Ho vissuto tutta la parabola ascendente di Messi, giocatore che ovviamente mi ha ossessionato fin da subito. Questo significa, in sostanza, che ho visto almeno una volta tutti i suoi 627 gol con la maglia della prima squadra. Dal primo segnato contro l’Albacete su assist di Ronaldinho il primo maggio 2005, all’ultimo segnato contro la Real Sociedad il 7 marzo 2020. Che sia dal vivo, in diretta televisiva o recuperati poi su internet, tutti sono passati per i miei occhi e per il mio cervello, hanno avuto un impatto su di me in qualche modo. Certo, non li posso ricordare tutti, almeno non a un livello cosciente, e potrei descriverne nel dettaglio al massimo una cinquantina, cioè quelli che ho rivisto più spesso. Non sarebbe un'operazione difficile perché ogni tanto finisco per riguardarmi i migliori giusto per rinfrescarmi la memoria.
In ogni caso, non c'è bisogno di riguardarmeli tutti per scegliere il mio preferito tra tutti questi 627 gol. È quello che mi ha fatto esultare di più davanti allo schermo, quello che ho rivisto più volte - talmente tante volte che posso riavvolgere nella mia mente secondo per secondo senza nemmeno bisogno di rivederlo. Sto parlando del secondo gol segnato al Real Madrid di Mourinho nell’andata della semifinale di Champions League nel 2011, che considerando l'avversario, il momento della partita e il tipo di gol è probabilmente quello che meglio rappresenta cosa significa per una squadra avere Leo Messi.
È un gol che rappresenta in maniera più chiara in cosa consistesse il talento di Messi, il motivo per cui era soprannominato la pulce. Messi come il giocatore che da solo può battere la difesa schierata del Real Madrid di Mourinho in casa. Messi come unico elemento in grado di decidere la guerra di religione allora in atto tra le due squadre più importanti dell’epoca e la guerra di filosofie tra i due allenatori più influenti del calcio contemporaneo. Un gol di una semplicità disarmante.
Il contesto
Capisco però che sto andando troppo velocemente al punto e questo non riuscirebbe a farvi apprezzare quello che voglio dire su questo gol. Innanzitutto è importante mettere in luce il clima in cui si giocava la partita, che ha ben raccontato Paolo Condò nel suo libro Duellanti. Per uno strano scherzo del destino, Real Madrid e Barcellona in quel periodo si affrontarono ben quattro volte in 18 giorni: una volta in Liga, una volta in Coppa del Re e due volte in Champions League, ovviamente per l'andata e per il ritorno. Prima di questa partita si sono già giocati altri due Clasico. Il primo, in Liga, è finito 1-1 al Bernabeu con gol, manco a dirlo, di Messi e Cristiano Ronaldo. La finale della Coppa Del Re, invece, è stata vinta dalla squadra di Mourinho ai supplementari.
La tensione è già insostenibile. Nel primo Clasico in Liga c'è già stata una rissa memorabile nata per il nervosismo di Piqué e Rui Faria, storico assistente di Mourinho, che nella mette un dito nell’occhio a Tito Vilanova, secondo allenatore del Barcellona. Ad alzare ulteriormente i toni ci si mette anche lo stesso Guardiola, con la celebre conferenza stampa in cui parla di Mourinho come «el puto jefe, el puto amo» - cioè il migliore a parlare con la stampa, a manipolarla. Insomma, è il momento in cui lo scontro tra i due, e tra il Barcellona e il Real Madrid, è al suo apice.
Per questo, inevitabilmente, ne esce fuori una partita brutta e tesa. Mourinho mette Pepe a centrocampo accanto a Lass Diarra, con Xabi Alonso dietro di loro davanti alla difesa, per un centrocampo che viene chiamato “el trivote” per la sua natura estremamente difensiva. L'idea del tecnico portoghese era quella di avere due uomini estremamente aggressivi nel recupero della palla sempre nei pressi della zona in cui avrebbe dovuto mettersi Messi per prendersi la palla. Per schermarlo, insomma, o fermarlo con qualunque mezzo nel caso in cui fosse riuscito a ricevere. In attacco c’è Cristiano Ronaldo prima punta e Ángel Di María e Mesut Özil che partono larghi.
