La prima volta che abbiamo scoperto Antonio Candreva era un pomeriggio di inizio settembre del 2009. Il campionato era alla terza giornata e lui era alla sua prima stagione da titolare in Serie A. Quel sabato, il Livorno neopromosso ospitava il Milan di Leonardo. Ne uscì uno 0-0 davvero brutto, simbolo della decadenza rossonera di quel periodo, che solo qualche mese dopo avrebbe quantomeno trovato un senso al 4-2-fantasia del tecnico brasiliano. L’unica scintilla vitale dell’incontro era stato proprio il giovane Candreva, noto fino a quel momento solo per aver disputato da riserva il campionato europeo Under 21 di qualche mese prima.
Il Milan di Leonardo era una squadra dai grandi picchi tecnici, ma incredibilmente lenta e lunga. Per quella squadra di vecchie glorie, Candreva, con le sue conduzioni e i suoi tiri, era stato difficile da contenere. Le uniche occasioni della partita erano arrivate dai suoi piedi. Il giorno dopo, la Gazzetta lo aveva promosso con un 7 e la palma di migliore in campo: «Nel primo tempo i milanisti non lo vedono nemmeno con il binocolo: corre, dribbla, imposta, tira», recitava il riquadrino della "rosea". Nella stagione precedente, in Serie B, Candreva aveva giocato da mezzala in un 4-3-3. Quella sera, invece, era partito da trequartista di un 4-3-1-2, libero di svariare alle spalle di Lucarelli e Tavano.
Sono passati quattordici anni da quel soporifero 0-0. Candreva è ancora in Serie A e, come allora, si ritrova ad essere leader di una squadra in lotta per non retrocedere. Nel mezzo, però, il centrocampista romano ha vissuto mille vite e ha saputo reinventarsi come giocatore, nonostante le sue esperienze al vertice del calcio italiano abbiano contribuito a etichettarlo in una categoria che forse non gli appartiene.
Questa chiosa finale di carriera, da simbolo di due squadre come Sampdoria e Salernitana, ci permette forse di guardare con una prospettiva un po’ diversa al suo calcio.
Riepilogo della carriera di Candreva
Candreva ha esordito da ragazzino tra i professionisti e sono ormai vent’anni che calca i campi di tutta Italia. Cresciuto in un settore giovanile storico come quello della Lodigiani, da cui sono usciti, tra gli altri, anche Totti e Florenzi, nel 2004 passa alla Ternana con cui a soli sedici anni fa il suo esordio in Serie B. Nel 2007, dopo aver accumulato esperienza tra Serie B e Serie C, lo acquista l’Udinese, con cui avrebbe giocato per altri sette anni prima di cederlo definitivamente alla Lazio nell’estate del 2014.
Di fatto, però, Candreva non sarà mai un giocatore dell’Udinese e riuscirà a mettersi in mostra solo grazie ai prestiti. È a Livorno che esplode definitivamente, quando insieme ad Alino Diamanti e Ciccio Tavano trascina i toscani alla vittoria della Serie B nella stagione 2008/09. In maglia amaranto si distingue anche in Serie A. Il Livorno è una squadra destinata a retrocedere, ma Candreva con le sue qualità non passa inosservato. Le buone prestazioni contro grandi come Milan e Juventus a novembre 2009 convincono Lippi a concedergli la prima convocazione in Nazionale. Candreva diventa definitivamente uno dei giocatori più interessanti del campionato e a gennaio arriva persino l’acquisto in prestito con diritto di riscatto da parte della Juventus.
È la prima grande opportunità della sua carriera. Il problema, però, è che in quel periodo storico, in Italia, non c’è squadra peggiore della Juventus per un giocatore in rampa di lancio. I bianconeri vivono il peggior momento del post-Calciopoli. Le aspettative costruite in estate con gli acquisti di Diego e Felipe Melo non avevano coinciso per niente con la realtà. Quando Candreva arriva a Torino, Ciro Ferrara è stato da poco esonerato e ha preso il suo posto Alberto Zaccheroni. Un giovane acquistato dal Livorno è chiamato a dare una scossa ad un ambiente depresso ma forse inevitabilmente anche lui finisce per essere fagocitato dal vortice di negatività della Juventus.
Del suo passaggio in bianconero si ricorda solo un gran gol contro il Siena, un tiro di collo pieno dai venticinque metri dopo una sponda di Trezeguet, che finisce dritto sotto l’incrocio del secondo palo: avremmo imparato a riconoscere quella conclusione come un classico del suo repertorio.
Collo all’incrocio del palo lontano: lo stesso gol segnato in Lazio-Milan, Inter-Lecce e Samp-Udinese.
