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Guida al Bologna 2017/18
06 set 2017
I rossoblù hanno puntato sulla continuità, sperando che la squadra debba ancora esprimere tutte le proprie potenzialità.
(articolo)
18 min
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Piazzamento lo scorso anno: 15°

Chi in più: Sebastien De Maio, Giancarlo Gonzalez, Andrea Poli, Cesar Falletti, Rodrigo Palacio, Lorenzo Crisetig, Cheick Keita, Felipe Avenatti.

Chi in meno: Blerim Dzemaili, Luca Rizzo, Daniele Gastaldello, Marios Oikonomou, Umar Sadiq, Federico Viviani.

La faticosa scalata alla classe media

Un anno dopo il suo arrivo a Bologna, nel 2015, con la squadra appena salita in Serie A, Joey Saputo si era fatto vedere così poco in città che ha pensato di risarcire i tifosi con un documentario a puntate sulla sua vita. Nel “Mondo di Joey”, serie da 5 episodi pubblicata sui canali social del Bologna, si ripercorre quella che è una classica storia d’emigrazione, dalla Sicilia al Canada, con molti dei cliché del caso. Vecchi italiani che giocano a carte nella “Little Italy” di Montreal, l’enfasi sull’importanza delle origini, delle radici. L’Hockey su ghiaccio, il calcio, la pizza. Una storia d’emigrazione di particolare successo. La famiglia Saputo è partita negli anni ’50, vendendo latticini lavorati nella vasca da bagno della nonna, ed è arrivata ad essere, nel 2017, la prima industria casearia in Canada, la terza negli Stati Uniti, la quarta in Australia. Nel 2017 Saputo ha quasi raddoppiato il proprio patrimonio personale, passato da 6 a 11 miliardi di dollari, ed è diventato la terza persona più ricca del Canada.

Per questo motivo quando nel documentario ha dichiarato di voler riportare il Bologna “alla gloria del passato” i tifosi avevano più di un motivo per sperare. È da anni che Saputo lo ripete - l’ultima volta a febbraio scorso: vuole riportare il Bologna in Europa. Al terzo anno di Serie A l’obiettivo sembra però ancora lontano e Saputo in ogni intervista deve insistere nel chiedere tempo e pazienza. Nella conferenza stampa alla fine della scorsa stagione, ad esempio, con toni e giri di parole diverse, la domanda era sempre la stessa: quand’è che il Bologna riuscirà a investire sul mercato per fare una squadra più forte?

È un problema comune per i club che aspirano alla classe media del calcio italiano. Lo ha confermato anche l’amministratore delegato Claudio Fenucci di recente: senza ricavi strutturali - uno stadio di proprietà, dei diritti tv più equi - è complicato progettare una crescita dei risultati. Squadre come il Bologna sono costrette a fare affidamento sulla valorizzazione tecnica dei giovani, giocando d’azzardo con le plusvalenze nella speranza che alla fine competitività della squadra e bilanci restino in equilibrio.

Una stagione ambigua

Il Bologna sembra chiuso in un limbo, ben rispecchiato dall’andamento della scorsa stagione. La squadra ha raggiunto una salvezza tranquilla nei risultati - facilitata da un campionato poco competitivo nelle zone di bassa classifica - ma poco convincente nella forma. Saputo si è detto deluso: «È stata una stagione abbastanza difficile, ogni domenica per me è stato difficile guardare le partite, pensavo di avere una squadra un po’ migliore di quella che si è vista in campo» confermando la leggera discrepanza tra ciò che il Bologna è al momento e quello che vuole essere.

Il Bologna in campo ha portato le ambiguità che ancora non rendono chiaro il suo valore nel contesto del campionato. Una squadra che ha voluto concedersi il lusso di giocare senza troppa intensità e convinzione, quasi imborghesita, senza però avere davvero le qualità per poterselo permettere. Alla fine ha chiuso il campionato al quindicesimo posto, un gradino sotto al quattordicesimo dell’anno prima, quando aveva ottenuto un punto in più (42 contro 41). Questo, nonostante il monte ingaggi del Bologna fosse il nono del campionato italiano.

