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Postecoglou ha riavviato il Tottenham
12 ott 2023
Il club di Londra ha iniziato la stagione alla grande.
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15 min
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Lads, it’s Tottenham diceva Ferguson per tranquillizzare i suoi giocatori: stanno vincendo adesso ma state sicuri che non durerà, perché tenere duro, vincere, non è quello che fa il Tottenham. C’è una famosa scena di In Bruges, secondo film di Martin McDonagh, che traduce in parole cosa significa provare questo sentimento da dentro. Non trarre forza dalla certezza che il Tottenham prima o poi crollerà, ma vedere nell’inesorabilità del suo fallimento il proprio naturale orizzonte di mortalità. Colin Farrell e Brendan Gleeson sono affascinati dal Trittico del Giudizio di Bruges di Hieronymus Bosch. È un’opera composta da tre pannelli e su cui sono dipinte decine di figure. A sinistra c’è il paradiso, con il cielo terso e gli angeli in volo. A destra l’inferno, con le fiamme sullo sfondo e le persone cavalcate da demoni. Al centro, sotto la presenza assente del Cristo, il purgatorio: «Un po’ una via di mezzo: non hai fatto del tutto schifo ma non sei stato neanche un granché, come il Tottenham». Eravamo abituati ad associare il Tottenham a questo grigiore. Una squadra sufficientemente importante da aspettarsi sempre qualcosa ma che finiva sempre per deludere le sue stesse aspettative di grandezza.

Questa estate, forse per la prima volta dopo troppi anni, il Tottenham ha però davvero toccato il fondo, scendendo al di sotto del purgatorio e arrivando fino all’inferno, il posto dove non puoi nemmeno più aggrapparti alla speranza. L’esperienza di Antonio Conte sulla panchina londinese si era chiusa nel peggiore dei modi. Non tanto per il triste ottavo posto finale, che non garantiva nemmeno una striminzita qualificazione in Conference League, quanto per lo scioglimento lavico in conferenza stampa a marzo, durante il quale aveva accusato i suoi calciatori di giocare «solo per loro stessi» e aveva ricordato al Tottenham la sua storia: «Da 20 anni non hanno mai vinto qualcosa». Pochi giorni dopo anche il direttore generale del club londinese, Fabio Paratici, era stato costretto a lasciare. Il dirigente italiano era arrivato a Londra con la stessa promessa di grandezza: se il suo ingaggio avesse portato anche solo una scintilla dell’abbagliante successo che aveva contributo a creare a Torino allora il Tottenham sarebbe riuscito finalmente a invertire la sua storia. Due anni dopo, però, proprio quel successo era diventato un problema e Paratici era dovuto uscire dalla porta di servizio.

Chiusa la stagione, poi, si è riaperta la questione della cessione di Harry Kane, il giocatore più talentuoso e rappresentativo della squadra, quello a cui - nonostante un passato da tifoso dell’Arsenal - i tifosi cantano: “è uno dei nostri”. Già nell’estate del 2021 Harry Kane era sembrato a un passo del Manchester City ma alla fine, dopo settimane estenuanti di voci di mercato, non se n’era fatto più niente. Sembrava un altro capitolo di quella tradizione molto inglese di giocatori arrivati a un passo dalla rottura con i club che li avevano resi leggende, come Giggs e Rooney al Manchester United. Il prolungarsi della trattativa con il Bayern Monaco, quest’estate, sembrava confermare questa impressione. Alla fine, però, Kane è davvero diventato il nuovo numero nove della squadra bavarese e al Tottenham, che ha deciso di non sostituirlo, non è rimasto che ricostruire praticamente da zero.

