Dopo quelli della Lazio (di cui è il secondo miglior marcatore di sempre con 127 gol, dopo l’irraggiungibile Piola), i tifosi del Bologna sono quelli che meglio conoscono le gioie che poteva regalare Giuseppe Signori. In totale sono 84 i gol segnati in sei stagioni al servizio del pubblico felsineo, la sua più lunga permanenza in un solo club. Pochi giorni fa è stato il cinquantesimo compleanno di Beppe e Dugout ha scelto per l’occasione i suoi 5 migliori gol in maglia rossoblù. Io colgo l’occasione per scrivere nella pietra di internet la mia profonda ammirazione per il piccolo centravanti nato a pochi chilometri da Bergamo.
Questo pezzo è realizzato in collaborazione con Dugout, il secondo dopo quello sui gol di testa di Pierluigi Casiraghi.
Di Beppe Signori si ripetono sempre le stesse cose. Una di queste è che quando ha incontrato per la prima volta Zeman (che se ne era innamorato vedendolo da avversario nel Piacenza, mentre ancora allenava il Messina) quello lo ha salutato con un profetico: “Ciao bomber”, nonostante Signori fin lì avesse sempre giocato trequartista. E probabilmente, tra i calciatori che Zeman può dire di aver capito veramente (Fuser, Totti, e per fare gli esempi più recenti: Insigne, Immobile e Verratti) forse quello che ha capito meglio di tutti, e che ha influenzato più di tutti, è proprio Giuseppe Signori.
Signori era piccolo per le difese dell’epoca come lo sarebbe per quelle di oggi (Wikipedia dice che è alto un metro e settanta), non era in grado di fare tutto da solo e, con quel caschetto biondo davanti agli occhi, non aveva neanche l’aria del centravanti di provincia. Eppure Zeman aveva visto in lui la punta perfetta per sfruttare gli spazi che la squadra avrebbe creato, un pesce da profondità, in grado di sopravvivere tra seppie giganti e balene. Il suo solo vantaggio in quell’ambiente così ostile era la velocità, di pensiero e di esecuzione. In questo aspetto, sì, Signori era un giocatore diverso dagli altri. Speciale.
Il ricordo di Signori è strettamente legato a quello del Foggia di Zeman, che ancora oggi rappresenta una certa vetta ideale, un’idea di calcio ammirevole molto al di là dell’ingenuo nostalgismo dentro la cui cornice viene quasi sempre infilato. Quel Foggia giocava un calcio che anzitutto poteva essere per tutti, un gioco che era frutto di duri allenamenti e dell’organizzazione, ma che al tempo stesso concedeva ampia libertà al talento dei singoli. Un calcio di cooperazione, che aumentava esponenzialmente il valore dei singoli e non aveva bisogno di fenomeni; e che, però, non escludeva le eccellenze, i giocatori fuori dal comune.
La capacità di Signori di concludere l’azione, di finalizzare, realizzare, trasformare gli sforzi collettivi in un unico gesto risolutorio, era tipica del calcio di quegli anni e soddisfaceva un gusto - il materialismo degli anni ’90 - che di certo non avrebbe perdonato nessuna inefficienza, per quanto spettacolare. Il calcio degli anni ’90 aveva bisogno di figure catalizzatrici, capaci di celebrare la sete per il successo nell'esultanza del gol: Signori continuava a correre, saltava, agitava le braccia, percorso da pura euforia. E al di là dell’aspetto quantitativo (se si escludono le due stagioni peggiori con il Foggia, la Lazio e il Bologna, ha segnato più di un gol ogni due partite) c’era davvero qualcosa di sovrannaturale nel modo con cui Signori trovava la via della porta.
Soprattutto nello strano rapporto tra la potenza con cui calciava la palla e la leggerezza con cui si muoveva. Proverò a semplificarlo in una formula che rappresenti la potenza di tiro di Signori:
(forza con cui Signori colpisce il pallone / difficoltà dell’angolo di tiro) x (velocità della corsa di Signori + velocità del passaggio di provenienza).
Ovvero la velocità di Signori si sommava a quella della palla e, insieme, si moltiplicavano alla forza che imprimeva con il suo calcio. Solo l’angolo con cui doveva calciare rappresentava un fattore in grado di diminuire una meccanica di tiro incredibilmente fluida. I movimenti del corpo di Signori erano un tutt’uno con i movimenti della palla.
Foto di Grazia Neri / Getty Images.
