Il 23 giugno 2021, a un mese esatto dall’inizio dei Giochi Olimpici di Tokyo, con un comunicato ufficiale della Federazione Italiana Nuoto veniva diramata la notizia che Gregorio Paltrinieri aveva contratto la mononucleosi. La sua preparazione fisica era momentaneamente sospesa, in attesa di valutare lo sviluppo degli eventi e il naturale decorso del virus: per il mondo del nuoto e per le speranze italiane di medaglie olimpiche, è stata una doccia fredda. Paltrinieri era reduce da un Campionato Europeo trionfale, che lo aveva visto grande protagonista sia nelle prove in acque libere che in vasca. Le ottime sensazioni dell’atleta, i riscontri cronometrici perfettamente in linea con la tabella di marcia, la grande iniezione di fiducia derivata dai risultati: tutto sembrava allinearsi perfettamente per sfociare a Tokyo in una grande settimana di gare. Prevedere tre medaglie per lui, 800 e 1500 in vasca, 10 km in acque libere, era un pensiero più che realistico.
Nei giorni immediatamente successivi alla notizia, tra giornali, media e appassionati si sono rincorse le voci più disparate, derivate dalla lieve speranza che appariva dalle uniche parole ufficiali, quelle del presidente FIN Paolo Barelli. «Gregorio Paltrinieri è affetto da mononucleosi seppur avverta leggeri sintomi. Conosceremo gli effetti dell'infezione giorno dopo giorno. Siamo chiaramente dispiaciuti perché l’avvicinamento alle Olimpiadi proseguiva perfettamente; ma Paltrinieri è un campione fenomenale e lotterà fino all'ultimo metro per prendersi le medaglie che sogna a Tokyo». In molti si domandavano se effettivamente la mononucleosi potesse avere diversi gradi di pericolosità, se si potesse contrarre in forma lieve e se quindi fosse possibile un effetto meno pesante sullo stato di forma di Paltrinieri e sulla sua programmazione tecnica. Di sicuro, i sintomi più comuni della malattia sono stanchezza e febbre, l’unica terapia efficace per combatterla è il riposo assoluto, e l’attività fisica pesante è altamente sconsigliata per tutto il decorso, che può durare dalle quattro alle otto settimane. A un mese dall’inizio dei Giochi Olimpici, una notizia del genere è – sportivamente parlando – drammatica.
Razionalmente, tutti i discorsi sul carattere e sulla forza di volontà di Paltrinieri sembravano essere solo tentativi di tenere alto il morale, di dare motivazioni dall’esterno ad un atleta che aveva sempre dimostrato di saper costruire i suoi trionfi grazie ad allenamenti durissimi e determinazione fuori dal comune, ma che poco poteva fare contro un virus così debilitante e con così poco tempo per recuperare. Col passare dei giorni, qualche piccola notizia iniziava a trapelare. Il 1° luglio, sulla Gazzetta dello Sport si parlava di lieve ottimismo, di “Momento peggiore superato”, per voce stavolta di Giovanni Malagò, presidente del CONI. Il peso dei personaggi chiamati a dare notizie su questo caso - il numero uno dello sport e il numero uno del nuoto italiano - danno idea di quanta apprensione ci fosse intorno alla situazione e di quanta cautela volessero usare tutti gli attori in gioco. Con il suo oro nei 1500 stile a Rio 2016, Paltrinieri salvò la spedizione italiana in piscina che, se si escludono i due bronzi di Gabriele Detti e il quarto posto di Federica Pellegrini, non aveva portato nessun altro atleta in finale. Anche in una Nazionale ben più forte e strutturata di quella di cinque anni fa, Paltrinieri rimane comunque la punta di diamante dell’intero movimento e una sua rinuncia ai Giochi avrebbe influito pesantemente sul morale della Nazionale.
A tre settimane dalla partenza per il Giappone, i risultati delle analisi del sangue non erano stati giustamente resi pubblici, ma sembrava trapelare la volontà di Paltrinieri di partecipare, nonostante tutto, a tutte e tre le gare olimpiche. Vedere le foto dai suoi social, mentre nuota in altura a Livigno insieme ai suoi compagni di squadra, è stata la conferma che a Tokyo ci sarebbe comunque andato.
800 STILE
Restava da capire in quale condizione di forma si sarebbe presentato, dovendo nuotare, tra turni preliminari e finali, un totale di 4600 metri nella settimana di gare in vasca e poi la 10 km in acque libere. La risposta al dubbio è arrivata dopo la batteria della prima gara, gli 800 stile il 27 luglio, e purtroppo non è stata totalmente positiva. Un Paltrinieri lento e imballato, per niente in presa nell’acqua, macinava bracciate a vuoto, quasi come se le sue mani tagliassero a fette il liquido con un gesto assolutamente non propulsivo, invece che afferrarlo e spostarlo, come solitamente succede. Un tempo esageratamente alto (7’47”73, a 8 secondi dal suo record europeo) lo ha messo a rischio eliminazione, come e più di quanto successo agli Europei di Budapest nei 1500. Per soli sei decimi ha preceduto il norvegese Christiansen e si è guadagnato l’ultimo tempo buono per la finale del 29 luglio, ottenendo così il primo obiettivo minimo della sua avventura olimpica. Dopo la gara, le sue parole hanno fatto finalmente chiarezza sulla situazione delicata, intorno alla quale si era giustamente mantenuto un certo riserbo. «Per un mese sono stato fermo. Facevo due chilometri e mi fermavo, poi uno e mi fermavo. Avevo tutti gli esami sballati, i medici mi hanno detto di non forzare perché rischiavo di compromettere milza e fegato. È stata durissima, proprio quando mi sentivo un dio, mi è crollato il mondo addosso». Evidentemente, non c’è stata nessuna versione “light” della mononucleosi.