Il club londinese, dopo tutto quello che era successo, è sembrato come prendersi un momento di riflessione. Una serie di acquisti relativamente sotto traccia, almeno per gli standard di una grande squadra di Premier League. Brennan Johnson dal Nottingham Forest, Pedro Porro dallo Sporting Clube, Micky van de Ven dal Wolfsburg, Guglielmo Vicario dall’Empoli, Manor Solomon dallo Shakhtar Donetsk e James Maddison dal Leicester. Soprattutto un nuovo allenatore che non avesse più la pretesa di cambiare l’identità del club, come Conte e ancora prima Mourinho, forse anche perché un altro fallimento avrebbe sigillato l’inesorabilità della natura perdente del club. Abbandonato qualsiasi timore, il Tottenham si è messo una mano sulla coscienza e ha pescato una carta dal mazzo Probabilità. E da lì fuori è uscito il nome di un allenatore australiano di origini greche che non aveva mai allenato in uno dei cinque principali campionati europei: Ange Postecoglou.

C’erano due cose, nella storia e nella figura di Postecoglou, che non lasciavano scampo a vie di mezzo tra un successo e un fallimento totale. In primo luogo la carriera. Prima del Tottenham: South Melbourne, Australia Under 17, Australia Under 20, Panachaiki (terza serie greca), Whittlesea Zebras (oggi conosciuta come Brunswick Juventus), Brisbane Roar, Melbourne Victory, Australia (prima squadra), Yokohama Marinos, Celtic. Onestamente, ma come ci è finito al Tottenham? Nella sua prima conferenza stampa da allenatore degli “Spurs” lo stesso Postecoglou ha provato a dare una risposta, a suo modo. «Ho dovuto essere impeccabile nella mia carriera per arrivare fino a questo punto. Nessuno prende in considerazione un allenatore australiano, giusto? Se avessi avuto un fallimento significativo non sarei mai arrivato fin qui». Lette così, sembrano parole arroganti, ma in realtà Postecoglou parlava della necessità di lasciare il Celtic, di sapere quando fare il prossimo passo nella propria carriera. E questo ci porta al secondo punto, e cioè al suo carisma.

Postecoglou ha l’apparenza del carpentiere del primo Novecento ma anche la spontaneità di un eloquio che non sembra quello di un allenatore. Jonathan Wilson ha scritto che «parla come un essere umano normale», Jonathan Liew che «le sue parole sono fresche e prive di cliché». Postecoglou ha la bonarietà senza distanze tipica degli australiani senza però mai apparire frivolo, nelle sue interviste c’è sempre un miracoloso equilibrio tra gravità e ironia. Le sue risposte suonano dirette ma non dure, divertenti ma significative, anche su temi su cui sembra non ci sia davvero nulla da dire come il Fantacalcio.

Nella conferenza stampa prima della partita contro il Manchester United, per parlare di calcio, ha citato un podcast in cui è intervenuto Nick Cave - un momento che ha aperto un portale spazio-temporale verso la contemporaneità in un mondo in cui Pep Guardiola per provare a svecchiarsi dice di essere fan di Julia Roberts. Persino le frasi che dovrebbero essere retoriche (come: «Non cresci rimanendo nell’ombra: devi alzare la testa e guardare il sole») in bocca a Postecoglou suonano fresche, nuove.

Il suo carisma, come detto, è all’intersezione fra il suo aspetto da orso e la sua spontaneità, ma anche fra la sua preparazione tattica e l’assenza di affettazione. Le sue opinioni su molti temi del calcio contemporaneo non sono abbottonate come quelle di un allenatore che parla a nome di una delle più importanti squadre della Premier League. Sul VAR, per esempio, ha detto che «sta rovinando l’esperienza del calcio», sul fallo di mano che «a meno che non iniziamo a sviluppare difensori senza braccia non so come dovresti bloccare un tiro ed essere in una posizione naturale». Postecoglou chiama tutti mate e sembra una persona qualsiasi che vuole partecipare al dibattito calcistico, ma ovviamente non è solo questo e guardando il suo Tottenham lo si può capire molto meglio che leggendo le sue parole.

Appena arrivato ha dovuto subito affrontare la grana Kane, su cui, come spesso gli accade, è sembrato molto chiaro anche utilizzando parole criptiche. «Se c’è una resistenza, il processo rallenta. Forse può farlo deragliare un pochino ma non a lungo perché non lo permetterò. Prima [i giocatori, nda] salteranno sul treno prima arriveremo a destinazione». Una dichiarazione che non è propriamente dura ma che fa trasparire una certa nettezza - perfetta nella bocca di un uomo che sembra poterti staccare la testa di netto con un ceffone poco prima di metterti un braccio intorno al collo come un vecchio amico.

