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Guida agli Australian Open: il femminile
17 gen 2016
Serena Williams è già pronta a riprendersi il trono o dobbiamo attenderci sorprese?
(articolo)
14 min
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Per certi versi il tennis femminile sta vivendo gli stessi problemi che affliggono il maschile. Il poco ricambio ai vertici e lo scarso appeal delle nuove generazioni sta riducendo l’attenzione complessiva al topos del dominio. Se il grande tema del tennis maschile del 2015 è stato il possibile Grande Slam di Novak Djokovic, il grande tema del femminile è stato il possibile Calendar Slam di Serena Williams.

Dopo la sconfitta agli US Open con Roberta Vinci però qualcosa si è rotto: Serena sembra stanca, soprattutto a livello nervoso, e quello che sta per arrivare appare come uno degli slam più incerti degli ultimi anni. Anche a causa dei problemi fisici che rendono impronosticabili le prove di alcune tenniste. Il topos del 2016 sarà il cambiamento o, ancora, il dominio? In Australia potremmo avere già una risposta.

Serena vs Vic?

Serena Williams e la fatica di ricominciare la lotta ai record

Tredici anni fa Serena Williams vinceva il primo di sei Australian Open battendo 7-6 3-6 6-4 Venus, che aveva perso in finale in tutti e tre gli Slam precedenti proprio contro la sorella. In quel momento storico, completava il Serena-Slam e diceva al mondo di esserci, senza lasciare nemmeno un dubbio. Oggi, dopo un 2015 iniziato in maniera superlativa e finito con tanti dubbi e recriminazioni, Serena ha bisogno di riscatto. Non ha ancora lavato gli strascichi della semifinale degli US Open costatale il Calendar Slam e ha dovuto curare una infiammazione al ginocchio sinistro che le ha fatto iniziare la stagione in ritardo.

È dallo scorso settembre a New York che non l’abbiamo vista competere ai suoi massimi livelli. È da settembre che si è pensato al suo nuovo anno ancora prima che fosse finito il vecchio; è da settembre che la si è riempita di onori—è stata riconosciuta giocatrice WTA dell’anno e nominata personaggio sportivo dell’anno da Sport Illustrated; è da settembre che, nonostante il 2015 e tutta la sua carriera, il punto è diventato solo (ancora?) una questione di record: riuscirà per davvero a eguagliare le 22 vittorie di Steffi Graf?

Negli ultimi giorni Serena Williams ha dichiarato: «Va tutto molto bene. Mi sento molto bene, sono emozionata. Mi sono allenata ogni giorno per molto tempo e sto bene, sono pronta.»

Sarà ancora la sorvegliata speciale, a Melbourne giocherà la prima partita contro Camila Giorgi, e da tabellone potrebbe incontrare Maria Sharapova nei quarti, a cui ha sfilato il titolo nel 2015.

La Azarenka è tornata

Mentre quasi tutta la top 10 si ritirava per precauzione o per timore di compromettere il torneo più importante, a Brisbane si faceva strada un nome che gli appassionati di tennis femminile si erano quasi stufati di aspettare: Victoria Azarenka.

Il motivo di tanto (ormai consumato) hype è che Azarenka è stata l’unica a sembrare una rivale credibile di Serena Williams quando la statunitense aveva ricominciato a riprendersi con la forza il dominio del circuito, tra il 2012 e il 2013. Eppure, se si guarda agli head-to-head tra le due, non si vedono grandi differenze con quelli delle altre top player. Ma al di là delle vittorie—appena tre in venti incontri—quello che conta davvero è il modo di scendere in campo: la bielorussa è l’unica tennista che non scende in campo già sconfitta contro la statunitense, a prescindere dalle condizioni in cui sta. E in un anno in cui non ha vinto nessun titolo, il 2015, è riuscita a vincere un set in ciascuno dei tre match (tra cui due negli Slam) che ha giocato contro Serena.

Una delle poche tenniste che non viene travolta dalla pesantezza di palla di Serena.

Il titolo vinto a Brisbane è il primo dopo oltre due anni e mezzo, quando sconfisse in finale Serena Williams a Cincinnati. Nell’equazione irrisolvibile degli head-to-head va contato—se si è così coraggiosi da mettersi a contare—anche il peso delle vittorie: e quelle di Azarenka sono particolarmente pesanti, perché sono arrivate tutte in finale.

