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Graeme Obree, sempre al limite
22 lug 2020
Storia di un ciclista che ha consumato se stesso per inseguire il record dell'ora.
(articolo)
11 min
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Il mondo del ciclismo vive di grandi imprese e si nutre di sofferenza, e per questo motivo non è tanto la velocità in sé a stabilire i record quanto la capacità di superare i limiti di ciò che umanamente possibile fare in un determinato tempo. Nel ciclismo non esiste il record sui 100 metri e in pochi si interessano anche ai record su strada che, tra l’altro, non vengono neanche considerati nelle statistiche ufficiali.

Il record più ambito nel mondo del ciclismo è un record, per così dire, “al contrario”. Mentre in sport come l’atletica o il nuoto è il tempo su una determinata distanza ad essere importante, nel ciclismo invece il record più ambito è rappresentato dalla distanza percorsa in un determinato tempo. In un certo senso, il tempo è lo spazio a disposizione. In altre parole: si passa un’ora di tempo a girare ossessivamente intorno a una pista ovale in un velodromo, da soli, partendo da fermi. Allo scadere dei 60 minuti chi ha percorso più metri detiene il record. È il Record dell’Ora, ma spesso ci si riferisce a questo record semplicemente con “L’Ora”.

Il primo detentore ufficiale dell’Ora fu Henri Desgrange (il ciclista che qualche anno dopo si inventerà il Tour de France) che stabilì il record a Parigi, l’11 maggio 1893, in 35,325 chilometri. Da lì fu un susseguirsi di tentativi falliti, record fatti e battuti, muri che sembravano insuperabili distrutti a colpi di pedale su biciclette sempre migliori, in velodromi sempre più professionali.

Nel 1942, al Vigorelli di Milano, fu Fausto Coppi a imporre il suo record dell’ora: 45,798. Per batterlo bisognerà aspettare 14 anni e un altro campione, Jacques Anquetil, che sempre a Milano nel 1956 salì a 46,159 chilometri. E poi arriverà il fenomeno della pista, Roger Riviére, che batterà il record per ben due volte nel 1957 e nel 1958 fino a fissarlo a 47,347. Da Milano poi il record si sposterà a Città del Messico: il più longevo sarà quello di Eddy Merckx del 1972 (49,431 km) battuto solo da Francesco Moser nel 1984 (51,151 km).

Il fiore di Scozia

A guardare l’impresa di Moser in televisione nel gennaio del 1984 tra gli altri c’è anche un ragazzo scozzese di 18 anni chiamato Graeme Obree. Per lui e per tutto il resto della Scozia sono anni duri. C’è una crisi economica profonda dovuta soprattutto alle politiche del cosiddetto thatcherismo, con cui gli scozzesi hanno un rapporto a dir poco conflittuale. In realtà, nel 1975 Thatcher era stata accolta molto bene durante la sua prima visita ufficiale a Glasgow in qualità di leader dei Conservatori, soprattutto perché si spinse a sostenere pubblicamente che la nascita di un parlamento scozzese sarebbe stata una delle sue principali priorità.

Invece, una volta tornata a Londra, Thatcher decise di affossare la proposta dei Labour sulla devolution e in un attimo la sua popolarità in Scozia crollò. Ma furono soprattutto gli effetti economici delle sue politiche a lasciare un indelebile ricordo nero. Il thatcherismo portò infatti la Scozia sull’orlo del collasso: il taglio improvviso dei finanziamenti pubblici alle fabbriche del nord provocò una lunga spirale di recessione con il tasso di disoccupazione che schizzò ai livelli post-Grande Depressione degli anni ‘30. La mortalità salì anch’essa con ritmi ben più alti rispetto al resto del Regno Unito così come la disparità salariale. La crisi economica portò enormi problemi di salute, sia da un punto di vista fisico che psicologico. E le privazioni a cui erano costretti i nuovi poveri portarono in tanti a cercare rifugio nell’alcol, altri direttamente al suicidio. Graeme Obree, per esempio, tentò entrambe le soluzioni.

All’epoca Obree viveva con la moglie Anne e i loro due figli, Ewan e Jamie, a Irvine, nel North Ayrshire, e gestiva un negozio di biciclette oltre a gareggiare nel tempo libero a livello amatoriale. Poi, però, la crisi si abbatté anche su di lui. Fu costretto a chiudere il negozio e gli fu persino notificato un debito di 492 sterline di tasse arretrate del college che non aveva modo di ripagare. Chiuso il negozio per via della crisi, tutti i problemi di Obree con la depressione e l’alcolismo tornarono a farsi sentire. Il ciclismo era infatti per lui prima di tutto una via di fuga dalla realtà. «Avevo quest’idea che un giorno sarei uscito per un giro, avrei pedalato oltre l’orizzonte e sarei semplicemente scomparso», ha ricordato Obree nel suo libro autobiografico The Flying Scotsman. «Il problema era che l’orizzonte non arrivava mai».

