Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Gone girl
02 ago 2016
La carriera di Marion Jones: uno spreco o la più grande bugia dello sport americano?
(articolo)
20 min
Dark mode
(ON)

Prima di lei non si era mai visto nel basket femminile un playmaker tanto veloce ed esplosivo. Dopo di lei l’atletica leggera ha perso completamente la verginità. Marion Jones è stata, per una manciata di anni, l’essenza stessa dello sport a stelle e strisce, l’ennesima incarnazione del sogno americano. A 24 anni era già apparsa in quasi una dozzina di TV nazionali e in decine di pubblicità. Il suo volto era sulla copertina di Newsweek, Time e Sports Illustrated.

Un sogno che si rivela essere un incubo proprio nel momento in cui gli occhi stanno bene aperti, milioni di occhi di una nazione intera alla continua ricerca dell’eroe per il quale sdilinquirsi, della wonder woman da esaltare perché ce l’ha fatta nonostante tutto. Tutto cosa? Un sistema che ti ama se vinci, che ti offre di essere “big”, “extreme”, “ultimate” perché altrimenti sei niente. Salire sul tetto del mondo e finire la tua parabola di fronte ad Oprah.

Marion Lois Jones ha lo stesso nome di sua madre e due passaporti, quello americano del padre naturale George e quello del Belize di mamma Marion. Nasce a Los Angeles il 12 ottobre 1975 e nella sua vita ci sono altri due uomini molto importanti: Ira Toler, il patrigno che per lei sarà un padre a tutti gli effetti ma soprattutto il fratellastro Albert, che muore quando la piccola Marion ha dodici anni. Da lui eredita la passione per lo sport e soprattutto per l’atletica e il basket, che sono le due discipline che Albert amava di più. A quindici anni il nome Marion Jones è sulla bocca di tutti quelli che si affacciano sulle piste e i parquet delle high school californiane, perché lei vince sempre.

Conquista il Campionato studentesco della California (Cif) per quattro anni consecutivi sui 100 metri e viene eletta atleta dell’anno per tre anni di fila. Nel 1992, quando Jones ha appena diciassette anni, viene invitata al trial preolimpico sui 200 e selezionata come riserva per la staffetta 4x100 statunitense, ma declina l’offerta. Le Olimpiadi del 1996, quelle casalinghe di Atlanta, le perde per una frattura al piede. Non è mai stata “fortunata” Marion con i cinque cerchi. Nel frattempo porta avanti anche la sua carriera nel basket, divenendo il playmaker titolare dell’Università di North Carolina (Unc), la stessa che dieci anni prima ha avuto tra le proprie fila l’altro MJ.

Seguite i movimenti della freshman col 20.

Nel suo anno da freshman, nel 1994, Jones in breve tempo diventa la playmaker titolare. Quell’anno North Carolina chiude la regular season con 27 vittorie e 2 sconfitte, si laurea campione della east region e si aggiudica il titolo nazionale per la prima volta nella sua storia battendo il 29 marzo in finale Louisiana Tech. Non accadrà mai più. Addirittura per raggiungere di nuovo la final four dovrà attendere altri dodici anni. Ma Marion, dopo l’infortunio che non le consente di gareggiare ad Atlanta, decide di chiudere col basket e dedicarsi esclusivamente alla corsa.

Nel 1997 si laurea nell’ateneo di Chapel Hill, e oltre alla toga e al tocco porta via anche quello che diventerà presto suo marito, il lanciatore di peso CJ Hunter che, negli anni in cui lei era studente, ha fatto parte dello staff di allenatori della squadra di atletica rischiando anche un incriminazione perché non è consentito ad un coach frequentare un suo allievo. Una coppia che ha vissuto pericolosamente fin dall’inizio. Insomma Hunter lascia il suo lavoro di coach e i due si sposano il 3 ottobre 1998.