Con uno scenario del genere, recuperare le forze in due giorni era pressoché impossibile, e anche la capacità di Paltrinieri di sovraperformare rispetto a qualsiasi aspettativa sembrava non bastare. Nonostante si sperasse in una prestazione sorprendente, il sentore comune era che non fosse giusto chiedere di più a un atleta in quelle condizioni. In finale, dalla laterale corsia 8, Gregorio Paltrinieri ha deciso di impostare ancora una volta l’unica gara che sa veramente fare, quella di testa. Fin dal primo passaggio, si è messo a tirare il gruppo, guadagnando qualche metro sugli avversari a centrovasca, i più favoriti Romanchuk e Wellbrock. In una gara sorprendentemente simile a quella che gli regalò l’oro mondiale a Gwangju 2019, Gregorio Paltrinieri si è messo davanti con regolarità, e anche se la sua nuotata non è quella dei giorni migliori, il suo ritmo è si è comunque avvicinato ai suoi standard.
800 metri in vasca possono essere lunghissimi come cortissimi: Romanchuk e Wellbrock sembravano sempre in grado di riagganciare Paltrinieri, sempre a pochi colpi di gambe dal riprenderlo, ma i metri aumentavano e la distanza tra loro non diminuiva. Le motivazioni di una strategia così attendista da parte dei favoriti potrebbero essere diverse, ma il risultato non cambia: se ai 650 metri lasci uno spazio di cinque metri a Paltrinieri, è improbabile che tu riesca a recuperarlo. Con lo scorrere del tempo si è gradualmente disegnata l’impresa dell’atleta di Carpi, che ha preceduto tutti all’arrivo eccezion fatta per l’americano Finke, outsider della vigilia ma atleta nettamente più in forma del parterre, autore di una chiusura clamorosa nell’ultimo 50 metri in 26”39. Per Paltrinieri è stato un argento francamente impronosticabile, che ha lasciato tutti senza parole. «Un mio amico ieri mi ha detto che certe gare si vincono col cuore, e aveva ragione. Questa medaglia è incredibile». Per una volta, anche Paltrinieri, un atleta estremamente razionale e consapevole, è riuscito a stupirsi e ad andare oltre ogni aspettativa.
Le distanze si allungano
Dopo un’impresa del genere, l’asticella di prestazione richiesta a Paltrinieri nei 1500 metri si è improvvisamente spostata verso l’alto. Viste le condizioni mentali - e anche fisiche - dimostrate negli 800, era inevitabile. In un’Italia del nuoto alla quale mancava l’oro per suggellare una spedizione già molto positiva, l’idea che Paltrinieri potesse estrarre un coniglio dal cilindro stava solleticando l’immaginazione di molti. Il problema, però, è che delle tre distanze alle quali partecipava, i 1500 erano quelli meno favorevoli alla sua condizione di forma.
Se negli 800 ha potuto giocarsi le sue carte con un avvio scioccante e un ritmo irresistibile, da tenere però per meno di otto minuti, più complicato era attuare la stessa strategia di gara per una distanza doppia e mantenerla per quasi quindici minuti. Nella sua carriera, Gregorio Paltrinieri ha vinto tutto nel “miglio in vasca” in un solo modo, conducendo la stessa gara di testa che ha tentato di fare anche nella finale di Tokyo 2020. Dopo essersi qualificato con il quarto tempo, ha provato ad assestarsi sul ritmo base di poco più di 29 secondi per ogni vasca, ma stavolta qualcosa non ha funzionato al meglio. Come forse era prevedibile, si è avvertito il mese senza allenamenti, senza lavori di qualità che servono per aumentare la forza resistente necessaria per chiudere un 1500 di alto livello. «Stavolta non ne avevo, di solito scappo via nella parte centrale mentre oggi facevo fatica a tenere il loro passo. Avevo capito che si sarebbe messa male». Male significa comunque quarto posto, in una finale vinta ancora dal sorprendente Finke e non dai suoi avversari storici, Romanchuk e Wellbrock, beffati dalla chiusura velocissima dello statunitense. Alla vigilia, nessuno avrebbe comunque pensato che Paltrinieri sarebbe uscito dalla vasca con un argento ed un quarto posto.
