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Gli ultimi dieci
29 mar 2021
I numeri dieci sono estinti, si dice, ma ci sono giocatori che interpretano ancora il ruolo in modo classico.
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29 min
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Uno dei topoi più diffusi nel discorso calcistico è quello della scomparsa dei numeri dieci. Una questione che si trascina forse dagli anni ’90, dal momento in cui il 4-4-2 si impone in tutta Europa e i trequartisti si riciclano da seconde punte o da esterni di centrocampo. Nel frattempo, di giocatori capaci di scaldare il cuore con la tecnica e l’inventiva non ne sono mancati, ma il problema dei numeri dieci in via d’estinzione ha continuato a occupare le colonne dei giornali e le chiacchiere tra appassionati, sempre con motivazioni diverse. La causa più ricorrente, di solito, è quella relativa all’eccesso di atletismo del calcio moderno. Una spiegazione più approfondita, invece, è quella legata alla nuova concezione del gioco da parte degli allenatori: un calcio più democratico, dove anche portieri e difensori hanno responsabilità con la palla. L’occupazione più razionale del campo, la ricerca di un modello in grado di «dominare il fato», come scriveva Emiliano Battazzi in un articolo dedicato al gioco di posizione, ha ripartito in maniera più equa la tecnica in campo, ma non ha di certo cancellato le eccellenze. La sensibilità dei piedi di giocatori come David Silva, Özil o Joao Felix, per citare un under 21, sarebbe stata evidente anche nel calcio di una volta.

Eppure, nessuno penserebbe a loro come a dei tradizionali numeri dieci. Chi più di tutti ha personificato l’idea classica di fantasista, così tanto da guadagnarsi l’apodo el ultimo diez, è Juan Román Riquelme. Cosa rende l’argentino un giocatore così diverso, agli occhi dei tifosi, rispetto a trequartisti straordinari tecnicamente come quelli citati sopra? Chissà, forse è la mitizzazione del passato, anche se Riquelme incarnava un senso di nostalgia già nel pieno della propria carriera (ciò che Dargen D’Amico chiamerebbe “Nostalgia istantanea”). Eppure, a riguardare le partite di Riquelme una grande differenza c’è, e non solo per il contesto diverso del calcio degli anni 2000 o per la tecnica.

In Riquelme c’è un’urgenza di farsi dare il pallone straniante per chi guarda il calcio nel 2021. Dove noi siamo abituati a giocatori che occupano il campo in maniera ordinata, ognuno con una sua piccola sfera d’influenza, Riquelme invece è ubiquo, interviene in ogni fase dell’azione: primo possesso, sviluppo, rifinitura. Gli occhi dei compagni si rivolgono sempre a lui, perché dargli la palla significa semplificare ogni situazione di gioco: può farlo con un dribbling, una protezione di palla, un cambio campo, o anche una sponda (fondamentale un po’ trascurato del calcio di Riquelme: riguardate le sue partite al mondiale 2006, pochi centrocampisti toccano spalle alla porta con quella sensibilità).

Mentre i trequartisti odierni passano la maggior parte del tempo a trovare la posizione tra le linee, la zona in cui è più vantaggioso ricevere, se necessario anche allontanandosi dai giocatori in possesso, Riquelme segue il richiamo della palla e non può fare a meno di andarle incontro. L’argentino non aspetta mai in zona di rifinitura: si sfila dalla marcatura e si abbassa quasi a calpestare i piedi dei suoi centrocampisti e difensori. È una differenza figlia dello sviluppo del calcio degli anni ’10, che Román non ha vissuto in Europa.

I principi del gioco di posizione, distillati ormai in percentuali diverse in tutte le migliori squadre del mondo, hanno cambiato il modo di occupare il campo. Valentino Tola, in un pezzo dedicato a van Gaal, tra i padri del juego de posición, scriveva: «Perché la palla possa correre senza dare il tempo all’avversario di coprire la distanza, i giocatori […] devono occupare posizioni che rendano il campo “troppo largo” e “troppo lungo” per il sistema difensivo avversario, quindi offrire l’appoggio non tanto andando incontro al pallone, ma smarcandosi alle spalle della linea avversaria. […] Come dice il tecnico spagnolo Juanma Lillo, si tratta di “allontanarsi dal pallone per avvicinarsi al gioco”». Non è un caso che van Gaal abbia sancito il fallimento di Riquelme al Barcellona.

Rimanere lontani dal pallone ed evitare movimenti incontro serve a ricevere in zone pericolose e a non agevolare il recupero palla degli avversari: se ci si avvicina troppo all’uomo in possesso diventa più facile schermare la linea di passaggio e, eventualmente, rubare palla: «gli “uomini tra le linee” […] non devono mai togliere la palla dai piedi dei compagni, consci che questo attrae gli avversari» scriveva Daniel Fernandez in un prontuario sul gioco di posizione di The Tactical Room.