Le premesse erano decisamente migliori. La prima stagione in Serie A era stata faticosa, ma la striscia di risultati incastrata da Donadoni in inverno lasciava immaginare un buon potenziale della squadra. La cessione di Diawara per 15 milioni al Napoli era stata dolorosa ma aveva permesso di investire su altri giovani interessanti, soprattutto in attacco, dove la squadra aveva faticato.

Il rendimento in campo non ha però rispettato queste attese. Il Bologna ha indugiato sui propri difetti di sempre, in particolare in attacco, dove ha confermato una generale sterilità offensiva: due anni fa tirava in media 10,2 volte a partita, dato solo leggermente migliorato lo scorso anno - 11,1 - nel contesto di uno dei campionati più prolifici della storia della Serie A. Il Bologna ha fatto registrare il sesto peggior attacco del campionato (e infatti ha chiuso al sestultimo posto), e in più ha aggiunto una fragilità difensiva maggiore (14.1 tiri subiti a partita, contro i 12.3 dell’anno prima).

Ambiguità tattica

Un risultato che forse è anche l’effetto delle esitazioni tattiche di Donadoni, fin troppo attento alla flessibilità della propria squadra e incapace di plasmarne un’identità chiara e produttiva. Il Bologna si è mosso sullo spartito del 4-2-3-1, ma poi ha cambiato pelle a seconda delle energie a disposizione e dell’avversario di turno. Anche il 4-3-3 è un modulo che si è visto spesso, ma Donadoni non si è fatto scrupoli a coprirsi con 5-3-2 o a passare al 3-5-2.

Nessuno di questi moduli ha però risolto il rebus di come attaccare la porta avversaria. Le catene laterali si muovono bene per garantire l’ampiezza, ma poi la palla fatica a tornare verso il centro per trovare uno sbocco verso la conclusione. Mancano i movimenti in profondità senza palla delle ali: Verdi a destra tende a rientrare molto verso il campo, ma l’assenza di creatività a centrocampo lo costringeva ad abbassarsi molto per essere influente nella costruzione del gioco; Krejci dall’altra parte rimaneva molto largo per sfruttare il suo bel sinistro nei cross - lo scorso anno ben 8 assist - su cui l’area rimaneva però spesso sguarnita. Per questo a volte è stato necessario inserire Federico Di Francesco, più abile nei movimenti diagonali verso la porta, con e senza il pallone.

Come punta Destro ha assicurato 11 gol, ma il suo rendimento è stato incostante e condizionato da diversi problemi fisici. Dietro di lui Sadiq (in prestito dalla Roma) si è dimostrato inaffidabile e l’arrivo di Bruno Petkovic a gennaio - un centravanti molto tecnico ma inconsistente sotto porta - non ha aiutato più di tanto.

Alla fine il giocatore più influente nei gol è risultato essere Blerim Dzemaili, che ha chiuso la stagione con 8 reti. Partendo da dietro la punta, lo svizzero finiva per attaccare l’area con continuità, sia inserendosi senza palla che correndo in conduzione e sfruttando la sua capacità di calcio con entrambi i piedi. Dzemaili però aveva un contratto di un solo anno, essendosi accordato con Saputo per andare al Montreal Impact da questa stagione. Un’operazione che ha gettato malumore nell’ambiente: la cessione del miglior giocatore all’altra squadra di proprietà del presidente ha fatto sembrare il Bologna un club ausiliario di quello canadese.

Uno degli 8 gol di Dzemaili, con un gran tiro di controbalzo sotto l’incrocio dei pali.

La fase difensiva era stata il fiore all’occhiello del Bologna nella prima stagione di Donadoni, e la squadra ha continuato a interpretarla bene. I problemi sono nati dall’impoverimento della rosa. Gastaldello era stato il difensore più affidabile nelle stagioni precedenti, ma a 34 anni ha finito per giocare meno e peggio del solito. Oikonomou ed Helander sono stati inclini a cali di concentrazione e il Bologna ha dovuto chiedere un ulteriore grande stagione al 35enne Domenico Maietta. Un dato che inquadra la disattenzione difensiva: i rossoblù sono stati la terza squadra della Serie A per gol subiti da calcio piazzato.