Una persona normale per coordinarsi al tiro deve aggiustare la propria corsa, la frequenza dei passi e la direzione, perdere magari altro tempo per coordinarsi e aspettare che la palla sia esattamente nella punto desiderato. Signori, invece, arrivava letteralmente sul pallone (come un uccello rapace arriva sulla preda) alla sua velocità di punta, e si coordinava senza nessuna esitazione, raccogliendo e moltiplicando la velocità della palla come la superficie tesa ed elastica di una racchetta da tennis.
Il gol segnato con la maglia del Bologna contro il Vicenza, nel 4-0 della stagione 98/99 (al quinto posto nella classifica di Dugout), è un esempio della potenza dei tiri di Signori, che dipendeva più dalla tecnica che dalla circonferenza delle sue cosce (comunque non così sottili). Solo chi ha sparato più di un paio di palloni oltre la rete che circonda il campo di allenamento sa quanta tecnica ci vuole per calciare di prima intenzione una palla che arriva in orizzontale dallo stesso lato del piede con cui la si vuole colpire. In quel caso, poi, la palla stava rimbalzando.
Signori se ne è andato dalla Lazio dopo una partita di Coppa Uefa in cui Sven Goran Eriksson lo aveva fatto scaldare senza farlo entrare in campo. «Ero il capitano, avevo segnato 127 gol, sognavo di raggiungere il record di Piola, non potevo accettare di essere trattato così». Questa è un’altra delle cose che si ripetono sempre a proposito di Signori, che ancora pochi giorni fa, in occasione del suo cinquantesimo compleanno, ha confessato alla Gazzetta di esserci rimasto davvero male: «Quella notte girai da solo in macchina la città fino alle sei del mattino, con le lacrime agli occhi».
Ha scelto Bologna, che aveva appena perso Roberto Baggio, perché la considerava una città «ideale per una rinascita». Perché, dice oggi: «Si vive sereni, ma con tanta passione attorno». Quelle sei stagioni, dai 30 ai 35 anni, sono l’ultima fiammata prima della coda pre-pensionistica della sua carriera: le due partite in amichevole con la maglia del Milan (durante la tournée del 2004 in Cina, come avevano fatto Cruyff nel Mundialito del 1981 e Dario Hubner nel 2002), le due stagioni in Grecia e Ungheria.
Breve parentesi personale: quando Signori è esploso nella Lazio io avevo tra gli undici e i sedici anni e, come molti lettori ormai sapranno, tifavo Roma. Il che non faceva che aumentare l’acutezza con cui percepivo la sua efficacia (è stato capocannoniere di Serie A in tre stagioni su quattro dal '92 al '96). Signori per me è stato come crescere con un dolore al ginocchio a cui non potevo smettere di pensare, un dolore sempre presente, anche quando Signori non segnava nei derby (tipo lo splendido gol al volo di destro in quello finito 1-0 della stagione 93/94).
Quando poi è andato al Bologna, dopo mezza stagione buttata alla Sampdoria, il dolore ha cominciato ad affievolirsi, trasformandosi in qualcosa di diverso. La sensibilità dell’adolescenza ha lasciato lentamente il posto a una specie di estasi metafisica (non a caso quelli sono gli anni in cui un ragazzo può abbracciare una fede o un’ideologia).
Credo di non aver mai percepito in maniera così diretta e immediata il talento di un calciatore come è stato per Giuseppe Signori negli ultimi anni di liceo. Avevo l’impressione che se Signori avesse colpito senza neanche guardare una palla da calcio abbandonata sul marciapiede quella avrebbe trovato da sola la strada per infilarsi nella porta da calcio più vicina.
E invece la capacità di Signori di vedere esattamente dove si trovava la porta, e insieme ad essa, come se fosse stato una parte di essa, il portiere, era fondamentale. Signori è stato forse il più grande maestro nell’arte del tiro in diagonale sul secondo palo. Il suo primo gol con la maglia della Lazio (gialla per l’occasione, contro la Sampdoria) è un tiro in diagonale, di destro, con la palla che tocca la rete vicina al palo più lontano. Anche uno dei suoi gol più belli in assoluto, segnato in un Lazio-Inter (3-1) nella stagione 92/93, è un diagonale sinistro precisissimo, che si separa dal suo piede dopo aver portato a spasso la difesa nerazzurra e aver superato Nicola Berti (in velocità utilizzava il proprio corpo al meglio anche per resistere ai contrasti e ai recuperi). «Signori?» commentò Battistini dopo quella partita, «Bel gol il suo, ma noi abbiamo fatto poco per impedirglielo».