Fu in quel periodo che a Obree tornò in mente il record di Moser. «La mia massima ispirazione erano Merckx e Moser. Specialmente Moser, con la sua iniezione di tecnologia, per spingere più in là i limiti dell’aerodinamica e dell’innovazione nelle biciclette. Qual era la bellezza di questa cosa? Era la legge della giungla: c’è una pista, corri. Batti il record e prendi tutta la gloria. Fallisci e te ne vai a casa sentendoti per anni una nullità». Il record dell’ora era, per lui che nasceva come cronoman e pistard, il non plus ultra delle competizioni.

The Old Faithful

Francesco Moser era riuscito a battere il record anche grazie all’introduzione delle ruote lenticolari in carbonio, ovvero delle ruote speciali senza raggi ma con un’unica struttura “a disco” che oggi vengono comunemente usate sia su pista che durante le cronometro su strada. Quella che allora sembrava una piccola innovazione tecnica in realtà avrebbe aperto la strada in futuro a un periodo di enorme sviluppo nel campo dell’aerodinamica applicata al ciclismo come non si era mai visto nella storia di questo sport.

La bicicletta utilizzata da Moser per il record del 1984.

Nel 1992 Chris Boardman vince l’oro nell’inseguimento individuale alle Olimpiadi di Barcellona in sella alla Lotus Type 108, un nuovo modello di bicicletta ideata da Mike Burrows sfruttando le opportunità offerte dal carbonio rispetto all’alluminio. Il carbonio, fondamentalmente, consentiva di abbandonare la vecchia struttura a tubi in favore di un telaio monotubo che riduce enormemente la resistenza aerodinamica della bici.

Spinto dalle innovazioni in quegli anni anche Graeme Obree decide di costruire la sua bicicletta. Obree ha un’intuizione fondamentale: se le braccia sono una delle parti che maggiormente incidono nell’aerodinamica del ciclista, allora bisogna cercare di ridurne il più possibile l’esposizione all’aria. Nasce così The Tuck, la posizione chiamata anche “della mantide in preghiera”, con le mani strette sotto le spalle, le braccia aderenti al corpo e la testa sporgente in avanti oltre il manubrio.

Ovviamente non esisteva all’epoca (e neanche adesso, a dirla tutta) una bicicletta che consentisse di mantenere quella posizione per un’ora. Così, Obree dovette costruirla da zero. Già che c’era, cercò di assottigliare il più possibile lo spessore delle parti che riteneva non necessarie: tolse quindi uno dei due bracci della forcella anteriore, fissò le scarpette ai pedali con delle viti, rimosse il tubo orizzontale in modo da avere una bicicletta a corpo unico come quella di Boardman e soprattutto diminuì lo spessore del movimento centrale. Per fare quest’ultima cosa però aveva bisogno di sostituire anche i cuscinetti a sfera per adattarli alle nuove dimensioni ma non riuscì a trovarne di una grandezza adeguata alle sue esigenze. Dopo lunghe ricerche, li trovò osservando il cestello della sua lavatrice, che andava a 1200 giri al minuto. Smontò la lavatrice, prese i cuscinetti del cestello e li montò sulla sua bicicletta.

In sella alla sua Old Faithful, come aveva chiamato la sua nuova bicicletta, Graeme Obree ci prova ma, inizialmente, fallisce. Soprattutto soffre: «È stato come strapparsi i denti con le pinze», ha detto riguardo quel suo primo tentativo. Obree, però, ovviamente non molla e decide di riprovarci la mattina dopo. «Pensavo soltanto: “Mi prenderò il record. È mio”. Ero un animale diverso. Il giorno prima ero un topo, ora ero un leone».

Il secondo tentativo avviene alle 7.55 del 17 luglio 1993, quando Graeme Obree si presenta al velodromo di Hamar, in Norvegia, per il secondo assalto al Record dell’Ora in neanche 24 ore. Sale in sella alla sua Old Faithful e, un giro dopo l’altro, un minuto dopo l’altro, un chilometro dopo l’altro nella surreale cornice di un velodromo completamente vuoto, senza pubblico, batte il Record dell’Ora di Francesco Moser. 51,596 i chilometri percorsi tra le 8 e le 9 del mattino. 445 metri in più rispetto al precedente record. Nel più assoluto silenzio, Graeme Obree entra nella storia del ciclismo sfondando la porta a calci.