Insomma, se Riquelme giocasse nel 2021, difficilmente potrebbe muoversi ossessivamente incontro come faceva nel 2006. Per capire l’assunto, basta osservare le migliori squadre della Champions League. Bayern Monaco e Manchester City, pur con velocità diverse, soffocano gli avversari negli ultimi trenta metri attraverso l’occupazione razionale del campo, con almeno due giocatori ad aspettare, lontani dalla linea della palla, nei corridoi intermedi tra le linee. Anche a livelli più bassi il principio è valido. I “trequartisti” del Lipsia di Nagelsmann si piazzano con pazienza tra le linee per triangolare ed eventualmente occupare l’area. Nel 4-2-3-1 del Sassuolo di De Zerbi sulla prima costruzione i trequartisti restano alti dietro la mediana avversaria per allungare il campo e favorire la verticalizzazione dopo aver attratto il pressing. Se i trequartisti o le mezzali riescono a ricevere dietro il centrocampo, allora si può puntare frontalmente l’area o si porta fuori posizione un difensore, le situazioni migliori per attaccare: è questa la costante delle squadre che oggi mirano all'eccellenza.

Il trequartista che si abbassa per diventare regista, l’enganche, è effettivamente in via d’estinzione, forse più per una questione di movimenti senza palla che di atletismo. Eppure esistono ancora delle eccezioni. Ci sono ancora numeri dieci con la facoltà di muoversi secondo il proprio gusto per togliere, se necessario, la palla dai piedi del compagni; giocatori che in maniera senziente cancellano la linea di passaggio e si trascinano dietro l’avversario per superarlo con un dribbling o una protezione palla e aprirsi il campo frontalmente: Luìs Alberto nella Lazio, Papu Gómez nell’Atalanta fino a pochi mesi fa, Neymar nel PSG, più raramente Ibrahimović nel Milan e Insigne nel Napoli. Senza contare Messi, costretto però ad abbassarsi dalla disfunzionalità di Barcellona e Argentina.

Alcuni di questi casi sono interessanti per illustrare i vantaggi di dare a un trequartista/centrocampista/attaccante superiore per tecnica e intelligenza la facoltà di abbassarsi per intervenire in ogni momento sul possesso. Giocatori, in definitiva, che non possono permettersi di aspettare lontani dalla palla e che escono dalle convenzioni del calcio moderno. Proprio come Riquelme, che già nel 2006 anticipava l’influenza di giocatori come Luis Alberto e il "Papu". Prendiamo come esempio un’azione tratta da Villarreal–Inter del 2006, il capolavoro di Román in Champions League.

Arruabarrena è in possesso sulla sinistra, all’altezza del centrocampo. L’Inter è compatta nel suo 4-4-2. Riquelme inizialmente occupa il mezzo spazio di sinistra, tra Verón e Figo, poi si abbassa per farsi dare palla. Verón si stacca e lo aggredisce alle spalle. Riquelme controlla all’indietro, poi quando la Brujita prende contatto bascula sul pallone come al suo solito, si piega sulle ginocchia e salta il connazionale con un tocco verso la fascia. Figo, attratto dalla palla scoperta, raddoppia, ma Riquelme non si scompone e d’esterno traccia un filtrante per Sorín che si posiziona nello spazio liberato dalla salita di Verón. Appena la palla esce dal suo piede, Riquelme si sta già muovendo in avanti per chiudere il triangolo con Sorín, che gli restituisce la palla. Di nuovo con Verón davanti, Riquelme serve ancora Sorín accanto a lui, stavolta di tacco, e continua a muoversi in avanti. Nel frattempo il compagno crossa verso il secondo palo. Stanković spazza verso il limite dell’area dove, già da prima, sta arrivando Riquelme in corsa. Román carica il tiro ma Materazzi riesce a mettere la gamba. Nella stessa azione il "Mudo" si è portato dietro un avversario sulla linea della palla (col rischio di farsi contrastare e regalare una transizione), si è girato fronte alla porta e, a forza di triangoli, ha occupato in maniera dinamica lo spazio dietro il centrocampo, propiziando la rifinitura (il cross di Sorín) e arrivando anche al tiro (non fosse stato per un intervento rischioso di Materazzi).

A Riquelme è bastato abbassarsi sulla linea della palla per risolvere una situazione di attacco posizionale: era il modo migliore per attivare il suo talento per la protezione palla e per le triangolazioni. Ma questo tipo di movimento può avere ancora un'influenza e una ragion d'essere nel calcio contemporaneo?

