Quelle che si terranno domani a Zurigo sono probabilmente le più importanti elezioni mai tenute nei 112 anni di storia della FIFA. Dopo 41 anni di regno incontrastato, l’era Havelange-Blatter, forse la più influente insieme a quella Rimet, è finita nel peggiore dei modi: lo scorso 27 maggio, due giorni prima delle elezioni che avrebbero rieletto momentaneamente Blatter a presidente della FIFA, sette alti funzionari dell’organizzazione venivano arrestati a Zurigo aprendo il più grande scandalo di corruzione nella storia del calcio.
Quell’operazione, diretta dal procuratore generale degli Stati Uniti Loretta Lynch (che secondo alcuni potrebbe addirittura riempire il seggio della Corte Suprema rimasto vacante dopo la morte del giudice Scalia), ha avuto però effetti più vasti di quanto ci si aspettasse inizialmente.
Sepp Blatter si è fatto da parte pochi giorni dopo la rielezione, convocando il congresso straordinario di oggi. Michel Platini, inizialmente considerato il grande favorito alla successione, è stato costretto a ritirarsi dalla corsa alla successione dalla stessa FIFA, che il 21 dicembre scorso l’ha squalificato per otto anni (poi ridotti a sei) da qualunque attività calcistica per un controverso pagamento di circa due milioni di dollari ricevuto proprio da Blatter. Infine Jérôme Valcke, ex segretario generale della FIFA, è stato licenziato dall’organizzazione lo scorso 13 gennaio a seguito della sua sospensione da parte del comitato etico per una presunta frode legata alla vendita dei biglietti dei Mondiali.
L’azzeramento dei precedenti vertici dirigenziali ci ha lasciato quindi un’inedita situazione di incertezza a cui, dopo cinque elezioni consecutive di Blatter (due delle quali in cui era l’unico candidato), non eravamo più abituati. Lo stesso Blatter si è rifiutato di indicare il suo possibile successore ma ha rivelato che “quattro dei cinque candidati” lo hanno chiamato per chiedergli una qualche forma di sostegno ufficiale.
Al di là della veridicità delle dichiarazioni di Blatter, i cinque candidati rappresenterebbe tutti comunque una certa continuità con il passato, nell’incuranza di alcuni temi che avrebbero dovuto essere al centro delle loro campagne elettorali: la trasparenza e il rispetto dei diritti umani. Nessun candidato, infatti, si è impegnato a firmare la lista completa di promesse per combattere corruzione e violazioni dei diritti umani stilata da un gruppo di cinque ONG (tra cui Amnesty International e Human Rights Watch), principalmente perché chiama in causa esplicitamente i Mondiali in Russia del 2018 e quelli in Qatar del 2022. La riluttanza della maggior parte di loro, inoltre, ha affossato qualunque proposta di dibattito pubblico (prima quelli televisivi di BBC e ESPN, poi quello dal vivo presso il Parlamento europeo), minando alla base quel controllo dell’opinione pubblica che dovrebbe garantire almeno in teoria il processo di democratizzazione e trasparenza della FIFA.
I cinque candidati in lizza, che si ritroveranno di fronte direttamente al congresso straordinario insieme ai 207 membri della FIFA sono: Jérôme Champagne, Tokyo Sexwale, Ali bin Hussein, Gianni Infantino e Salman bin Ibrahim Al-Khalifa. Per vincere dovranno assicurarsi almeno i due terzi dei voti (138) al primo turno, o almeno la metà più uno (104) dal secondo turno in poi.
Jérôme Champagne
Il candidato più improbabile e attualmente più lontano dalla vittoria è forse Jérôme Champagne. Ex diplomatico francese, attivo tra gli anni ’80 e ’90 in Oman, Cuba, Stati Uniti e Brasile, Champagne è entrato nel mondo del calcio nel 1998, quando era consigliere diplomatico e Capo del Protocollo del comitato organizzatore dei Mondiali francesi (ma in gioventù è anche stato uno dei reporter di France Football). In quella veste ha conosciuto Blatter, al tempo al suo primo Mondiale da presidente, che lo ha fatto entrare nella FIFA inizialmente come consigliere internazionale.