Nel frattempo Marion Jones fa il suo esordio tra le major col botto, vincendo i 100 metri al Mondiale di Atene 1997. Nella finale che vede in pista l’eterna Merlene Ottey e la quotata Cryste Gaines, Jones brucia sulla linea del traguardo l’atleta più in forma in quel momento, Zanna Pintusevyč-Blok. In effetti per lunghi attimi l’ucraina è convinta di aver vinto, a maggior ragione perché non vede al suo fianco l’ombra di Ottey, che sta rallentando per un guaio muscolare. Di certo non si aspetta che ci sia un fulmine in corsia 3, dove crede di aver lasciato semplicemente una ragazzina al primo grande appuntamento della carriera. Invece è proprio Jones a portare a casa la medaglia d’oro con il tempo di 10”83, che migliora di ben sette centesimi il suo record personale. Nel salto in lungo raggiunge la finale e si classifica decima.

Atene incorona la nuova regina della velocità

Due anni dopo Marion è la stella più lucente di Siviglia, magari non quella più affascinante perché in pista c’è ancora la regina infinita Gail Devers (a 33 anni e due ori olimpici nei 100 fa suoi i 100 ostacoli come fosse normale), ma di sicuro la più attesa dagli sponsor e dalla sue stessa federazione. L’obiettivo è portare a casa quattro titoli (100, 200, lungo, 4x100), operazione che non appare un azzardo. In molti già la accostano a FloJo, Florence Griffith Joyner, colei che ancora oggi detiene il record mondiale sui 100. Ma forse per le ragioni sbagliate.

Jones domina la finale dei 100 metri in 10”70 ed è impressionante la sua progressione nei tempi (ma in fondo in un pomeriggio di Johannesburg si è mangiata la pista in 10”65). Nuova medaglia d’oro e striscia di imbattibilità sulla distanza regina che si allunga. Però nella finale del salto in lungo qualcosa va storto: Marion fa solo 6,83, e così le stanno davanti Niurka Montalvo, che fa il record di Spagna con 7,06 e la nostra Fiona May con 6 metri e 94. Presagio. Si infortuna seriamente alla schiena mentre sta correndo la sua semifinale. Esce in barella fra gli applausi del pubblico andaluso e chiude così la sua avventura mondiale per sempre.

L'impressionante potenza che Marion Jones scarica a terra ad ogni falcata.

Cibo sano e steroidi

Nella storia di Marion Jones, come la conosciamo oggi al netto delle cancellature imposte dalla Federazione internazionale di atletica leggera (Iaaf), sono fondamentali una data, il 3 dicembre 2004, e due nomi: Milos Sarcev e Jeff Novitzky. Due uomini con le radici nell’est Europa che incrociano le loro esistenze con quella della campionessa più amata d’America, senza mai incontrarsi davvero. Eppure sarà anche grazie a loro che sarà svelato il più grande scandalo dello sport Usa, fino alla L.A. (inteso come Lance Armstrong) Confidential.

Grazie a loro e alle rivelazioni del nostro terzo uomo, Victor Conte, mister Balco (Bay Area Laboratory Co-Operative), abbiamo scoperto cosa c’è stato dietro la carriera di MJ, come di altri campioni del calibro di Barry Bonds (baseball), Bill Romanowski (football), Tim Montgomery e Cryste Gaines (atletica). Il doping, sistematico, maniacale, pianificato tanto quanto gli allenamenti. Organizzato dall’uomo di Fresno, con il diploma di scuola superiore e una carriera da bassista con la funk band Tower of Power appesa al chiodo alla fine dei Settanta, che un giorno si inventò nutrizionista dei super atleti, tra cui Marion Jones. Quel 3 dicembre 2004 Conte compare di fronte alle telecamere del programma “20/20” della Abc, rispondendo alle domande del giornalista Martin Bashir.