Luis Alberto, muoversi incontro per attaccare in verticale

Il calciatore che più di tutti, in Italia, definisce il proprio gioco a partire dai movimenti incontro, è Luis Alberto. È un mistero affascinante il modo in cui un giocatore senza un filo di muscoli, lento, non troppo dotato nel dribbling sulla trequarti, sia diventato uno dei centrocampisti più forti della storia recente della Serie A.

Il segreto è proprio la libertà di abbassarsi sulla linea della palla, unito a un ecosistema favorevole come quello del calcio italiano. In Serie A la maggior parte delle squadre preferisce difendere con un blocco medio-basso, senza rischiare il pressing alto. Le fasi di attacco posizionale, dunque, sono più frequenti. La Lazio aggira le situazioni statiche proprio grazie a Luis Alberto, che si abbassa sulla linea di Lucas Leiva e dà il via alle combinazioni veloci tipiche del calcio di Simone Inzaghi. Se nessuno lo segue, lo spagnolo può girarsi e dare sfogo al suo talento per la rifinitura, o in alternativa puntare la trequarti per associarsi con i compagni. Se però un avversario lo segue, vuole dire che si libera uno spazio alle sue spalle; a quel punto Luis Alberto, anche senza intervenire con continuità nell’azione, genera a catena dei vantaggi che i suoi compagni possono sfruttare per attaccare in verticale.

Questa è un’azione estrapolata da Borussia Dortmund – Lazio, fase a gironi di Champions League. La palla è sul centro sinistra. I tedeschi difendono con un 3-4-2-1 e i due mediani scivolano sul lato palla. Delaney si alza su Leiva mentre riceve un passaggio da Acerbi, Bellingham resta bloccato nella sua posizione. Leiva, pressato, restituisce palla ad Acerbi, che a sua volta viene pressato da Reyna, trequartista di destra. Luis Alberto allora viene incontro e detta il passaggio al difensore.

Non è una ricezione facile perché Morey, il tornante, lo segue. Con l’uomo attaccato, Luis Alberto esegue un delizioso primo controllo di suola, mentre col braccio e col bacino tiene lontano l’avversario. Reyna pensa di chiuderlo in raddoppio, ma c’è abbastanza spazio per spostare la palla verso l’interno ed evitarlo.

A quel punto Delaney abbandona Leiva per chiudere lo spagnolo, ma ci sono troppi metri di distanza e Luis Alberto può appoggiare agevolmente per Leiva libero da marcature.

Con la palla scoperta, il campo per la Lazio si inclina verso la porta del Dortmund. Fares si infila nello spazio liberato dalla salita di Morey e riceve il passaggio di Leiva. Sull’algerino si alza il terzo centrale di destra, Piszczek; Fares lo evita con un controllo orientato e verticalizza per Acerbi che corre in profondità alle spalle del polacco. Acerbi non è preciso nel cross, ma la Lazio aveva creato un’ottima occasione a partire da un movimento incontro di Luis Alberto che, come un domino, aveva liberato spazi alle sue spalle.

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A fare la differenza, però, insieme al movimento incontro, è stata la tecnica di Luis Alberto. Nessun altro giocatore della Lazio avrebbe potuto resistere in quel modo alla pressione alle spalle e al raddoppio, per poi trovare Lucas Leiva libero. È quel tipo di ricezione, col movimento verso la linea della palla, a permettergli di fare la differenza nonostante i suoi limiti. Se avesse ricevuto la verticalizzazione tra le linee avrebbe stoppato con l’uomo addosso e, soprattutto, con meno spazio intorno. Per quanto tecnico, non è un dribblatore capace di saltare più uomini su una monetina. Muovendosi incontro, invece, la situazione cambia. Abbassarsi sulla linea della palla significa sì portarsi l’uomo dietro, ma quasi certamente resta spazio libero sui fianchi dove orientare il pallone per proteggerlo o addirittura saltare l’avversario. Ciò non accade tra le linee, dove lateralmente c’è sempre qualcuno pronto a raddoppiare. In zone basse, inoltre, anche l’aggressività è più blanda, come dimostrano Reyna e Delaney nei frame precedenti. Per un giocatore come Luis Alberto, allora, l’uomo alle spalle diventa più gestibile, anche senza dribblarlo: a questo serve lo splendido primo controllo di suola. Rispetto allo spazio dietro il centrocampo, è più facile anche trovare il compagno su cui scaricare palla. Avere un giocatore così bravo a conservare il possesso permette di semplificare la manovra. Non c’è bisogno di muovere la palla in maniera sofisticata per liberare il proprio miglior giocatore tra le linee – lo spazio più difficile da raggiungere nel calcio moderno – Luis Alberto con una protezione palla e uno scarico può costringere gli avversari a correre affannosamente verso la propria porta anche trenta o quaranta metri più indietro. Luis Alberto semplifica il calcio a livello collettivo perché individualmente offre giocate riservate a pochi: basta creargli le condizioni per eseguirle, in questo caso la libertà di muoversi verso la linea della palla e avere più spazio sui lati; poi a occupare la trequarti ci può pensare qualcun altro (nell’azione sopra Fares, per esempio).

