Il 20 febbraio 1974 l’avventuriero giapponese Suzuki Norio stava vagando nella giungla dell’isola filippina di Lubang quando si imbatté in un uomo sulla cinquantina armato e in uniforme militare. Suzuki lo stava cercando, e si era preparato cosa dirgli. Mentre l’uomo lo teneva sotto tiro pronto a sparare, gli urlò: «Onoda, l’imperatore e il popolo giapponesi sono preoccupati per te». Onoda Hiroo, ufficiale dell’esercito imperiale giapponese di stanza nelle Filippine dal 1944, abbassò l’arma e accettò di parlare con Suzuki, che aveva viaggiato fin lì con uno scopo preciso: trovare e convincere a tornare a casa uno degli ultimi soldati che non avevano creduto alla resa del Giappone nella seconda guerra mondiale, quasi trent’anni prima, ed erano rimasti sparsi per i remoti presidi pacifici dell’esercito nipponico conducendo azioni di guerriglia contro il vecchio nemico. A partire dall’agosto del 1945, gli ultimi soldati giapponesi interpretarono come propaganda le molte comunicazioni, ufficiali e non, che annunciavano la resa dell’imperatore e la fine del conflitto, e continuarono a nascondersi obbedendo al bushido, il codice di condotta che definiva i principi morali che dovevano seguire i samurai.
Nelle ultime settimane, su alcune chat di Telegram che raccolgono centinaia di tifosi juventini, i moltissimi che – come me – hanno creduto all’imminente arrivo di Pep Guardiola hanno iniziato a identificarsi e riconoscersi vicendevolmente con delle bandiere giapponesi: per quelli storicamente più accorti, con una bandiera imperiale, che ha la complicazione di non avere una emoji propria. Da domenica, questi juventini stanno facendo i conti con i postumi di almeno quattro settimane di scarsa produttività e di altalene emotive, passate a seguire compulsivamente quella che secondo molti è stata la trattativa – e tanti non sono d’accordo nemmeno su questa qualifica, come sappiamo – più imperscrutabile della storia recente del calcio italiano.
Oggi è facile, in assenza di informazioni chiare e certe, e con Maurizio Sarri ormai ufficializzato, bollare tutta la storia di Guardiola come un’enorme “bufala mediatica”. Eppure anche moltissimi tra i tifosi più attenti e “sgamati” rispetto ai meccanismi e ai funzionamenti del sistema dell’informazione, in queste settimane hanno creduto a quella possibilità, seppur assillati dai dubbi quotidiani di essere cascati in un clamoroso caso di allucinazione collettiva, e di aver investito speranze e tempo – davvero troppo tempo – in un’articolatissima invenzione. Di essere, in sostanza, come Onoda tra le liane della giungla filippina, ciecamente convinto di una causa che per il resto del mondo, quello vero, semplicemente non esisteva. Un dubbio che, a questo punto, sembra più che mai fondato, e che forse a suo tempo era stato sottovalutato.
La guerra dei media
Sulla trattativa tra Juve e Guardiola c’è stato innanzitutto un problema ad individuare dove stesse la verità. La spaccatura mediatica che si è sviluppata intorno al nuovo allenatore della Juventus, con i media tradizionali da una parte e dall’altra un gruppetto sparuto e male assortito – eppure evidentemente influente – di giornalisti sportivi e finanziari, è stato un fenomeno inedito e ad oggi difficile da spiegare. I tifosi più saggi o meno ossessionati, che non si sono tenuti aggiornati con costanza maniacale sulla vicenda, non hanno probabilmente assistito alle varie fasi di quell’intrigo che è stata non solo la presunta trattativa Juventus-Guardiola, ma anche il racconto della stessa. Un intrigo che ha prosciugato emotivamente un numero di tifosi difficilissimo da stimare: per tantissimi che ci hanno creduto, ce n’erano altrettanti (o di più? o di meno? non saprei proprio) che non ne erano stati minimamente sfiorati. Se ne è reso conto chi si è ritrovato a dover spiegare da zero la vicenda a chi non ne sapeva niente: a chi, cioè, guardando Sky Sport non aveva dubbi sull’imminente accordo con Sarri. E che faceva bene a non averli, col senno di poi.