Ma soprattutto il Bologna ha accusato la perdita di Amadou Diawara, fondamentale per le sue letture difensive davanti alla difesa, oltre che per il suo modo di cucire il gioco, così sobrio ma preciso. Donadoni non aveva a disposizione un vero regista per sostituirlo e ha alternato Nagy (che però è più una mezzala), Pulgar e Viviani, o abbassando persino Taider. Nessuno di loro è stato né abbastanza solido in fase difensiva, né all’altezza nella costruzione del gioco.

Al di là dei problemi tattici e dei buchi della rosa, a deludere nel Bologna è stato però soprattutto l’atteggiamento con cui la squadra ha interpretato la maggior parte delle partite. Forse per un misto di scarse motivazioni e assenza di carisma in alcuni elementi, il Bologna sembrava sempre mancare della giusta tensione agonistica, come una squadra troppo forte per lottare ma troppo debole per governare. I rossoblù sono stati la squadra in Serie A - dopo Juventus, Napoli e Roma, quindi quelle che hanno controllato di più il pallone - ad aver commesso meno falli. Era sempre in difficoltà nei duelli individuali, sia per mancanza di predominio fisico che per una mancanza di mordente forse più mentale. Le prestazioni più convincenti sono arrivate quando la squadra era stata messa con le spalle al muro dall’ambiente, e si è lasciata sfuggire diversi punti negli ultimi minuti di gioco. Diversi dei suoi problemi di gioco sembrano derivare più che altro dall’interpretazione delle partite. In situazioni di punteggio compromesse riusciva a essere aggressiva, come in questo caso con la Lazio, quando la marcatura sull’impostazione del portiere è aggressiva e arriva al recupero palla addirittura a ridosso dell’area.

Un brutto gol subito da un Bologna distrattissimo contro il Chievo.

Stagione nuova, vita nuova?

Sono stati diversi i giocatori del Bologna ad aver reso sotto le aspettative la passata stagione. Alcune scommesse si sono adattate male al calcio italiano (Nagy, Pulgar), altre hanno prodotto di più ma comunque meno di quanto auspicato (Krejci, Viviani). A loro si è aggiunto il rallentamento nella crescita di alcuni giovani, che l’anno precedente promettevano molto ma che sono stati rallentati da problemi fisici (Donsah e Masina). Questo ha finito per produrre un circolo vizioso: non avendo valorizzato nessun giovane non è stata possibile nessuna plusvalenza e la squadra è stata costretta a fare di necessità virtù, puntando sulla continuità più che sull’innesto di giocatori che potevano colmare le lacune che la squadra ha mostrato nella scorsa stagione.

La speranza con cui è cominciata la stagione è che quella vista finora è una squadra che non è ancora riuscita a esprimere tutto il proprio potenziale. Che Verdi senza problemi fisici possa essere ancora più determinante in fase di rifinitura; che Masina abbia ancora margini di miglioramento; che Destro con una maggiore applicazione possa diventare uno dei migliori centravanti del nostro campionato; che Nagy e Krejci possano migliorare al loro secondo anno in Italia.

Il Bologna ha ceduto poco e persino Masina, che sembrava poter andare al Siviglia per circa 8 milioni, alla fine è rimasto. Con l’addio di Gastaldello (passato al Brescia) e Oikonomou (in prestito alla Spal) sono arrivati altri due centrali, Sebastien De Maio e Giancarlo Gonzalez, entrambi provenienti da momenti negativi della loro carriera: il primo ha giocato appena 6 partite la scorsa stagione con la Fiorentina; mentre il costaricense non ha mai convinto del tutto con la maglia del Palermo.