The clear, Epo, ormone della crescita e insulina, sono queste le sostanze che Conte dice di aver somministrato a Marion Jones a partire dall’agosto del 2000 seguendo un calendario rigoroso che in trasmissione viene mostrato. Se di Epo (eritropoietina) avevamo già sentito parlare anche da quest’altra parte dell’Oceano, fin dal 1998, con lo scandalo Festina al Tour del France e con l’oscuro e sanguinoso caso Pantani, “the clear” è una sostanza sconosciuta anche all’antidoping.

Conte/1 - “Marion Jones ha preso steroidi davanti a me”.

L’eritropoietina è una sostanza che il corpo umano produce nei reni e in quantità minore nel fegato. Serve a regolare la produzione dei globuli rossi da parte del midollo osseo. Viene prodotto in laboratorio per curare i casi più gravi di anemie in pazienti con malattie renali e del sangue, oltre che per aiutare la ripresa dalla chemioterapia nei malati di cancro. Il suo ruolo come doping nelle prestazioni sportive è quindi chiaro: più globuli rossi uguale, più ossigeno ai tessuti, e quindi maggior performance sportiva.

Il Thg o tetrahydrogestrinone, insomma The clear, è un nuovo libro nella vicenda del doping. Si tratta di uno steroide, nome in codice c21h2802, che resta nel corpo per tre giorni, quattro al massimo, praticamente invisibile ai controlli. Il primo campione di Thg arriva tramite posta anonima all’Olympic Lab, al numero 2122 di Grainville avenue di Los Angeles, l’unico laboratorio olimpico accreditato negli Stati Uniti. Una siringa con al suo interno un residuo di liquido chiaro (tipo olio) e una sola richiesta: indagate. A mandare quella missiva scottante, il 13 giugno del 2003, è il primo “uomo dell’est”: Jeff Novitzky.

Di questa siringa si occupa il dottor Donald Catlin che ha l’intuizione di indagare sulla modifica della formula chimica del gestrinone, uno steroide che cura l’endometriosi (una malattia che causa infertilità femminile), e del trembolone che invece serve a far crescere i vitelli. Sembra Alien ma è tutto accaduto davvero. Il Thg non ha una sperimentazione alle spalle, quindi gli esseri umani che ne fanno uso sono le prime e uniche cavie e, secondo, non cura nulla. Se fino a quel momento il doping sfruttava farmaci nati per combattere malattie, il tetrahydrogestrinone è stato studiato, prodotto e commercializzato senza fini terapeutici. Il Thg è il primo doping per sani: non cura niente, migliora le prestazioni.

Arriviamo ora a Novitzky che è un agente delle tasse all’Irs (Internal revenue service, quella che incastrato Al Capone), ex giocatore di basket di origini tedesche, lavora al fianco di Fbi e Dea sul riciclaggio di denaro sporco e narcotraffico. Si interessa della Balco per una storia di tasse non pagate, ma tra un controllo e l’altro di corrispondenza e rifiuti viene colpito dal via vai che c’è a Burlington (sede dell’azienda di Conte) di campioni dello sport. Il prodotto più venduto dalla Balco è lo Zma, un composto di zinco e magnesio che da un po’ di tempo tutte le stelle dello sport raccomandano. Alla ditta ha fruttato un gruzzolo da dieci milioni di dollari negli Stati Uniti e altri 90 in giro per il mondo.

Eppure l’agente Novitzky è insospettito da alcuni nomi in codice: The cream, The clear, e dai pagamenti che avvengono sempre in contanti. Parliamo anche di 10.000 dollari in una volta sola, per una cura o per semplici test di laboratorio su sangue e urine: troppo cari, troppo sospetti. E poi a capo della Balco c’è un ex bassista, completamente digiuno di studi di medicina, anzi nemmeno laureato: Victor Conte, appunto.