Quella spaccatura mediatica, da subito asimmetrica a vantaggio di chi dava per certo Sarri e smentiva categoricamente Guardiola, ha portato una serie di volti e account noti del giornalismo sportivo a mettere in scena un tiro al bersaglio nei confronti di chi raccontava cose diverse: cose che effettivamente erano sbagliate, come hanno dimostrato i fatti. E ricevendo per questo una valanga di insulti inqualificabili dai tifosi che credevano in Guardiola, con annesse minacce più o meno velate circa l’imminente scomparsa della categoria. Una piega a suo modo illuminante su come possa nascere il recente odio per i giornalisti. In tanti hanno però criticato civilmente la narrazione ufficiale dei media, ricordando peraltro come diversi dei suoi più convinti sostenitori non avessero un passato professionale tale da permettere loro di reinventarsi campioni di un’etica e di un’affidabilità che spesso avevano dimostrato di ignorare deliberatamente.
Foto di Marco Bertorello / AFP
Insomma, se in molti hanno deciso di credere a fonti tradizionalmente poco autorevoli è anche per la scarsa credibilità che alcuni giornalisti sportivi hanno costruito in questi anni, soprattutto in fase di calciomercato, dove spesso si gioca non troppo responsabilmente con le fantasie e le paure dei tifosi. Non è stato l’unico fattore, in ogni caso. L’abbaglio preso la scorsa estate da gran parte dei media tradizionali su Cristiano Ronaldo, il cui approdo alla Juventus era descritto come fantascientifico da fonti normalmente bene informate, ha giocato un ruolo importante. Ancora di più, il caso del rinnovo di Allegri, dato per probabile dai più nei giorni immediatamente precedenti al suo esonero.
Una spy story che forse non lo era
Ma erano in realtà numerosi gli indizi, o meglio i presunti tali, che rendevano quantomeno plausibile l’idea che la dirigenza bianconera stesse preparando un colpo formidabile per la panchina. Anche senza arrivare alla paranoia semiotica del protagonista del Cimitero di Praga, ben sintetizzata da questo thread.
L’azzeramento dello staff tecnico delle squadre giovanili – Under 15, Under 23 e Primavera sono tuttora senza allenatore – e dei preparatori atletici lasciava ipotizzare un progetto in grande di Andrea Agnelli per seguire il ciclo Allegri. Il fatto che una stella del firmamento juventino come Antonio Conte fosse stato lasciato andare all’Inter – ma è stato davvero così? – era percepito come ulteriore conferma che qualcosa di grosso bollisse in pentola. E un’altra ancora era la convinzione che gli ultimi due anni di Cristiano Ronaldo alla Juventus sarebbero stati affidati alla migliore guida disponibile sulla piazza.
Anni e anni in cui abbiamo infine civilizzato ed elevato il discorso calcistico non sono bastati a slegare completamente la componente del tifo da una dimensione irrazionale, almeno per me. Questo rapporto asintotico tra la lucidità con cui interpretiamo normalmente la realtà e la propria squadra del cuore è piuttosto evidente rileggendo quelli che mi sembravano segnali chiarissimi di un disegno che conoscevamo in pochi, e che a riguardarli adesso sembrano poco più di una macchia di Rorschach.
Alcune di queste abduzioni si sono in effetti concretizzate anche con l’arrivo di Sarri. Il suo arrivo ha confermato che la Juventus volesse dare una svolta radicale al suo progetto tecnico, chiudendo con Allegri e tutto il paradigma filosofico che si portava dietro. In quel caso, pensare che la società – l’estate dopo Ronaldo – stesse quantomeno tentando di prendere la persona che meglio al mondo avrebbe saputo incarnare quel cambio di direzione era certamente credibile.
Anche quando tutti i principali media si erano ormai allineati con totale convinzione ed esponendosi in maniera nettissima, dainiziogiugnoinpoi, c’erano delle cose che sembravano non tornare. Gli intoppi nell’accordo tra Chelsea e Juventus per liberare Sarri; le scadenze per la chiusura della trattativa annunciate dai media sportivi e continuamentedisattese; per non parlare della stranezza di uno scenario in cui Agnelli è restio a pagare pochi milioni di clausola per avere l’allenatore su cui ha deciso di puntare da mesi. Tutti elementi che hanno rinnovato le speranze degli juventini che erano saliti sul “carro Pep”, come lo chiamavano in molti, e si rifiutavano di scendere nonostante le continue avvisaglie di uno schianto.
Le spiegazioni ufficiali, che parlavano di un Chelsea irritato e irrigidito dalla scoperta che Sarri aveva un’intesa con la Juventus, sembravano ridicole. E invece a guardarle oggi sembrano, semplicemente, vere, come suggeriva l’inascoltato rasoio di Occam. Arrivati a quel punto, dopo le finali europee, in realtà lo avevamo capito in tanti anche sul carro: e avevamo scoperto che scendere, accettando di aver clamorosamente malriposto le nostre attese, era doloroso. Dal carro la letizia, come diceva il poeta.
