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La forza di una Squadra
03 giu 2019
La vittoria in gara-2 di Golden State in condizioni critiche è l’ennesima conferma del motto “Strength in Numbers”.
(articolo)
9 min
(copertina)
Foto di Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images
(copertina) Foto di Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images
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I Golden State Warriors sanno che non si diventa campioni per caso. Nella vittoria di gara-2 contro i Toronto Raptors ci sono tutte le qualità della squadra che ha vinto tre degli ultimi quattro titoli e che vuole continuare a vincere: dedizione, fatica, esecuzione tecnica, un cuore enorme e una presenza mentale inscalfibile. Golden State ha saputo adattarsi in corsa, soffrendo quando i Raptors sembravano in controllo della situazione nel primo tempo e riuscendo a passare sopra anche ai problemi fisici di molti dei suoi effettivi.

Oltre alle noie muscolari di Andre Iguodala e a non meglio precisati problemi di disidratazione di Steph Curry a inizio gara, infatti, si sono aggiunti gli infortuni di Kevon Looney – costretto a uscire nel secondo quarto per un infortunio al petto – e Klay Thompson, ricaduto male dopo un tripla nel corso del quarto periodo e infortunatosi al bicipite femorale. Per la sesta partita consecutiva dopo l’infortunio di Kevin Durant la squadra aveva imbarcato acqua nel primo tempo finendo sotto in doppia cifra, ma come spesso accade la squadra di Steve Kerr è riuscita a ritrovare il filo del discorso nel momento del bisogno, piegando l’inerzia dalla propria parte affidandosi alla forza del collettivo.

Gli Splash Brothers hanno ovviamente chiuso in cima al tabellino (25 punti per Thompson, 23 per Curry) e Draymond Green ha giocato l’ennesima partita di una completezza assurda (finendo a un assist di distanza dalla quarta tripla doppia consecutiva), ma a fare la differenza sono stati i role players: i veteranissimi Shaun Livingston e Andrew Bogut hanno risposto presente nel secondo tempo quando Thompson e Looney non erano più disponibili; Quinn Cook e Alfonzo McKinnie si sono dimostrati ancora una volta affidabili; DeMarcus Cousins - gregario non di nome ma di fatto in questo roster - ha ripagato la scelta di Kerr di farlo partire in quintetto risultando decisivo nel girare la partita nel terzo quarto così come Iguodala, la cui tripla nei secondi finali per chiudere la questione è solo la ciliegina su una partita di spessore gigantesco nelle due metà campo.

Quindici secondi drammatici: dalla quasi palla persa di Curry alla quasi rubata di Leonard fino al passaggio no-look di Livingston e le vene glaciali di Iguodala. Una di quelle giocate destinate a rimanere nell’epopea di questa squadra, capace di realizzare 34 assist su 38 canestri segnati - un record per le finali NBA.

Per i Raptors non può che restare un po’ d’amaro in bocca. La delusione di essersi visti sfuggire di mano la ghiotta opportunità di tenere inviolato il proprio parquet è innegabile, soprattutto dopo aver visto come si era messa la partita nel primo tempo. La squadra di Nick Nurse, però, esce da questa sconfitta con la riprova definitiva di appartenere a questo livello e di potersela giocare fino in fondo con i campioni in carica: reagire alla tremenda spallata degli Warriors nel terzo periodo - arrivando a giocarsela fino all’ultimo tiro della partita con un parziale di 10-0 - non è da tutti, soprattutto in un sera in cui tranne Kawhi Leonard (autore dell’ennesima prestazione sontuosa dei questi playoff con 34 punti, 14 rimbalzi, e un perfetto 16/16 dalla lunetta) nessuno del supporting cast è riuscito a tenere il livello della spettacolare gara-1.

Marc Gasol, Kyle Lowry e Pascal Siakam hanno chiuso con un 11/36 combinato dal campo e anche Fred VanVleet, nonostante i 17 punti, non è stato preciso come nelle precedenti partite, segnando solo 5 punti nella ripresa. Ma i demeriti di Toronto, incapace di concretizzare i tanti tiri aperti costruiti tanto da veder crollare la propria percentuale effettiva di oltre 5 punti, sono anche i meriti degli Warriors, bravi nel trovare gli accoppiamenti difensivi che hanno fatto girare il secondo capitolo della serie.