Conte/2 - “L’intera storia delle Olimpiadi è una truffa”

Tra i collaboratori di Conte spicca un tipo pittoresco, uno di quelli che andavano molto di moda in America negli anni Ottanta. Si chiama Milos Sarcev, viene dalla ex Jugoslavia ed è stato mister Universo una volta, quando faceva competizioni di body building contro Schwarzenegger e compagnia bella. Uno che quando Emanuela Audisio va ad intervistarlo nel novembre del 2003 sfoggia sulla scrivania le foto con i campioni della velocità, e c’è pure Marion. Lui la definisce «un’ignorante, ineducata sul cibo. Ridicola. Che mangiava ciambelle». Per Sarcev l’alimentazione corretta è fondamentale, così come l’assunzione degli steroidi che sono «un modo di vivere. Se vuoi stare in alto, più in alto di tutti, non puoi essere drug free».

Quindi anabolizzanti sì ma presi sotto il controllo medico, per riparare i guasti dell’età e della fatica. Lo dice lui che dichiara di averli provati tutti compreso il Synthol: un olio che espande i muscoli e che va sparato in vena. «Ho avuto due attacchi cardiaci perché mia moglie ha sbagliato mira ed è finito dritto al cuore». Marion Jones è stata sua cliente, così come Tim Montgomery secondo marito di Marion e anche lui squalificato per doping. Ma pure CJ Hunter era nella sua agenda, il primo marito, il lanciatore di peso e allenatore ai tempi dell’università. Pure lui cliente di Conte dal quale comprava integratori a base di ferro, dicono. Solo che fu trovato positivo prima dei Giochi di Sydney nel 2000 con un livello di positività mille volte sopra la norma. «Ha esagerato», chiosa Sarcev.

Scelte sbagliate

Balco e Conte finiscono alla sbarra, molti atleti testimoniano davanti al Grand Jury e anche Marion Jones. Lei si dichiara estranea alla vicenda, si proclama pulita e giura di non conoscere Conte, eppure ci sarebbe un assegno firmato da lei al presidente del laboratorio (lo dice il New York Times) per una somma di 7.350 dollari. Al Fairmont Hotel di San Jose, di fronte ai suoi due legali, e ad un agente federale decide di mentire. L'agente estrae una busta di plastica con una fiala che contiene quello che sembra olio d'oliva chiaro e le chiede se la riconosce.

Una fiala simile a quella ricevuta mesi prima dal dottor Catlin. Secondo la versione di Jones soltanto in quel momento comprende che si tratta di The clear, il Thg, il doping dei campioni e non il semplice olio di semi di lino che il suo allenatore, Trevor Graham, le ha dato ripetutamente durante gli allenamenti prima di Sydney. «Mi raccomando tienilo per qualche istante sotto la lingua prima di ingoiarlo», le diceva e lei, da brava alunna, obbediva.

Per due volte Marion Jones dichiara di fronte ad un agente federale che no, non ha mai visto quel tipo di sostanza.

15 dicembre 2004, Marion Jones convoca una conferenza stampa e per due volte dichiara che mai e poi mai ha fatto uso di sostanze stupefacenti. Le piace ribadire le bugie, ma questo lo scopriremo solo dopo

In fondo, a partire dal 1997 si è sottoposta a ottantatré controlli anti doping (fonte Abc) e tutti sono risultati negativi. Marion Jones è accusata, o comunque sospettata, di far uso di sostanze dopanti dai tempi delle high school (ne ha frequentate due diverse), ma il suo avvocato Johnnie Cochran è riuscito a far cadere le accuse relative a quegli anni. Soprattutto quelle riguardanti un controllo saltato nel 1990 senza un vero motivo. I sospetti sono anche sul periodo universitario, pressappoco a partire da quei giorni in cui, con un piede rotto, decide di lasciar perdere il basket e di iniziare a correre. Gli stessi giorni in cui inizia a frequentare CJ, ma di nascosto perché è contro le regole universitarie stare insieme al proprio coach. In ogni caso nessuno è mai riuscito a dimostrare che Marion si dopasse fino a tutto l’anno 1999.