Serena ha un record davvero invidiabile nelle finali Slam. Ne ha giocate 25 e ne ha vinte 21; nel circuito WTA, ha perso 18 finali su 86. Vincere contro Serena in finale è insomma particolarmente difficile, specie in questa ultima parte di carriera. O non partecipa, o perde nei primi turni, oppure arriva in finale e vince. Non è un caso che l’ultima a sconfiggerla in una finale sia stata proprio Azarenka e non è un caso che la sua quota per gli Australian Open sia diventata la seconda più bassa, nonostante sia solo la quattordicesima testa di serie. Vika è tornata davvero e forse è venuto anche il momento di cominciare a battere Serena in uno Slam. Magari in finale, visto che il tabellone ha avuto clemenza e le ha messe in parti opposte del tabellone.

Chi può far saltare il banco?

Agnieszka Radwanska, per esempio

Per chi ama il tennis complicato e sofferente di Agnieszka Radwanska, la Maga dei cerotti, vederla tra le favorite è come una stretta al cuore: ogni volta che la polacca si è presentata a uno Slam con qualche velleità di vittoria, ha puntualmente fallito. Non è bastato un gioco fuori da ogni logica (Wimbledon 2012) o un tabellone particolarmente fortunato (Wimbledon 2013): in ogni caso la polacca non è mai riuscita ad alzare il trofeo. Perché ora, quindi?

Dopo una fase decisamente calante della sua carriera, Radwanska ha sorpreso tutti vincendo le WTA Finals dopo aver perso le prime due partite del round robin. Poi non si sa bene che cosa sia scattato nella sua testa, fatto sta che ha messo in riga la numero 1, la numero 2 e la numero 4 del tabellone esibendo un tennis fantastico. Il tennis di Radwanska è terribilmente difficile per quella leggerezza che la costringe a trovare a ogni scambio una soluzione diversa (non è un caso che sia la Regina degli Hot Shot su YouTube).

<3

Fallirà ancora? Probabilmente sì, perché basta una giornata in cui manca una tessera e il puzzle va irrimediabilmente in pezzi. Ma chi ama Radwanska, ha il suo stesso dono: quello di aspettare il momento buono.

Le nuove americane che potrebbero disordinare il tabellone

Meglio forse sperare in Madison Keys o in Sloane Stephens? Alle due statunitensi (classe ‘95 e ‘93) non manca certo il talento e quello che le accomuna, oltre alla nazionalità, è anche il risultato di maggior prestigio: la semifinale in Australia.

Sloane la raggiunse nel 2013, quando aveva 20 anni, esattamente quanti ne aveva l’anno scorso Madison. È curioso quanto il 2013 di Stephens assomigli al 2015 di Keys: dopo la semifinale in Australia, Sloane raggiunse i quarti a Wimbledon e perse agli ottavi degli US Open contro Serena Williams (che aveva battuto agli ottavi in Australia, con qualche coda polemica), chiudendo l’anno al numero 12 WTA. Madison, dopo l’exploit dell’anno scorso (sconfisse Petra Kvitová e Venus Williams, prima di arrendersi a Serena), ha giocato i quarti a Londra e gli ottavi a New York (perdendo ancora con Serena) e a fine anno ha chiuso al numero 18 del ranking.

La grande vittoria di Madison Keys contro Petra Kvitová lo scorso anno.

Ora le gerarchie sono cambiate, nonostante i due anni a favore di Stephens, ma sembra che sia venuto il momento del ricambio generazionale. Sloane, che ha cambiato vari coach e adesso è allenata da Thomas Högstedt, l’ex allenatore di Maria Sharapova, ha vinto il titolo ad Auckland e sembra tornata quella di tre anni fa. Madison, dopo aver interrotto la collaborazione con Lindsay Davenport, si è affidata a un ex tennista canadese, Jesse Levine, per non replicare quello che è successo a Stephens dal 2014 in poi.