Per sostituire Dzemaili, invece, il Bologna ha puntato su due profili molto diversi. Cesar Falletti è un trequartista brevilineo prelevato dalla Ternana, velocissimo e molto associativo. Probabile che sarà più utile a partita in corso - per spezzare difese chiuse o recuperare risultati compromessi - che non dal primo minuto. Più polivalente e utile da subito Andrea Poli, che in questo inizio di stagione ha giocato sia da trequartista centrale del 4-2-3-1 - con compiti più da distruttore del gioco avversario, in pressing, rispetto a quelli più offensivi che aveva Dzemaili - o da mezzala destra e persino regista nel 4-3-3.

La prima partita ufficiale della stagione ha dato un tono funebre a questo che doveva essere un nuovo inizio. In casa contro il Cittadella, in Coppa Italia, il Bologna è rimasto in dieci dopo pochi minuti per l’espulsione di Verdi (gomito largo) e ha giocato una partita di sofferenza finita in sciagura: i rossoblù hanno perso 3 a 0 e fatto partire all’istante, appena a metà agosto, il circo delle contestazioni dei tifosi.

Ad addolcire leggermente questo clima di totale sfiducia è arrivato l’acquisto di Rodrigo Palacio, che aumenta lo spessore tecnico ma soprattutto carismatico del Bologna, oltre ad offrire diverse soluzioni dal punto di vista tattico. L’argentino può essere usato in tutti e 3 i ruoli d’attacco del 4-3-3, ma può anche occupare tutte le posizioni nella trequarti di un 4-2-3-1. Nonostante ciò, il clima attorno alla squadra è restato teso e sfiduciato fino all’esordio contro il Torino, che è andato però decisamente meglio del previsto.

Donadoni ha schierato il Bologna col 4-3-3, che potrebbe essere il modulo effettivamente più adatto a questa rosa. La squadra ha confermato alcuni difetti dello scorso anno ma ha mostrato un’intensità fisica e mentale completamente diversa, su cui Donadoni ha insistito molto sia prima che dopo la partita. Quando in conferenza il tecnico ha definito la partita contro il Torino “un piccolo modello” non si riferiva tanto agli aspetti tecnico-tattici quanto al modo con cui la squadra è scesa in campo.

Il Bologna è una squadra tipicamente italiana, che unisce grande attenzione tattica a una flessibilità estrema, sia da una partita all’altra che all’interno dei 90 minuti, sapendo interpretare più canovacci a seconda del momento della gara. Più che attraverso la qualità di un’identità forte, il Bologna cerca di arrivare al risultato con la cura dei dettagli. Donadoni è molto attento che la squadra resti corta - e nei suoi momenti migliori il Bologna è una squadra davvero corta, che si stende in meno di 30 metri - anche se su un blocco difensivo piuttosto basso.

Di solito Destro è lasciato quasi da solo a pressare l’impostazione dei difensori, in un lavoro non proprio tagliato sulle sue caratteristiche. Quando gli avversari superano la metà campo scattano delle marcature a uomo piuttosto aggressive, con le ali che spesso si ritrovano a seguire (anche profondamente) le avanzate dei terzini avversari.

In questo modo il Bologna riesce a difendersi abbastanza bene nei mezzi spazi: contro il Torino, una squadra che cerca di sfruttarli molto, i rossoblù hanno patito solo dopo aver perso dei duelli individuali (il gol di Ljajic è nato da un tunnel subito da Pulgar sulla propria trequarti).

Le marcature a uomo del Bologna nella propria metà campo.

Il Bologna però è capace anche di alternare a questo atteggiamento delle folate di pressing più aggressivo, specie nella fase di riaggressione dopo una palla persa nella metà campo avversario, e soprattutto se il punteggio della gara lo richiede.

De Maio - titolare in questo inizio di stagione - dovrebbe migliorare l’uscita del pallone grazie alla sua tecnica e alla precisione nel gioco lungo, ma le mezzali del 4-3-3 non riescono a smarcarsi per offrire una linea di passaggio. Davanti la difesa finora si sono alternati Poli e Pulgar, ma entrambi quando vengono a prendere palla dai difensori poi non hanno né creatività né particolare pulizia tecnica. Per questo le maggiori responsabilità creative sono affidate alle due ali, a Di Francesco (che ha avuto un grande inizio di campionato), ma soprattutto a Verdi (prima che si rompesse il piede, l’ala di scuola Milan era stata una delle rivelazioni della scorsa stagione).