Quando appare, vestita di bianco, per dare la sua versione dei fatti, una decina di giorni dopo la messa in onda dell’intervista a Conte di Bashir per il programma “20/20” della Abc sembra tesa e quasi fuori di sé. Ha un’espressione che non ha mai tenuto in pista, con lo stress delle gare dove anzi è spesso sorridente. Veste i panni della fiera guerriera che difende quanto guadagnato con la fatica. Da circa un anno ha un nuovo marito, Tim Montgomery, e un figlio nato da pochi mesi. Hunter è stato liquidato nel 2002, diventato troppo ingombrante dopo la squalifica per doping.

Le Olimpiadi di Atene, dove Jones ha strappato un misero quinto posto nel salto in lungo, sono state un flop. Tim è andato anche peggio, in Grecia non si è nemmeno presentato e su di lui si addensano le nuvole nere della Usada (l’anti doping americana) che a breve lo condannerà a quattro anni di stop. Jones nega ogni addebito fatto a suo carico e sottolinea come siano stati molto più di 83 i controlli da lei effettuati, parla infatti di 160 analisi sempre negative. Sottolinea di avere anche passato la prova del poligrafo a cui si è sottoposta davanti all’Fbi e dice che le sue analisi sono controllate dal dottor Richard Ferro della Duke University.

In questo video un poligrafo analizza le dichiarazioni di Jones e Conte: il risultato è molto interessante ma va comunque preso con beneficio di inventario.

Conclude il ragionamento col colpo di teatro finale: chiede 25 milioni di dollari per danni morali e professionali da Victor Conte per ingiuste accuse ricevute. Questo scatena i media, e come riporta Usa Today, porta alla risposta secca di un avvocato piuttosto famoso, Lin Wood, colui che si è occupato delle accuse di stupro rivolte a Kobe Bryant: «Se Jones fosse seria allora avrebbe citato anche le televisioni Abc e Espn che hanno intervistato Conte». Grave ma non seria la requisitoria di Marion Jones, che deve subire anche la risposta sarcastica di mister Balco. «È solo l’ultimo tentativo di una donna disperata, che ha costruito un’intera carriera sull’assunzione metodica di sostanze dopanti. Rimango a quanto detto nel documentario 20/20: io ho detto la verità e lei sta mentendo».

Non ha quei soldi che Jones dice di volergli strappare Victor Conte, ma ha molte cose da dire alla “donna disperata”: «Ha preso decisioni miserabili e ora merita di pagarne le conseguenze. È stata una delle atlete più importanti di questi anni e so che è difficile accettare di perdere tutto. Ha sbagliato ma troverà il modo di farsi perdonare un giorno». Il pensiero di Conte va ai figli di Marion ma in generale appare chiaro che lei non è pronta per farsi perdonare.

Questo non è mai accaduto.

L’anno successivo infatti è quello della separazione da Tim Montgomery che viene squalificato definitivamente e decide di ritirarsi dalle competizioni. Perde anche le medaglie di Edmonton 2001 e il record mondiale sui 100 di Parigi 2002. Insieme a lui viene squalificata Crysthe Gaines. Tornata di nuovo single Marion fa registrare tempi molto interessanti nel 2006: a luglio in Golden League a Roma ferma il cronometro sui 10”91. Il 19 agosto viene resa nota la sua positività all’Epo che risale ai campionati nazionali americani di Indianapolis svoltisi a giugno. Il clima attorno a lei è ormai avvelenato, nessuno le crede più.

Eppure MJ tira dritto e si aggrappa alle controanalisi che il 6 settembre danno risultato negativo e la scagionano dalle accuse di doping. Segue un silenzio mediatico lungo più di un anno.