Keys, che esordirà contro la kazaka Zarina Diyas, potrebbe trovare Ana Ivanovic al terzo turno, prima di scontrarsi con Simona Halep. Sloane Stephens, invece, esordirà contro la qualificata cinese Wang, e al terzo turno potrebbe esserci subito una partita per la quale fare nottata: dovrebbe affrontare Roberta Vinci. Più in avanti, per entrambe, ma speriamo per l’italiana, ci sarebbe Radwanska. Il tabellone è molto complicato, ma le americane sembrano davvero in grado di “far saltare il bannco”.

Come sta la Sharapova?

Un anno fa, a contendersi l’Australian Open in finale c’erano Serena Williams e Maria Sharapova. La russa, che aveva vinto a Melbourne solo nel 2008, perdeva in due set, il secondo più tirato, ma aveva fatto ben sperare per la stagione e aveva confermato il successo a Brisbane contro Ana Ivanovic. Quest’anno, invece, si è infortunata: ha salutato Brisbane per un problema al braccio, saltando anche il successivo torneo di Sydney. Arriverà a Melbourne con qualche convinzione in meno dell’anno scorso.

Quelle che arrivano bene dai tornei di preparazione

Simona Halep è in crescita

Per Simona Halep il torneo di Sydney ha acquistato fin da subito un significato importante. Dopo il ritiro a Brisbane e un po’ di relativo riposo, è tornata in campo vincendo contro Caroline Garcia (6-4 2-6 6-1) e Karolína Plisková (6-4 7-5).

Era importante per lei riuscire a esprimersi in modo continuo e a mostrare performance in crescita rispetto alle ultime partite e alla fine del 2015. In particolare, nella partita dei quarti contro Plisková, si è confrontata con un’avversaria che l’ha messa in difficoltà rallentando il ritmo della gara, non permettendole di impostare il gioco, cercando anzi soluzioni di potenza. La difficoltà per Halep è stata non avere il tempo di ragionare, subire in alcuni momenti la forza dell’altra. La sua concentrazione, però, non è mancata, ha usato una delle sue qualità più importanti per riuscire a vincere, alla fine, in due set: ridisegnare la propria strategia di gioco nel corso della partita.

Alcuni dei migliori colpi di Simona Halep messi a segno nel match: un passante di rovescio (minuto 0:33); un diritto incrociato a effetto (minuto 1:08); un servizio ottimo e al limite per il 6–4 del primo set (minuto 1:33).

Quest’ultima gara, eccellente dal punto di vista della tenuta fisica, soprattutto considerato il caldo, l’ha condotta in semifinale contro Svetlana Kuznetsova. L’anno scorso a Sydney la russa non è andata oltre il primo turno, perdendo contro Madison Keys (6-4 6-4); durante il prosieguo dell’anno ha ottenuto risultati pessimi, a eccezione della finale di Madrid, persa contro Petra Kvitová, e dell’unico torneo WTA vinto a Mosca a ottobre. Ciò che le ha permesso di superare Simona Halep in semifinale a Sydney (7-6 4-6 6-3) sono stati la mancanza di attenzione della rumena in alcuni momenti chiave della partita, il vento che ha aiutato il suo gioco, più pesante di quello dell’avversaria, e la tenuta fisica che non ha risentito né della pausa di un giorno causa pioggia né della tipologia di partita, improntata a tutto campo.

Simona Halep può essere soddisfatta della ritrovata condizione. Durante la prima partita dell’Australian Open troverà una tennista che arriva dalle qualificazioni e, idealmente, potrebbe incontrare Venus Williams ai quarti di finale.

La doppia partenza di Belinda Bencic

A Brisbane, Belinda Bencic ha messo in moto il suo 2016 nel modo migliore possibile: al primo turno ha vinto 6-1 6-2 contro Sara Errani, dimostrando la capacità di giocare in un modo ormai maturo, controllando l’italiana, che non è quasi mai riuscita a organizzare il contrattacco.

La svizzera ha imposto un ritmo irraggiungibile per la tennista romagnola.

Per questo il torneo di Sydney è stato molto importante per la tennista svizzera: dopo Brisbane, aveva la necessità di doversi rimettere subito in carreggiata e ricominciare la stagione per la seconda volta. Declassando Brisbane a falsa partenza. In parte ci è riuscita.

