Venerdì 21 giugno, probabilmente sotto gli occhi del presidente Al-Sisi che ne ha voluto fortemente l’organizzazione e che sta seguendo in prima persona gli ultimi preparativi, i padroni di casa dell’Egitto e lo Zimbabwe daranno il calcio d’inizio della trentaduesima edizione della Coppa d’Africa.
Il teatro del primo atto sarà il Cairo International Stadium, storico stadio della nazionale egiziana che potrà così tornare a respirare a pieni polmoni il sostegno dei propri tifosi dopo circa 7 anni, dal momento che in seguito alla tragedia di Port Said del 1 febbraio 2012 è stato utilizzato solo a capacità ridotta per un paio di partite di qualificazione alla Coppa d’Africa nel 2014 e per un’amichevole nel 2017, così da evitare grossi assembramenti all’interno della capitale.
La Coppa d’Africa 2019 arriva dopo il Mondiale più deludente del continente africano in termini di risultati dal 1982, e quindi sull’onda calante dell’entusiasmo per il calcio continentale. In realtà la prima Coppa d’Africa estiva vanta motivi interessanti e solidi argomenti calcistici per poter mantenere intatta la sua fetta di visibilità.
Non sarà solo la Coppa d’Africa di Mané, Salah e Ziyech, ma anche un laboratorio per nazionali note e meno note che intendono proseguire, o ripensare, il loro processo di crescita; il Paese dei Faraoni sarà, infine, il terreno su cui allenatori africani si misureranno ancora una volta con i colleghi extrafricani, con la speranza di creare una scuola emancipata e coerente. e su cui i pesi massimi del continente che militano in Europa potranno consacrarsi anche con le proprie nazionali e puntare alla palma di migliori giocatori del mondo.
La Coppa d’Africa 2019 sarà anche l’occasione per valutare se le due decisioni più importanti adottate dal governo CAF di Ahmad Ahmad, al centro di numerosi scandali che vanno da corruzione a molestie sessuali, sono sostenibili. Aumentando il numero di partecipanti si corre il rischio “tecnico” di abbassare la qualità media del torneo e quello logistico di estromettere numerosi Paesi dalla possibile corsa all’organizzazione in futuro per mancanza di infrastrutture necessarie a ospitare 24 squadre.
Spostare la competizione dalla finestra invernale a quella estiva permette certamente ai calciatori che militano fuori dal continente di evitare di perdere parte della stagione con il club, ma dall’altra espone a ostacoli climatici di non poco conto. La gara inaugurale Egitto-Zimbabwe dovrebbe disputarsi con circa 30 gradi, e stiamo parlando di una partita che si giocherà alle ore 22.
Senegal e Marocco sono le favorite assolute?
Senegal e Marocco sono le uniche Nazionali africane reduci da un’ottima campagna nel Mondiale di Russia. Lo stato di ascesa è stato confermato anche nelle qualificazioni alla Coppa d’Africa, dove hanno vinto piuttosto agevolmente i propri gironi. Non c’è dubbio che siano le due nazionali che offrono le garanzie maggiori, in particolare il Senegal, primo nel ranking CAF e ventiduesimo in quello FIFA.
La chiave per queste due squadre è stata aver trovato due tecnici molto preparati. Aliou Cissé fu il capitano del Senegal che stupì il mondo ai Mondiali del 2002. Di quel Senegal, Cissé ha sempre conservato lo spirito della Teranga caro a Bruno Metsu, CT di quella spedizione nippocoreana, e a partire dal 2015 ha trovato il modo di instillarlo nei calciatori senegalesi. Il concetto di Teranga in lingua wolof rappresenta uno spettro di sensazioni e caratteristiche assai ampio che va dall’accoglienza e l’armonia tra le persone alla condivisione delle diversità e, in questo specifico caso, di obiettivi sportivi.