Anche quest’anno la sua influenza sul gioco è enorme e copre quasi ogni fase d’attacco, dalla costruzione bassa alla rifinitura: Verdi si abbassa spesso per aiutare la squadra a risalire il campo e poi si prende spesso la responsabilità di un’azione decisiva, dalla conduzione palla al lancio lungo, sfruttando una tecnica con entrambi i piedi quasi unica. È per questa leadership tecnica, anche più che per le sue qualità, che il Bologna deve sperare che la sua salute regga più dello scorso anno.

Già nelle prime due partite i suoi cambi di gioco verso l’ala opposta - già molto battuti lo scorso anno - sono stati tra i meccanismi più riusciti.

Di Francesco, fino a questo momento, è stato preferito a Krejci a sinistra, che pure aveva giocato quasi tutto lo scorso anno. La sua presenza però al momento è fondamentale non solo per la sua creatività, in costante crescita, ma anche per la maggiore verticalità che riesce ad assicurare a una squadra di solito un po’ abulica. Bisognerà vedere se Palacio potrà rubargli il posto o se l’argentino verrà usato più da prima punta.

Destro non ha ancora segnato ma si è sacrificato tanto, e molto più del solito, per la squadra, risultando però impreciso sotto porta. Donadoni ha spiegato che dovrà abituarsi a giocare a una certa intensità senza perdere accuratezza tecnica. Non semplicissimo. Neanche quest’anno il suo posto sembra in discussione: Petkovic e Avenatti (arrivato dalla Ternana) sono profili stranamente simili, entrambi fisici, tecnici e bravi nel gioco spalle alla porta, con un certo gusto per la rifinitura. Nessuno dei due assicura però la profondità di cui il Bologna ha bisogno come l’aria.

Il 4-3-3, in ogni caso, sembra aver risolto diversi problemi, anche perché i giocatori, per caratteristiche, sembrano più a loro agio in un centrocampo a 3 che non in una linea a 2, e riescono anche ad assicurare maggiore verticalità nelle conduzioni palla. Contro il Benevento si è rivisto in campo Donsah, tormentato da problemi fisici lo scorso anno e quasi mai in condizioni ottimali, ma fondamentale per l’unicità delle sue caratteristiche. Nessun centrocampista in rosa riesce ad abbinare potenza fisica e sensibilità tecnica come lui, oltre a una tensione verso la porta che lo ha portato a segnare all’esordio contro il Benevento con una corsa di 50 metri che ha spezzato la flebile resistenza in transizione degli avversari.

Dalla cessione di Diawara rimane il problema del giocatore da mettere davanti alla difesa, e come detto per ora sono stati provati Pulgar contro il Torino, e Poli contro il Benevento. Ma entrambi non sembrano avere la precisione e la tranquillità per giocare palloni in una zona di campo tanto sensibile. Con le ali che vengono così tanto dentro al campo sarà fondamentale la spinta dei laterali bassi per garantire ampiezza. A sinistra Masina è chiamato ad alzare il proprio livello di gioco, ma sembra trovarsi meglio in combinazione con Di Francesco, che gli lascia spazio sul binario, che con Krejci con cui si pestava un po’ i piedi. Come sua riserva è stato preso dal Birmingham Cheick Keita, terzino mancino classe ’96 con un passato alla Virtus Entella: molto tecnico e bravo nel dribbling, il suo impatto sulla categoria è tutto da verificare, sia nell’affidabilità difensiva che nell’aspetto fisico, visto che sembra ancora un po’ leggero. Dall’altra parte sta giocando Torosidis, diventato con gli anni più remissivo nella spinta. Le alternative, Krafth e Mbaye, sono comunque più conservative.

La squadra che si è vista in queste partite sembra aver abbracciato un pragmatismo che vuole compensare con l’attenzione tattica e l’agonismo i propri difetti strutturali. Il Bologna ha controllato poco il pallone e ha giocato in verticale, lungo, appena possibile. Al momento è la terza squadra in Serie A per palloni lunghi sbagliati. Il Bologna, almeno per ora, sembra aver capito che per passare un campionato tranquillo ha bisogno di scappare dalle ultime posizioni con la pancia vuota e la fame dei poveri.

