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La grande occasione di Julian Alvarez
20 lug 2022
L'attaccante argentino è arrivato in sordina ma potrebbe avere subito un ruolo.
(articolo)
7 min
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Nella Materia di Bretagna, il ciclo mitologico sui Celti, una delle leggende più importanti è quella che ruota attorno alla creazione del tavolo di Camelot al quale i cavalieri, Re Artù e Mago Merlino sedevano per prendere decisioni sulle questioni più delicate: la Tavola Rotonda. Il concetto base, scarnificato all’osso, è che proprio in virtù della sua rotondità non esistono capotavola, e quindi gerarchie: la divisione degli spazi è massimamente democratica, mi verrebbe da dire che uno vale uno anche se poi non è così, non del tutto.

Pep Guardiola, quando è arrivato a Manchester, ha voluto che lo spogliatoio della squadra all’Etihad Stadium fosse ovale proprio per ricalcare il principio alla radice della Tavola Rotonda: nel calcio più che in altri campi affermare che uno valga uno è una baggianata, lo sanno tutti, e anche nella foto ufficiale della presentazione dei tre nuovi acquisti per la prossima stagione appare piuttosto evidente. Haaland, per esempio: Haaland siede nello spogliatoio dell’Etihad come immagino Re Artù sedesse nella Tavola Rotonda.

https://twitter.com/ManCity/status/1546150337920344067

Ma adesso concentriamoci per un secondo sul ragazzo che siede alla destra di Haaland: Julian ÁlvarezAlvarez è nato nell’Interior dell’Argentina, cioè in quella porzione ampia e umida e brulla lambita dal corso del Paraná, in cui gli spazi sono sconfinati, all’occhio appare perlopiù una sterminata distesa di soia, nell’aria c’è profumo di fieno, i ragazzi sono semplici e umili – ma spesso anche molto forti a giocare a calcio. Alvarez è nato a Córdoba, e ha la faccia simpatica e ingenua dei suoi coetanei di quella porzione d’Argentina, che somigliano un po’ ai ragazzi cresciuti nella Pianura Padana, con il cuarteto al posto del liscio. Ha avuto una carriera lampo, e vederlo lì, con la maglia dei Citizens, seduto al fianco di uno dei calciatori con più hype nella storia recente del calcio europeo, un po’ lascia dubbiosi: sarà all’altezza?

In fin dei conti ha esordito con il River Plate soltanto quattro anni fa (per quanto segnando all’esordio, peraltro con una bella schicchera da fuori area), ma chi ha fatto davvero di tutto per cucirgli addosso le stimmate del predestinato è stato Marcelo Gallardo, che lo ha spedito in campo – era il suo esordio assoluto in Libertadores – al sesto minuto dei supplementari della Final del Siglo a Madrid, cioè dieci minuti prima che il River suggellasse la vittoria forse più importante della sua storia.

Quality Sport Images/Getty Images

«Gli unici giocatori che lasciano perplessi», ha detto una volta Jorge Valdano, «sono quelli mediocri: quelli che non lasciano perplessi sono quelli molto deboli, o quelli molto forti». Julian Álvarez, quantomeno in Argentina, non ha mai lasciato perplesso nessuno: la Araña, cioè il ragno, come è soprannominato, è stato riconosciuto da subito come uno di quei crackcriollos che spuntano fuori, con cadenza regolare, dalle parti di Reconquista, o nella regione di Ledesma: calciatori con un quid in più che fin da giovanissimi sono ambiti in Europa (e non è un caso che Álvarez, a 11 anni, fosse già in prova al Real Madrid), e che magari non ci arrivano subito, ma transitano qualche stagione in Primera prima di attraversare l’Oceano (tipo, per dirne uno, Agüero).

A colpire, di Álvarez – ma estenderei i meriti ai suoi agenti, e anche a Gallardo – è stata l’estrema maturità nel compiere la scelta di non emigrare subito, di non gettarsi nel tritacarne dal quale sono in pochi a salvarsi. Lui ha puntato ad affermarsi in patria, e sostanzialmente ci è riuscito per bene soltanto nell’ultimo anno: è stato il primo millonario a mettere a segno tre gol consecutivi (due al Monumental, uno alla Bombonera) nel Superclásico, un riscontro statistico che nessuno era stato in grado di collezionare dai tempi di Martín Palermo, o se vogliamo basarci sul lato millonario dai tempi di Beto Alonso, vale a dire da una notte dei tempi così mitologica che al confronto l’intero ciclo bretone è la cronaca su un quotidiano di provincia.

Quando, dopo un 2021 clamoroso – nel giro di una settimana ha inanellato la sua prima tripletta, contro il San Lorenzo, e il suo primo poker, contro il Patronato – il Manchester City lo ha acquistato il primo pensiero ad affiorare è stato: basta così poco, per essere un giocatore del Manchester City? Intendo dire: segnare così tanto in un campionato così poco performante?