Il Barcellona è fortemente rimaneggiato. Manca Andrés Iniesta per infortunio (al suo posto il dodicesimo uomo Seydou Keita), e con le assenze anche di Eric Abidal e Maxwell c’è addirittura Puyol come terzino sinistro. Anche la squadra di Guardiola, insomma, sembra voler essere più accorta, per contenere un avversario che aveva in mente un calcio quasi esclusivamente reattivo. Forse troppo, come si lamenterà Cristiano Ronaldo a fine partita.
Quel Real Madrid, per paradosso, è stato probabilmente il più conservativo e difensivo di Mourinho. Come aveva detto il tecnico portoghese: «Chi ha il pallone è più sotto pressione perché può commettere errori e vince chi commette meno errori». Il Real Madrid, insomma, si accontenta di fermare l’azione avversaria quando arriva nei pressi dell’area, possibilmente con un fallo prima che il pallone arrivi a Messi per essere sicuri. A giustificare i timori di Mourinho il gol dell’1-0 del Barcellona, che arriva proprio su un’azione in cui i "blancos" non riescono a fare a fare fallo in tempo.
Il tutto parte al minuto 76, su un passaggio in diagonale di Xavi che trova Messi libero. Il numero 10 argentino può quindi puntare in conduzione fino al limite dell’area, dove però la difesa del Madrid riesce a fermarlo mettendogli due giocatori davanti. Prima di perdere il pallone subendo fallo, però, Messi riesce a scaricarlo dietro per Xavi, che dopo aver eluso l’intervento di Diarra (che a sua volta non riesce a fare fallo), lo allarga sulla fascia per l’ala destra Afellay (entrato da poco) che punta e supera facilmente Marcelo in area di rigore per il cross verso l’area piccola, dove Messi in corsa anticipa Sergio Ramos per appoggiarla di piatto di prima sotto le gambe di Casillas. Un bel gol di squadra, un gol importantissimo per l’equilibrio della qualificazione, che nonostante il peso specifico rientra tra quelli “normali” della carriera di Messi.
Qualche minuto prima Mourinho era stato espulso dall'arbitro e mandato sugli spalti dopo essersi sarcasticamente congratulato più volte per l’espulsione di Pepe dopo un fallo su Dani Alves. Quello di Pepe è un fallo leggermente più duro di quelli che fa normalmente e la reazione di Dani Alves è leggermente più accentuata di quanto sarebbe stata in una partita normale. Sarebbe stato l’appiglio perfetto per Mourinho in conferenza stampa post partita e probabilmente quello di cui avrebbero parlato tutti se non fosse arrivato il secondo gol di Messi, quello che vi sto raccontando.
L'azione del gol
Al minuto 86 il Barcellona fa circolare il pallone a centrocampo aspettando che passi il tempo. Forse anche il Real Madrid sta aspettando che la partita finisca, sembra aver finito le energie fisiche e mentali per creare occasioni da gol, e in ogni caso il Barcellona è talmente rapido nel recuperare il pallone perso da non lasciargli la possibilità di farlo.
Dopo una lunga circolazione del pallone Lass Diarra, esasperato, entra duro a metà campo su Xavi, che viene abbattuto non appena prova ad accelerare per dare il pallone a Messi. La telecamera indugia su alcuni protagonisti della partita, su Xavi appena rialzatosi, cambia su Diarra autore del fallo, poi si continua su Guardiola in piedi a bordo campo che si aggiusta la cintura dei pantaloni e non riesce a stare fermo, e infine su un Mourinho seduto in tribuna con lo sguardo concentrato sul campo, gli occhi come due piccolissime fessure puntate probabilmente sull’arbitro.
La telecamera stacca dal volto dell’allenatore portoghese e non appena torna sul campo il Barcellona batte la punizione, come se stesse aspettando il regista televisivo. Punizione che non è altro che un passaggio corto, cortissimo, da Busquets a Messi, che si è avvicinato al punto di battuta. Tutto lo stadio è in attesa di vedere cosa farà adesso Messi. Il Real Madrid è schierato su due linee stanche mentre guarda giocare gli avversari.
