
Se volete una squadra hipster da tifare ai prossimi Europei, l’Islanda è la candidata migliore: non solo vanta un’ottima tradizione di musica indie, ma si è anche qualificata per la prima volta in assoluto a una competizione internazionale. Forse persino troppo hipster, e grazie anche all'ottimo girone di qualificazione che non la rende più una sorpresa assoluta per qualcuno è persino mainstream.
Come se avesse fretta di cominciare il torneo, l'Islanda non ha aspettato il termine ultimo per consegnare la lista dei 23 (il 1° giugno) ma ha già deciso: per ora tutti arruolabili, con il gruppo che è arrivato al primo posto del girone di qualificazione confermato in blocco. C’è però una piccola novità, degna anch’essa dell’hype che segue ogni passo della Nazionale di Lagerback.
Ci sarà Eiður Guðjohnsen.
All’alba dei 38 anni, con una carriera calcistica lontana dai riflettori e che molti di noi consideravano conclusa,Guðjohnsen indosserà per la prima volta in carriera la maglia dell’Islanda in una competizione internazionale. Paradossale, per quello che è stato senz’altro il giocatore più rappresentativo della storia del suo paese, capace di giocare in nove Paesi e due continenti diversi, vestendo tra le altre le maglie di Chelsea e Barcellona. Eiður è, peraltro, a sua volta figlio di uno dei calciatori più famosi nella storia d’Islanda, uno dei pochi figli d’arte in grado di migliorare l’eredità del padre che, come in una narrazione fiabesca, è riuscito a sostituire nel suo esordio ufficiale con l’Islanda, nel 1996. Vent’anni fa.
A un certo punto sbaglia un gol impensabile.
Da piccolo, Eiður sognava addirittura di giocare una partita assieme al padre con la maglia della propria Nazionale. Un sogno non così assurdo se si considera che i calciatori registrati sull’isola rappresentano il 7% della popolazione, ma che non si è realizzato a causa di un infortunio di Eiður con l’U-18 islandese precedente pochi mesi al ritiro del padre.
Anche senza quest’Europeo probabilmente Guðjohnsen poteva comunque ritenersi soddisfatto. Il suo palmarès recita: 1 Eredivisie, 2 Premier League, 1 Liga, 3 coppe nazionali diverse e la Champions League del 2008-09.
Guðjohnsen sembra appartenere a un calcio di un’era diversa da quella attuale: la sua ultima stagione in doppia cifra, ad esempio, è datata 2005, quando con i suoi 12 gol ha contribuito alla Premier vinta dal Chelsea nella prima dell’era Mourinho. Per questo la sua convocazione sembra una resurrezione, un viaggio nel tempo.
L’ultima partita di Guðjohnsen con l’Islanda risale allo spareggio per la qualificazione mondiale perso contro la Croazia. Quel giorno Guðjohnsen diede il suo apparente addio alla Nazionale, in lacrime.
"Ho timore che questa sia stata la mia ultima gara in nazionale".
Quando ha firmato per i cinesi del Shijiazhuang Ever Bright F.C., a gennaio 2015, dopo una ventina di partita in Championship con il Bolton, la sua carriera sembrava finita.
Ma già due mesi dopo, a marzo, Lagerback lo aveva richiamato in Nazionale («Penso che tu possa ancora aiutare questi ragazzi»), a due anni di distanza dalla sua ultima presenza. Forse perché sarebbe stato strano se il miglior giocatore della storia islandese (ancora, in qualche modo, in attività) non avesse incrociato la miglior Nazionale della storia islandese.
Contro il Kasakistan Guðjohnsen segna, un po’ sovrappeso, con i capelli un po’ radi, con una conclusione leggera, in anticipo sul portiere.
Pochi mesi fa, a febbraio, il Molde di Ole Gunnar Solskjær ha tesserato Guðjohnsen, tornato al calcio europeo mentre già si iniziava a tributargli odi nostalgiche. In 6 partite Guðjohnsen è riuscito a mettere insieme 1 gol e 4 assist, tanto che il tecnico (che è stato suo avversario nelle sfide vintage di Premier League primi 2000) lo ha lodato pubblicamente: «Eiður è un valore aggiunto per il Molde: qui sta facendo molto bene».
Guðjohnsen, del resto, non ha mai fatto del dinamismo la sua caratteristica principale, né è mai stato un grande marcatore. Ha sempre amato svariare sulla trequarti offensiva attorno a un finalizzatore, usando il suo destro morbidissimo per dare qualità e rifiture di classe assolute. Cose che gli riescono ancora, a 38 anni.
Guðjohnsen ha giocato poco nelle qualificazioni a Euro 2016 (appena tre partite), ma - un po’ per classe e un po’ per carisma - alla fine è entrato nei 23 che giocheranno in Francia. «Se non avesse trovato una squadra a gennaio sarebbe rimasto fuori, ma ha dimostrato di essere in forma e con le motivazioni giuste», ha dichiarato il ct Lagerback, che lascerà la panchina dopo l’Europeo (e del suo di addio ha detto: «Non è stata una decisione facile, ma sto diventando vecchio»).
Il nome dei Guðjohnsen rimarrà invece sempre lì. Per i record, per l’immaginario, per quella chioma bionda in maglia Blues così difficile da dimenticare. Ma anche per un dato empirico, visto che il figlio di Eiður, Daniel, gioca e segna nel vivaio del Barcellona. Senza contare gli altri due più grandi, di cui uno ha già esordito con l’Islanda U-19, in una dinastia che probabilmente non finirà mai.

Coolness.
La Fifa lo aveva intervistato giusto un paio di mesi fa, facendogli qualche domanda sull’imminente Europeo, come fosse ormai un opinionista puro e lontano dal calcio professionistico. Quando Guðjohnsen parla dell’argomento si ha l’impressione di avere a che fare più con un tifoso che con uno che avrebbe partecipato direttamente alla competizione. Sembra la celebrazione di qualcosa già passato.
Invece no, Eiður Guðjohnsen non vuole ancora far parte del passato. Guðjohnsen è ancora presente.