Una carriera che sembrava in ascesa, a quel punto, cade lentamente nell’anonimato. Candreva perde il posto per i Mondiali in Sudafrica, la Juve non lo riscatta e nelle due stagioni seguenti lo aspettano due prestiti dimenticabili a Parma e Cesena. A gennaio 2012 Candreva è ancora una mezzala, ogni tanto impiegata da trequartista. Il Cesena occupa i bassifondi della classifica e Candreva è ancora un ragazzo di venticinque anni con colpi interessanti. Nelle ore conclusive del mercato invernale, allora, si presenta l’opportunità di andare alla Lazio, ed è il trasferimento che cambia per sempre la sua carriera.
A Roma, Edi Reja prima e Petković poi lo trasformano definitivamente in un esterno. Candreva si afferma come una colonna portante della squadra biancoceleste. Vince la Coppa Italia contro la Roma, firma 41 gol e 32 assist in 151 presenze in campionato e guadagna un posto da titolare in Nazionale sia con Prandelli che con Conte. Non sarà diventato un fuoriclasse, ma Candreva è indiscutibilmente un giocatore di alto livello e così nell’estate del 2016 lo acquista l’Inter. A suo dire, Candreva avrebbe voluto proseguire con la Lazio, nonostante l’anno prima fosse rimasto scottato da Pioli, che gli aveva perferito Biglia come capitano.
L’esperienza in nerazzurro, quella che in teoria avrebbe dovuto portare su un’altra dimensione la sua carriera, è però quella che rovina per sempre la reputazione di Candreva.
Per cosa ricorderemo Candreva?
Candreva arriva a Milano su richiesta di Roberto Mancini, che qualche settimana dopo il suo acquisto, però, rassegna le dimissioni. Tra il 2016 e il 2019 ad Appiano Candreva ha quattro diversi allenatori: De Boer, Pioli, Vecchi e Spalletti. Tutti e quattro, in preda a crisi di gioco irrisolvibili con la rosa a disposizione, non riescono a trovare una sola soluzione ai problemi dell’Inter: sperare nei cross di Candreva.
Prima di arrivare all’Inter, Candreva era stato uno dei migliori giocatori della Lazio, fornendo un contributo piuttosto vario alla fase di possesso. La stagione migliore in biancoceleste, per lui, era stata la prima agli ordini di Stefano Pioli, la 2014/15, in cui la squadra aveva raggiunto il terzo posto e i preliminari di Champions League.
Pioli lasciava libere le sue ali. Candreva partiva da destra, ma si abbassava per giocare assieme ai centrocampisti e influenzare la manovra. Spesso gli capitava di accentrarsi per ricevere e attaccare in conduzione i corridoi centrali, non solo la fascia. Alla base del suo gioco c’erano sempre le sue eccellenti qualità balistiche, declinate in cross e tiri dalla distanza, ma c’era anche più varietà nelle scelte. Si trattava di un giocatore a cui di tanto in tanto piaceva concedersi qualche lusso: un sombrero, un colpo di tacco o un rigore battuto col cucchiaio.
All’Inter tutta questa ricchezza tecnica scompare. Candreva si ritrova in una squadra congegnata male, in cui le sue caratteristiche finiscono per esacerbare questa disfunzionalità. Sembra impossibile costruire una manovra ragionata, gli allenatori, come detto, semplificano tutto passando dai suoi piedi. Lo stesso Candreva sembra essere un ostacolo alla costruzione di una squadra complessa. Smette di essere un'ala raffinata e si inchioda alla fascia, dove il suo unico scopo diventa crossare. Il guaio è che anche la Nazionale, nel frattempo affidata a Ventura, finisce per giocare nello stesso modo. Nasce così la leggenda del giocatore che avrebbe finito per crossare diciassette volte ai playoff per i Mondiali contro la Svezia, ovviamente senza alcun esito.
Dal 2013/14 ad oggi, nell’arco delle ultime undici stagioni quindi, Candreva per ben sei volte è stato il giocatore con più cross scoccati in totale in Serie A. In generale, quindi, si è sempre trattato di un giocatore abituato a crossare tanto da quando è stato spostato ala. Il problema è che mentre con la Lazio e con la Sampdoria ha avuto anche altri compiti, nell’Inter e nell’Italia di Ventura, nel periodo, cioè, in cui la sua carriera, per ovvi motivi, ha avuto maggior copertura mediatica, il suo contributo è passato quasi solo dai cross.
