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Tommaso Guaita

Giroud è il mio pastore

Vita e miracoli del numero 9 Olivier Giroud.

Per i tifosi rossoneri “Oliviero bomber vero”, soprannome strappato a Garlini, ex centravanti dell’Atalanta anni Ottanta, già da inizio stagione è un rimpianto. E dopo il suo addio a San Siro tra le lacrime, in tanti hanno empatizzato con lui: “Ti voglio bene Oliviero… il mio sparviero”.

 

Spesso decisivo in campo, soprattutto nelle partite che contano; compagnone apprezzatissimo in spogliatoio; sostenuto da una fede incrollabile nel suo Dio come nelle proprie qualità; marito e padre modello di una famiglia da cartolina e bello, bellissimo. Per tanti è più di un centravanti: è un esempio di vita. Un catalizzatore di affetto che difficilmente troverà un rimpiazzo adeguato sul mercato. «Ricordo bene il mio primo giorno al Milan. Quando ho preso la maglia, l’ho odorata e ho baciato lo stemma» ha raccontato nella sua conferenza di addio. Qualcuno festeggia cinicamente il suo trasferimento negli USA – «I miei occhi hanno bisogno di una punta come si deve l’anno prossimo» – ma altri si lanciano in messaggi di amore incondizionato: «Ci hai insegnato ad amare, a sudare e lavorare duro, non solo nel mondo del calcio ma anche nella vita, sei un padre e un marito fantastico».

 

Quando è arrivato sulla maglia numero 9 del Milan pendeva una maledizione lasciata dal più esoterico dei centravanti, Pippo Inzaghi. Lui l’ha scacciata con la semplicità della sua esperienza, del suo spessore. Era arrivato per fare da vice a Ibra, tra mille dubbi anagrafici, ed è stato il centravanti protagonista dello Scudetto.

 

Nelle sue prime interviste aveva provato a spegnere ogni discussione sul probabile dualismo con Zlatan: «I grandi giocatori trovano sempre il modo di adattarsi, penso che potremo essere una grande coppia». Poi Pioli non li aveva mai schierati insieme e per Giroud sembrava che anche al Milan si dovessero ripresentare situazioni un po’ spiacevoli già vissute in passato. Dietro alla facciata da rivista patinata – fino a qualche anno fa posava spesso semi-nudo sui rotocalchi – c’è un calciatore che a ventiquattro anni non aveva ancora mai giocato in Ligue 1 e che ha dovuto sempre sgomitare per guadagnarsi i suoi spazi. All’Arsenal e al Chelsea, a ogni sessione di mercato veniva sempre scalzato dai “campetti” che sui quotidiani illustrano la formazione titolare, superato nella considerazione da giocatori più giovani, circondati da più hype, teoricamente più forti. A fine anno risultava quasi sempre decisivo, anche quando giocava poco o alzava una Champions mettendo insieme solo una manciata di minuti dai quarti in poi.

 

Con la Francia, a Qatar 2022 è riuscito a scavalcare Henry come miglior marcatore all time, nonostante abbia vinto il Mondiale 2018 senza mai tirare in porta. Un bel paradosso. Una parte della stampa lo ha sempre criticato, chiedendone l’esclusione. Benzema, a chi gli domandava un paragone tra sé e Olivier in una diretta social, lo ha ridicolizzato: «Non si può confondere un kart con una Formula 1».

 

Giroud, sempre sorridente ma animato da una volontà di rivalsa feroce, ci ha riso su, poi ha dato la propria versione nel suo libro, Crederci sempre: «Se Karim fosse rientrato in squadra, sarei stato nei guai, ma avrebbe sbilanciato tatticamente il nostro gioco. Il collettivo ci avrebbe perso». L’importanza di Giroud è sempre stata quella di sciogliere il proprio talento nel collettivo, scomparire a favore degli altri, e ricomparire per gli altri quando ne hanno bisogno. Quest’estate, prima di trasferirsi a Los Angeles, lo aspetta il suo quarto Europeo da protagonista, poi smetterà anche con i bleus. Con il Milan ha salutato con un rammarico – «Avrei voluto lasciare il Milan con un trofeo. Sapete quanto sono competitivo» – con la Francia avrà l’occasione di riprovarci.