«Proverò a riposare il più possibile, ma più aumenta la distanza e più faccio fatica. È vero che il ritmo in mare sarà più lento e che ci si gioca tutto negli ultimi due chilometri, ma ci devi arrivare a quel punto». Gregorio Paltrinieri è stato come sempre lucido ed onesto, né ottimista né pessimista riguardo le speranze della Swimming Marathon, la prova conclusiva del nuoto ai Giochi di Tokyo 2020. Dopo i 1500 sapeva di avere la possibilità di riposarsi per tre giorni, ma sapeva anche di non trovare un ambiente così semplice da gestire. La 10 km si è svolta il 5 agosto, con partenza alle 6.30 della mattina di Tokyo, per ridurre al minimo gli effetti di un’acqua che, già a quell’ora, si presenta alla temperatura bollente di quasi 30 gradi (sopra i 31 non si può gareggiare). Lo sviluppo classico di queste gare prevede una lunga fase di studio, durante la quale i nuotatori viaggiano in gruppo ad un’andatura costante ma non troppo elevata, nell’attesa che qualcuno assesti l’azione che dà il via alle prime selezioni. Gli ultimi 1500 metri sono solitamente i più duri, il momento in cui esce dal gruppo chi ne ha di più, per andare a cercare la vittoria evitando la pericolosa volata finale di massa. Uno sviluppo del genere, al netto del caldo e dei colpi vari che si possono prendere nuotando accanto ad altri atleti, avrebbe favorito Paltrinieri, abile nel cambio di ritmo nelle fasi finali.
Ma Florian Wellbrock, tedesco grande rivale dell’italiano e campione del mondo in carica, ha deciso di stravolgere completamente la routine classica con un’azione da subito forzata, che gli ha fatto guadagnare fino a 40 secondi sul gruppone già nei primi due dei sette giri totali del percorso, portandosi in scia il francese Olivier e l’ungherese Rasovszky. Intorno a metà gara, proprio Paltrinieri ha deciso di prendere la testa degli inseguitori e di guidare l’azione di forza che lo ha poi riportato a ridosso dei primi tre. Senza cuffia, tolta per il caldo, con una nuotata sbracciata e un ritmo evidentemente sopra le sue possibilità, Paltrinieri non ha mai mollato i piedi dei primi, e quando Wellbrock ha deciso di dare l’accelerazione definitiva, si è mantenuto nella scia di Rasovszky, contendendogli fino alla fine la piazza d’onore. Il risultato è un bronzo epico, «Un’impresa titanica, un numero di magia», come l’ha definito il suo allenatore, Fabrizio Antonelli, che lo sta seguendo da un anno e che è stato determinante nella preparazione della gara, anche durante la gara stessa. Sua infatti l’indicazione decisiva di riagganciare lo strappo con i primi nelle fasi iniziali, quando Paltrinieri era rimasto schiacciato nel gruppo e nemmeno si era accorto della fuga.
Tokyo 2020
La settimana olimpica di Gregorio Paltrinieri è stata memorabile. La conferma è in molte delle parole da lui stesso pronunciate a Tokyo. «Mi davano per morto», ed è riuscito ad ottenere il miglior piazzamento della nazionale italiana, diventando il secondo uomo azzurro, dopo Stefano Battistelli, a vincere medaglie individuali in olimpiadi e gare diverse. «Non avrei messo un euro su un mio podio», e ne ha fatti addirittura due, restando comunque protagonista in tutte le gare, compresa la meno riuscita. «Non volevo andare a casa scontento, ma la medaglia nella 10 km mi sembrava fuori portata», e invece ha trovato energie dove sembravano non esserci più. Nonostante tutti conoscessero le sue condizioni fisiche, ha continuato a mettere in difficoltà gli avversari, che forse in alcuni casi hanno fatto l’errore di «fare troppi sorrisi, troppe risatine», come ha sarcasticamente sottolineato Gabriele Detti dopo le (deludenti) batterie degli 800.
Ora che le gare sono finite e che abbiamo una visione completa di quanto fatto da Paltrinieri, ridurre le sue prestazioni a qualcosa capitato quasi per caso sarebbe ingiusto. Hanno contribuito alle medaglie l’immensa mole di lavoro fatta negli anni, la capacità del suo team di programmare sia durante l’anno che in reazione alla notizia del virus, la sua incredibile intelligenza sportiva, che gli ha permesso ancora una volta di interpretare le gare non solo in base alla sua condizione ma anche in relazione al contesto in cui si è, di volta in volta, trovato.
I risultati di Paltrinieri a Tokyo sono quanto di più vicino a un miracolo sportivo, se pensiamo a quanto le difficoltà fisiche si siano inevitabilmente mischiate a quelle mentali rischiando di far collassare il progetto ancor prima di partire. «Sento il peso delle vittorie, una pressione che ti entra in testa, ti fa credere a tutto ciò che senti, ti destabilizza», ha detto alla Gazzetta dello Sport, «ma le scelte che ho fatto, il team che ho intorno e la mia famiglia mi hanno aiutato a crederci, anche quando non ci credevo più».