Constant sorrow

Il 5 ottobre del 2007 Marion Jones ammette di aver mentito agli agenti federali sotto giuramento, sul suo uso di steroidi prima delle Olimpiadi di Sydney e si dichiara colpevole in tribunale. Tiene poi una conferenza stampa in cui confessa di aver fatto uso di sostanze dopanti a partire dalla fine 1999, e di aver sempre mentito a riguardo. In lacrime, chiede scusa ai fan e alla sua famiglia dicendo: «Voglio che sappiate che sono stata disonesta. E che avete il diritto di essere arrabbiati con me. Ho deluso il mio paese. Ho deluso me stessa. So che dire che mi dispiace profondamente può non essere abbastanza per riferirmi al dolore e alle ferite che vi ho provocato. Ad ogni modo, voglio chiedere il vostro perdono per le mie azioni, e spero che possiate trovarlo nel vostro cuore e perdonarmi». In quella stessa occasione annuncia il ritiro dall’atletica leggera.

La conferenza stampa delle scuse senza con quattro anni di ritardo.

Che cosa le ha fatto cambiare idea? Il nuovo matrimonio con l’ex atleta delle Barbados, Obadele Thompson, e il secondo figlio Ahmir (l’anno dopo nascerà Eva-Marie), oppure il peso di tutti quegli anni da reietta, l’essersi alienata tutto l’amore del pubblico che la vedeva come la regina dello sport americano. Marion Jones è stata la prima sportiva nera a finire sulla copertina di Vogue, sinonimo di un apprezzamento che ancora nel gennaio dei 2001 va ben oltre i confini dello sport. Ma poi si è davvero pentita? Quelle lacrime sono sincere o sono l’ennesima maschera indossata di fronte ai microfoni da una «bugiarda patologica», come la definisce il giornalista Alan Abrahamson?

In fondo Marion dice di aver mentito a riguardo del doping preso ma non chiarisce il punto sulla consapevolezza di quanto stesse assumendo. Rimanendo vaga rimane valida la versione data nel racconto della sua deposizione: sì, ho mentito non riconoscendo quella sostanza oleosa ma no, non sapevo fosse Thg? Come è possibile con due mariti squalificati per quello stesso tipo di doping, una compagna di allenamenti squalificata per quel tipo di doping e un allenatore squalificato per aver somministrato al suo secondo marito e alla sua compagna quel tipo di doping?

In quella notte di Sydney in cui il mondo si inchina alla sua incredibile velocità lei è totalmente rilassata e in contatto con la gente.

Il giorno 8 ottobre 2007 Marion Jones restituisce le cinque medaglie conquistate all’Olimpiade di Sydney, tre ori (100, 200, 4x400) e due bronzi (salto in lungo e 4x100). Quella sarebbe la competizione della consacrazione ad atleta immortale ma non esiste, è una bugia. Non ne trovate traccia nel libro dei record eppure io me lo ricordo il pubblico in visibilio e quel sorriso. Tutto falso, cancellato e riscritto come è logico e come è giusto che sia. E se lo ricorda di sicuro anche quel giornalista della Bbc che commentando la finale dei 100 metri sbotta con un, non si sa quanto consapevole, «Wow, this is the Olympic games, you're not supposed to win by that much». Non si può vincere con un margine del genere alle Olimpiadi. Non è possibile.

E allora campionessa nei 200 resta per gli annali Pauline Davis-Thompson delle Bahamas e la 4x400 americana, cui pure resta l’oro, ha solo tre titolari e una riserva nel palmares. Vittoria assegnata nel 2009.

Not supposed to win.

Ancor più squallido è il podio posticcio dei 100 metri con quella medaglia d’oro non assegnata perché l’argento andò alla greca Ekaterini Thanou che quattro anni dopo diserterà l’Olimpiade di casa pur di sottrarsi al controllo anti doping, mentre il bronzo venne riassegnato a Merlene Ottey, reduce da una squalifica per nandrolone e molto chiacchierata nella sua carriera pluridecennale che l’ha vista partecipare a sette Olimpiadi. Anche in quel caso si può parlare con certezza di grande longevità dei tessuti oppure si deve dare credito all’assioma di Milos Sarcev?

L’11 gennaio 2008 Marion Jones viene condannata a sei mesi di carcere per aver mentito sotto giuramento di fronte ad un pubblico ufficiale, allo stesso tempo le vengono inflitte 800 ore di lavoro socialmente utile.