L'artiglio dei Raptors

E questo nonostante un primo tempo di grande livello da parte dei canadesi, che dopo aver litigato con le percentuali all’inizio erano usciti fuori con grande clamore nel secondo quarto, prendendo senza mezzi termini il controllo tecnico ed emotivo della partita. Nel corso di questi playoff i Raptors hanno maturato la capacità di far girare a proprio vantaggio i momenti chiave delle partite, abili nello sfruttare tutto il cronometro dei 24 secondi per giocare possessi logoranti mentalmente che spesso fanno la differenza nell’inclinare a proprio vantaggio l’inerzia di una serie.

In sequenza: il gioco da tre punti di VanVleet dopo l’ottima circolazione perimetrale di Toronto; tre triple sbagliate in meno di 20 secondi dagli Warriors; e la tripla di Lowry dopo il grande rimbalzo offensivo di Kawhi. Sembrava girare tutto nel verso giusto per i Raptors nel primo tempo.

I Raptors hanno messo in piedi una delle migliori difese viste negli ultimi anni, impenetrabile a metà campo e capace di reagire con tecnica e velocità alle situazioni di gioco, creando transizioni letali che tolgono certezze agli avversari. La squadra di Nurse è stata brava nel non concedere seconde occasioni, chiudere il pitturato (appena 12 punti in area per gli Warriors nel primo tempo contro i 26 dei canadesi) e non permettere tiri facili, con gli ospiti che hanno fallito 20 delle prime 28 conclusioni tentate.

L’imprecisione al tiro da fuori dei canadesi, però, ha finito col fare la differenza, senza dare il colpo del KO quando ne avevano l’opportunità e arrivando all’intervallo con sole cinque lunghezze di vantaggio. I Raptors sembravano comunque pronti a dare la spallata definitiva nella ripresa, ma gli Warriors hanno saputo riemergere nei secondi 24 minuti cambiando le marcature in difesa.

Le chiavi della vittoria degli Warriors

Dopo aver raddoppiato Leonard costantemente per tutta gara-1, gli Warriors hanno usato un approccio diverso, affidando la marcatura diretta a Klay Thompson con Iguodala dirottato su Siakam e Green in punta su Lowry. Steve Kerr ha alternato raddoppi e pressioni sul numero 2 canadese con tanta difesa in uno-contro-uno, scegliendo di accettare una partita dai grandi numeri di Leonard pur di non correre il rischio di mettere in partita gli altri. Iguodala è stato eccezionale nel ridimensionare Siakam, mentre Green su Lowry ha permesso sia di “nascondere” Curry su Danny Green (ancora fuori da questa serie) che di lasciare a Green la possibilità di muoversi liberamente per il campo, giocando lontano dalla palla e ignorando anche un tiratore come Lowry, poco a suo agio nel cercare il suo tiro.

Questo ha permesso agli Warriors di migliorare le rotazioni difensive, costringendo i comprimari di Toronto a costruire qualcosa dal palleggio - il maggiore difetto del supporting cast canadese. Non è stato banale neanche l’inserimento di Cousins, il quale - seppur ancora lontano dalla migliore condizione fisica - ha tenuto meglio di Jordan Bell nell’accoppiamento con Gasol, giocando una solida partita difensiva dopo un inizio disastroso. Con lui in campo in queste prime due partite gli Warriors hanno concesso appena 86.3 punti su 100 possessi e per adesso i Raptors non sono mai riusciti a farlo lavorare come avrebbero dovuto, smettendo di coinvolgerlo nei pick and roll lontano da canestro come invece erano riusciti a fare a inizio partita.

La capacità di Cousins di giocare dal gomito e di servire i tagli dei compagni. I suoi 6 assist sono stati molto preziosi tanto quanto la sua capacità di mettere palla a terra e creare a difesa schierata.

La presenza di Cousins ha inoltre permesso a Kerr di trovare migliori soluzioni nella metà campo offensiva. Le sue doti di playmaking sono state un fattore nel terzo quarto, dove con un parziale iniziale di 18-0 gli ospiti hanno girato la partita dalla loro parte, lasciando ai Raptors il record negativo di essere la prima squadra nella storia delle Finali a iniziare un tempo senza canestri dal campo (0/9 e 6 palle perse) nei primi 5 minuti e 40 secondi di gioco.