Per lo spagnolo abbassarsi significa toccare più palloni e, quindi, accrescere la propria influenza. Molte delle sue finte elusive, in cui lo spettatore si chiede come abbia fatto, con quella lentezza, a superare l’uomo, nascono andando incontro al compagno con la palla. Se poi nessuno lo segue, può girarsi e avanzare verso la trequarti, col passo cadenzato e la testa sempre alta: se qualcuno mette il piede, allora sa riconoscere lo spazio in cui evitare l’intervento. Se la difesa aspetta passiva, il suo sguardo si rivolge alla profondità: allo scatto del tornante, da servire magari con quei fantastici rasoterra d’esterno destro, o al taglio da destra verso la fascia sinistra di Immobile o Milinković, una delle connessioni più ricercate dalla Lazio. Con quella visione di gioco, fronte alla porta, nessuna soluzione è preclusa.

Per lo spettatore, però, il risvolto più divertente dei movimenti verso la linea della palla di Luis Alberto riguarda le sue doti associative. Nessuna squadra in Italia, negli ultimi trenta metri, punta sulla tecnica individuale più della Lazio. Nei suoi momenti migliori la squadra di Inzaghi arriva in porta con triangolazioni di prima o a due tocchi nello stretto quasi da PlayStation. Luis Alberto è il protagonista assoluto delle combinazioni dei biancocelesti e spesso i suoi movimenti incontro servono ad attivarle, proprio come Riquelme con Sorín nella partita contro l’Inter.

Il Mago si abbassa, si gira, punta il primo uomo fino ad attrarlo fuori posizione, scarica sul compagno più vicino e si muove in avanti per farsela restituire alle spalle dell’avversario. Triangolare ricevendo sulla linea della palla ha delle conseguenze positive sul gioco di Luis Alberto. Significa che alle spalle dell’avversario ci si arriva in maniera dinamica, da dietro e fronte alla porta, il contrario di una classica ricezione alle spalle del centrocampo statica, spalle alla porta e con un uomo attaccato. La tecnica di Luis Alberto, in quella situazione, si normalizzerebbe. Partendo da più dietro, invece, si propaga e illumina i compagni che dialogano con lui. Il requisito più importante per triangolare dopo essersi abbassati, è avere la sensibilità tecnica e l’intelligenza spaziale di Luis Alberto, e non tutte le squadre hanno un giocatore con quel tipo di talento.

In quest’azione tratta da Fiorentina-Lazio 2019/20 scendere di qualche metro gli permette di risucchiare come una ventosa gli avversari e di raggiungere prima lo spazio alle spalle del centrocampo e poi quello dietro la difesa. La Lazio occupa in massa la trequarti, dove si alzano anche i centrali. La palla ce l’ha Radu. Luis Alberto, posizionato sul fianco interno della mezzala destra (Pulgar), si abbassa. Mentre si sfila dalla mediana viola guarda lo spazio dietro di sé: tra Pulgar e il centrocampista più vicino (Castrovilli) c’è un ampio corridoio in cui condurre.

La linea viola indica lo spazio tra Pulgar e Castrovilli.

Lo spagnolo si prende il possesso dai piedi di Radu; Pulgar all’inizio non lo segue e così Luis Alberto si gira e porta la palla dietro il centrocampo toscano appena prima che Castrovilli e Pulgar lo chiudano: abbassarsi gli ha fatto riconoscere il canale libero e gli ha dato la possibilità di condurre e arrivare nello spazio tra difesa e centrocampo fronte alla porta e in movimento.

Le linee viola qui invece indicano le linee di centrocampo e difesa. Luis Alberto palla al piede si è infilato tra le linee.

Raggiunto il buco tra difesa e centrocampo, si innesca una classica triangolazione della Lazio di Inzaghi, con Correa che si avvicina per associarsi: Luis Alberto scarica sull’argentino, si muove in verticale alle spalle di Milenković e riceve il passaggio di ritorno in corsa e con lo sguardo rivolto alla porta; il Mago restituisce a Correa che incredibilmente tira addosso al portiere.