Pausa

Ricompare quasi due anni dopo, nell’ottobre del 2009, quando annuncia che si sta allenando con la squadra di Wnba di San Antonio, le Silver Stars. Vuole essere la più vecchia rookie del campionato professionistico americano. A 34 anni Jones ha voglia di ricominciare, riannodare i fili con un passato che sarebbe potuto essere diverso se non si fosse rotta un piede e se non avesse deciso di correre. Fa parte di lei dimenticare e far dimenticare tutto quello che non è andato e presentarsi come nuova. Nuovo marito, due nuovi figli e una carriera da cestista. E il doping, la prigione, le bugie di fronte alla Stato federale?

https://dai.ly/xx6id3

Marion Square Garden.

Di quello parla, ovviamente secondo il proprio storytelling, nelle conferenze che tiene periodicamente nelle scuole delle zone disagiate. Come ultimo carico pendente con la giustizia infatti le restano le 800 ore di lavori socialmente utili: dire ai bambini poveri che ce la possono fare in maniera pulita. «Prendetevi una pausa ragazzi» e fate la cosa giusta, non vi affrettate a prendere decisioni sbagliate, “decisioni miserabili”. Seguono immagini delle sue vittorie, dei suoi incontri col presidente degli Stati Uniti, e poi della sua caduta. «Sono stata io a decidere di mentire sul doping e sono io ad aver scelto le persone sbagliate». Consapevolezza. Mai una parola però sulla consapevolezza di aver assunto doping, quello che lo ha portata a vincere le sfide più elettrizzanti e a conoscere il Presidente. Il momento in cui si sarebbe dovuta prendere tempo per decidere meglio è quel novembre del 2003, inizio di tutti i suoi mali. Lo dice lei e lo riporta in un lungo reportage il New York Times.

“This is the american dream”.

Marion entra a far parte della Lega professionistica del basket femminile americano (WNBA) il 10 marzo 2010, gioca una sola stagione con le Minnesota Lynx, chiude con 3.4 punti, 1.6 rimbalzi e 0.6 assist a partita. A fine stagione il contratto non le viene rinnovato e la sua seconda vita nel basket finisce.

La carriera di Marion Jones è stata “uno spreco”, come l’ha definita Ron Rapoport ex redattore sportivo del Chicago Sun e autore nel 2000 di “See How She Runs: Marion Jones and the Making of a Champion”. Avrebbe davvero potuto vincere a Sydney anche senza il doping? Oppure la carriera di Jones è stata la più grande bugia mai raccontata, e svelata, dell’atletica americana?

Se avesse detto immediatamente la verità, avrebbe perso le sue medaglie, ma avrebbe potuto rifarsi diventando un'efficace portavoce dei rischi del doping e delle pressione che gli atleti affrontano in una cultura che perdona l'imbroglio in silenzio. Invece ha preferito arrivare a raccontare nelle scuole quanto aveva perso. Il suo discorso ha il tono di una confessione con troppe questioni sospese, in particolare sul fatto che non ha mai fatto pienamente luce sull’assunzione delle sostanze dopanti.

Sospetti di doping a Londra 2012, chiedi a Marion: in fondo tutti si meritano “una seconda chance”

Quando decide di confessare quella che molti ritengono solo una parte della verità, Jones non ha alternative: è in bancarotta, la sua casa di Chapel Hill da 2.6 milioni di dollari pignorata. Vive soltanto dei soldi del suo nuovo compagno Thompson. Inoltre la sua reputazione è compromessa, il pubblico non si fida più, non la ama più, anzi sospetta di lei. Per assurdo i sei mesi in carcere ripuliscono la sua reputazione e dopo Jones può tornare a sorridere in mezzo ai bambini e sul campo da basket. Forse il segreto sta proprio nel prendersi una pausa.

Ma chi è davvero Marion Jones?

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura