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Vicario o Higuita?
06 feb 2023
La parata contro la Roma forse è già la parata dell'anno.
(articolo)
6 min
(copertina)
Foto di Giuseppe Maffia / Imago
(copertina) Foto di Giuseppe Maffia / Imago
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Dei portieri si parla solo per cose eccezionali. Soprattutto nel male: errori che costano punti e li rendono ridicoli mettendo in dubbio la possibilità stessa di fare il portiere, il senso di una scelta del genere: usare le mani in uno sport che si gioca con i piedi, da solo in una gabbia invisibile mentre gli altri venti in campo sono liberi di muoversi come vogliono. Più raramente nel bene: come nel caso della parata del Dibu Martinez che ha significato la vittoria della Coppa del Mondo per l’Argentina. La parata più importante del secolo, forse, anche perché di parate che consideriamo veramente importanti ce ne sono pochissime.

L’ordinaria amministrazione la diamo per scontata, anche quella di alto livello. Le belle parate dopo un po’ ce le dimentichiamo, non fanno punteggio e, a pensarci bene, è tanto demerito dell’attaccante quanto merito del portiere. Così come quasi ogni gol se lo guardiamo abbastanza a lungo ci sembra anche, almeno in parte, colpa loro. Vale anche per i portieri bravi, i migliori al mondo, che aspettiamo solo diventino inadeguati al come tutti gli altri portieri, perché l’inadeguatezza del portiere è ontologica, non si sfugge.

Poi succedono cose come quella di sabato e il portiere ci sembra il ruolo più eroico di tutti, l’unico in cui ci sia davvero spazio per la libertà. Per farci vedere le cose a questo modo Guglielmo Vicario ha dovuto parare tre tiri nel giro di pochi secondi, e in particolare il secondo e il terzo con due interventi che anche presi singolarmente sarebbero entrati negli highlights.

L’Empoli aveva già preso due gol su calcio d’angolo contro la Roma, una squadra costruita solo per i calci piazzati che, un po’ a malincuore, si ritrova a dover giocare anche tutte le altre fasi di gioco. Forse il primo, in cui Ibanez schiaccia la palla a terra così forte che poi si infila sotto la traversa, era proprio uno di quei gol in cui non riesci a non chiederti: possibile che il portiere non potesse fare meglio di così? Vicario in quel caso si era tuffato come poteva, senza riuscire a darsi la spinta sulle gambe, sfiorando appena la palla.

All’inizio del secondo tempo la Roma ha subito un altro calcio d’angolo da sinistra (da destra considerando il punto di vista di Vicario), lo stesso lato da cui erano arrivati i primi due gol. Stavolta però non lo batte Paulo Dybala con una traiettoria ad uscire, ma Lorenzo Pellegrini, di destro a rientrare. Luperto respinge la palla sul primo palo, facendola arrivare al limite dell’area dove El Shaarawy vince il duello aereo con Baldanzi e indirizza il pallone dalle parti di Dybala. L’argentino, dal lato destro dell’area, calcia di prima intenzione con il collo esterno, forte e centrale. Vicario para con i pugni e insomma niente di straordinario.

La respinta, anzi, è così così perché manda la palla proprio sui piedi di Gianluca Mancini, tutto solo al centro dell’area. Mancini, che se non deve picchiare nessuno e può concentrarsi solo sulla palla migliora sensibilmente la propria qualità tecnica - il che significa che non deve esserci nessuno nel raggio di due metri, altrimenti Mancini avrà voglia di picchiarlo e diminuirà la sua qualità tecnica - colpisce di piatto al volo, riuscendo ad angolare sul lato di porta scoperto.

Questo è il primo miracolo di Viacario, che para il tiro di Mancini con il polso, come un pallavolista che riesce a mettere la mano sotto la palla schiacciata da tre metri di altezza. Sembrava una palla semplicemente imparabile. E invece.

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Voglio dire, il tiro di Mancini era già a metà strada che Vicario non si era ancora tuffato. E davanti aveva tre giocatori che ostruivano la sua visuale. Mezzo secondo dopo ha messo la mano esattamente dove andava messa.

Quella che viene dopo però è una parata ancora più assurda. Che magari, vista a velocità naturale, può sembrare casuale. Come se Tammy Abraham, dopo il rimbalzo della palla a terra, l’abbia accidentalmente schiacciata sui piedi di Vicario che stava rotolando dentro la porta. In realtà - e lo si capisce già dalla seconda volta che si vede la parata - è Vicario ad alzare i piedi e il bacino girandosi quasi di spalle, come se stesse facendo breakdance (una specie di coin drop), anticipando il tiro di Abraham.

Come vogliamo chiamarlo, uno scorpione in verticale? Uno scorpione al contrario? Non lo so ma insomma se Higuita è passato alla storia per una singola parata fatta in amichevole, almeno Vicario un articolo su Ultimo Uomo se lo merita no?

Dai, ma che roba è?

La scorsa estate Vicario ha detto sui canali della Lega che i bambini non vengano spinti a diventare portieri perché «nell’immaginario collettivo segnare un gol è più gratificante che salvare un gol». Ed è un peccato perché per lui, per esempio, «la soddisfazione massima era vedere la delusione di chi non riusciva a superare l’ostacolo». Chissà che piacere deve aver provato quando è riuscito a parare, con la suola dei piedi, un tiro da meno di mezzo metro di distanza.

Quello del portiere è un ruolo in cui vince chi sbaglia meno, chi non si fa notare. Per questo è paradossale il mito dei portieri pazzi e pieni di stranezze, che vivono il calcio come uno sport estremo, che stanno tra i pali come sospesi su un filo in mezzo a due grattacieli. Vicario, già secondo al Cagliari due stagioni fa, pronto nelle poche occasioni in cui ha dovuto sostituire Cragno, è il contrario dei vari Higuita, Grobbelaar, Prud’Homme, Campos.

Non sembra il tipo di portiere creativo che ama il rischio (lo scorso anno aveva un ciuffo da studente di provincia in gita a Parigi, quest’anno ha un taglio a metà strada tra il medievale e il militare) e in queste due stagioni ha dimostrato di avere il dono più prezioso per un portiere in Italia: la costanza.

Vicario fa parte di quella wave di nuovi portieri italiani (Provedel, Falcone, Terracciano, Di Gregorio) che hanno fatto la gavetta prima di arrivare in Serie A a venticinque, ventisei anni, anziché avere grandi aspettative da giovani, bruciarsi presto e poi scendere di categoria (Scuffet, Bardi, Leali). Vicario aveva già messo in mostra grandi riflessi ma quest’anno sembra ancora più esplosivo e pronto per una squadra di prima fascia.

Questa tripla parata, bella e irripetibile, magari servirà a fargli un po’ di pubblicità e a togliere i dubbi residui in chi voglia investire su di lui. Ricorda anche le parate che faceva Ed Warner. E proprio la parabola di Ed Warner in Holly e Benji ci ricorda quanto il ruolo di portiere sia sottovalutato nell’immaginario collettivo, come direbbe Vicario.

Ed Warner, figlio di un maestro di karate che vuole a tutti costi che lavori in palestra con lui, parava le palle colpendole di taglio come si fa per spezzare le tavolette di legno oppure, la sua signature move, saltando su un palo per darsi lo slancio in direzione del palo opposto. Eppure persino un portiere spettacolare come Warner non era abbastanza per i nostri gusti. Per questo a un certo punto diventa attaccante. E ci viene detto che, in realtà, era sempre stato attaccante, ma giocava in porta perché davanti c’era Mark Lenders.

Insomma l’unico portiere che non era semplicemente un ostacolo per la gloria dei protagonisti (tipo Bauer, quello tedesco che sembrava un personaggio di Ken Shiro, gigantesco, con il pallone che nella sua mano sembrava un’arancia) lo hanno fatto diventare un attaccante.

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