Come fu per Francesco Moser e le sue ruote lenticolari, anche la posizione di Graeme Obree e la sua Old Faithful ebbero un effetto propulsivo per quanto riguarda l’innovazione nel ciclismo. Fu soprattutto Chris Boardman a spingere più di ogni altro sul fattore tecnologico in un continuo rincorrersi con Graeme Obree che portò i due a sfidarsi per quei pochi anni di spensierata libertà nei velodromi di mezzo mondo. Boardman sfilò il record a Obree appena sei giorni dopo, a Bordeaux, durante il giorno di riposo del Tour de France 1993. Obree sconfisse Boardman ai Mondiali di Hamar nell’agosto dello stesso anno nell’inseguimento individuale e poi gli strappò di nuovo il record dell’ora l’anno dopo, anche lui a Bordeaux, inventando una nuova posizione (la Superman) visto che la vecchia Tuckera stata messa al bando dall’UCI.

Mondiali di inseguimento individuale del 1993. Obree distrugge Boardman in semifinale e poi piazza il nuovo record del mondo nella finale contro Ermenault. Guardate soprattutto la differente posizione degli altri due rispetto a quella di Obree con la Old Faithful.

Andarono avanti così fino al 1995, quando Graeme Obree cadde ancora una volta preda dei suoi stessi fantasmi, dopo la morte di suo fratello Gordon in un incidente d’auto. Tra i suoi problemi personali e l’ostracismo dell’UCI (che alla fine decise per la messa al bando di tutte le nuove avveniristiche biciclette inventate fino a quel momento), la carriera di Graeme Obree ai vertici del ciclismo mondiale fu breve e drammatica.

Nonostante tutto

Come abbiamo detto, Obree ha sempre avuto tendenze depressive molto evidenti e tentò diverse volte il suicidio. Tentò di uccidersi la prima volta quando era ancora solo un ragazzo, soffocandosi col gas. In quel caso fu salvato dal padre che stava tornando a casa prima da lavoro. Successivamente, però, ci riprovò altre due volte. L’ultima nel 2001, quando provò a impiccarsi ma fu salvato da una ragazza, la figlia di un contadino che passava da quelle parti e lo vide per puro caso.

Nel 1998, dopo il secondo tentativo di togliersi la vita, gli fu diagnosticato un disturbo bipolare che spiegava in parte gli alti e bassi che avevano accompagnato tutta la sua vita. Nelle testimonianze video dei primi anni 2000 che si trovano in giro su internet, Obree appare sempre molto magro, tiratissimo, la testa incassata nelle spalle spigolose, lo sguardo spesso perso nel vuoto. Furono quelli gli anni forse più difficili della sua vita, in cui non riusciva probabilmente ad accettare la fine della sua carriera (nel 2009 annunciò un nuovo assalto al record dell’ora, poi cancellato). Nello stesso periodo aveva iniziato a scoprire e accettare la sua omosessualità.

«Sono stato educato da una generazione che ha fatto la guerra; loro sono cresciuti quando i gay venivano messi in carcere. Essere omosessuale era così impensabile che semplicemente non potevi essere gay», disse nel 2011 in un’intervista allo Scottish Sun. «Sono stato educato a pensare che era meglio essere morti che gay. Probabilmente sapevo di esserlo ma lo ritenevo inaccettabile».

Obree sembra abituato a sovvertire l’ordine delle cose, non solo nel ciclismo. Forse è un personaggio troppo grande per non rimanere incastrato in uno sport che viveva (e vive ancora) in bilico fra profondissime e ipocrite contraddizioni, e che stava per essere messo a dura prova dall’emergere di diverse problematiche. Tra queste, due in particolare: da un lato il doping ematico, che negli anni Novanta vivrà il suo periodo d’oro anche grazie all’immobilismo sostanziale dell’UCI. Dall’altra l’assurda e anacronistica lotta all’innovazione tecnologica.

Proprio il ciclismo, che alla sua nascita era uno dei principali simboli della modernità, si è chiuso in quegli anni in un conservatorismo estremo che verrà superato con grande fatica solo anni più tardi. E in quest’ottica gli esperimenti sull’aerodinamica portati avanti da Graeme Obree hanno rappresentato quasi un ritorno alle origini per il ciclismo, da sempre simbolo di modernità nella sua eterna corsa contro il tempo.

In questo video dello scorso anno, Graeme Obree parla dei tanti “ban” dell’UCI piovuti sulle sue innovazioni. Qualcosa che ha rappresentato allo stesso tempo la spinta propulsiva e il tormento della sua vita, non solo da ciclista. «Il nostro sport si basa sull’ottenere sempre di più, sull’essere e sentirsi sempre al limite. Sentire che, in quanto ciclista, ti stai presentando sulla linea di partenza con il meglio che puoi avere».

In questo video, l’animo folle e pionieristico di Obree lo si vede soprattutto in una frase, a commento di questi ban. «Sapete una cosa? L'UCI ha bannato tutte queste cose, ma è ancora consentito pelare patate in corsa». Chissà, magari ci ha pensato davvero a fare qualcosa di simile pur di battere di nuovo il record dell’Ora. Alla fine, alla luce della sua storia, non sarebbe nemmeno così assurdo.

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