Trattandosi in molti casi di traversoni scoccati senza alcun vantaggio, da posizioni poco minacciose, magari dopo una serie esasperante di sterzate e spesso sulla schiena del terzino, Candreva è entrato nell’immaginario collettivo come il ritratto dell’inefficienza. Alla fine della stagione 2016/17 gli abbiamo anche assegnato il premio di “Giocatore più fumoso” della Serie A: “Tra le pagine del campionato sopravvive un’oscura categoria di lavoratori che l’opinione pubblica non difende, che le istituzioni non tutelano, eppure settimana dopo settimana è costretta a subire sulla propria pelle il sopruso, l’oltraggio, la sopraffazione. Sono i terzini dell’Inter ignorati dai cross di Candreva”, scriveva a proposito Francesco Lisanti.
Il rapporto tra i cross di Candreva e le sue squadre
Le statistiche sui cross di Candreva sembrerebbero impietose. Se però si contestualizzano rispetto alle squadre in cui le ha realizzate, allora emergono altri aspetti interessanti.
Se si esclude la stagione 2018/19, secondo anno di Spalletti all’Inter (per via dello scarso minutaggio), chiuso con una qualificazione in Champions strappata all’ultimo contro l’Empoli, l’anno in cui Candreva ha avuto la media più alta di cross per 90’ è il 2016/17 (2,2 riusciti a fronte di 9,1 sbagliati, per un totale di 11,3, dati Whoscored), la stagione dell’Inter di De Boer, Pioli e Vecchi, conclusa con un mediocre settimo posto. Cifre simili (con più di 10 cross per 90’, cioè) le presentano, in ordine decrescente, le stagioni 2013/14 (nono posto con la Lazio), 2015/16 (ottavo posto con la Lazio) e 2017/18 (quarto posto raggiunto in maniera agonica all’ultima giornata sempre con l’Inter di Spalletti). Le stagioni in cui ha collezionato il maggior numero di cross per 90’, in pratica, sono tutte annate pessime per le sue squadre (fa eccezione il 2020/21, chiuso con 10,4 cross per 90’ e un buon nono posto per la Sampdoria).
Certo, quello non è stato un buon momento della sua carriera, e di sicuro lui, con la sua testardaggine, ha contribuito ad atrofizzare la manovra, ma spesso si trattava di squadre sterili in attacco, a cui non restava altro che utilizzarlo come una macchina da cross, sperando di ricavarne qualcosa. Anche quella che per lui è stata un’eccellente stagione a livello individuale, la 2021/22, si è chiusa con la Sampdoria salva a stento e Candreva giocatore con più cross del campionato, 343, indice delle difficoltà dei blucerchiati a creare gioco.
Non è un caso, allora, che le migliori annate per le sue squadre siano state quelle in cui è riuscito a limitare il numero di cross: la 2014/15 con la Lazio di Pioli, chiusa con il terzo posto e con 8,6 cross per 90’; la 2019/20 con l’Inter di Conte, chiusa con il secondo posto e con 7,9 cross per 90’; la 2011/12 con la Lazio di Reja, chiusa al quarto posto a soli due punti dai preliminari di Champions, con 7,1 cross per 90’.
Cosa abbiamo trascurato del repertorio di Candreva
In quelle stagioni Candreva ha dato l’impressione di essere un calciatore moderno e di alto livello, più complesso di un semplice specialista di cross e tiri. L’esempio più chiaro sono stati i pochi mesi sotto la guida di Antonio Conte. Il tecnico salentino aveva avuto modo di allenarlo anche in Nazionale e anche in quel caso Candreva era parso un giocatore totalmente diverso. Conte era una sorta di guida spirituale che sapeva come tenere a bada il demone dei cross che albergava dentro Candreva. Nessun allenatore riesce ad utilizzare gli esterni a tutta fascia con la varietà dell’ex tecnico di Inter e Juventus. Candreva, in questo senso, rappresentava il soldato perfetto.
Con Conte finalmente non doveva preoccuparsi solo di crossare, quello era solo un aspetto secondario. Il suo compito era dare continuità al gioco per trovare le tracce prestabilite tipiche del calcio dell'allenatore salentino. Candreva, ad esempio, sapeva ricevere aperto per poi, con i primi tocchi, prendere controtempo l’avversario, entrare dentro al campo nonostante giocasse a piede naturale, e passare il pallone in diagonale verso le punte, che avrebbero dato vita alle classiche combinazioni corte tra attaccanti e mezzali. Quel tipo di traccia era talmente interiorizzata per lui che spesso riusciva a giocare in diagonale sulle punte anche di prima ricevendo quasi spalle alla porta sulla fascia. In più, da esterno sapeva combinare bene i movimenti con quelli della mezzala che si apriva. Da quella posizione, Candreva poteva diventare quasi un regista: in Italia non c’è stato esterno specialista del 3-5-2 capace di fornire le stesse opzioni.