Busquets passa la palla a Messi ad un paio di metri di distanza all’altezza del cerchio di centrocampo, davanti al centro della seconda linea del Madrid formata da Xabi Alonso e Diarra. Come gli chiedono da sempre, dopo il passaggio Busquets si muove immediatamente in diagonale in avanti per dare una nuova linea di passaggio al compagno che riceve. Messi fa una pausa col pallone tra i piedi in cui osserva bene tutta la metà campo davanti a sé. È poco fuori dal cerchio di centrocampo con Diarra fermo a schermarlo a non più di due metri e Busquets che si è mosso alle spalle del francese, non seguito da Xabi Alonso, che forse ha paura di rompere la linea di centrocampo in questo modo. La situazione sembra assolutamente sotto controllo perché se c’è una cosa che vuole il Mourinho è Messi fermo a centrocampo schermato e che a ricevere libero sia Busquets spalle alla porta.
Come dice Valdano: molte delle cose che fa Messi sappiamo che le sta per fare, ma rimaniamo comunque a chiederci come ha fatto. Secondo l'autore argentino, il suo talento, il talento di tutti i più grandi giocatori della storia, è carico di tutte le informazioni raccolte nelle partite per strada da bambini, negli allenamenti, nei dialoghi, nell’immaginazione e perfino nel sogno. Il talento riappare e utilizza tutto questo database per accendersi al momento giusto in un’azione che stupisce tutti, incluso il genio stesso, che non saprebbe mai spiegare quello che ha appena fatto.
Il genio di Messi si accende, quindi, appoggia il pallone a Busquets e poi senza preavviso scatta seguendo il pallone prima ancora che possa arrivare al compagno, che leggendo la situazione intuisce cosa sta per fare il compagno e lo rallenta toccandolo appena col destro e poi ruota il corpo per accompagnare l’arrivo di Messi a piena velocità senza fargli da ostacolo. L’assenza di Pepe è fondamentale per la riuscita del gol, perché la scelta di Mourinho di schierare dopo il rosso la squadra col 4-4-1 significa che non c’è nessuno tra le due linee. Xabi Alonso ha capito cosa sta per succedere al movimento a scansarsi di Busquets e prova a correre ai ripari, Diarra anche prima, ma è troppo tardi: il numero 10 ora è lanciato a velocità massima sul pallone fermo e senza nessuno davanti fino alla linea difensiva. Forse è troppo stanco, o troppo pigro, o forse è la sua esperienza a fargli capire che non ci sarà comunque storia, in ogni caso Xabi Alonso si ferma subito. Non Diarra, che però viene superato facilmente da Messi col primo tocco.
Messi è al secondo tocco e già punta la difesa che aveva accorciato in blocco. Sergio Ramos se lo vede sfrecciare accanto. Albiol è una statua di sale. Al terzo tocco Messi cambia direzione andando verso destra e aumenta ancora la velocità. Da quando è partito da fermo ha cambiato velocità tre volte e adesso è lanciato solo verso la porta. Com'è successo?
Per spiegare la reazione dei giocatori del Real Madrid bisogna provare a mettersi nei loro panni, col piano gara che aveva funzionato fino al minuto 87 basato unicamente sul non far ricevere Messi con spazio e se lo vedono ora invece caricare palla al piede a piena velocità. È lo stesso Xabi Alonso a dirlo, in un’intervista di Martí Perarnau sulla rivista Tactical Room: «Messi ha causato molti danni, l’ho sofferto tanto. Abbiamo parlato molto con Mourinho e Sergio Ramos su come arginarlo. Su come controllarlo. Messi giocava alle mie spalle, la mezzala destra era Xavi. Xavi ci provocava, ci mostrava il pallone. Se andavo verso di lui, Messi si infilava nella tasca libera alle mie spalle. Sergio, allora, usciva dalla linea di difesa per marcarlo e lui ci distruggeva. Siamo riusciti a controllare Messi quando abbiamo smesso di marcarlo così. Xavi mi chiamava, ma io rimanevo con Messi e Sergio non usciva. Da quel momento l’abbiamo controllato bene. Abbiamo sacrificato lo spazio e la capacità di recuperare il pallone per dare priorità a Messi, ma da quando siamo riusciti a controllarlo in quella posizione, Madrid e Barça sono tornati alla pari».