Certo, ogni volta che un attaccante segna la difesa, evidentemente, non ha fatto abbastanza per impedirglielo. Ma non c’era niente di semplice nel modo in cui Signori interpretava lo spazio che lo circondava e utilizzava il proprio corpo a seconda dell’esigenza: duro per resistere ai contrasti, leggero per scappare. Il suo processore interno analizzava la posizione del portiere fin nei dettagli e calcolava la traiettoria da dare alla palla. Nel gol realizzato contro il Verona nel 2001 (in quarta posizione nella classifica), va incontro a un cross da destra all’altezza dell’area piccola, dando quasi la schiena alla porta e calciando con il piatto destro sul primo palo, in modo da prendere in controtempo il portiere. Contro il Milan (terza posizione) colpisce la palla che si era alzata dopo un contrasto di Kenneth Anderson, coordinandosi con il corpo in perpendicolare rispetto alla linea di tiro, ruotando sul piede d’appoggio come la ballerina di un carillon.
Un discorso a parte va fatto per il gol segnato nei quarti di Coppa Uefa contro il Lione (in seconda posizione). E non solo per il ricordo dell’incredibile cavalcata del Bologna di Mazzone in Europa, che per poco (sconfitta in semifinale dopo due pareggi con l’Olympique Marsiglia) non ci ha regalato una finale tutta italiana con il Parma di Malesani. In quell’occasione Signori colpisce la palla molto in alto sul secondo palo, deve saltare per colpirla prima che il cross di Jonathan Binotto gli sia sfilato davanti. Il tiro di Signori non è esattamente un tiro debole, ma l’obiettivo principale di Signori è indirizzare la palla sul secondo palo, con un angolo così stretto da farla tornare indietro quasi sulla stessa linea. La precisione di Signori in questo caso rasenta la perfezione: lo spazio tra il portiere e il secondo palo era quasi inesistente.
Un’altra cosa che tutti sanno di Signori è che calciava i rigori da fermo. Lui ha spiegato che il segreto era guardare il ginocchio del portiere, che quasi sempre si muove prima che parta la palla. «Lui teneva un ginocchio più in basso dell’altro, un movimento inconscio ma una sfumatura determinante per me perché mi indicava che avrebbe spinto con quella gamba, e quindi sarebbe andato dalla parte opposta». Ha detto anche di aver capito che la precisione era superiore alla forza guardando un torneo di freccette e che di recente lo ha contattato il Barcellona per dare qualche consiglio a Neymar. «Gli ho rivelato il segreto del ginocchio».
Ma dietro il ragionamento razionale sui calci di rigore ci sono tutti quei calcoli inconsci che il processore interno di Signori compiva sempre prima di concludere in porta. Quei calcoli che alla fine diventano la sensibilità del centravanti, che intuisce con la coda dell’occhio il movimento e la postura del portiere e, istantaneamente o quasi, capisce come batterlo. La sensibilità diventa un potere in area di rigore, il potere diventa la capacità di controllare situazioni anche complesse.
Prendiamo il gol primo in classifica, quello segnato contro l’Udinese. Un modo elegante per rimetterlo in scena sarebbe quello di utilizzare delle statue al posto dei difensori e del portiere. È la leggerezza con cui si muove Signori a trasformare i difensori in statue, la rapidità con cui calcia a inchiodare i piedi del portiere sulla riga di porta. Il suo potere era togliere il potere - i riflessi - ai suoi avversari.
Le altre cose che tutti sanno di Signori riguardano il suo rifiuto di giocare la finale del Mondiale del ’94 da esterno di centrocampo, e la sua passione per le scommesse. Un vizio tutto sommato innocuo quando Signori scommetteva con i compagni di squadra, un milione contro cinquantamila lire, che non sarebbero riusciti a mangiare un Buondì in trenta passi; meno innocuo quando Signori scommetteva contro i compagni (si dice che con Casiraghi puntassero sui gol che avrebbe sbagliato Boksic); decisamente deleterio quando fa finire Signori agli arresti domiciliari per un’indagine che dopo sette anni ancora non si è tradotta in un processo.
Il rischio è che il tempo consumi l’immagine in movimento di Signori e che restino solo quelle poche cose fisse che tutti ormai sanno. Beppe Signori va ricordato in movimento: in piena corsa, con o senza palla, con le braccia alzate per chiamare la palla immediatamente prima di segnare, che poi alzava allo stesso modo per festeggiare subito dopo, facendo sembrare ogni sua richiesta del pallone in area l’anticipazione di un’esultanza.