Dentro la FIFA, Champagne si è occupato soprattutto di iniziative di promozione della pace attraverso il calcio (in Palestina e in Africa, per esempio), ma è soprattutto stato uno degli uomini forti di Blatter dietro le quinte. Sembra che Champagne, infatti, abbia avuto un ruolo fondamentale nella rielezione dello svizzero nel 2002 e nell’organizzazione del Mondiale sudafricano del 2010, fortemente voluto proprio da Blatter. Uscito dalla FIFA nel 2010, Champagne ha continuato a occuparsi di calcio applicato alle relazioni internazionali, collaborando per esempio con le federazioni di Kosovo e Cipro per la risoluzione dei relativi conflitti. La sua candidatura alla presidenza della FIFA, però, non è nuova, avendola presentata anche l’anno scorso (ma si ritirò prima delle elezioni).
Da esperto animale politico qual è, Champagne ha deciso di cavalcare uno dei temi più caldi di questa campagna elettorale: la trasparenza. Non è un caso che il francese sia l’unico tra i cinque candidati ad aver sempre accettato di partecipare ai dibattiti pubblici proposti (quello al Parlamento Europeo, disertato dagli altri, si è trasformato sostanzialmente in una sua conferenza stampa). Per mostrarsi ancora più vicino all’opinione pubblica, inoltre, Champagne ha deciso di autofinanziare al 100% la propria campagna elettorale e di twittare personalmente sul suo account ufficiale.
Se si passa dalla campagna elettorale al programma, però, la trasparenza perde la sua centralità. Nel manifesto di Champagne la questione è trattata solo al punto 3.1, circa a metà del documento, e prevede soluzioni condivisibili ma nient’affatto rivoluzionarie come la pubblicazione del proprio stipendio, il rafforzamento del codice etico e l’affidamento dei contratti commerciali della FIFA ad un organo autonomo dal famigerato Comitato Esecutivo.
Al contrario, leggendo le proposte di Champagne non si può non notare la sua sostanziale continuità con Blatter, tanto che il primo capitolo della lettera che riassume i suoi impegni in caso di elezione si chiama “Continuare ciò che è stato fatto bene negli ultimi quarant’anni”.
Le proposte di Champagne vengono ben riassunte dal titolo (“Hope for Football”, Speranza per il Calcio, dove le parti in grassetto fanno comparire la scritta “Hope for All”, Speranza per Tutti) e dal sottotitolo della campagna (“Ribilanciare il gioco in un 21esimo secolo globalizzato”). L’obiettivo dell’ex diplomatico francese è quello di democratizzare la FIFA attraverso due mosse: da una parte, l’elezione diretta dei membri del Comitato Esecutivo da parte del Congresso (attualmente vengono nominati dalle confederazioni regionali), assegnando inoltre un seggio aggiuntivo a tutti i continenti non europei; dall’altra l’allargamento ulteriore della FIFA agli stati “periferici”, vero e proprio cavallo di battaglia del sistema Blatter (la FIFA ha già 209 membri; l’ONU, per intenderci, ne ha 193).
Oltre agli stati insulari del Pacifico (come Kiribati, le isole Marshall, Nauru, Palau e la Micronesia), il piano di Champagne prevede anche l’inclusione di Stati non pienamente riconosciuti o non indipendenti come il Kosovo, i cinque dipartimenti francesi d’oltremare (come la Guyana francese) e i territori autonomi amministrati dagli Stati Uniti (come Porto Rico).
Al di là dell’aspetto politico, la misura sarebbe anche economica. Il programma di Champagne prevede infatti il raddoppiamento del programma di assistenza finanziaria alle 100 federazioni con il budget minore e addirittura lo stanziamento di circa 30 milioni di dollari annuali per gli spostamenti interni ed esterni delle federazioni nazionali insulari dell’Oceania e dei Caraibi.
È quasi impossibile, però, che vedremo realizzato il bizzarro programma di Champagne. Il candidato francese, infatti, non ha ricevuto nessun endorsement ufficiale, se si escludono quelli di alcune vecchie glorie del calcio, come Pelé, Weah e Robbie Keane, prestigiosi ma poco utili ai fini dell’elezione in sé.
Tokyo Sexwale
Un altro candidato quasi del tutto fuori dai giochi è Mosima Gabriel Sexwale, detto Tokyo (per via della sua passione giovanile per il karate). Unico candidato africano in lizza, Tokyo Sexwale è uno dei miti minori della lotta sudafricana contro l’apartheid. Dopo essere stato membro del braccio armato dell’African National Congress in gioventù, nel 1977 Sexwale è stato rinchiuso a Robben Island insieme a Mandela. Liberato nel 1990, l’attivista sudafricano ha poi fatto carriera politica nel nuovo Sud Africa durante tutti gli anni ’90: nel 1991 è diventato uno dei direttori dell’ANC, nel 1994 governatore della provincia di Guateng.
Anche in questo caso l’anno di svolta è il 1998, quando Sexwale ha deciso di abbandonare il mondo politico per entrare in quello imprenditoriale. La sua azienda, la Mvelaphanda Group, è diventata in poco tempo uno dei più grandi conglomerati mondiali per quanto riguarda l’estrazione di materie prime, come oro, petrolio, platino e soprattutto diamanti. In questa nuova veste, Sexwale si è trasformato in un miliardario eccentrico e alla continua ricerca di visibilità (nel 2005 ha addirittura partecipato alla versione sudafricana di The Apprentice, il reality show sull’imprenditoria che in Italia ha avuto come soggetto Briatore).
Forse è sempre in quest’ottica che deve essere letto il suo rapporto con la FIFA. Nel giugno del 2015, infatti, Sexwale è stato messo a capo del comitato di controllo volto alla risoluzione delle controversie tra la federazioni calcistica israeliana e quella palestinese, dopo che quest’ultima aveva minacciato di proporre la sospensione della prima al Congresso della FIFA.
Nonostante ciò, la campagna elettorale di Sexwale è stata sorprendentemente silenziosa. Il magnate sudafricano ha limitato al minimo le apparizioni in pubblico ed è l’unico candidato a non avere un sito dedicato alla propria campagna.
Il suo manifesto è scarno e approssimativo. Al di là dell’elezione diretta dei membri del comitato esecutivo, proposta anche da Champagne, al suo interno è contenuto un impegno generico per la lotta alla discriminazione razziale, lo sradicamento degli abusi sui minori che si avvicinano al calcio, l’inclusione delle donne e il rafforzamento del calcio femminile.
Sul tema della trasparenza non c’è quasi nulla, a parte la creazione di un organo consultivo (denominato FIFA International Advisory Board) con il potere di informare la FIFA sulle principali criticità. Anche per quanto riguarda il tema dei diritti umani Sexwale è stato piuttosto vago, pubblicando il 12 febbraio un comunicato stampa in cui si legge che “il calcio, come tutti gli sport, deve essere esemplare nel più alto rispetto dei diritti umani”.
Non desta quindi particolare stupore il fatto che la candidatura di Sexwale non abbia racimolato nessun sostegno ufficiale. Alcuni commentatori si aspettavano addirittura che il sudafricano si ritirasse, dopo che la stessa confederazione africana di calcio gli ha voltato le spalle appoggiando ufficialmente Salman.
La strategia di Sexwale sembra invece essere quella di presentarsi ugualmente al congresso per convogliare la propria influenza su uno dei candidati più forti, molto probabilmente Infantino. Così, a fine gennaio Sexwale si è detto aperto a possibili alleanze e nemmeno un mese dopo ha visitato Robben Island proprio con il segretario generale dell’UEFA.
Se i voti portati da Sexwale fossero decisivi per la vittoria, Infantino potrebbe offrirgli in cambio la poltrona di Segretario Generale. Interpellato sulla questione, infatti, Infantino ha proposto una figura non europea per ricoprire la carica: “Perché non africano?”.
Ali bin Hussein
Al contrario di Champagne e Sexwale, il principe giordano Ali, secondo figlio del re di Giordania Hussein, potrebbe rappresentare il metaforico ago della bilancia tra i due contendenti principali, Infantino e Salman. Ali ha la tipica storia del membro della famiglia reale mediorientale. Ha studiato nelle migliori università di Regno Unito e Stati Uniti, ed inizialmente ha pensato di perseguire una carriera militare all’interno del regno del padre diventando comandante delle guardie reali giordane. La sua passione, però, è sempre stata lo sport: mentre era alla Salisbury School, un prestigioso college del Connecticut, ha praticato wrestling con ottimi risultati.
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Il suo rapporto col calcio inizia nel 1999 quando diventa presidente della federazione giordana di calcio. L’anno successivo il suo sguardo inizia ad andare oltre i confini nazionali e fonda la federazione dell’Asia occidentale di calcio, che oggi, oltre alla Giordania, conta altri 12 membri mediorientali (tra cui il Bahrein, patria dell’avversario Salman).
Nel 2011 inizia la sua scalata alla FIFA diventandone vicepresidente grazie ai voti della confederazione asiatica. In questa veste, Ali è stato uno dei più grandi oppositori a Blatter. Il principe giordano, infatti, è stato uno dei membri FIFA che più ha richiesto la pubblicazione del cosiddetto rapporto Garcia (l’investigazione interna che di fatto ha portato all’esplosione dello scandalo corruzione) e nell’estate del 2015 è stato l’unico candidato ad opporsi a Blatter, raccogliendo 73 voti.
Ma a nemmeno otto mesi da quel voto, il panorama è completamente cambiato. Quei 73 voti, infatti, provenivano principalmente dall’UEFA, che oggi appoggia ufficialmente Infantino. Anche la sua confederazione di provenienza, quella asiatica, gli ha girato le spalle appoggiando l’altro candidato forte, lo sceicco Salman.
È per questo motivo che Ali ha deciso di portare avanti una campagna elettorale accesa e aggressiva, volta a presentarlo come unica e ultima speranza di salvezza per la FIFA: “Sto cercando di salvare la FIFA e di riportarla sulla giusta strada. Febbraio è il mese più importante nella storia della governance sportiva”, ha dichiarato recentemente.
La sua strategia ha quindi previsto prima l’attacco frontale nei confronti di uno dei due candidati forti, Salman (il 15 gennaio lo ha accusato di voler manipolare il voto, accordandosi con la confederazione africana - che rappresenta il bacino più grande di voti con i suoi 54 membri - per un voto di blocco), e poi il tentativo di posticipare il congresso straordinario dopo che la sua richiesta di utilizzare teche trasparenti durante la votazione è stata rifiutata dalla FIFA.
Anche il suo programma si fonda su diverse riforme radicali che Ali riassume visivamente nel cosiddetto circolo virtuoso tra sviluppo, calcio e successo commerciale. Per quanto riguarda il primo punto, Ali prevede la quadruplicazione dei trasferimenti finanziari alle federazioni nazionali che, sotto la sua amministrazione, passerebbero da 250mila dollari annuali a un milione. Questi soldi dovrebbero essere convogliati nei rami svantaggiati (calcio femminile, giovanile o alternativo, come il futsal) e nel rafforzamento delle infrastrutture, a partire dagli stadi. La parte più propriamente calcistica, invece, si concentra sulla riforma del sistema del ranking delle Nazionali, l’utilizzo in campo della tecnologia e sull’allargamento della Coppa del Mondo da 32 a 36 squadre.
E per quanto riguarda diritti umani e trasparenza, i due temi caldi della campagna elettorale (almeno per il pubblico), Ali non si è fatto trovare impreparato. Il principe giordano nel suo programma propone la creazione di standard FIFA riguardanti la sicurezza e i diritti dei lavoratori da imporre ai prossimi paesi ospitanti dei Mondiali. Il 18 febbraio, inoltre, ha promesso la creazione di un organo autonomo (il FIFA Oversight Group), capeggiato addirittura dall’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, per il controllo indipendente del processo di riforma della FIFA.