Questa serenità e unità di intenti era proprio ciò che mancava a una Federcalcio colpita da annose crisi dirigenziali e a un gruppo di calciatori pieni di talento che si sono formati nelle migliori scuole calcistiche europee;nell’ultimo biennio il Senegal è spesso parso una squadra matura e in grado di saper gestire i momenti della partita. Tutto ciò per merito di un’ossatura composta da calciatori al picco delle loro carriere, come Kalidou Koulibaly, Idrissa Gueye e Sadio Mané.
Sull’attaccante del Liverpool si basa l’approccio aggressivo del 4-3-3 di Cissé, impostato sul rapido recupero del pallone a ridosso dell’area di rigore avversaria e sfruttare le capacità in transizione dei giocatori offensive, e in particolare di Mané. Emblematica dell’approccio pragmatico di Cissé è una dichiarazione rilasciata nel settembre del 2017 al portale senegalese Galsenfoot.com: «Preferisco giocare come l’Atlético Madrid e vincere piuttosto che perdere giocando come il Barcellona».
L’ultima stagione è stata la più prolifica - oltre che la più vittoriosa - per Sadio Mané. Rischio appagamento? Nah.
A Bruno Metsu e alla sua maniera di approcciarsi alle persone è molto legato anche Hervé Renard, il CT del Marocco e unico selezionatore in grado di vincere due Coppe d’Africa con due nazionali differenti (Zambia 2012 e Costa d’Avorio 2015). In campo Renard, che a ogni partita deve fare i conti con gli enormi sbalzi umorali del focoso popolo marocchino, ha saputo sovrapporre qualità ed equilibrio, senza che l’una ostacoli l’altro. La fantasia e i guizzi di Ziyech, recuperato da Renard dopo l’esclusione del 2017, coesistono con la stabilità del resto della squadra e raramente finiscono per sbilanciare l’assetto sempre propositivo del 4-2-3-1.
Renard, portato in Africa dalla leggenda Claude Le Roy, ama adattarsi al materiale che ha a disposizione e dato che, come affermava il padre del calcio marocchino Père Jégo, «le caratteristiche fisiologiche dei marocchini assomigliano molto a quelle dei sudamericani» gli è sembrato ovvio puntare ad amalgamare il maggior numero di calciatori tecnici e schierare esterni dall’alto profilo atletico che possano offrire sempre uno sbocco alla manovra.
Una delle reti più importanti e belle - purtroppo per lui però inutili - segnate da Hakim Ziyech quest’anno: quella contro il Tottenham. :’(
Ciò che manca a Senegal e Marocco, magari, è la ciliegina su una torta più che deliziosa: vale a dire una classica punta che finalizzi la mole di gioco prodotta. Se tra i senegalesi la vena realizzativa di Sadio Mané può in parte sopperire, ma è troppo spesso l’unico ricorso immediato, il Marocco è ancora alla ricerca dell’identikit perfetto. Boutaïb ed En-Nesyri non convincono neppure Renard, ma siamo sicuri che per andare a rete ci sia davvero ancora bisogno proprio di un centravanti?
Chi sarà il gigante dai piedi d'argilla di quest'edizione?
Se ci dovessimo basare solo sul blasone e sui ricordi vincenti che ci provoca la lettura dei loro nomi, Camerun ed Egitto rientrerebbero tra le favorite del torneo. Finaliste dell’ultima edizione di Coppa d’Africa, sono le due nazionali che vantano più trionfi in questa competizione: sette l’Egitto, cinque il Camerun.
L’Egitto, se vogliamo, potrebbe anche essere accostata a Senegal e Marocco, per quanto leggermente inferiore a livello di rosa, per il solo fatto di giocare in casa. Quella egiziana però è una Nazionale che vive una pressione enorme, proprio in qualità di Paese organizzatore, nonostante non abbia dimostrato negli anni un gioco tale da poter indirizzare le partite e potenziare Mohamed Salah, due volte miglior calciatore africano e capocannoniere della Premier League negli ultimi due anni. L’Egitto, insomma, rischia di essere l’Argentina d’Africa, e Salah il suo Messi?