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La Lazio grazie a Luis Alberto ha portato due uomini tra le linee: lo spagnolo e Correa

I movimenti incontro del Papu Gómez, un regista

La giocata di Luis Alberto contro la Fiorentina è la dimostrazione pratica delle parole del Papu Gómez in un’intervista dello scorso anno, in cui discuteva proprio della sua trasformazione in enganche con Gasperini. Il giornalista di El Pais si chiedeva perché per l’argentino fosse più facile creare squilibri abbassandosi: scendere fino a centrocampo significa dover superare due linee avversarie (centrocampo e difesa nda) invece di una sola (la difesa, se si aspetta davanti alla linea della palla nda). Gómez, con l’intelligenza propria di chi, sfilandosi dal caos della trequarti, può osservare meglio cosa accade in campo, aveva risposto così: «Perché tocco e mi inserisco. Combinando. Per i centrocampisti è difficile afferrarmi perché io arrivo da dietro, fronte alla porta, e mi perdono. Poi compaio come attaccante (come Luis Alberto dietro Milenković nda). Perché se mi abbasso, il “cinque” non si alza a marcarmi perché lascia un buco alle sue spalle. E se mi segue, fantastico, lascio tutto quello spazio agli attaccanti; se non mi segue, lo punto (come Luis Alberto con Pulgar nda)».

Gómez e Luis Alberto sono stati forse i migliori giocatori della scorsa Serie A. In comune i due avevano l’abitudine ad abbassarsi sulla linea della palla. I loro compiti, però, erano diversi, in accordo alle diverse vocazioni di Lazio e Atalanta. Luis Alberto fronte alla porta era la scintilla da cui partivano combinazioni veloci e verticali verso l’area. L’ex Catania, invece, conosceva le conseguenze di ogni suo passaggio come un vero regista: sapeva, cioè, quando continuare a muovere la palla per far abbassare gli avversari e quando invece accelerare verso l’area; scambiava la palla e si spostava non per raggiungere subito la porta, ma per ordinare la sua squadra e farle occupare in massa la trequarti. Un tipo di conoscenza unica nell’Atalanta, che Gasperini non avrebbe mai potuto attivare se il Papu fosse rimasto ad aspettare il pallone negli ultimi trenta metri.

Papu era il protagonista del tipico possesso perimetrale, da un lato all’altro, con cui l’Atalanta si impossessava della trequarti: in poche parole, l’anello di congiunzione tra una fascia e l’altra. Gómez era l’ingranaggio che permetteva ai nerazzurri di ordinarsi attraverso il pallone, sia per la qualità in distribuzione (che non hanno né de Roon, né Freuler, né Iličić), sia perché rubargli palla, se scende in una zona meno densa di avversari, è impossibile: quante volte abbiamo visto Gómez abbassarsi, ricevere con un uomo dietro e mandarlo fuori strada grazie alle finte del bacino?

Juve-Atalanta, l’ultima grande esibizione di Gómez in nerazzurro. Papu riceve da centrocampista centrale. La Juve difende con due linee da quattro abbastanza strette. L’argentino vede Hateboer largo e lo serve con un rasoterra in diagonale che fende lo spazio tra Chiesa e Bentancur. Non è un passaggio banale, nell’Atalanta nessun altro saprebbe eseguirlo, non solo per traiettoria ma anche per ritmo della palla.

Il laser pass del Papu costringe la Juve a rinculare e, in maniera analoga, consente a Malinowki, Zapata e Gosens sul secondo palo di occupare l’area. Arriva il classico cross da un tornante all’altro che si chiude con una mezza sforbiciata di Gosens.

Insomma, per Gasperini era fondamentale che il suo miglior giocatore ricevesse sempre fronte alla porta per decidere come indirizzare l’attacco. Il modo più semplice per farlo era dargli la libertà di abbassarsi per prendersi la sfera. «Nelle prime partite ho faticato, perché invece di allontanarmi dalla marcatura rimanevo tra i centrali e i mediani e non avevo molto spazio per ricevere. Era molto difficile. Allora cosa ho fatto? Ho iniziato ad abbassarmi. Sono sceso sulla linea dei nostri mediani. Prendo la palla a centrocampo e lì mi ritrovo sempre fronte alla porta per iniziare a giocare».

Mentre Gómez migra verso la palla, i compagni si spostano in funzione dei suoi movimenti, così può mettere in pratica il suo gioco di cuciture. Freuler, de Roon o gli attaccanti si posizionano tra le linee semplicemente per fare da check point e consentire all’argentino, che resta fuori dal traffico, di portare palla da un punto all’altro del campo: Gómez parte dal centro sinistra, gioca in diagonale per il compagno spalle alla porta tra le linee, si muove in orizzontale dietro l’avversario e si fa restituire subito la palla. In questo modo, compagni meno dotati tecnicamente devono limitarsi a giocare di prima o a due tocchi, mentre l’argentino conduce in orizzontale per portare un avversario fuori posizione o saltarlo, visto che per lui fronte alla porta il dribbling è una formalità.

Papu parte dalla linea mediana, fronte alla porta sul centro sinistra. Freuler si alza e si piazza spalle alla porta tra Milinković-Savić e Cataldi. L’argentino lo cerca per triangolare.

