare i ritirati) decisamente non invidiabile.
Eppure quest’anno qualche avvisaglia l’aveva già data. Alla Strade Bianche, ad esempio, dove era riuscito a rimanere nel gruppo dei migliori fino all’attacco di Fuglsang che ha portato via il terzetto con Alaphilippe e Van Aert, per poi comunque sprofondare fino al 78° posto finale. Anche alla Milano-Sanremo si era fatto vedere, anche se alla fine dei conti senza grande successo. E infine una buona Tirreno-Adriatico, finendo due volte sul podio di tappa. In queste occasioni, nonostante i risultati non certo scintillanti, aveva fatto vedere che forse, tra i grandi, ci sarebbe potuto stare.
Il 29 marzo, sei giorni dopo la Milano-Sanremo, si è corsa la E3 BinkBanck Classic (più nota con il vecchio nome di E3 Harelbeke). Spesso considerata come la corsa più simile al Fiandre nonché una delle più importanti classiche fiamminghe che si corrono prima della stessa Ronde. L’Harelbeke è una gara lunga, dura, costellata di strappi e muri in pavé che erodono lentamente le gambe dei corridori finché davanti, a giocarsi la vittoria, non rimangono solo quelli che hanno la forma migliore. Davanti, quel 29 marzo, c’erano cinque ciclisti: Jungels, Stybar, Van Avermaet, Van Aert e appunto Bettiol. Forse è stato in quel momento che avremmo dovuto capire che Bettiol sarebbe potuto arrivare in fondo, anche se alla fine quella gara l’ha vinta Zdenek Stybar.
Cosa serviva per capire il valore di Bettiol? Non parliamo di un predestinato come Valverde, uno a cui si fa strada per lasciar spazio a un futuro luminoso. No, Bettiol aveva bisogno di un colpo di fortuna per affermarsi. E quel colpo di fortuna è arrivato appunto lo scorso 29 marzo: il capitano della EF sulle pietre è Sep Vanmarcke, e dietro di lui in gerarchia c'è Sebastian Langeveld, ma ad Harelbeke, a 85 chilometri dal traguardo, Vanmarcke perde il controllo della sua bici e finisce in un fosso: non ha nulla di rotto ma la botta al ginocchio è talmente forte da costringerlo al ritiro. Senza il suo infortunio, che ha scompaginato le gerarchie della EF e permesso al ciclista italiano di emergere fino al gruppo di testa, forse non avremmo mai conosciuto la storia di Alberto Bettiol.
La gara di Bettiol
Il Giro delle Fiandre ha un inizio confuso ma comunque lineare: fuga di quattro e gruppo dietro che prima lascia andare e poi accelera improvvisamente a un centinaio di chilometri dall’arrivo, in vista del Kapelmuur, cioè il muro di Grammont, una salita breve ma molto ripida. A farne le spese è Niki Terpstra, vincitore uscente, che per qualche ragione finisce sdraiato sull’asfalto e si ritira.
Foto di David Stockman / Getty Images
Sul Muur il gruppo si spacca: davanti ci sono una trentina di concorrenti che guadagnano oltre un minuto ma da dietro chiudono. A quel punto succede una cosa che cambierà il destino di questo Giro delle Fiandre: Mathieu Van der Poel, campione olandese in tre discipline diverse (strada, ciclocross e mtb) e grande favorito alla vigilia, per farsi spazio passa su un’aiuola, fora la ruota anteriore, sbanda sul marciapiede, alza la mano per segnalare il guasto e in quel momento la bici si pianta e lui finisce catapultato faccia a terra. Il gruppo va avanti sparato a tutta velocità verso il Koppenberg, e Van der Poel rimane staccato di più di mezzo minuto.
Sul Koppenberg i favoriti rimasti in gruppo si studiano tra loro, mentre Van der Poel dietro rimonta posizioni su posizioni, mangia secondi al gruppo e alla fine, qualche chilometro dopo, rientra, ma spendendo energie preziose, che gli mancheranno nel passaggio finale sull’Oude Kwaremont.
La corsa sembra seguire una logica darwinista: i favoriti si marcano a vicenda, i pesci piccoli si sbranano fra di loro con attacchi e contrattacchi, in un lavoro logorante che finirà per farli soccombere. Ci prova anche Van der Poel, non si sa con quali energie. L’ultimo passaggio sull’Oude Kwaremont è ai -15 dal traguardo di Oudenaarde. In testa Jens Keukeleire, poi Van Avermaet e in terza posizione Alberto Bettiol.
A guardarlo in quegli istanti Bettiol non sembra avere la faccia di chi sta per compiere un'impresa che rimarrà nella storia. Anzi, sembra piuttosto tranquillo, persino indeciso sul da farsi. All’inizio sembra che aspetti un attacco di Van Avermaet, il suo capitano lo scorso anno alla BMC, ma il campione olimpico non parte. E allora parte lui, come non aveva fatto ad Harelbeke. All'inizio forse è timoroso di mettere piede su uno dei palcoscenici più prestigiosi al mondo, ma appena ci entra si trasforma.