Oggi, la grande e irrisolta domanda è se la possibilità che Guardiola sedesse sulla panchina bianconera nella prossima stagione sia mai stata reale. La speranza è che presto o tardi qualcuno abbia le fonti giuste e la necessaria lucidità per ricostruire gli snodi, i segreti, gli equivoci e gli errori che hanno portato all’anomalia di cui siamo stati partecipi. Spiegare come sia stato possibile che un racconto sotterraneo e parallelo a quello che voleva Sarri come unico obiettivo della Juventus abbia saputo risultare così articolato e convincente per molti avveduti tifosi e osservatori del calcio in generale. E che, con un po’ di prospettiva, si riesca a distinguere quanto di questa narrazione fosse autenticamente credibile e quanto abbia attecchito tra i tifosi per un caso da manuale di bias di conferma e di wishful thinking: ossia per una tendenza collettiva a ritenere credibili solo quelle informazioni che confermavano le proprie convinzioni, e a dirigere i propri pensieri sostituendo la razionalità con la prospettiva di un desiderio esaudito.
Guardiolisti e “fonti finanziarie”
Con ogni probabilità, la verità ad oggi la conoscono soltanto un pugno di persone: qualcuna di più della triade Agnelli-Nedved-Paratici, molte di meno di quelle che nelle ultime settimane hanno millantato informazioni certe e dettagliatissime sui vari forum juventini e sui social network. Ci sono cose che non tornano sia nella versione secondo cui ci sia stata fino a tempi recentissimi una concreta e avviata trattativa tra Guardiola e la Juventus, sia in quella che vuole Sarri come unico obiettivo societario fin dall’inizio.
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Ne possiamo citare due, rispettivamente: com’è stato possibile che colossi dell’informazione – con tanti ed esperti giornalisti non solo sportivi, ma anche finanziari – abbiano bucato completamente quella che sarebbe stata una delle notizie dell’anno calcistico? E se, invece, è stata una colossale bufala, come si spiega allora il fatto che la dirigenza bianconera abbia lasciato fino a metà giugno svilupparsi una tale speculazione: giornalistica, come si è detto; finanziaria, accusa qualcuno; di aspettative tra i tifosi, è innegabile.
A lungo, una delle teorie più diffuse tra i “guardiolisti” è che ci fossero due livelli di fonti: quella tradizionalmente sportiva, dei procuratori e degli storici informatori vicini alle società, che non sapesse niente della trattativa tra Juventus e Guardiola; e un’altra misteriosa e insondabile di ambienti finanziari – londinesi, si è detto – che invece era al corrente dell’imminente colpo di scena. Chi muove i milioni, del resto, è certamente più affidabile di chi sposta e gestisce calciatori, ci si è detti. Questa spiegazione sembrava collimare con la crescita in borsa del titolo della Juventus, salito di oltre il 25 per cento da inizio maggio, quando i rumor su Guardiola cominciarono a farsi insistenti. Ci si diceva: le voci in quei fantomatici “ambienti finanziari” stanno correndo, evidentemente, e investitori con notizie certe sul tecnico catalano stanno assicurandosi le azioni della Juventus mondiale che verrà.
Questa ipotesi era sembrata ancora più fondata il 23 maggio, quando AGI, agenzia di stampa controllata interamente da un colosso finanziario come Eni, diede per fatto un accordo tra Juventus e Guardiola, con dovizia di particolari. Quel momento è stato forse lo spartiacque in cui le informazioni che provenivano fino ad allora solo da fonti poco conosciute se non nell’ambiente juventino – e spesso nemmeno in quello – sono state elette a uniche a conoscenza di quello che stava certamente avvenendo, in barba ai vecchi arnesi del giornalismo sportivo italiano.
Il primo a parlare con certezza della possibilità che Guardiola sostituisse Massimiliano Allegri sulla panchina della Juventus era stato Luigi Guelpa, giornalista del Giornale che si occupa di esteri e fino ad allora sconosciuto alla stragrande maggioranza di chi ne avrebbe poi fatto un simbolo della battaglia tra giornalisti che avevano accesso a un certo tipo di fonti “che contavano”, e altri sprovveduti che non sapevano ancora la batosta che avrebbero preso. Guelpa lo disse a inizio marzo a una radio napoletana, «molto serenamente», ha raccontato lui stesso. Lo aveva sentito da un «alto funzionario di un importante istituto di credito molto vicino alla famiglia Agnelli» mentre era in un albergo del Cairo, e da allora era diventato uno dei più attivi e citati sostenitori dell’arrivo di Guardiola a Torino.