Dopo il passaggio si muove in orizzontale alle spalle di Immobile per farsi restituire palla da Freuler.

Grazie alla triangolazione Papu raggiunge il corridoio centrale e allarga per de Roon. L’olandese potrebbe servire subito Hateboer sulla corsa, ma temporeggia e ritorna da Gomez (sarà lui a servire in un secondo momento Hateboer).

Le conduzioni di Gómez sulla linea della palla distolgono gli avversari dalla difesa dell’ampiezza: se gli uomini incaricati di coprire le fasce si concentrano su di lui e stringono, allora si apre lo spazio per l’apertura sulla corsa del tornante, Hateboer soprattutto. Oltre al Papu, anche Iličić negli anni è diventato uno specialista dei cambi gioco. Lo sloveno, però, li esegue quasi solo dal centro destra; l’argentino, invece, poteva allargare anche dopo aver chiuso un triangolo al centro della trequarti.

La libertà di Gómez nell’Atalanta o di Luis Alberto nella Lazio, è quella propria dei classici numeri dieci-demiurghi alla Riquelme. Una libertà che non è anarchia, perché sancita dagli allenatori. Gasperini e Inzaghi devono aver pensato a una verità piuttosto banale: nel calcio, in linea di massima, muoversi per ricevere in orizzontale è più facile che muoversi per ricevere in verticale. A far progredire la palla in verticale, verso la porta, con un dribbling o una triangolazione, ci può pensare il talento di enganche come Luis Alberto e Gómez, messi nelle condizioni di avere davanti agli occhi i compagni e la trequarti.

In squadre come City e Bayern il livello è così alto che non c’è un singolo di gran lunga più tecnico e intelligente degli altri, quindi è più sensato occupare il campo in modo ordinato, con i giocatori che non tolgono la palla dai piedi dei compagni. Per Lazio e Atalanta, invece, senza troppo talento diffuso, sarebbe stato un peccato non dare subito la palla ai propri giocatori migliori – e forse ci sarebbero stati problemi a creare una manovra che li facesse ricevere solo in zone sensibili, dietro il centrocampo. Avere un dieci illuminato che si abbassa sulla linea della palla e accentra lo sviluppo molte volte risolve l’enigma di come attaccare una difesa schierata.

Fotogramma da un gol del Bayern costruito dagli uomini che aspettano tra le linee. Goretzka e Gnabry restano alle spalle della linea mediana del Barcellona, distanti quanto basta dai centrocampisti blaugrana. Thiago trova Goretzka con uno dei suoi classici taglialinee. Goretzka di prima alza il pallone per la corsa in profondità di Gnabry, che sorprende Lenglet e segna. Se giocassero in una squadra del livello del Bayern, Luis Alberto e Gómez dovrebbero posizionarsi come i due trequartisti tedeschi in questa situazione.

Insomma, Luis Alberto e Gómez sono (erano nel caso dell'argentino) diventati i piedi giusti a cui affidare le responsabilità più importanti. Responsabilità che, in questo momento, non ha bisogno di conferire Julen Lopetegui a Siviglia. In Spagna i movimenti del Papu sono limitati sia in verticale che in orizzontale: per ora, più che avvicinarsi si deve allontanare dal pallone per aspettare su una linea più avanzata, nel mezzo spazio di sinistra o largo in fascia. Il motivo, per quanto il Siviglia non sia un’armata, è la qualità diffusa più elevata rispetto all’Atalanta. Basta rivedere l’andata degli ottavi di Champions League contro il Borussia Dortmund per accorgersene. Papu non ha fatto l’enganche per le caratteristiche dei centrocampisti del Siviglia, che non sono motorini come Freuler e de Roon sempre pronti a compensare i movimenti dei compagni. Per esempio, sul lato di Gómez spesso stazionava Joan Jordán, un centrocampista con un piede magnifico per i cambi gioco, che sarebbe uno spreco sacrificare in funzione dell’indole del Papu. Così Jordán si abbassava sulla linea della palla, tra centrale e terzino sinistro, mentre l’ex Atalanta rimaneva alto nel mezzo spazio. Lo stesso faceva, più raramente, Rakitić, altro grande interprete dei cambi gioco: le aperture da un lato all’altro sono fondamentali per il gioco in ampiezza di Lopetegui.

In giallo le linee di difesa e centrocampo del Borussia Dortmund. Sul lato sinistro in quest’azione ci sono sia Rakitić, in possesso, che Jordán. Papu aspetta tra le linee, tra il terzino e il centrale di destra, alla giusta distanza dalla palla e spalle alla porta. Quante volte lo abbiamo visto in questa situazione con l’Atalanta negli ultimi due anni e mezzo? Quasi mai.