Ma Álvarez non è affatto poco: ha tecnica, ha velocità, è bravo nello smarcarsi, ed è anche capace di osare giocate con una disinvoltura che lambisce la spocchia. È ambidestro, pieno di picardia, dotato di un buon tiro da fuori, ma anche di un tocco palla educatissimo. È, insomma, molto più guardiòlico (cioè adatto al gioco delle squadre di Guardiola) di quanto ci potessimo immaginare. Un nove e mezzo, con l’eleganza e la visione del dieci ma pure la spietatezza e l’efficacia di un nove classico.

https://twitter.com/ManCity/status/1545709349670092800

Il 25 maggio scorso, mentre Haaland si faceva ritrarre per la prima volta con la maglia del City e rilasciava le prime interviste, Julian – a quattro fasce di fuso orario di distanza – si rendeva protagonista di quel qualcosa che, secondo Valdano, fa sì che la percezione di un calciatore non si assesti sulla perplessità.

Nella fecha patria argentina, cioè nel giorno in cui ricorre la fondazione del primo Governo criollo, che è anche contingentemente il giorno in cui il River festeggia il suo compleanno, Álvarez ha seppellito l’Alianza Lima sotto una gragnuola di reti. Delle 8 finali, 6-dico-6-ripeto-6 portano la sua firma, ma c’è di più: sono un perfetto bignami di tutto ciò che Julian Álvarez è, e non è.

Cosa è: il primatista di reti segnate in una sola gara non solo nella storia del River, ma di tutta la competizione, tanto per cominciare. Ma anche, e soprattutto: un attaccante con il pensiero rapido, e con un repertorio annichilente, fatto di furbizia, senso pratico, talento per la posizione, tocco felpato ma anche ruvido, all’occorrenza. Uno, insomma, capace di segnare sei reti non dico una più bella dell’altra, ma – ed è forse più importante – una diversa dall’altra.

https://twitter.com/Libertadores/status/1529628244428865538

Se il sesto vi ha ricordato la serpentina del Kun in occasione del suo gol più leggendario, che contingentemente è anche il più leggendario nell’intera storia del Manchester City, ecco: non faticherete troppo a immaginare come possano essersi sentiti i tifosi citizens.

Mi pare pacifico che a questo punto si possa dire cosa non è: un bluff. Subito, però, archiviato un dilemma – sarà all’altezza? – ne è sopraggiunto un altro: potrà coesistere con Haaland? A pensarci bene, Julian Álvarez è capace – non foss’altro perché lo fa da quattro anni – di giocare da falso nove, cioè il tipo di centravanti che ragionevolmente Pep ha in mente per la sua squadra, molto più di quanto non lo sappia fare, per caratteristiche e background, Haaland.

Certo, Haaland ha già dalla sua un’esperienza piuttosto rocciosa in Europa, e in Champions League: ha già giocato in tre campionati diversi, in crescente ordine di competitività, è nato in Inghilterra, e con i colori dei citizens addosso è praticamente cresciuto, dal momento che suo padre indossava la loro maglia agli albori del nostro secolo. E soprattutto ovunque ha giocato - campionato austriaco, tedesco, coppe europee, Nazionale - è sembrato inafferrabile, capace di distruggere difensori e segnare almeno un gol a partita. Julian, invece, è l’ennesimo talento argentino che – per quanto i tempi possano essere cambiati – sbarca nell’estate europea con il cappotto pesante, il sorriso di chi non sa cosa lo aspetta e quel tipo di tracotanza dettata dal talento che impiega poco a trasformarsi in malinconia nostalgica.

Qualche settimana fa il Manchester City ha deciso di esercitare la clausola secondo la quale, in caso di eliminazione del River Plate dalla Libertadores, Julian Álvarez sarebbe potuto sbarcare in Europa già in estate. Il River è stato eliminato, e Julian è stato catapultato in un contesto in cui l’ombra della primadonna Haaland, anziché portarlo a marcire in panchina, potrebbe addirittura giovargli.

Il premio al miglior attore non protagonista è stato inserito nella lista dei premi conferiti dalla Academy of Motion Picture Art and Sciences otto anni dopo la fondazione del premio stesso: si è come sentita l’esigenza di premiare chi, con il suo talento, permette al talento altrui di esplodere in tutta la sua scintillanza. Spesso viene conferito ad attori a fine carriera, come se fosse una specie di sublimazione di tutti gli sforzi compiuti negli anni per diventare il vero protagonista, senza però mai riuscirci.

Quest’anno, a Manchester, tutti gli occhi saranno puntati su Haaland, questo prototipo perfetto di calciatore moderno, bionico e inscalfibile. Eppure non è così assurdo pensare che Alvarez possa essere già da subito uno degli attori non protagonisti della stagione del Manchester City. Ora non voglio dire che Lancillotto sia arrivato per fare ad Artù lo sgarbo che tutti sappiamo, ma chissà che il vero valore aggiunto per la stagione dei Citizens non finirà per essere la tela che riuscirà a tessere la Araña, fatta di quel talento così tradizionale da fare il giro intero, e apparire moderno, umile, semplice, come un asado sotto le stelle, o un dribbling sul potrero.

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