Improvvisamente però i meccanismi studiati da Mourinho vanno in frantumi e i giocatori capiscono che quell’equilibrio che erano riusciti faticosamente a stabilire ora è sparito. I giocatori allora sembrano quasi accompagnarlo più che ostacolarlo, come fossero spaventati dall’idea di intervenire. La realtà è che non ne sono in grado, quando carica in conduzione i movimenti sono troppo rapidi e le possibilità talmente tante, da sconsigliarlo. Ramos e Albiol reagiscono allo stimolo visivo, solo che Messi va più veloce di quanto il nostro cervello riesce a reagire e quindi tutti si muovono una frazione di secondo dopo. I difensori del Real Madrid sembrano avere i pesi alle caviglie e quando si muovono Messi è già nel gesto successivo. Sembra vero quanto detto da Guardiola sul fatto che Messi è l’unico giocatore che è più veloce con la palla che senza.
Cosa rende speciale Messi
Come detto da Messi stesso fin da ragazzo, quando si tocca la palla in velocità è fondamentale già sapere cosa si vuole fare. Messi, in sostanza, è un giocatore pratico. Affronta un avversario alla volta ma sa già dove vuole andare e come farlo ed è cosciente che nella semplicità del gesto c’è la risposta. Sta agli avversari trovare il modo di fermarlo perché lui in testa ha già il percorso completo con il numero minimo di gesti per portarlo a termine. È questo a rendere tanto arrendevole la reazione dei giocatori del Real Madrid. Forse anche loro hanno capito che non possono nemmeno sfiorare il pallone.
Prendiamo la diagonale di Marcelo, che si accorge dove sta andando Messi e sta cercando di chiuderlo. Il 10 del Barcellona ha appena superato sfiorando Albiol e ha il pallone da dover raggiungere, accorgendosi della chiusura di Marcelo in arrivo accelera la corsa e tocca due volte col sinistro facendo scudo col corpo all’intervento del brasiliano. Sembra tutto perfettamente programmato: con il secondo tocco Marcelo è già in ritardo e deve tirarsi indietro per non fare fallo.
Lo stesso secondo tocco porta Sergio Ramos a pensare di poter chiudere la cosa intervenendo in anticipo prima del tiro di Messi, Ramos che era stato già battuto fuori dall’area, che decide di continuare a correre per chiudere Messi in un secondo momento, che ora sembra propizio. E invece viene eluso per la seconda volta, diventando così sia il secondo che il quinto giocatore che supera Messi prima di fronteggiare Casillas. Ramos viene anticipato con il tiro in porta finale, che arriva dieci secondi dopo il tocco per Busquets a centrocampo.
In questa sfacciata affermazione di perfezione c'è una punta di imperfezione che rende questo gol unico, ancora più bello. E cioè che Messi conclude con il suo piede debole, in maniera quasi sporca. Scriveva Eduardo Galeano: «Così come Maradona tiene il pallone attaccato al piede, Messi tiene il pallone dentro il piede. Si tratta di un fenomeno fisico… scientificamente è impossibile, però è vero!», e in questo caso effettivamente il calciare contro tempo toccandolo col destro fa sembrare quasi che il pallone cambi direzione improvvisamente uscendo dal piede di Messi. Il tocco permette al pallone di continuare la sua corsa leggermente più veloce, togliendolo dalle grinfie di Sergio Ramos e aumentando la sensazione di crescendo.
C'è da aggiungere che il tocco con il piede debole non è fatto, a mio modo di vedere, per anticipare Sergio Ramos, ma per colpire in maniera più efficace quella porzione della porta che era stata lasciata sguarnita da Casillas, che istintivamente, forse aspettandosi un tiro di sinistro, era andato a coprire il primo palo. Ma il tocco di Messi, quel tocco sporco, masticato, ha addirittura reso irrilevante la posizione del portiere. Casillas scende a terra, ma può solo girarsi a guardare il pallone che entra in porta.