Italia-Belgio, esordio di Euro 2016, una delle partite più belle della storia recente degli azzurri, è stata il capolavoro di Conte e Candreva da questo punto di vista, una lezione su quanto un esterno a tutta fascia potesse influenzare la manovra palla al piede, senza limitarsi ad attaccare la profondità come spesso succede a chi occupa quella posizione in Italia. Anche al primo anno di Conte all’Inter, quando è stato chiamato in causa, Candreva ha saputo offrire quel tipo di contributo. Poi è arrivato Hakimi, un giocatore oggettivamente di un altro livello, e Conte ha messo Candreva da parte.
A posteriori, cambiare ambiente gli ha fatto bene. Sia alla Samp che alla Salernitana il romano ha saputo far valere la sua maggior caratura tecnica. Trattandosi per entrambe le squadre del giocatore più talentuoso, Candreva si è liberato dalle catene del ruolo di specialista dei cross e ha potuto rispolverare tutto ciò che aveva ignorato negli anni precedenti.
Tra Samp e Salernitana Candreva è ritornato ad essere un giocatore molto più simile a quello dei migliori anni alla Lazio. A Genova, in alcune partite, ha scoperto addirittura il piacere di giocare da esterno a piede invertito, in una posizione che gli ha permesso di rendersi pericoloso sia convergendo sul destro, sia provando a crossare col sinistro: non si dimentichi che si è sempre trattato di un ambidestro.
Alla Salernitana, poi, la sua influenza sul gioco è cresciuta di partita in partita. Il passaggio da Nicola a Paulo Sosa gli ha dato ulteriore centralità, sia come posizione, visto che ha ripreso a calcare zone interne di campo, sia come funzione all’interno della squadra. Nei momenti migliori della Salernitana Candreva si abbassava per dialogare con i centrocampisti e dare ordine al palleggio, qualcosa di paradossale se si pensa al tipo di ala che era diventato. La sua disponibilità a muoversi per il campo per farsi dare palla, tenerla sotto pressione e facilitare la vita dei compagni, ha fatto la differenza lo scorso anno. L’esperienza dei suoi trentasei anni deve averlo aiutato a calarsi in questa nuova veste di leader tecnico.
Così Candreva si è costruito un finale di carriera in cui ha potuto dare sfogo anche al suo virtuosismo represso, sia offrendo qualità alla manovra con i suoi tocchi, sia con soluzioni inaspettate nell’ultimo terzo di campo. Se nella prima parte di carriera alla Lazio aveva segnato diversi bei gol, soprattutto con tiri dalla distanza, a Marassi e all’Arechi ha potuto riprendere il filo. Ad oggi Candreva può contare su un numero considerevole di grandi gol, non sono in molti a poter dire lo stesso in Serie A.
Ultimamente, tra le sue vittime preferite ci sono le romane. La punizione con cui ha sorpreso Provedel è un prodigio di balistica, oltre ad essere la rete per cui è nato questo pezzo celebrativo. Non si tratta comunque di una novità per uno capace di colpire così bene con il collo del destro. Più sorprendenti, invece, i pallonetti disegnati all’Olimpico, contro la Lazio ad ottobre 2022 e contro la Roma a maggio 2023. Entrambi, peraltro, nati da un inserimento in profondità alle spalle della difesa, segno di come anche i suoi movimenti senza palla, lontano dalla fascia, si siano stratificati. Quello segnato alla Roma, quasi un colpo di karate per come apre la gamba a mezz’aria, senza guardare il pallone, è forse il gol più bello della sua carriera, di sicuro il più unico.
Candreva oggi continua ad essere il leader della Salernitana. Avere un giocatore come lui in rosa significa poter essere competitivi per la salvezza. Con un pareggio e una vittoria nelle ultime due gare la squadra di Inzaghi sembra intenzionata a non mollare.
Il rendimento di Candreva sarà la vera discriminante sulla salvezza dei granata. Probabilmente con Inzaghi toccherà meno palloni e quindi dovrà distillare con ancora maggior cura ciò che gli è rimasto. Il finale di carriera forse non servirà a rivalutarne il percorso, ma potrebbe farci riflettere su come sia stato impiegato e su come, forse, avrebbe potuto scrivere una storia diversa: non è scontato trovare qualcuno che colpisca la palla così bene e che la porti con quella naturalezza sia di destro che di sinistro. Aver scoperto ben oltre i trent’anni che potesse usare i suoi mezzi in quel modo è stato una gradita sorpresa per tutti.