(copertina) IMAGO / Agencia EFE
L’ennesimo capitolo della disputa a distanza tra Rudy Gobert e Shaquille O’Neal si è consumato qualche settimana fa ed è stato più sgradevole del solito. Durante una puntata dello show Goat Talk di Complex, il duo padre e figlio degli O’Neal si è intrattenuto in una serie di scambi di vedute su svariati argomenti, riguardanti il basket e non solo. Alla domanda su chi fosse il WOAT, acronimo di Worst Player of All Time, Shaquille O’Neal non ha esitato nel scegliere proprio Rudy Gobert (con dedica finale anche a Ben Simmons). La spiegazione offerta si fonda sul fatto che il centro francese non offre un contributo pari al valore del contratto che ha firmato, non meritando in alcun modo il rispetto di chi, invece, porta su di sé i segni della fatica fatta per onorare i soldi guadagnati in carriera.
A oggi è certo che Gobert collezionerà un cumulativo di guadagni da contratti superiore a quello di Shaquille O’Neal, considerando i 43.8 milioni della stagione in arrivo e la player option per quella successiva da 46.6. Queste entrate lo porteranno oltre i 286.3 milioni totali raccolti da Shaq in 19 anni di carriera. A ogni modo, il punto di vista strettamente finanziario del confronto risulta davvero poco percorribile vista la progressiva crescita del salary cap, in particolare dopo un’inflazione di +34.49% tra il 2015 e il 2016. La risposta di Gobert comunque non si è fatta attendere, decisa pur con un tono corretto e rispettoso.
Non è certamente né la prima e né l’ultima volta che Rudy Gobert viene tirato in causa quando l’oggetto di discussione è il rendimento individuale, soprattutto se rapportato all’aspetto contrattuale. Già nel corso della stagione 2023/24, durante il sondaggio promosso da The Athletic dove giocatori NBA rispondono a varie domande riguardo la Lega, 81 votanti sui 142 totali hanno espresso la propria opinione a proposito di chi fosse il più sopravvalutato. Il 13.6% di questi ha risposto proprio Rudy Gobert, seguito da Jordan Poole e Trae Young.
Da dove deriva questo debole apprezzamento
Le origini di questa narrativa nei suoi confronti sono oramai datate. L’oggetto di discussione più ricorrente è la distanza così estrema tra un innegabile impatto sulle prestazioni difensive di squadra in stagione regolare e una presenza in campo a tratti definita nociva nei playoff, uno scetticismo che è cresciuto nel corso delle stagioni. Ma quanto di tutto ciò è direttamente imputabile a Rudy Gobert e quanto invece può derivare da carenze nell’analisi del contesto?
Nelle stagioni dal 2017/18 al 2021/22, il dato di efficienza difensiva (punti su 100 possessi) a metà campo degli Utah Jazz con Gobert in campo ha sempre rappresentato, talvolta anche con notevole scarto, il miglior dato nella Lega e almeno 6.7 punti maggiore, con la sola eccezione del 2018/19 (-1.7, fonte: Cleaning the Glass). Mentre quando era fuori, il dato di squadra era sempre al di sotto della media tra le trenta squadre.
Le serie contro i Los Angeles Clippers (2021) e Dallas Mavericks (2022) hanno rappresentato un punto di non ritorno per la percezione generale di Rudy Gobert. Contro due squadre che volevano allargare il campo con l’utilizzo di quintetti piccoli o con quintetti 5-out arricchiti da tiratori che creano spazio per attaccare dal palleggio, diventava difficile trovare un posto a un rim protector come Gobert. Anzi, è proprio la prima contromossa che gli avversari fanno per mettere in difficoltà il francese.
Ma più che le complicazioni di Gobert nel difendere in ampi spazi, il reale problema emerso è stata la visibile mancanza di difesa perimetrale da parte degli Utah Jazz. Se un difensore viene battuto contro troppa facilità, l’aiuto può arrivare anche da un centro capace di scoraggiare tiri al ferro, ma l’efficacia collettiva dipende dalla prontezza nel seguire il primo aiuto, definita situazione di help the helper. Una carenza di attenzione nella percezione dei posizionamenti avversari oltre che di consapevolezza nel poter optare per alternative come una zona contro una doppia possibilità di scarico, forzare una linea di passaggio con il resto dei compagni a completare il reset degli accoppiamenti, oppure un tentativo di X-out tra il primo aiutante e il difensore in inferiorità numerica.