 

Essere messo ogni volta in discussione non è semplice, ma l’auto-aiuto è sempre venuto in suo soccorso e dalle sfide complicate Giroud ha saputo trarre insegnamenti importanti e stimoli a migliorarsi. «No pain, no gain» è il mantra – non originalissimo, ma in linea con il personaggio – che ripete spesso nelle sue stories. Negli anni ha saputo trovare motivazioni extra da ogni contesto e nelle interviste o sui suoi canali social ha condiviso un pensiero positivo che gli ha attirato tantissime simpatie e altrettanti contratti di sponsorizzazione. Molti lo adorano, tipo il gregge con il buon pastore, tanto per usare una metafora a lui cara: “Sei meglio di Benzema e Lewandowski”, “Sei un campione, ti amo Oli”, “Uomo enorme”, sono solo un assaggio del tenore di molti commenti alle sue foto su X.

 

Giroud collabora come caporedattore di una rivista chiamata “Jesus!”, che ha l’obiettivo di “spiegare Cristo al grande pubblico”, mettendosi in copertina in una foto dall’aria messianica dietro al titolo: “33 anni, l’età di Cristo”. Che risulta credibile quando promuove campagne contro il bullismo incontrandosi all’Eliseo con Brigitte Macron, ma allo stesso tempo pubblicizza, facendo le linguacce, fucili giocattolo ad aria compressa che sparano freccette di gommapiuma. Una persona che si definisce “un fratello maggiore” per i calciatori più giovani e se quelli gli rubano il posto, come accaduto al Chelsea con Tammy Abraham, li consola dopo un errore dal dischetto inviandogli un sms con il Salmo 40: 27-31 del profeta Isaia: «I giovani si affaticano e si stancano, i più forti vacillano e cadono, ma quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze».

 

È difficile trovare un collega o un allenatore che ne parli male.

 

Perché il collettivo viene prima di tutto e Giroud è solo un ingranaggio di qualcosa di molto più grande. Il disegno di Dio, l’ordine sociale, il mondo capitalista o lo spogliatoio: scegliete voi. «Ogni volta che posso, cerco di parlare della mia fede. Sento di dover usare la mia copertura mediatica per parlare di ciò che mi muove e del mio impegno per Gesù Cristo» ha confessato a Le Figaro nel settembre 2019. E se in passato si dice che abbia fatto qualche cazzata, oggi mette la disciplina al centro del suo mondo.

 

Nell’ennesimo contenuto sponsorizzato dei suoi social, oltre a una bio su Elon Musk, suggerisce un manuale di autodisciplina attraverso lo sport e uno sul potere della sicurezza di sé. Magari si può non essere d’accordo con i suoi consigli letterari ma è difficile non riconoscere l’impegno che Giroud sembra mettere in tutto ciò che fa: «Le persone che mi conoscono bene sanno che io voglio sempre vincere e voglio essere anche una persona simpatica fuori dal campo. In tutti i club dove ho giocato ho lasciato persone che mi amavano».

 

Quando viene espulso per doppia ammonizione per essersi tolto la maglia dopo un gol in spaccata – come accaduto la stagione scorsa contro lo Spezia i giornali si concentrano sui suoi addominali a tartaruga e il suo fisico bestiale più che sull’ingenuità del gesto. Ibra, per risollevarlo dalle lacrime, in quell’occasione gli ha rifilato uno schiaffone nel tunnel per gli spogliatoi; i media, invece, hanno trascritto la sua dieta senza olio e grassi, curata dal fratello nutrizionista – una specie di gemello dall’aria più rilassata – e le sessioni di workout necessarie a chi sogna di diventare come lui.

 

Quando dopo un gol fissa dritto in camera – appena dopo essersi rivolto al Padreterno con gl’indici – con quella faccia da guascone un po’ spudorata, il ciuffo perfettamente in piega anche dopo un colpo di testa, sembra intimarti di alzare il posteriore dal divano e cominciare a darti da fare.

 

Tutto è partito da un calcio nel sedere, diventato una pietra miliare nella sua narrazione. Di cui René Girard, che lo ha allenato a Montpellier, si è preso la paternità: «Partitella del giovedì, [Giroud] si sta impegnando poco. Ogni tanto aveva dei cali mentali e di tensione, così fermo il gioco e gli tiro un calcio nel sedere, forte». Dopo qualche secondo di smarrimento, ci avevano riso su e Olivier aveva vinto il campionato francese da capocannoniere, spiccando il volo verso la Premier.

 

Nella sua esperienza al Milan, il suo momento topico arriva nel derby di ritorno della stagione dello Scudetto, il 2 febbraio 2022. La scelta di Maldini e Massara di portarlo in rossonero sembra già fallimentare, la squadra sta perdendo 1-0 la sfida che lancerebbe l’Inter verso il ventesimo Scudetto e Pioli è sul punto di sostituirlo. Poi Giroud trova dentro di sé la forza per cambiare le cose e scrive una pagina di storia della serie A, nascondendo tutti i pensieri brutti.