4 punti nelle prime due partite hanno ovviamente dato entusiasmo a una piazza scoraggiata. I tifosi dovrebbero essere fiduciosi non tanto per la qualità del gioco, non ancora brillantissima, quanto per la determinazione mostrata dalla squadra. Interpretare i campionati di mezza classifica, sempre in bilico tra la parte destra e la sinistra, non è semplice: difficile convincere la squadra a correre se non gli si pone un obiettivo visibile davanti. Per questo il Bologna ha rischiato, sia lo scorso anno che quello prima, di lasciarsi inghiottire in zone di classifica che non dovrebbero competergli. Quante squadre dalle buone velleità, in passato, sono retrocesse nonostante una rosa sulla carta migliore di molte altre?

Nelle sue interviste Saputo usa molto spesso il verbo “to build”, costruire. Il Bologna non ha ancora la forza per puntare subito a un piazzamento europeo, ma dovrà fare di tutto per iniziare a costruire quelle premesse con una stagione convincente, più nel gioco che nei risultati. Mostrare un gioco brillante, ottenere qualche vittoria di prestigio, ricostruire finalmente un clima fiducioso e un’inerzia positiva attorno alla squadra. Più che nel piazzamento finale, insomma, il Bologna dovrà mettere cura nel percorso che lo precede.

Miglior scenario possibile

Il Bologna gioca con determinazione e nei primi mesi costruisce la propria salvezza. Dopo un rilassamento che fa perdere qualche punto in inverno, la squadra già praticamente salva in primavera inizia a giocare con la leggerezza di chi non ha niente da perdere. I giovani sono smaniosi di mettersi in mostra e Donadoni, man mano, costruisce un contesto tattico più coraggioso e offensivo per metterli a proprio agio. Il Bologna arriva nella parte sinistra della classifica, Destro segna 15 gol, Di Francesco va in Nazionale. I rossoblù gettano le basi per provare ad arrivare in Europa il prossimo anno.

Peggior scenario possibile

Un paio di sconfitte sfortunate fanno perdere fiducia alla squadra, che entra in un circolo di risultati negativi. Si infortunano Verdi e Taider. A dicembre l’unica vittoria rimane quella di Benevento, Destro non ha ancora segnato in campionato, la società però per qualche ragione continua a dare fiducia a Donadoni, che ha ormai perso la presa sul gruppo. A gennaio viene chiamato Mandorlini in panchina e tornano Diamanti e Gilardino in attacco, la squadra ottiene 3 vittorie e 2 pareggi nelle prime 5 partite, poi però fa una seconda parte e un finale di stagione deludenti e lotta fino alla fine per tirarsi fuori dalla zona retrocessione.

Possibile alternativa tattica

Se la squadra iniziasse a mostrare problemi di tenuta difensiva, Donadoni potrebbe mettere la difesa a 3. Lo scorso anno il 3-5-2 è stato usato con parsimonia ma buoni risultati. Con questo modulo è arrivata una delle vittorie più convincenti, un 4-1 al Chievo in cui Verdi è stato disancorato dalla fascia e ha brillato per creatività. Se guardate questo gol - dove Verdi è andato a sovraccaricare il lato sinistro - potete apprezzare anche l’efficienza di Krejci, schierato largo.

Giocatore da prendere al Fantacalcio

Verdi e Di Francesco sono molto amati dai fantallenatori italiani e non andranno via a poco prezzo. Considerando che da quest’anno sono classificati come trequartisti/attaccanti - a meno che non giochiate col Mantra - non vi conviene spenderci troppo. Una scommessa più rischiosa ma potenzialmente più redditizia è quella di Godfred Donsah. Ha sempre problemi fisici e anche quando è in forma non è detto che Donadoni rischi la sua attitudine offensiva. Dovesse star bene, però, potrebbe essere uno dei pochi centrocampisti a produrre bonus con continuità.

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