Tutte situazioni che i Jazz non hanno saputo proporre in maniera efficace
Essendo un difensore così forte, secondo l’opinione comune, Gobert dovrebbe essere in grado da solo di stravolgere le difese in cui gioca. Quando non ci è riuscito con gli Jazz, allora è stato facile puntare il dito contro di lui. Eppure, sia statisticamente, che poi nel ritorno avuto nello scambio che lo ha portato a Minnesota (sei giocatori e cinque scelte al Draft), Gobert è da considerarsi come uno di quegli di quegli attaccanti eliocentrici o giocatori ceiling raiser che portano la squadra in cui giungono a cambiare le proprie ambizioni.
Per quanto Gobert non rientra nelle due categorie citate, un circoscritto livello da superstar è presente nel suo gioco. L’importanza della protezione del ferro sarà sempre fondamentale in questo gioco: lo hanno dimostrato i Milwaukee Bucks nel 2021, ma anche i Dallas Mavericks nell’ultima cavalcata sino alle NBA Finals. Certo, come detto un sistema difensivo non si fonda solo su questo fondamentale, ma lo skillset di Gobert lo inserisce inequivocabilmente tra i migliori dell’ultimo decennio. Una dimostrazione è il suo impatto sui Minnesota Timberwolves.
L’impatto a livello difensivo di Rudy Gobert
La difesa è infatti, senza dubbio, la colonna portante nella formula del successo della squadra di Chris Finch e il francese è estremamente prezioso per la sua riuscita. Se nella prima stagione gli infortuni hanno compromesso i risultati di squadra, e aumentato i dubbi riguardo al suo valore, l’ultima stagione ha invece permesso di comprendere più a fondo l’importanza di costruire un sistema ancorato a eccellenti specialisti. Se consideriamo i Four Factors difensivi, ogni voce ha registrato un miglioramento: da nono a primo in EFG%, mantenuto il quinto in TOV%, da ventiseiesimo a decimo in OREB% e da ventiseiesimo a quindicesimo in FT Rate avversari (fonte: Cleaning the Glass). Tutto ciò si è tradotto nel miglior defensive rating della NBA: 108.9 punti su 100 possessi, ben 2.6 punti superiore ai secondi, gli Orlando Magic. La svolta è stata senza dubbio l’arrivo di Gobert: il francese, dal 2018 a oggi, è il migliore secondo una metrica piuttosto avanzata, il D-LEBRON, che misura l’impatto individuale a livello difensivo.

Quello che Gobert può dare a un sistema difensivo è noto: scoraggiare e alterare ogni tipo di conclusione nei pressi del pitturato e del ferro, incentivando tentativi dal midrange, soluzione a percentuali inferiori. Per farlo Gobert ricorre spesso all’uso del drop coverage, una strategia conservativa che più di ogni altra rende il pick-and-roll una situazione di due contro due. Per funzionare è richiesto alla guardia una grande capacità di aggirare i blocchi, rimanere a contatto con il palleggiatore e rientrare in posizione frontale annullando ogni vantaggio.
Se i Minnesota Timberwolves, grazie a Jaden McDaniels, avevano già un ottimo difensore sul perimetro in queste situazioni, la carenza era rappresentata proprio dal supporto interno. Nelle tre stagioni precedenti all’arrivo di Rudy Gobert, la squadra non ha mai brillato né nel limitare le conclusioni al ferro, né nell’alterarne l’efficacia in quelle zone di campo. Mentre hanno chiuso il 2023/24 con il nono dato in frequenza percentuale avversaria di tiri al ferro (30.7%), il secondo per minor percentuale realizzativa concessa (62.7%, fonte: Cleaning the Glass) e il secondo per minor numero di punti per possesso concessi al palleggiatore del pick-and-roll (0.83, fonte: NBA.com). Inoltre, come evidenziato dal seguente grafico, sia nelle prime 82 gare che in postseason, il differenziale registrato con e senza Rudy Gobert in campo spiega come l’iniezione di talento in questi fondamentali ha inevitabilmente modificato in positivo la solidità della squadra.