 

Prima va a deviare in gol con una scivolata rapace un tiro deviato di Brahim Diaz, nato da una sua palla recuperata con un contrasto di forza, quindi segna la rete che rimarrà a lungo tra i momenti più importanti del milanismo recente: con l’Inter schierata compatta a difesa di Handanovic, sul limitare dell’area di rigore, Olivier combatte con il fisico per liberarsi della marcatura di De Vrij, chiama a Calabria il pallone in profondità sbracciandosi platealmente e, con il difensore olandese incollato alle terga, si libera sul sinistro con un colpo di tacco e incrocia la conclusione sul secondo palo. Il portiere sloveno va giù piano e la sfiora soltanto, e pure De Vrij sembra lento a captare il pericolo, ma il movimento di Giroud è da cobra. Una mossa in cui ha sfruttato l’agilità da ballerino che fa onore alla scuola di danza frequentata da ragazzo, la stessa che gli ha permesso nel 2017 di vincere il Puskas Award con il colpo dello scorpione.

 

Da quel momento in poi, l’esperienza rossonera del bomber francese è stata una continua ascesa, e il coro “si è girato Giroud” è diventato uno dei più gettonati a San Siro assieme a “Pioli is on fire!”. Ma se il tecnico è caduto in disgrazia, un derby perso dopo l’altro, Olivier è rimasto stabile ai primissimi posti delle preferenze dei tifosi. Dopo lo Scudetto, messo nel mirino grazie alla sua doppietta all’Inter e poi cucito sul petto con altri due suoi gol contro il Sassuolo all’ultima giornata, si è guadagnato la fama di giocatore decisivo, capace di segnare sempre reti importanti. Una qualità rarissima e una delle mancanze che più spesso vengono imputate anche ai centravanti più prolifici.

 

 

E nelle festa post partita, ovviamente, è stato tra i più scatenati e fotografati: ennesima dimostrazione che per alcuni le vittorie non bastano mai e che la sua resa davanti a una telecamera o a un obiettivo è sopra la media. «Mi aspettavo l’atmosfera pazzesca di San Siro, ma quando abbiamo vinto lo Scudetto non mi aspettavo tanta gente sulla strada».

 

La stagione da campione d’Italia in carica del Milan è stata una sequela di alti e bassi, culminata con il passaggio dei quarti di Champions ai danni del Napoli – ancora con un gol di Giroud, sempre Giroud – ma le brutte prestazioni con l’Inter, sia in Supercoppa italiana che in semifinale di Champions l’hanno rovinata in modo quasi irreparabile. Uno dei pochi a non essere mai messo in discussione è stato il trentaseienne Olivier, che si è meritato il rinnovo per un altro anno. Al Milan Giroud ha trovato insomma un riconoscimento di status che altrove non aveva avuto; pur giocando sempre in grandi squadre e in una Nazionale campione del mondo, era sempre considerato un mezzo imbucato. Al Milan, per la prima volta, pure nella fase terminale della carriera, ne è stato riconosciuto un valore da campione a cui non si rinuncia.

 

Origi, arrivato per dargli respiro, era inadeguato. De Ketelaere, che visto ciò che ha mostrato quest’anno a Bergamo poteva essere un suo potenziale rimpiazzo, almeno ogni tanto, è rimasto schiacciato dal peso della maglia. Ibra si è ritirato tra le lacrime dopo aver disputato una manciata di partite appena. Così Giroud è diventato il pilastro su cui si è poggiato l’attacco del Milan. Le sue sponde, il suo gioco spalle alla porta, i suoi duelli vinti e i suoi gol sono stati spesso la soluzione più immediata ai problemi di una squadra che, dopo l’exploit, non è riuscita a crescere come quasi tutti si auguravano.

 

La scorsa estate, in tanti speravano che arrivasse un centravanti giovane per affiancarsi a Giroud e rubargli qualche trucco del mestiere, per poi prendere il suo posto a fine anno, ma il Milan è riuscito a portare a casa solo Jovic, poco più di una buona riserva. E forse nell’anno in cui avrebbe potuto godersi un po’ di riposo, Giroud si è dovuto rimboccare di nuovo le maniche: 17 gol stagionali, 15 in Serie A (record personale).

 

Gli staff medici che hanno avuto a che fare Giroud, si sono spesso meravigliati della sua grande resistenza e della sua straordinaria capacità di stressare il suo corpo in centiaia di contrasti senza soffrire infortuni, ma anche un fisico bestiale non poteva reggere a lungo gli urti delle grandi delusioni subite quest’anno.  Era dal 2015/16 che Giroud non segnava tanti gol come quest’anno in campionato, ma il suo secondo momento migliore in maglia rossonera è arrivato nel modo più insolito: prendendo il posto in porta dell’espulso Maignan nel finale di Genoa-Milan.

 

Si racconta che in allenamento Olivier voglia giocare spesso tra i pali, per capire come osservano la partita i suoi principali rivali, ma in una gara ufficiale è un’altra cosa. Come sempre, di fronte a una situazione nuova e complessa Olivier ha tirato fuori la determinazione, ha chiuso gli occhi e allungando il braccio a pugno chiuso è andato a strappare un pallone dai piedi di Puscas, che gli si era presentato davanti pronto a tirare. Poteva essere un pareggio in extremis, ma quella parata aveva significato vittoria e il provvisorio primo posto in solitaria. Giroud aveva festeggiato con i compagni come dopo un gol decisivo.

 

 

Le ironie sul suo nuovo ruolo di portiere della nazionale francese si erano sprecate, e la Panini aveva creato una figurina upgrade in edizione limitata per celebrare l’evento. Olivier, al netto delle risate, aveva trovato il modo di metterla sul piano motivazionale: «Ho detto a me stesso ‘Vai’. Non ho l’istinto da portiere ma in quel momento mi sono sentito tale».

 

Tra i suoi tanti tatuaggi, sull’avambraccio ne ha uno in latino che riporta il Salmo 23 dell’Antico Testamento: “Il signore è il mio pastore e non necessito d’altro”. Ma da quel momento di festa il Milan ha rallentato – due sconfitte e due pareggi in campionato e il 3-0 a Parigi in Champions – e Olivier forse ha patito un po’ la sfiducia montante, commettendo qualche errore di troppo. Ha fatto gol con continuità, ma come tutto il Milan ha fallito ogni appuntamento da dentro o fuori.

 

Ha sbagliato un importantissimo tiro dagli undici metri con il Borussia Dortumund a San Siro, che avrebbe potuto portare al passaggio del turno in Champions. Si è ripetuto contro il Bologna. Ha procurato il discusso rigore che ha deciso i quarti di coppa Italia con l’Atalanta e poi, nel derby del 22 aprile, quello che ha dato all’Inter lo Scudetto, è partito in panchina.

 

 

Nonostante i tifosi del Vasco da Gama trollassero da settimane i suoi social con centinaia di richieste di trasferirsi in Brasile, si sapeva da tempo del suo passaggio in Mls. Se Ibra aveva scelto i Galaxy per le sue lezioni americane, Giroud ha preferito i Los Angeles Fc, che l’anno scorso hanno concluso una lunga relazione amorosa con il loro bomber storico, il messicano Carlos Vela, e avevano bisogno di un nuovo finalizzatore da copertina. «Ho dato tutto quello che ho al Milan. Per me, e per la mia famiglia, è il momento giusto per un’esperienza diversa di vita».

 

Con il Genoa, davanti alla curva in contestazione, ha sbagliato un gol clamoroso e ne ha segnato uno alla sua maniera, con un bel tiro secco al volo. Ma a causa del pareggio finale la somma dei due eventi ha fatto ancora pendere la bilancia emotiva dal lato della delusione. Nella goleada con il Cagliari è rimasto a secco ed è uscito abbacchiato dopo un tempo. Con la Salernitana, all’ultima giornata, ha segnato l’ultimo gol davanti al pubblico che per tre anni – o meglio, due e mezzo, appena dopo la doppietta all’Inter – l’ha considerato un idolo assoluto. Un’ultima linguaccia per festeggiare, ancora commozione per un addio che forse, visto il suo stato di forma, si sarebbe potuto posticipare ancora: «La mia storia con il Milan finisce quest’anno ma rimarrà per sempre nel mio cuore».

 

Rimpiazzarlo sul campo non sarà semplice, trovare un altro capace di trasmettere tante emozioni positive a chi lo circonda – tra compagni, staff tecnico e i tifosi – quasi impossibile. Tra David, Zirkzee, Sesko, Guirassy o chissà chi, il futuro dell’attacco del Milan è un grande punto di domanda. Tutti al momento si concentrano solo sul probabile arrivo di Fonseca.

 

Sarà triste non poter provare a vedere il mondo così come lo vede Giroud.

 

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Tommaso Guaita parla di calcio e calciatori sul Guerin Sportivo, ha raccontato la serie A anni 90 per 66thand2nd, ha curiosato i segreti degli sportivi per Electa e collabora con Rivista Undici.