Papu ridotto a meccanismo di catena: Jordán porta palla e l’argentino stringe nel mezzo spazio per lasciare la palla a Escudero. Il passaggio laterale permette al Dortmund di scivolare e bloccare un’azione che Jordán ed Escudero, senza doti straordinarie nello stretto, non riescono a portare avanti.

Papu contro Dortmund e Barcellona è stato un semplice meccanismo di catena. Diversa la partita con l’Huesca, in cui ha avuto libertà di abbassarsi. Dal suo lato, però, giocavano Gudelj come centrocampista e Rekik come terzino, due giocatori ininfluenti col pallone; magari si spiega così la sua centralità in quella gara.

La prima e unica volta in cui Papu riesce a ricevere sulla linea della palla contro il Dortmund arriva al 25’. Fernando gioca all’indietro per l’argentino, su cui si alza in pressione Reus.

La monarchia di Neymar

Dopo questi primi mesi di Gómez al Siviglia, potremmo forse dire che l’enganche illuminato è uno strumento con cui squadre di un gradino inferiore impensieriscono col pallone quelle più grandi: a questo serviva la subalternità in fase di possesso di Freuler, de Roon, Gosens e Djimsiti. Esempi di accentratori col diritto di togliere la palla ai compagni, però, ce ne sono anche a livello più alto.

Lo faceva, per esempio, Zlatan Ibrahimović nei primi mesi del ritorno al Milan, quando si abbassava per infondere sicurezza alla squadra e ordinare il possesso. La vena associativa da regista a tutto campo, pur meno evidente in questo campionato, è un tratto innato del gioco di Ibrahimović: forse il motivo per cui Guardiola lo aveva voluto al Barcellona, di sicuro il motivo per cui dieci anni fa preferiva giocare con Robinho e Cassano invece che con Pato.

Anche Messi, abbiamo detto, si abbassa a prendersi palla a centrocampo. Basti rivedere il lancio da cui nasce il rigore del momentaneo 1-0 in Barcellona-PSG 1-4. In quella partita davanti all’argentino c’era Neymar, forse il giocatore che esaspera di più i movimenti d’enganche in una squadra di alto lignaggio.

Il caso del brasiliano è interessante, visto che il suo percorso si incrocia con quello di Tomas Tuchel, tra i migliori ad allestire sistemi improntati sul gioco di posizione. Si osservino i movimenti dei trequartisti del Chelsea e quelli di Neymar nel suo PSG: la differenza non potrebbe essere più netta. Il tecnico tedesco a Londra occupa il campo con un 3-4-2-1 in cui le due mezzepunte restano lontane dal pallone, senza accorciare le linee di passaggio con movimenti incontro. Il loro compito è ricevere dietro il centrocampo, far si che uno scaglionamento così ordinato dia i suoi frutti tra le linee, dove i difensori non sanno mai se uscire in avanti o se lasciare la giocata fronte alla porta. Il miglior giocatore in questi primi mesi con Tuchel è stato Mason Mount, trequartista potenziato da un sistema che lo guida nelle scelte (dove ricevere, come ricevere, come indirizzare la giocata) e ne limita il raggio d’azione a una zona di campo precisa (uno dei mezzi spazi dietro il centrocampo, o il corridoio centrale). Mount possiede un buon primo controllo spalle alla porta, con cui orienta bene il pallone tra le linee in vista della giocata successiva. Un calcio posizionale come quello di Tuchel sembra perfetto per lui.

Chi nel PSG occupava la stessa posizione dell’inglese era Neymar. Il brasiliano e Mount per l’interpretazione del ruolo sono come il giorno e la notte. Non si può chiedere a un talento come Neymar di aspettare paziente dietro il centrocampo. Può ricevere in quella posizione, certo, ma ha bisogno di farlo con continuità, e il PSG non sempre riusciva a garantirgli un numero di tocchi sufficiente tra le linee. Per questo aveva bisogno di abbassarsi sulla linea della palla.

È impossibile parlare del gioco di Neymar senza considerarne la componente emotiva. Deve sentirsi padrone della partita: ha bisogno di intervenire sempre nell’azione e ha bisogno di concedersi quei tocchi in più che culminano in falli meschini da parte degli avversari. Tuchel non sempre è riuscito a costruirgli intorno una rete di associazioni che sostenesse il suo protagonismo. I movimenti incontro di Neymar possono dare fluidità alla squadra o risolversi in un tentativo di vincere da solo le partite. Il tecnico tedesco aveva raggiunto il primo approdo in una delle partite più brillanti della sua gestione, la vittoria per 2-1 sul Liverpool nella fase a gironi della Champions League 2018/19, una delle poche gare europee in cui gli infortuni li hanno graziati e abbiamo potuto ammirare insieme il brasiliano e Verratti, il giocatore con cui ha sviluppato la miglior intesa in Francia. In una sorta di 3-3-3-1 con Mbappé dietro Cavani, Neymar agisce da mezzala sinistra, abbassandosi sulla stessa linea di Verratti (metodista). Ogni volta che il dieci riceve dalla difesa, l’ex Pescara si avvicina per associarsi con lui: due giocatori a cui è impossibile togliere palla, che combinando trovano sempre il modo di portare il possesso dietro il centrocampo del Liverpool. Se Neymar si abbassa per ricevere, quasi sempre qualcuno lo segue, perché se si gira è una minaccia anche lontano dalla porta (non solo con i dribbling: a palla scoperta sa lanciare Mbappé dietro la difesa, un altro buon motivo per permettergli di abbassarsi sulla linea della palla e vedere il gioco frontale). Perciò, si crea sempre un buco nel centrocampo dei Reds.