La decisione di lasciar partire Kane e soprattutto di non sostituirlo con un’altra prima punta di peso è stata la pietra angolare su cui è stato costruito il resto del Tottenham. Da lì, ad esempio, è nata l’intuizione di spostare Son al centro dell’attacco, da falso nove verrebbe da dire, se non fosse che il giocatore coreano sembra nato per fare la prima punta. Lo abbiamo conosciuto per l’elettricità dei suoi movimenti in profondità, per la freddezza dei suoi tiri, e invece in questa stagione stiamo scoprendo altri lati inediti del suo talento: il tempismo con cui viene incontro sulla trequarti, la dolcezza del primo controllo sotto pressione, la naturalezza con cui si associa con i compagni e con cui sceglie se restringere il campo con un tocco corto o allargarlo con un’apertura. Il nuovo ruolo sembra aver rinfrescato anche il suo talento in fase di finalizzazione, che era apparso un po’ arrugginito nell’ultimo paio di stagioni. Oggi Son è tornato ad essere uno degli attaccanti più in overperformance della Premier League con 0.78 non-penalty goals per 90 minuti a fronte di 0.42 Expected Goals (dati Statsbomb, come tutti gli altri presenti in questo pezzo).

Dietro di lui, la seconda vertebra del nuovo Tottenham di Postecoglou, forse la più bella sorpresa della squadra in questa stagione, è James Maddison. Arrivato in estate dal Leicester retrocesso, è stato un po’ sottovalutato dal mercato inglese che di solito per gli scambi interni alza i prezzi molto oltre i 40 milioni di sterline per cui è stato acquistato. Già da questo forse avremmo dovuto capire che era cambiata aria. Il Tottenham che non strapaga un giocatore dal talento discutibile e addirittura fa un affare: com’è possibile? Lo stesso Postecoglou è apparso sorpreso: «Il nostro mercato è stato incredibile. Ogni giocatore che abbiamo acquistato sta avendo un impatto».

Dopo una lunga carriera nei club britannici di provincia (Coventry, Norwich e Aberdeen prima del Leicester), Maddison sembra essere arrivato al posto giusto al momento giusto, consacrandosi a quasi 27 anni come uno dei giocatori più creativi della Premier League. Al momento è quinto per xG assisted (0.30 per 90 minuti, dietro a Salah, Trippier, Bruno Fernandes e Diaby) e addirittura secondo per passaggi chiave (3.03, dietro Trippier). Per adesso nessuno ha realizzato più assist di lui (5 in totale). Maddison viene lasciato libero di trovare le migliori ricezioni sulla trequarti, per esempio allargandosi a sinistra, e lui ricambia trovando linee di passaggio alle spalle della difesa avversaria che sono già un culto.

Un piccolo power ranking per capire meglio di cosa sto parlando, dal filtrante meno sexy a quello più sexy.

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Per un pelo.

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Non male.

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Ah.

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Uuuh.

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Mamma mia.

La fronte sempre più alta indiscutibilmente britannica, i basettoni brit pop, l’atteggiamento vagamente irriverente da fresh prince. Maddison è una delle facce di questo nuovo Tottenham spensierato, che crea molto (quarto in Premier per xG creati per 90 minuti: 2,25) e subisce almeno altrettanto (settimo per xG subiti per 90 minuti: 1,46). Che ha una leggerezza in grado di rimettere in connessione il calcio inglese con la propria anima, senza essere nostalgico. È circolato molto un video, ripreso durante la partita contro il Bournemouth, in cui Maddison, poco prima di un calcio d’angolo, mette volontariamente il pallone fuori dalla lunetta. Lo fa per provocare la curva avversaria che lo sta rumorosamente prendendo per il culo ma, quando quella esplode in una protesta verso l’arbitro, lui gli mostra il sorriso di chi si sta solo divertendo. La curva si fa contagiare e ride, a qualcuno in sottofondo scappa: he’s a good lad.