Dopo i terribili anni post-rivoluzione del 2011, i risultati con Cuper sono comunque arrivati (una finale di Coppa d’Africa e una qualificazione mondiale dopo 28 anni d’assenza), ma l’Egitto non ha lasciato buone sensazioni in Russia, riuscendo a perdere anche il match di chiusura contro l’Arabia Saudita.
Con Javier Aguirre in panchina, la situazione è certamente migliorata: rispetto a Cuper, il messicano ha subito puntato su un approccio più offensivo, un 4-2-3-1 per tentare di valorizzare le qualità di Momo e i risultati in termini realizzativi non si sono fatti attendere: miglior attacco delle eliminatorie con 16 reti in sei gare, nove in più rispetto al girone di qualificazione della scorsa edizione.
Considerando anche le due amichevoli fin qui disputate nella gestione Aguirre sono 17 in 8 partite: vale a dire una media di 2,1 gol a partita, quasi il doppio dell’1,3 ottenuto da Cuper in 40 gare. Il miglioramento è evidente, ma il dato è da prendere con le pinze, visto che due dei cinque avversari fin qui affrontati dal CT messicano si chiamano Niger ed eSwatini.
Un altro campanello d’allarme che non fa dormire sonni tranquilli agli egiziani è la scarsa forma dei nazionali di proprietà dell’Al Ahly, storicamente il club che offre il maggior numero di giocatori ai Faraoni. I membri del miglior club africano del XX secolo, che sono la colonna portante della nazionale, hanno lasciato molto a desiderare nell’ultima edizione di CAF Champions League.
Che dire invece del Camerun? I campioni in carica nel 2017 hanno vinto una delle edizioni meno esaltanti del terzo millennio, tra l’altro con numerose defezioni. Un successo più estemporaneo che frutto di programmazione, elemento su cui sta invece cercando di lavorare Clarence Seedorf, da circa un anno CT dei Leoni Indomabili.
Il ricambio generazionale del Camerun procede da tempo tra mille difficoltà gestionali. Il compito non è dei più semplici ed è diventato ancora più arduo senza l’apporto di calciatori del calibro di Nkoulou, Matip e dell’ex capitano Moukandjo - ritiratosi dalla nazionale dopo la presa di posizione di Seedorf nei confronti dei “cinesi” del gruppo, poi parzialmente rivista - almeno come sembrerebbe testimoniare la convocazione di Bassogog.
Questa decade non è stata fortunata come altre in termini di talento, e la corazzata che dominava l’inizio del millennio con Mboma ed Eto’o in attacco è un lontano ricordo. Oggi il calciatore di maggior spicco in rosa è Eric Choupo-Moting, riserva nel Paris Saint-Germain, chiamato a ergersi a leader di questa Nazionale; lo farà probabilmente con la fascia di capitano al braccio, ruolo che Seedorf ha fatto ricoprire a giro a gran parte della rosa. Per responsabilizzare tutti o per mancanza di veri condottieri?
Mica ci vorremo ricordare di Choupo-Moting per sempre per questa giocata?
In definitiva, per quanto la Coppa d’Africa sia un torneo altamente imprevedibile, è realistico e ragionevole che possa volerci un altro biennio per tornare a vedere un Camerun nuovamente al vertice. Magari con qualche giovane proveniente dall’U-17 laureatasi campione d’Africa lo scorso aprile.
Chi rappresenta il futuro calcistico del continente?
Mali e Nigeria si posizionano al secondo e terzo posto nella classifica delle rose più giovani della Coppa d’Africa: 24,3 l’età media del Mali e 24,8 quella della Nigeria; solo la Tunisia ha una rosa più giovane con 24 anni di media.
Un chiaro segnale lanciato dai due tecnici che, oltre ad attirare l’attenzione degli scout di tutto il mondo, potrà portare enormi benefici nel futuro a lungo termine.
A cavallo tra il 2012 e il 2013 - periodo in cui la Coppa d’Africa è stata spostata dagli anni pari a quelli dispari - le due Nazionali hanno ottenuto risultati eccellenti. Due terzi posti per le Aquile di Seydou Keita, Mohamed Sissoko e dell’ex bomber-per-sei-mesi del Benevento Cheick Diabaté. Un trionfo finale nel 2013 per le Super Aquile, un mix dei migliori elementi delle generazioni degli anni ‘80 capitanati da Joseph Yobo.
In seguito a questi exploit, entrambe le selezioni hanno trascorso periodi di vacche magre. Nel 2015 e nel 2017 il Mali è stato eliminato ai gironi, raccogliendo la miseria di 5 punti in 6 partite; la Nigeria ha fatto addirittura peggio, non qualificandosi a nessuna delle due edizioni successive alla vittoria.
Ora, invece, per la naturale alternanza tra recessione e prosperità, è giunto il momento di godere di nuove ed entusiasmanti generazioni. In questo senso è fondamentale il lavoro di reclutamento e di formazione primaria di due Paesi che possono contare su alcune delle accademie calcistiche più floride del continente.
Il Mali sta letteralmente dominando le ultime edizioni di Coppa d’Africa U17 e U20: due trionfi nel 2015 e nel 2017 nella prima; campione in carica della seconda, a cui è seguito un ottimo Mondiale di categoria in cui si è messa in mostra la stella di Sekou Koïta, che raggiungerà i connazionali della maggiore in Egitto. Le accademie e società della capitale Bamako non si lasciano sfuggire nulla. Su tutte la Real Bamako e la JMG Academy, da cui la Red Bull ha cooptato Haidara e Samassékou, uno dei sette U-23 chiamati da Magassouba.
Un buon motivo per portarti Koïta anche in Coppa d’Africa.
In Nigeria, invece, tra le illimitate scuole calcio che proliferano nel Paese africano per distacco più popoloso - si avvicina inesorabilmente ai 200 milioni di abitanti - una menzione particolare spetta alla GBS Academy che dei ventitré scelti da Rohr ha svezzato Ahmed Musa, Moses Simon e Samuel Kalu.
John Obi Mikel è ricomparso - ci credereste che ad oggi è free agent? -, ma le nuove leve avanzano e il CT tedesco ha scelto di assecondare il moto rivoluzionario affidandosi a otto U-23: i tre classe 1996 (Ola Aina, Iwobi e Ndidi); i tre classe 1997 (Awazie, Onyekuru e lo stesso Kalu); il 1998 Uzoho, portiere titolare; e il 1999 Samuel Chukwueze del Villareal, atteso come una delle next big thing de La Liga.
A proposito di mostri sacri: Ghana e Costa d’Avorio sono in un cul-de-sac?
La legge non scritta dell’alternanza tra recessione e prosperità ha colpito, in questo caso negativamente, altre due delle nazionali più riconosciute d’Africa. Ghana e Costa d’Avorio sono state una piacevole costante ai Mondiali nel nuovo millennio, ma dal 2015, anno in cui sono finite entrambe in finale di Coppa d’Africa, qualcosa è andato storto e non si sono qualificate alla rassegna iridata del 2018.
Il Ghana è quattro volte campione d’Africa ed è la selezione più costante del continente: dalla prima partecipazione al torneo, ha disputato almeno una finale in ogni decade. Recentemente, però, gli scandali di corruzione che hanno portato all’arresto dell’ex presidente federale Nyantakyi il 23 maggio 2018, allo scioglimento della federazione e alla sospensione del campionato per circa un anno hanno devastato il calcio locale.
Il caos federale si è ripercosso chiaramente anche sulla nazionale, il cui spogliatoio è stato spesso teatro di scontri verbali. Per ultimo l’alterco che ha visto protagonista il miglior marcatore africano nella storia dei Mondiali. Asamoah Gyan si è prima ritirato a poche settimane dalla Coppa d’Africa perché il CT James Kwesi Appiah gli ha tolto la fascia di capitano e poi è salito nuovamente a bordo dell’aereo per l’Egitto per intercessione del presidente del Ghana Akufo-Addo.