Ma Guelpa, che pur su Twitter ha continuato fino all’ultimo a dare notizie della presunta trattativa, presentandole con grande convinzione e dovizia di particolari, non si occupa di calcio, era sconosciuto ai più, e sembrava affidabile soltanto a qualche sprovveduto. Non è mai stato lui il faro degli juventini convinti di Guardiola. Quel ruolo è stato occupato senza rivali da Luca Momblano, giornalista sportivo di Top Calcio 24, un canale in onda su varie TV locali e in streaming, di quelli popolati da personaggi di temperamento irritabile e faziosi al limite del fanatismo. Momblano non fa parte di questo gruppo: torinese, si è fatto conoscere negli anni per uno stile posato e sornione, e soprattutto per avere azzeccato una serie di notizie sulla Juventus prima di tutti gli altri (insieme a quelle sbagliate, come tutti i giornalisti di calciomercato). In particolare, fu il primo a parlare dell’arrivo di Ronaldo, giorni prima degli altri, e tra i pochissimi a dare per praticamente certo l’esonero di Allegri quando i media sportivi mainstream sembravano brancolare nel buio.
In una affollata nicchia di tifosi juventini che seguono con costanza le notizie di mercato, principalmente su Twitter, Momblano ha guadagnato nell’ultimo anno un credito enorme. I suoi articoli sul sito Juventibus e i suoi interventi quasi quotidiani su Top Calcio 24 sono diventati la stampa clandestina per eccellenza per gli juventini giapponesi, accerchiati dalla propaganda ufficiale. Momblano, a differenza di altri, non ha mai dato per fatto l’arrivo di Guardiola, pur presentandolo a lungo come probabile. Ma ne ha progressivamente descritto il percorso con grande convinzione, fornendo continui retroscena e dettagli e soprattutto risultando assai convincente. La trattativa per Sarri, per molti bianconeri che si informavano quotidianamente in questo sottobosco, non era altro che un depistaggio della società che voleva tenere nascosto il lavoro su Guardiola. Ma perché?
Squalifiche e gruppi Telegram
Perché in effetti c’era un grosso elemento che sembrava la chiave di volta del disegno che avrebbe portato Guardiola alla Juventus: la sentenza UEFA che potrebbe squalificare il Manchester City dalla prossima edizione della Champions League, per violazioni del Fair Play Finanziario. Tutte le smentite, da quella del direttore sportivo juventino Fabio Paratici a quella data a Sky dal membro del CdA del City Albero Galassi, erano interpretate come goffi e spudorati tentativi di prendere tempo e bluffare in attesa della sentenza che avrebbe scoperto gli altarini. Una sentenza che sembrava per qualche motivo sacrosanta, soltanto perché avrebbe giovato alla nostra fazione.
Le stesse esplicite smentite di Guardiola, e addirittura la lunga intervista pubblicata il 7 giugno dal City su YouTube, sono state analizzate filologicamente per individuare ammiccamenti e presunte conferme dell’addio del tecnico catalano. Secondo questa teoria Guardiola stava preparando il terreno per scaricare interamente sull’esclusione dalla Champions la colpa del suo passaggio alla Juventus. Un Guardiola che accetta di non competere per quella coppa che gli manca ormai da otto anni, come gli rinfacciano gli ultimi, irriducibili detrattori, non sembrava del resto poter esistere: e a lungo si è parlata di una clausola – che in quanto parte di un contratto privato non è di dominio pubblico, ma che Momblano sosteneva scadesse il 15 giugno – che gli avrebbe consentito di liberarsi dal club inglese in caso di mancata qualificazione alla Champions.
Guelpa e Momblano sono stati affiancati da metà maggio in poi da una serie di giornalisti sportivi meno conosciuti e da qualche altro collega che invece si occupa di finanza, che hanno sostenuto a loro volta con convinzione l’esistenza concreta di una pista Guardiola. I principali sono probabilmente stati Simone Filippetti, corrispondente da Londra del Sole 24 Ore, e poi Alessandra Bacchetta, ex giornalista di Bloomberg e un tempo professionalmente vicina alla Juventus. Il primo sostenendo che a Londra «tutti i banchieri convergevano sull'allenatore catalano», la seconda citando diverse fonti nella finanza che davano per fatto l’accordo tra Juventus e Guardiola, sempre con l’incognita dell’eventuale opposizione del City.