La capacità di difendere internamente nel drop coverage è ciò che ha reso Gobert uno specialista generazionale. Ma quando oltre a lui anche i compagni offrono il giusto supporto, si crea un effetto moltiplicatore di fiducia. Nell’ultima stagione si è visto un Gobert molto più disponibile al sacrificio, nell’accettare anche i cambi difensivi svantaggiosi e fare il massimo per contenerli. Questa versatilità nei coverage è molto sottovalutata, ma il francese ha una mobilità e una rapidità di piedi rapportate alle imponenti dimensioni che sono impressionanti.
Gobert quindi agisce anche più lontano dal pitturato, non solo perché costretto dalle scelte degli avversari, ma anche perché appunto si è reso più disponibile. L’ultima stagione è stata una delle migliori per numero di possessi in isolamento difensivo e per punti per possesso concessi che non derivano in via esclusiva da tattiche di matchup hunting. Nell’ultima stagione, tra 51 giocatori con almeno 70 isolamenti difesi, Rudy Gobert ha combinato il nono dato per numero totale di possessi in cui è stato direttamente coinvolto (92) e il primo per minor punti per possesso registrato (0.73).
La solida espressione difensiva dei T’Wolves.
L’efficienza difensiva a metà campo dei Timberwolves punta molto anche nell'utilizzo di Gobert come roamer. Nulla di rivoluzionario, lo fanno i Bucks con Antetokounmpo e i Lakers con Anthony Davis per citarne due. Cosa vuol dire? Il miglior difensore viene accoppiato con l’avversario meno pericoloso in attacco, per potersi poi staccare liberamente e agire come aiuto nei pressi del ferro. Una soluzione, ad esempio, usata spesso - sia da Minnesota che da altre squadre - contro Nikola Jokic, un’arma offensiva così difficile da arginare che è lecito trasformarlo in un lavoro per due.
Ma con Gobert quella che è una scelta tattica diventa il perfetto pretesto per criticarne l’importanza nei playoff. Proprio durante la serie contro i Denver Nuggets è stato Draymond Green a cascarci, accusando Gobert di non voler accettare l’uno contro uno con il serbo per non fare brutta figura. Una dichiarazione che risente del bias negativo che circonda il francese e il suo status nella Lega, visto che un giocatore dell’intelligenza cestistica di Green non può non riconoscere una strategia difensiva specifica, soprattutto considerando che lui stesso è stato impiegato come roamer più volte, per ottenere il massimo rendimento dal suo QI e istinti in rotazione.
Per i Timberwolves, più chi marca direttamente Gobert, importa quanto riescono a sfruttarne l’abilità da rim protector. In queste clip si nota lo sforzo collettivo della difesa: nella prima il francese, vicino al livello del blocco, disincentiva il tiro dal palleggio di Murray, che quindi cerca di batterlo in accelerazione. Una volta aggirato il pitturato, il posizionamento di McDaniels e Conley è pronto per gestire gli scarichi (al contrario di ciò che avveniva da parte dei difensori dei Jazz). Non è un caso che l’accenno di closeout su Jokic rallenta il catch-and-shoot mentre Reid cambia al volo e recupera. Ancora un esempio da un altro genere di preferita ricezione per Jokic, il post alto o basso, con la preventiva pre-rotazione totale sul movimento di palla e la collaborazione a rimbalzo. A quanto pare, una difesa che mette Rudy Gobert al centro può essere efficace anche ai playoff, se non rimane troppo statica.
La presenza di Gobert ha anche aiutato Karl-Anthony Towns che, quando non era afflitto da problemi di falli, è stato fondamentale nella difesa contro il pick-and-roll diretto da Murray e Jokic per limitarne lo short roll e indirizzare la giocata verso l’aiuto del francese. Responsabilizzato da questo ruolo da primo battitore, Towns ha difeso come mai prima, finendo per essere anche uno dei più credibili difensori su Jokic visti in questi anni, per quanto non è mai un lavoro solitario, come si può vedere in queste clip: prima la finta di aiuto e rapida deviazione sul lob (clip 1), lo stunt di Towns con recupero sul perimetro (clip 2), poi la pronta rotazione dopo il face cut di Murray (clip 3). A conclusione, sollevare la questione se fosse più logico vedere Rudy Gobert accoppiato a Nikola Jokic che staziona per lunghi tratti lontano da canestro, al di là di togliere meriti ai compagni, minimizza come si può elevare il suo impiego in campo.