Il declino della Costa d’Avorio, al contrario, è un processo più fisiologico e naturale. La generazione d’oro allevata dal francese Jean-Marc Guillou all’ASEC Mimosas e capace di qualificarsi a tre Mondiali consecutivi dal 2006 al 2014, ha sollevato al cielo il suo primo e unico alloro nella finale di Coppa d’Africa del 2015. Lo ha fatto all’ultimo appuntamento utile, e tra l’altro senza Drogba, qualsiasi cosa possa significare. Molti calciatori dopo quel trionfo hanno detto basta alla Nazionale (sono solo cinque i superstiti), la federazione è entrata in crisi e la Costa d’Avorio ha dovuto ricominciare da capo. Ma per costruire un ciclo vincente ci vogliono anni, e soprattutto fuoriclasse che forse la Costa d’Avorio oggi non ha. A meno che non siate tra quelli che ritengono tale Nicolas Pépé.
La Coppa d’Africa sposterà gli equilibri per il prossimo Pallone d'Oro?
Mohamed Salah e Sadio Mané li conosciamo tutti. Che da due anni siano rispettivamente il miglior e il secondo miglior calciatore africano secondo la CAF se non lo sappiamo possiamo immaginarlo. Che possano vincere il Pallone d’Oro 2019 potrebbe suonare strano nell’era di Messi vs. Ronaldo, ma è un’ipotesi che dovremmo prendere in forte considerazione.
Il Pallone d’Oro dovrebbe premiare il miglior calciatore della singola stagione, ma nel corso degli anni si è finiti per eleggere il più vincente tra i calciatori migliori. Nel 2018 Luka Modrić, campione d’Europa col Real Madrid e vice-campione del mondo con la Croazia, ha spezzato il duopolio apparentemente indistruttibile dell’Argentino e del Portoghese. Nell’anno in cui Messi ha vinto “solo” la Liga, CR7 “solo” un paio di trofei in Italia e la ancora poco sentita Nations League, Salah e Mané si candidano seriamente per riportare il Pallone d’Oro sulle mani di un africano dopo il successo di George Weah nel 1995.
Con il Liverpool Salah e Mané si sono laureati campioni d’Europa, hanno sfiorato il ritorno alla vittoria in Premier League - con 97 punti avrebbero vinto qualunque altro top campionato europeo - e sono finiti a braccetto in cima alla classifica capocannonieri con 22 reti. Se Messi non compirà il miracolo di riportare la Copa América in Argentina (e i presupposti non sono proprio rosei), un eventuale trionfo in Coppa d’Africa di Egitto o Senegal potrebbe avere un peso specifico importante nella corsa al prossimo Pallone d’Oro?
Il caro vecchio Allenatori africani vs. Allenatori non africani
Nel 2017 in Gabon gli allenatori africani in Coppa d’Africa erano quattro su sedici, esattamente il 25% del totale.
Quest’anno invece gli allenatori africani rappresentano il 45,8% dei tecnici e questo è un dato eloquente delle intenzioni delle federazioni, finalmente convinte a puntare su tecnici locali. Troppo spesso il complesso di inferiorità calcistica di cui soffrono molti africani nei confronti degli europei e dei sudamericani, figlio del binomio allenatore europeo/sudamericano = vittoria che si forma nella testa dei dirigenti del continente nero, ha diminuito le possibilità per i tecnici autoctoni e rallentato il loro processo di crescita. Talvolta per lasciare spazio ad allenatori extra-fricani in cerca di riscatto o lauta pensione o addirittura a figure professionali dal curriculum scarso o pressoché inesistente.
C’è di più: quello degli “stregoni bianchi”, come vengono popolarmente soprannominati i tecnici principalmente europei che allenano in Africa, non è un fenomeno legato alle mode del momento, ma piuttosto il prodotto delle tante lacune in fatto di formazione a livello locale e allo stesso tempo una sorta di garanzia contro le simpatie di matrice etnica, come spiegano Tado Oumarou e Pierre Chazaud in Football, religion et politique en Afrique.
Djamel Belmadi.