Sono immagini che di solito ci arrivano dal calcio inglese di provincia, con i tifosi sotto le tettoie e sopra le tribune in legno, e che facciamo fatica ad associare a una squadra che a Londra gioca dentro un’astronave. Soprattutto a un gioco che è così moderno, così allineato ai dettami del calcio contemporaneo. Il Tottenham di Postecoglou è tutto fuorché una squadra pane e salame, e anzi ha tutte le spunte per essere considerata l’avanguardia nel 2023. Cura certosina della prima costruzione: check. Falsi terzini: check. Utilizzo dei triangoli per risalire il campo: check. Fluidità nelle posizioni sulla trequarti: check. Pressing alto portato alle estreme conseguenze: check.

Su alcuni concetti il Tottenham è talmente estremo da spiccare anche nel panorama tattico contemporaneo. Proprio per quanto riguarda il pressing alto, per esempio, è una delle migliori squadre della Premier League, utilizzandolo anche come fonte di gioco in fase offensiva. Il Tottenham è secondo dietro al Brighton per PPDA, la metrica che ci dà un’indicazione riguardo l’efficacia del pressing di una squadra, e prima per high press shots, cioètiri scoccati entro 5 secondi da un’azione difensiva nella metà campo avversaria. L’aggressività nella metà campo avversaria permette alla squadra di Postecoglou di tirare molto (è prima per tiri su azione manovrata, 15.13 per 90 minuti, ben due in più della seconda in classifica), e di tirare molto anche da fuori area (prima anche in questo caso, con 5.75 per 90 minuti).

Sull’efficacia del pressing alto, e anche del gegenpressing, incide anche l’uso estremamente spregiudicato dei falsi terzini, e in particolare di due cavalli meccanici come Pedro Porro e Destiny Udogie. Il Tottenham allarga moltissimo le due ali per attaccare l’ampiezza e chiede ai suoi due mediani (Bissouma e Sarr) di rimanere ancorati davanti alla difesa e di non perdere di vista le marcature preventive. In questo modo, i giocatori rimasti ad occupare i mezzi spazi e ad associarsi anche direttamente con Son sono proprio i due terzini. Porro e Udogie non entrano dentro al campo davanti ai due centrali solo in fase di costruzione, ma anche in fase di definizione e a volte persino in quella di finalizzazione. La loro posizione così stretta è funzionale anche a un recupero immediato del pallone appena perso perché facilita la densità in zona palla, e la loro velocità sul lungo facilita le transizioni difensive quando invece la squadra avversaria riesce a sfuggire al gegenpressing e prova a lanciarsi verso la porta difesa da Vicario.

Un esempio abbastanza estremo in cui Pedro Porro, stringendosi da falso terzino e appoggiandosi due volte su Son, riesce ad arrivare addirittura al tiro in area, sfiorando il gol.

L’utilizzo dei falsi terzini è stato già oggetto di discussione e alcuni giornalisti lo hanno chiesto a Postecoglou con quel timore reverenziale che si riserva agli allenatori che stanno per essere considerati geni. Uno di loro ha introdotto il tema premettendo forse con troppo rispetto di non voler «rubare i suoi segreti» e lui, che sembrava aspettarlo al varco con il solito sorriso di chi ha già la battuta pronta, ha risposto: «Sto solo copiando Pep, mate».

C’è da dire che il Tottenham è tutto fuorché una macchina perfetta. La squadra di Postecoglou è addirittura undicesima per passaggi concessi nella propria area (3.50 per 90 minuti) e in generale sembra soffrire molto quando deve difendere posizionalmente dentro la propria area di rigore. Le ali non ripiegano quasi mai in tempo in fase difensiva e nessuno dei quattro difensori è un fenomeno né negli uno contro uno né nelle marcature in area, nemmeno il nuovo enorme centrale olandese Micky van de Ven, sorprendente con il suo sinistro di seta in fase di prima costruzione. Il Tottenham fa una fatica maledetta a difendere il lato cieco in area e si è già visto diverse volte in queste prime giornate di Premier, in cui il talento di Vicario (0.23 gol salvati oltre le aspettative, primo per percentuale di tiri parati, 85%) e una buona dose di inaspettata fortuna hanno aiutato e non poco.