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Per un po’, un ragionamento che aiutava a districarsi in questo ginepraio era: chi, tra i giornalisti che stanno dando versioni opposte su una notizia di questa portata, ha più da perdere? Chi rischia di perdere il posto, a prendere un granchio simile? E chi invece potrebbe aver deciso di buttarsi a capofitto su una pista traballante, con la possibilità di fare il colpo giornalistico della vita? Il ragionamento però si era inceppato quando era uscita AGI, almeno per chi sapeva qualcosa di come lavora l’agenzia sotto l’attuale direzione.
I tentativi di rimanere lucidi erano comunque ostacolati da un lato dall’ubriacatura di immaginare Ronaldo e Guardiola nella stessa squadra. Dall’altro, sui social e sulle varie chat di tifosi, dal continuo succedersi di rumor evidentemente assurdi, di soffiate di “guru” improbabili e di teorie che in qualsiasi altro contesto avremmo spernacchiato come complottiste, e che però cullavano il sogno proibito assumendo a tratti tutto un loro senso. Su Telegram le comunità che si erano create avevano un che di tragicomico. Ogni minima notizia o tweet venivano postati decine di volte e commentati altrettante, e si alternavano momenti di totale eccitazione ad altri di disperazione collettiva, a seconda di quale fosse l’ultimo aggiornamento.
Anche per chi, come me, non ha mai partecipato alle conversazioni e nemmeno scritto mezza riga, erano un’esperienza emotivamente snervante. Eppure, pur detestando il chiacchiericcio calcistico da bar e ben consapevole che la gran parte delle notizie condivise erano assurde, quelle chat erano la prima cosa che consultavo quando avevo un momento libero: dopo un’assenza di un paio d’ore, i messaggi da recuperare erano spesso più di mille, e immagino che qualcuno li leggesse tutti o quasi. Dopo aver raggiunto livelli di isteria insostenibili, gli amministratori di una delle più popolate di queste chat hanno deciso di chiuderla a pochi giorni dal traguardo.
Fosse piene
Quelli informati raccontano di una nuova dirigenza juventina, senza il Beppe Marotta “amico e chiacchierone coi giornalisti”, estremamente silenziosa con la stampa. Ma perché, si chiedevano con una certa dose di ragionevolezza molti tifosi, in tutte queste settimane né la Juventus né il City hanno pubblicato un comunicato ufficiale per smentire la storia, anche solo per tenere a bada quei giornalisti sportivi che hanno invocato indagini della CONSOB su presunte speculazioni finanziarie legate ai rumor su Guardiola?
In assenza di questa smentita, che avrebbe probabilmente messo fine alle fantasie di tutti o quasi, si è quindi diffusa la teoria secondo cui le notizie sulla trattativa con Sarri arrivassero unicamente dal suo procuratore, il noto Fali Ramadani. Ma vedendo quanto si esponevano i più noti giornalisti sportivi italiani, sembrava evidente che dovessero aver avuto un qualche tipo di conferma diretta e altissima in grado nella Juventus, che insieme alle rassicurazioni su Sarri deve necessariamente aver smentito categoricamente l’ipotesi Guardiola.
Questo è stato il ragionamento che probabilmente ha disilluso definitivamente chi ci aveva creduto (lo è stato per me, perlomeno): lo scenario di una dirigenza juventina che tiene completamente all’oscuro i giornalisti pur di mantenere segreta la trattativa, mandandoli a schiantare e assicurandosi la guerra futura da parte di tutto il giornalismo sportivo mainstream, appariva già allora implausibile. Lo ha confermato nei giorni scorsi Guido Vaciago di Tuttosport, raccontando la sua esperienza con le voci su Guardiola.