In poche pedalate fa il vuoto: Keukeleire non può reggere, nessuno segue lo scatto e Van Avermaet prova a mettersi in testa per salvare il salvabile ma il distacco aumenta e il belga non riesce a staccare nessuno. Quando Bettiol scollina in cima all’Oude Kwaremont, in quel preciso istante, è chiaro che vincerà. Abbiamo detto che è un buon cronoman, è in forma, forse il più in forma nel gruppo: dietro “sono tutti cotti”, urla Riccardo Magrini in telecronaca, e soprattutto non c’è accordo e vanno a strappi mentre davanti Bettiol, rimasto da solo, può dare tutto fino in fondo senza doversi preoccupare di inutili tatticismi. Sul Paterberg, l’ultimo muro di giornata, è ancora Van der Poel che prova l’attacco per lanciarsi all’inseguimento, ma la sua azione viene presto annullata dal resto del gruppetto.
È una questione di qualità
Vincere a quel punto può sembrare la cosa più scontata del mondo a vederla da fuori, poco più che una formalità. Invece fare un’azione del genere dopo 250 chilometri di una gara corsa sempre a tutta, su e giù per i muri delle Fiandre, e poi andare via in pianura resistendo al ritorno degli inseguitori è una questione di qualità. Servono gambe, ovviamente, ma soprattutto talento. Due cose che Alberto Bettiol, nato a Poggibonsi il 29 ottobre 1993, ieri ha dimostrato di avere.
Foto di Yorick Jansens / Getty Images
All’arrivo era lucido, apparentemente rilassato, dopo uno sforzo di oltre sei ore. Si è preso tutti gli ultimi metri per godersi la vittoria, si è tolto gli occhiali e ha accennato ai fotografi come a dire “guardatemi, ora sapete chi sono”. Fisicamente quello che colpisce di questa vittoria è lo strapotere dimostrato su tutti i 267 chilometri di strada, sempre nelle prime posizioni, sempre pronto a chiudere sugli attacchi avversari e a scattargli in faccia.
Ma soprattutto, ancora prima della condizione fisica, Alberto Bettiol ieri ha messo in mostra il suo talento cristallino. Ha corso tutta la Harelbeke e quasi tutto il Fiandre a studiare e seguire ogni mossa di Greg Van Avermaet, ma in tutti questi chilometri ha mostrato una forza e una tecnica sul pavé fuori dal comune.
Forse va specificato cos'è la "tecnica" quando si parla di una corsa di questo tipo, che vista da fuori potrebbe sembrare solo il prodotto della forza esercitata dalle gambe sui pedali. Quando Bettiol parte sull’Oude Kwaremont non si alza mai sui pedali, spinge un rapporto lungo rimanendo sempre seduto e aumentando la frequenza di pedalate; non sbanda, non cerca di evitare le pietre sconnesse spostandosi a bordo strada ma prende il centro della carreggiata e tira dritto, elegante senza perdere in potenza. Alzarsi sui pedali sul pavé significa perdere attrito sulla ruota posteriore, che tenderebbe a scodare sprecando preziosa energia, stando ben piantato sul sellino, invece, il peso si distribuisce meglio, la bici rimane ben salda e ancorata al terreno. È per questo, fondamentalmente, che queste corse sono così difficili.
Bettiol sembra aver imparato da due dei migliori specialisti del pavé in circolazione, cioè Greg Van Avermaet e Sep Vanmarcke: due che magari non hanno vinto molto in queste corse ma che in quanto a capacità di guidare la bici sulle pietre hanno pochi rivali nel mondo. E ha imparato molto bene, a quanto pare, perché su questi tracciati sembra persino più tecnico di ciclisti già affermati come Peter Sagan, che invece preferisce affrontare i muri delle Fiandre e i settori della Roubaix più di potenza che di tecnica.
Alberto Bettiol, insomma, non ha vinto per caso. Ha vinto perché in questo momento è tra i più forti sui muri ed è bravo a muoversi in mezzo al gruppo per risparmiare energie, sa correre bene nella confusione delle grandi classiche del nord. Probabilmente uno più forte di lui c’era, cioè Mathieu Van der Poel, che dopo la caduta è rientrato, ha attaccato più volte sempre restando al centro della scena e alla fine ha chiuso quarto: sicuramente le energie spese per recuperare dopo l’incidente gli hanno tagliato le gambe nel momento in cui è partito Bettiol, ma anche questo fa parte del gioco, saper evitare gli incidenti non è solo fortuna ma è anche questione di lucidità.
Vincere il Giro delle Fiandre, dopo 17 muri e 267 chilometri, contro questi avversari, non è una formalità. La vittoria di ieri ci dice tanto di che tipo di corridore è già adesso Alberto Bettiol, che ha scritto il suo nome nell'albo d'oro del Giro delle Fiandre dopo non aver vinto nemmeno una gara tra i professionisti. Magari è solo un caso, un fuoco di paglia. Ottenere risultati è sempre difficile, e non è detto che riuscirà a ripetersi in futuro, perché ci saranno gare meno fortunate e giornate storte. Ma da oggi Bettiol potrà guardarsi indietro e sapere di avere la qualità per potercela fare ancora.
Perché alla fine è soprattutto una questione di qualità.