Il gioco dal gomito di Cousins ha permesso agli Warriors di innescare la girandola di movimenti, tagli e blocchi lontano dalla palla che hanno definito la loro dinastia. La gravità esercitata da Curry sul lato debole è talmente forte da impegnare costantemente le attenzioni mentali delle difese avversarie e la sua sottovalutata qualità di portare blocchi è stata un fattore cruciale.

Curry ha chiuso con ben quattro screen assist (il migliore dei suoi) mandando in cortocircuito la difesa dei Raptors.

Gli ospiti sono stati bravi anche nel gestire le superiorità numeriche nel finale, dove i Raptors raddoppiavano sistematicamente Curry (soprattutto dopo l’uscita dal campo per infortunio di Thompson), trovando finalmente il modo di rigirare a loro vantaggio l’aggressività della difesa dei canadesi.

Se è giusto dire che non bisogna mai sottostimare il cuore dei campioni, questo vale anche per l’esecuzione tecnica, sempre brillante quando la posta in gioco arriva al massimo livello di difficoltà. Con 19 punti dei panchinari e 22 assist su 22 canestri realizzati nella ripresa, gli Warriors nel momento del bisogno hanno mostrato il loro lato migliore, abbinando tecnica e altruismo in un connubio esaltante e soprattutto vincente.

Una serie molto incerta

Nonostante la conquista del fattore campo, gli Warriors sanno bene che questa serie è tutt’altro che finita. Le condizioni fisiche di Klay Thompson – il quale ha già dichiarato di voler giocare gara-3 – e di Iguodala sono tutte da monitorare, e il rientro di Kevin Durant potrebbe slittare ulteriormente fino a gara-4 ora che si ritrovano in parità. Quello che però dovrebbe preoccupare maggiormente Steve Kerr è la capacità di Toronto di reagire ai momenti di pressione: giocare due partite in trasferta con l’esigenza di dover portare a casa almeno una vittoria non sarà un compito facile, ma i Raptors hanno già dato dimostrazione di essere cinici quando conta e, quello che è ancora più incoraggiante, sembrano saper trovare sempre soluzioni interessanti.

La difesa a zona dei Raptors, che lasciano VanVleet in marcatura singola su Curry schierando gli altri con un 2-2 nel tentativo di intasare l’area.

Dopo aver sofferto terribilmente per un quarto e mezzo, Nick Nurse era riuscito a trovare risposte interessanti nel passare alla difesa a zona. Negli ultimi sei minuti la 1-2-2 (o box-one) dei canadesi è riuscita a chiudere molte delle opzioni offensive degli Warriors, permettendo ai padroni di casa di ritornare in partita fino al -2 dopo la tripla di Danny Green. Certo, la stanchezza generale degli Warriors e l’assenza di tiratori come Durant e Thompson ha permesso l’implementazione di questo schema difensivo con pochissimi precedenti nelle Finals, ma rimane comunque un’arma a disposizione in determinati momenti di gara-3.

Leonard, in ogni caso, ha l’esperienza e la classe necessaria per dominare almeno una delle due partite alla Oracle Arena, mentre Lowry e Gasol hanno già dimostrato di saper reagire alle brutte prestazioni, con Siakam che è continuamente in fase di apprendimento. Viste le prestazioni scialbe di Serge Ibaka, poi, i Raptors potrebbero anche decidere di abbassare il proprio quintetto giocando con Leonard e Siakam da “lunghi” e tre guardie (Lowry, VanVleet e Powell), soluzione che ha fornito buoni risultati nella prima sfida e che Nurse, forse anche per la presenza di Cousins, ha deciso di non riproporre nel corso di gara-2.

I Raptors sono chiamati all’ennesimo esame di maturità della loro stagione – specie dovesse rientrare Durant –, ma hanno tutte le carte in regola per giocarsela alla pari. Gli Warriors, dal canto loro, hanno ottenuto l’obiettivo minimo e davanti al proprio pubblico vorranno cogliere l’occasione di dimostrare tutto il loro valore.

Quello che è certo è che dopo due anni siamo tornati finalmente ad avere delle Finals molto incerte, ed è bellissimo così.

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