C’è qualcosa di ancestrale nella fascinazione che proviamo verso un gol di un singolo giocatore che supera un'intera squadra schierata. Forse perché nel calcio è la cosa che più avvicina un calciatore all’idea di eroe greco. Achille che scende in battaglia e da solo tiene testa a decine di troiani. Certo ci sono gol fatti con un singolo, grande, gesto tecnico sono altrettanto entusiasmanti. Per esempio i gol in rovesciata. Ma il singolo gesto tecnico, una volta nella vita, può riuscire quasi a tutti. Basti pensare ai passati vincitori del premio Puskas. Basta un secondo per segnare un gran gol in rovesciata. Superare più di un giocatore da centrocampo, invece, ne richiede almeno una decina, cosa che permette la creazione di un crescendo che aumenta ogni tocco di palla effettuato. Certo, Maradona sarebbe stato Maradona anche senza quel gol all’Inghilterra. Ma se pensiamo a un gol "alla Maradona" sicuramente penserete a quel gol. Se ci avete fatto caso, non ho avuto nemmeno bisogno di nominarlo esplicitamente.
Non a caso, nei commenti immediatamente successivi a quella partita, quello di Messi viene descritto come un gol “alla Maradona”. Così scrive l’inviato Jacopo Gerna della Gazzetta dello Sport: «Un gol alla Maradona, senza esagerare. Di quelli che di solito si vedono solo alla Playstation. Col piccolo particolare che questa è una semifinale di Champions». Messi un gol come quello di Maradona l’aveva già fatto nel 2007 contro il Getafe, certo in un palcoscenico meno esigente, ma in modo non meno spettacolare se si guarda a che velocità affronta la difesa avversaria. È quel gol contro il Getafe a segnare per sempre la sua carriera perché lo pone ufficialmente, a 19 anni, come il vero erede di Maradona, tra i tanti falsi profeti. L’aveva poi replicato altre volte in varie forme, come quella famosa contro l’Athletic Club nella finale della Coppa del Re 2016 in cui riceve largo e smarca più volte quegli sventurati che si frappongono nella sua conduzione in diagonale fino alla porta.
Personalmente, però, quello di Messi al Real Madrid mi ricorda più il gol segnato da Thierry Henry sempre contro il Real Madrid, nei quarti di finale della Champions League 2006. Anche quel gol è una dimostrazione di onnipotenza atletica e tecnica; anche quello è un gol che segna il doppio confronto di Champions League; anche quel gol viene segnato al Bernabeu. Non a caso il mio preferito tra quelli di Henry.
C'è però una differenza fondamentale. Se Henry ha bisogno della sua supremazia atletica per superare superare ogni ostacolo che si frappone tra lui e il gol, in quello di Messi c’è qualcosa di etereo. Al contrario di Henry, nessuno riesce nemmeno a toccare Messi, gli avversari se lo vedono sfrecciare accanto e alzano le mani. Albiol che prova il contrasto non riesce nemmeno ad andare vicino, né al pallone né alla gamba. Ramos che riesce nella diagonale lo tocca solo quando il pallone è già partito dal suo piede. Messi non supera gli avversari, sembra anticiparne i movimenti e quindi fare prima quello che serve per superarli.
Sid Lowe, allora inviato al Bernabeu per il Guardian, ne scrive così sulla sua cronaca della partita: «È stato uno dei più bei gol a cui la competizione abbia mai assistito, arrivato da un giocatore che a 23 anni è già il terzo miglior marcatore di sempre del Barcellona e ora non è messo a confronto soltanto con i migliori giocatori al mondo, ma i migliori di sempre. Un momento che ha reso onore all’occasione, un gesto all’altezza delle due migliori squadre al mondo. Tutta quella rabbia in campo, finalmente ha lasciato spazio ad un momento di stupore. Alla fine il genio sublime ha vinto». Questo è il gol che mostra Messi come il genio che può battere qualunque tattica, il giocatore che con una sola azione personale può rendere anche le partite più brutte, indimenticabili.