Lo stile e le promesse di Ali hanno fatto presa su pubblico (un sondaggio condotto dall’organizzazione New FIFA Now tra 16.500 persone lo indica come il candidato preferito, con il 28,6% dei voti) e personalità eminenti (come l’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter), ma nonostante ciò il principe giordano ha scarse possibilità di poter arrivare alla presidenza. Potrebbe comunque essere decisivo per l’elezione di uno tra Infantino e Salman, erodendo il blocco asiatico e africano da una parte o dall’altra.
La federazione egiziana, staccandosi dal voto confederale, ad esempio, ha annunciato il suo appoggio a Ali. E anche se il principe giordano ha dichiarato di non voler fare giochi politici al congresso, le federazioni che lo appoggiano oggi dovranno prima o poi prendere una decisione (soprattutto considerando che ad ogni turno di voto il candidato con meno preferenze viene eliminato). In questo senso, il voto segreto previsto dal protocollo FIFA aiuterebbe Ali a convogliare i propri voti su un altro candidato senza perdere la faccia.
Gianni Infantino
Gianni Infantino è probabilmente il più conosciuto tra i cinque candidati, almeno in Europa, per via delle sue sobrie presentazioni dei sorteggi delle principali competizioni UEFA, che l’hanno fatto diventare un idolo social. Ma Infantino è prima di tutto un avvocato svizzero con origini italiane e un’incredibile capacità di apprendere le lingue (sa fluentemente l’inglese, il francese, il tedesco, l’italiano e lo spagnolo).
Prima della sua carriera nell’UEFA, iniziata nel 2000, Infantino cresce professionalmente nel CIES, il centro internazionali di studi sportivi. Dentro la confederazione europea di calcio, l’avvocato svizzero ricopre diversi ruoli: prima il direttore degli affari legali, poi direttore della divisione club licensing ed infine segretario generale, nel 2009. In questa veste, Infantino diventerà uno dei più stretti collaboratori di Michel Platini, che non abbandonerà nemmeno dopo la squalifica da parte della FIFA. In una recente intervista all’Associated Press, infatti, Infantino ha ammesso di aver continuato a consultarsi con Platini anche dopo la sua squalifica.
Infantino, quindi, non rappresenta la rottura radicale con il passato del principe Ali, ma più che altro una transizione verso il futuro morbida, senza rivoluzioni: Taking Football Forward, come recita il rilassante titolo della sua campagna elettorale.
Anche le sue uscite in pubblico sono state misurate e senza isterismi, con la volontà di presentare Infantino come un candidato capace di promuovere le riforme senza spaccare ulteriormente un’organizzazione nel bel mezzo della più grande crisi della sua storia. L’avvocato svizzero, ad esempio, ha disinnescato con una sincerità coraggiosa alcuni temi potenzialmente esplosivi: ha ammesso sul suo stesso sito i 500mila euro donati dall’UEFA per promuovere la sua campagna e ha dichiarato che la FIFA non si deve vergognare di fare soldi a patto che lo faccia in maniera trasparente.
Il suo programma si basa su tre “pilastri” fondamentali: riforme; democrazia e partecipazione; sviluppo del calcio.
Nel primo pilastro vengono incluse sostanzialmente due questioni e cioè la riforma del comitato esecutivo (vero e proprio vaso di Pandora dello scandalo corruzione) e l’aumento della trasparenza. Il primo verrebbe rinominato (da comitato esecutivo a consiglio della FIFA) e svuotato di gran parte del suo potere, nonostante le riforma preveda l’introduzione di ben 13 nuovi membri. Nel testo del manifesto, infatti, si legge che “l’organo non avrà nessuna responsabilità manageriale o esecutiva diretta diversa dal nominare il Segretario Generale”. Accanto al consiglio della FIFA verrebbe creato anche un altro organo consultivo, chiamato Football Stakeholders’ Committee, in rappresentanza delle leghe nazionali, i club e i giocatori. Per il resto, il primo pilastro si traduce in diverse misure volte alla separazione chiara dei poteri tra gli altri organi della FIFA e la pubblicazione di qualunque transizione finanziaria rilevante, dagli stipendi degli alti funzionari fino ai contratti commerciali.