Nell’azione dell’1-0, per esempio, Neymar scende sulla stessa linea di Verratti e riceve un passaggio di Kimpembe. Il Liverpool difende col 4-3-3.

Quando il brasiliano controlla sul centro-sinistra su di lui si alzano Wijnaldum da destra e Henderson dal centro. Di conseguenza, si crea uno spazio alle loro spalle; Verratti lo individua e si muove in avanti per occuparlo. Neymar chiude il piatto, e manda l’italiano in corsa verso la metà campo inglese.

A centrocampo per il Liverpool resta il solo Milner, messo in mezzo da Verratti e Di Maria.

I parigini triangolano, l’italiano serve Mbappé, dal cui cross arriva il gol di Bernat. Il solo movimento incontro di Neymar crea una voragine dietro la mediana di Klopp. Sta ai compagni dimostrarsi all’altezza del proprio numero dieci e approfittarne.

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Qualcosa di simile era accaduto un paio di minuti prima, in una parete tra l’ex Santos e Verratti che è pura improvvisazione all’interno di un sistema organizzato. Anche qui Neymar si abbassa sul centro sinistra per ricevere da Kimpembe.

Winjaldum lo segue. Verratti si avvicina al compagno ed Henderson si alza su di lui. Neymar si appoggia all’italiano, che gli restituisce palla e si muove dietro Wijnaldum.

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L’olandese si sta alzando sul brasiliano, che di tacco scava il pallone per Verratti alle sue spalle.

Henderson si abbassa ma il centrocampista del PSG fa in tempo a servire Mbappé tra le linee.

Il francese di prima gioca in orizzontale su Neymar, che occupa in corsa il canale tra difesa e centrocampo. Come detto in precedenza, il trequartista che si abbassa sulla linea della palla può raggiungere le spalle della mediana in un secondo momento, in maniera dinamica e fronte alla porta.

Proprio ciò che accade in quest’azione, chiusa col passaggio di ritorno a Mbappé, che grazie alla capacità di attrarre il pressing di Neymar a inizio azione, si ritrova in isolamento sul limite dell’area con Lovren (in maniera inspiegabile, preferisce calciare invece di saltarlo).

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Contro il Liverpool, Neymar ha avuto un supporting cast e dei movimenti intorno che hanno dato un senso al suo ruolo da catalizzatore. Ad agosto contro l’Atalanta, invece, Tuchel lo ha lasciato da solo. Il suo talento immenso e la poca lucidità dei bergamaschi alla fine hanno ribaltato la partita, ma per novanta minuti Neymar non ha avuto nessuno che lo potenziasse. Con un centrocampo Herrera – Marquinhos – Gueye, senza Di Maria e senza Verratti, con Paredes entrato giusto nel quarto d’ora finale, Neymar poteva solo abbassarsi e saltare più uomini possibile per sperare di creare qualcosa. I suoi movimenti incontro, in quel caso, erano frutto della disperazione, non erano canalizzati e assecondati come nella vittoria contro il Liverpool. Chi avrebbe potuto superare le marcature dell’Atalanta per recapitargli la palla?

Al contrario, nella partita seguente contro il Lipsia, Tuchel ha saputo dare un senso al possesso, grazie a una gran partita di Paredes. La presenza dell’argentino ha consentito per una volta al numero dieci di passare più tempo tra le linee, dietro il centrocampo, perché i palloni gli sarebbero arrivati comunque.

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A differenza di Luis Alberto, per citare un giocatore già menzionato nell’articolo, Neymar non ha problemi fra le linee, non c’è situazione in cui non possa saltare l’uomo o tenere palla. Sarà interessante, allora, vedere cosa gli riserverà Pochettino, se vorrà innescarlo tra le linee o se asseconderà il suo istinto da enganche. L’importante è coinvolgerlo il più possibile, perché Neymar, Riquelme e tutti i giocatori della loro stirpe, hanno bisogno della palla prima che di una posizione o di un ruolo.

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