Un esempio dal derby contro l'Arsenal. Servirà un miracolo di Vicario per evitare di subire lo 0-1 già al 14esimo del primo tempo.

Sono stati già diversi gli snodi che sarebbero potuti andare storti e che invece sono (a volte in maniera clamorosa) andati dalla parte del Tottenham, e anche questo è così poco Tottenham. Il gol sbagliato da Rashford a pochi metri da Vicario nel primo scontro diretto di stagione quando il risultato era ancora sullo 0-0, il gol di Luis Diaz annullato per sbaglio dal VAR contro il Liverpool, l’autogol di Matip all’ultimo secondo che ha permesso al Tottenham di vincere quella partita, l’incredibile rimonta effettuata tra il 98esimo e il 100esimo contro lo Sheffield, la palla un po’ ingenua persa da Jorginho che ha portato al pareggio finale nel derby contro l’Arsenal.

Postecoglou era stato molto cauto nella conferenza stampa pre-partita della partita contro il Manchester United, già a metà agosto, quando aveva chiesto pazienza dopo il deludente pareggio inaugurale contro il Brentford. «Non c’è gioia senza sofferenza», aveva detto preparando i tifosi a un faticoso processo di crescita di lungo periodo. D’altra parte, alla sua prima stagione in Giappone era addirittura andato vicino alla retrocessione, e anche in Scozia aveva iniziato male (tre sconfitte e un pareggio nelle prime sette partite di campionato): nessuno si aspettava nulla di diverso al Tottenham. E invece eccoci qui, a commentare gli “Spurs” primi in classifica dopo otto giornate, a pari punti con l’Arsenal di Arteta, e addirittura sopra di due nei confronti del Manchester City robotico di Pep Guardiola.

La fortuna sta aiutando gli audaci adesso - e audace è forse l’aggettivo migliore per descrivere il gioco di Postecoglou - ma difficilmente durerà, in un campionato così fitto di impegni da assomigliare più a una guerra di logoramento che a una competizione sportiva. Arriveranno le giornate storte e gli errori di Vicario, le metaforiche fredde notti di Stoke. Difficile trarre anche delle lezioni morali da queste prime giornate, il segno di un cambiamento, come per esempio ha provato a fare Maddison non troppo tempo fa. «Gli osservatori parlano del Tottenham, dicono che è fragile, debole, spursy, e altre scemenze», ha dichiarato dopo il pareggio raggiunto nel derby contro l’Arsenal «Penso che questo paio di settimane dimostrano che potremmo andare in una direzione leggermente diversa». Magari ha ragione Maddison e a fine stagione torneremo qui a commentare dei miracolosi trionfi che cambieranno l’identità del Tottenham, ma insomma è anche inutile parlarne adesso che siamo a metà a ottobre. Il cambiamento più profondo portato da Postecoglou al momento non sembrano tanto i risultati o la crescita di una fantomatica mentalità, ma più che altro la liberazione dal senso di colpa per essere la squadra che si è. Il gioco del Tottenham non è diventato più solido o adulto, al contrario è estremamente offensivo e leggero, vagamente naïf nel non curarsi delle conseguenze della propria spregiudicatezza. Insomma, il Tottenham sembra più spursy che mai eppure si diverte un mondo.

Magari tutto questo sembrerà consolatorio quando a fine anno non arriveranno di nuovo i tanto agognati trofei, ma non sono arrivati nemmeno con la cupezza militare di Conte e Mourinho, e di certo nessuno si è sentito meglio. Vedremo a fine anno, nel frattempo però ditemi in quale altra squadra potete sentire un giocatore parlare come ha fatto Maddison dell'incredibile vittoria contro lo Sheffield. «È qualcosa che non ho mai davvero provato prima in termini di unità tra tutti in questo club. Lo puoi vedere sulle facce dei tifosi, degli steward: c’è un sentimento. Se potessi imbottigliarlo, lo venderesti a milioni».

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