Col secondo pilastro, il programma di Infantino cerca di dare un maggior potere sulla direzione dell’organizzazione alle federazioni nazionali e più in generale al congresso plenario della FIFA, sempre a scapito dell’attuale comitato esecutivo.
Il terzo e più controverso pilastro, quello che tratta dello sviluppo calcistico, contiene una serie di riforme volte alla redistribuzione dell’immensa fortuna accumulata dalla FIFA sotto la gestione Blatter (circa un miliardo e mezzo di dollari al 2014). Il piano di Infantino è ambizioso e prevede: 5 milioni in quattro anni a tutte le federazioni nazionali; 40 milioni in quattro anni a tutte le confederazioni regionali; un milione in quattro anni per le spese di viaggio delle federazioni più bisognose; 4 milioni in quattro anni per ogni associazione regionale giovanile. Un piano finanziariamente mastodontico che secondo il principale avversario di Infantino, lo sceicco Salman, porterebbe la FIFA alla bancarotta.
Un altro punto forte del terzo pilastro è la riforma dei Mondiali, che passerebbero da 32 a 40 squadre e non verrebbero più organizzati da unico paese ma verrebbero “spalmati” su regioni più ampie (sul modello del Mondiale nippo-coreano del 2002). Un’idea che ancora una volta Infantino ha ripreso da Platini, che ha allargato l’Europeo del 2016 da 16 a 24 squadre e ha deciso di coinvolgere ben 13 stati europei diversi in quello del 2020.
Per adesso, Infantino ha raccolto il sostegno ufficiale di UEFA, CONMEBOL (la confederazione sudamericana) e una parte della CONCACAF (la confederazione di Nord America, Centroamerica e Caraibi). In assenza di soprese, quindi, Infantino dovrebbe raccogliere intorno ai 70 voti, una cifra che non gli permetterebbe di arrivare alla presidenza nemmeno dal secondo turno. Ma le cose potrebbero cambiare se il fronte africano e asiatico che attualmente sostiene Salman si dimostrasse meno solido di quanto appare adesso. In questo senso, sapremo solo domani quanto contribuiranno il sostegno di Sexwale e gli astuti viaggidiplomatici di Infantino.
Salman bin Ibrahim Al-Khalifa
Il grande favorito, come si dice in questi casi, è lo sceicco Salman, membro della famiglia reale del Bahrain. Dopo essersi laureato in Letteratura Inglese all’Università del Bahrein, Salman ha iniziato una lunga carriera nelle istituzioni calcistiche nazionali e regionali. Nel 2002 è diventato presidente della federazione bahrainita di calcio (dopo esserne stato vicepresidente per quattro anni), “guidando” la nazionale ai suoi migliori risultati sportivi di sempre (è arrivata ad un passo dalle qualificazioni ai Mondiali 2006 e 2010, ed è giunta sino alla semifinale della Coppa d’Asia nel 2004).
Nel 2008 ha iniziato la sua carriera all’interno della FIFA, diventando inizialmente vicedirettore del comitato disciplinare dell’organizzazione. Nel 2013 il balzo finale, con l’elezione alla presidenza della AFC (la confederazione asiatica), carica poi confermata nel 2015 insieme al ruolo di vicepresidente della FIFA.
Al di là della carriera istituzionale, si è molto discusso del suo ruolo nelle proteste che hanno agitato il Bahrein nel 2011, durante la cosiddetta primavera araba. Secondo un folto gruppo di ONG per i diritti umani, infatti, la sceicco Salman in quel periodo avrebbe guidato uno speciale comitato della federazione volto all’incarcerazione e alla tortura di almeno 150 sportivi (atleti, allenatori e arbitri) che avevano partecipato alle proteste, rendendosi complice di crimini contro l’umanità. Sorprendentemente, però, nessuno dei suoi avversari ha cercato di cavalcare queste accuse e la questione si è ben presto sgonfiata. D’altra parte, che l’idea di democrazia di Salman fosse quanto meno originale lo si è capito quando ha proposto di arrivare all’elezione di domani con un unico candidato (lui, ovviamente) per evitare che ci fossero sconfitti.