Finalmente in questo senso si stanno facendo dei passi in avanti e sarà interessante osservare l’operato dei CT africani. In attesa di poter celebrare l’apertura di centri di formazione un po’ ovunque in giro per l’Africa, sarebbe opportuno guardare ai modelli di Senegal, come visto sopra, oppure RD Congo e Algeria.
Ibengé è probabilmente il progetto più solido e duraturo del continente, dato che siede sulla panchina dei Leopardi - e al tempo stesso dell’AS Vita - dal 2014 con ottimi risultati: un terzo posto e un quarto di finale in Coppa d’Africa e una vittoria nel 2016 nel Campionato d’Africa per Nazioni, in sostanza la Coppa d’Africa esclusiva per i calciatori africani che militano in Africa. Eppure non è riuscito a portare il Congo RD ai Mondiali di Russia nel testa a testa con la Tunisia di un altro africano Nabil Maâloul.
Ha finalmente guardato in casa anche l’Algeria di Kheireddine Zetchi. Il presidente eletto nel 2017 è uno dei fondatori del Paradou AC e tra i promotori della sua accademia implementata nel 2007 da Olivier Guillou, nipote del celebre Jean-Marc che tanti talenti ha coltivato sul suolo africano. Parte del programma di Zetchi consiste proprio nello sviluppare nuove accademie per la formazione di un maggior numero di calciatori all’altezza della nazionale, per evitare di continuare a dipendere troppo dalle diaspore. Dalla diaspora, francese, Zetchi ha pescato l’uomo da mettere al comando di una nazionale anch’essa in ricostruzione.
Si tratta del “giovane” Djamel Belmadi, 43enne nato in Francia da immigrati algerini. Sconosciuto ai più, ha portato una ventata d’aria fresca tra le Volpi del Deserto, inserendo gradualmente tutti gli elementi “italiani” che tanto bene hanno fatto quest’anno in Serie A, vale a dire Bennacer, Fares e Ounas.
Chi dovremo seguire con particolare attenzione?
Tra i 552 calciatori che prenderanno parte alla Coppa d’Africa rischiando di scottarsi figurano Pelé, Romario Baggio (insieme) e Trezeguet. Lasciando da parte le reincarnazioni più o meno riuscite di campioni del passato, qui vi lasciamo sei nomi da appuntarsi, osservare e imparare a pronunciare sotto l’ombrellone.
Trésor Mputu Mabi (RD Congo, TP Mazembe)
Il cervello del centrocampo congolese non ha mai abbandonato il proprio Paese, continuando a deliziare il continente africano con la sua magia (calcistica), e offre un’alternativa alla rotta europea per diventare un campione.
Qualità video del TP Mazembé discutibile, ma il guizzo di Mputu Mabi è notevole lo stesso.
Michael Ngadeu-Ngadjui (Camerun, Slavia Praga)
È alto, forte di testa ed è uno dei pilastri della rivoluzione che ha riportato lo Slavia Praga al titolo in Repubblica Ceca. E poi ha un nome meraviglioso, musicale.
Baghdad Bounedjah (Algeria, Al Sadd)
Miglior marcatore mondiale nell’anno solare 2018 con 59 gol in 40 partite, what else?
Senza dare l’impressione di faticare troppo, per giunta.
Percy Tau (Sudafrica, Union Saint-Gilloise)
Con due golazos ha fatto piangere la Libia e qualificato il Sudafrica nell’ultima decisiva gara di qualificazione: rapidità, sinistro, destro e danza sfrenata.
Youssef Msakni (Tunisia, Eupen)
I cosiddetti petroldollari del Qatar lo hanno strappato per troppo tempo a platee sicuramente più desiderose di aprire la bocca di fronte al suo genio. Ha saltato il Mondiale di Russia per infortunio. Ora è tornato.
Msakni segna migliori gol della Coppa d’Africa dal 2013.
Samuel Chukwueze (Nigeria, Villarreal)
Dribblatore seriale delle difese de La Liga, è una delle nuove sensazioni del calcio mondiale. Cinque reti e due assist hanno convinto Rohr a scipparlo alla nazionale U-20 impegnata nel Mondiale di categoria.