«Tra marzo e aprile raccogliamo voci su contatti fra lui e la Juventus. Contatti che trovano immediato riscontro: esiste un interesse e un discorso portato avanti. Dopo qualche giorno però la pista si raffredda, ci risulta che Guardiola non voglia, per il momento, lasciare il City. Quindi teniamo sempre più bassa l’ipotesi. Poi alcuni colleghi rilanciano l’idea, la notizia diventa virale, crea un hype mostruoso e quindi ci vediamo costretti a verificare nuovamente. Contattiamo nell’ordine: il fratello di Guardiola, il suo agente, il DS del City Begiristain e quello della Juventus Paratici, oltre a una serie di agenti dei giocatori del City, in stretto contatto con il club per programmare la prossima stagione. Li sottoponiamo a un vero martellamento quotidiano, finendo persino per irritare qualcuno di loro, incredulo di una tale ossessione nel verificare la notizia ogni giorno. Raccogliamo solo smentite, alcune anche brutali, e decidiamo quindi che in assenza di nostro materiale non possiamo dare ai nostri lettori questa notizia: sarebbe come prenderli in giro»
Sono probabilmente pochi quelli che lo possono dire con certezza, ma possiamo escludere che l’affaire Guardiola sia stato inventato dal nulla. La teoria che la Juventus non solo abbia concretamente provato a ingaggiare il tecnico, ma che l’abbia anche incontrato parlandone in termini concreti, magari in qualche modo coinvolgendo proprio quei misteriosi “ambienti finanziari londinesi”, sembra la spiegazione più razionale sul perché un piccolo ma significativo gruppo di giornalisti, sportivi e non, abbia seguito questa strada con tale convinzione.
Foto di Emilio Andreoli / Getty Images
Se accettiamo questa premessa, su cui ad oggi non abbiamo comunque certezza definitiva, il mistero diventa fino a quando il racconto della pista Guardiola abbia seguito la realtà: fino a tempi recenti, quando la dirigenza bianconera avrebbe virato su Sarri rendendosi conto dell’impossibilità di chiudere con Guardiola?
È per esempio la versione data da AGI dopo l’annuncio di Sarri, e da quelli che in queste ultime settimane hanno parlato di paralleli lavori per un piano A, Guardiola, e un piano B, Sarri. In questo scenario, l’errore dei “guardiolisti” sarebbe stato quello di dare per fatta una trattativa che invece non lo era affatto, oppure di presentare come altamente probabile un esito che in realtà lo era molto meno. Sempre prendendo per buona questa ricostruzione, il famoso pre-contratto tra Guardiola e Juventus, dato per certo da questi giornalisti, sarebbe saltato in assenza della sentenza UEFA. L’annuncio di Sarri, dice adesso chi aveva sostenuto questa tesi, non a caso è arrivato il 16 giugno, il giorno dopo la presunta scadenza della clausola nel contratto con il City.
Oppure, ipotesi a sua volta plausibile, quelli che hanno dato conto della segretissima trattativa ci sono capitati quando ormai era già stata abbandonata oppure rimandata dalla dirigenza bianconera, riportando in totale buona fede le informazioni – false, in questo scenario – fornite effettivamente da quelle famose fonti nell’alta finanza. Fonti rivelatesi poi disastrosamente inaffidabili, e che forse sono la vera chiave di volta per capire questa storia.
Questa versione spiegherebbe in modo convincente perché tutte le testate sportive, che spesso e volentieri hanno dato prova di non farsi troppi problemi in quanto ad assurde storie di calciomercato, si siano sempre tenute alla larga dalla faccenda, fidandosi a ragione di quelle fonti costruite col lavoro di anni. L’ipotesi che il peso crescente degli sponsor e dei grandi gruppi finanziari nel calcio fosse arrivato a un punto tale da distruggere i precedenti paradigmi giornalistici si è rivelata quantomeno prematura.
Anche dopo aver accettato di parlare con Suzuki e aver ascoltato un riassunto del rinnovato ordine geopolitico internazionale seguito alla fine della Seconda guerra mondiale, Onoda si rifiutò di deporre le armi e di seguire il giovane esploratore a valle. Acconsentì soltanto quando, dopo che Suzuki tornò in patria raccontando il suo incontro, il governo giapponese individuò il suo superiore, ormai diventato libraio, che lo raggiunse sull’isola di Lubang dandogli l’ordine formale di arrendersi. Tornato in patria, fu accolto con grandi onori e divenne presto simbolo di un sistema di valori che non esisteva più e a cui si guardava con un po’ di nostalgia. Ma anche come pezzo di un passato belligerante e reazionario che il Giappone si era ormai messo alle spalle, trovando un nuovo e più pacifico posto nel mondo. «Mi dispiace averti dato preoccupazioni per tutto questo tempo» disse Onoda quando rivide suo fratello, che lo aveva raggiunto nelle Filippine per riportarlo al mondo reale. Lo stesso in cui sono tornati domenica pomeriggio gli juventini giapponesi, esentati dal non richiesto compito di sostenere una causa che forse non è mai esistita. Alcuni delusi dall’esito finale, tutti certamente sollevati che in un modo o nell’altro sia finita.