Durante la campagna elettorale, Salman ha pesato con grande cura le sue apparizioni in pubblico scegliendo in maniera petalosa interviste e conferenze stampa (e insieme Sexwale, è l’unico a non avere un account Twitter ufficiale). L’immagine che Salman ha voluto dare di sé è quella del saggio amministratore, che abbandonerà il protagonismo di Blatter delegando a tecnici ed esperti le questioni più importanti.
Nelle interviste ha voluto proteggere la FIFA dalla bufera mediatica che gli si sta scatenando contro, dichiarando di non accettare la sintesi FIFA uguale corruzione. Tra i cinque candidati, Salman è l’unico che si è voluto presentare al pubblico come un conservatore più che un riformatore salvando a tal punto il passato che non ha escluso una possibile elezione di Blatter a presidente onorario della FIFA sotto la sua gestione.
L’idea di non cambiare la FIFA ma semplicemente di amministrarla meglio è forte anche nel suo programma, dove si può leggere l’esigenza di separare gli affari dalla politica, e i politici dai professionisti: “La FIFA non ha bisogno di una rivoluzione, necessita solo di essere ripensata, riposizionata e rienergizzata”.
Il manifesto non contiene vere e proprie riforme, se si esclude la chiara separazione di compiti tra gli organi che si occupano di questioni finanziarie o commerciali (che Salman chiama “Business FIFA”) e quelli che si occupano di questione propriamente calcistiche (“Football FIFA”). A parte ciò, si può leggere un generico impegno nella promozione del calcio giovanile e femminile, e l’eventuale creazione di due nuovi organi: uno consultivo e rappresentativo di club, leghe e giocatori (“Stakeholder Council” su modello della proposta di Infantino), e un’agenzia globale anti-corruzione. Per quanto riguarda l’aumento delle squadre partecipanti al Mondiale, invece, Salman si dice favorevole ma precisa che la questione dovrà essere “analizzata in maniera professionale”.
Infine, nel programma dello sceicco del Bahrain si può leggere una sorprendente preoccupazione per la stabilità finanziaria della FIFA e delle confederazioni nonostante le immense riserve monetarie dell’organizzazione, e alcune proposte “ideologiche” abbastanza inquietanti (si legge, ad esempio, che: “La FIFA ha bisogno di rinnovare il suo impegno nel calcio, assicurando che le regole del gioco incoraggino uno stile creativo ed offensivo”).
Come già detto, Salman si è assicurato l’appoggio ufficiale della confederazione africana ed asiatica, che insieme assicurano 100 voti (teoricamente sarebbero 103 ma al suo interno non dobbiamo considerare Kuwait e Indonesia, temporaneamente sospesi per interferenze da parte dei rispettivi governi negli organi d’amministrazione sportiva, e la Giordania per l’ovvio sostegno al principe Ali), una cifra considerevole ma comunque non sufficiente per arrivare all’elezione dal secondo turno in poi. La sua vittoria dipenderà principalmente dall’esito della battaglia con Infantino per assicurarsi i voti della CONCACAF e da quanto conteranno le influenze di Sexwale e Ali sui membri africani e asiatici.
Non bisogna dimenticare, infine, che anche Salman si è prodigato per erodere il fronte del suo principale avversario. È notizia di ieri, ad esempio, che il Brasile potrebbe disobbedire al voto confederale appoggiando lo sceicco del Bahrain (e forse trascinandosi dietro altre federazioni sudamericane). È da monitorare anche la situazione della Russia che, pur appoggiando ufficialmente Infantino, si è detta contraria alla proposta dei Mondiali regionali dello svizzero e grata al Bahrein per il suo appoggio ai Mondiali del 2018.
Insomma, la partita è più che aperta.