Ha affrontato Mirjana Lucic-Baroni, vincendo 7-6 1-6 6-4, Tsvetana Pironkova, sconfitta 6-3 6-3 ritrovando parte delle caratteristiche migliori del suo tennis—varietà e velocità—ed Ekaterina Makarova, battuta più faticosamente 6-0 2-6 6-4. Durante quest’ultima prova la svizzera ha preso in mano la partita con relativa facilità già dal primo parziale, impostando l’attacco soprattutto da fondocampo; il problema è arrivato in semifinale, quando si è confrontata con Mónica Puig. La portoricana, arrivata dalle qualificazioni, è stata la sorpresa del torneo, avendo battuto Samantha Stosur ai quarti 6-4 6-4, giocando una partita convincente sotto ogni punto di vista: tattico, fisico, mentale.

Belinda Bencic potrebbe dar vita a uno dei primi turni con più hype della prima settimana, visto che al secondo turno potrebbe incrociare Heather Watson, una tennista che, se in giornata, può far partita pari con qualsiasi avversaria (non a caso ha recentemente fatto penare Serena Williams).

La grande condizione di Samantha Crawford

La statunitense, classe 1995, è arrivata a contendersi il secondo turno a Brisbane partendo dalle qualificazioni, ha vinto contro Belinda Bencic 7-5 7-5, ha superato ai quarti Andrea Petkovic 6-3 6-0 ed è arrivata fino alle semifinali, dove ha ceduto il passo a Victoria Azarenka 6-0 6-3, guadagnandosi però una wild card per il debutto a Melbourne.

Samantha Crawford ha vinto gli US Open juniores nel 2012 e dopo una seria operazione al ginocchio nel 2013 è riuscita a tornare a giocare solo l’anno scorso. Il suo allenatore è Michael Joyce, per un periodo coach di Maria Sharapova, alla quale la statunitense ha spesso guardato come ispirazione per perfezionarsi. Non a caso, nella partita di Brisbane contro Belinda Bencic, il suo primo risultato importante, ha messo in atto un gioco basato su aggressività e potenza, ha mostrato un servizio solido (tredici ace e una percentuale di prime e soprattutto seconde di servizio messe a segno più alta dell’avversaria). Bencic è apparsa meno incisiva e dunque inefficace nei momenti chiave del match e nella strategia difensiva, dimostrando molta meno solidità di quella usata contro Sara Errani.

Nella partita successiva, quella dei quarti contro Andrea Petkovic, Samantha Crawford ha riproposto il suo gioco in modo ancora più convincente. Ha trovato un’avversaria più dimessa e ha potuto impostare la partita su colpi a tutto campo, attaccando in profondità.

Arriva agli Australian Open da wild card e al secondo turno potrebbe trovare Vic Azarenka, in una delle partite più interessanti della prima settimana.

La fine del ciclo italiano?

Era il 2000, sedici anni fa, e l’Italia del tennis femminile doveva ancora scoprire quelle che sarebbero state le sue campionesse degli anni futuri. A Melbourne si presentava con appena due rappresentanti nel tabellone principale, Rita Grande e Tathiana Garbin. Oggi, dopo quattro Fed Cup, ma soprattutto dopo due vittorie Slam e tre finali, l’Italia va a Melbourne con appena tre rappresentanti, dopo averne avuto almeno quattro a ogni edizione dello Slam australiano dal 2001 in poi. È un dato che ci ricorda quello che non abbiamo avuto coraggio di dirci alla vigilia della finale degli ultimi US Open, e cioè che Pennetta-Vinci era il punto esclamativo e conclusivo di tanti anni di successi. Ora che Flavia Pennetta si è ritirata, ora che Francesca Schiavone non riesce neanche a passare le qualificazioni, ora che le vittorie sembrano davvero alle spalle, tocca fare i conti con il poco che resta.

Agli Australian Open avremo due teste di serie (Roberta Vinci e Sara Errani) e una tennista (Camila Giorgi) rimasta fuori dalle teste di serie per una sola posizione. Manca Karin Knapp, infortunata, la tennista che sembra la meno adatta a far parte di un gruppo che ha vinto così tanto, ma che magari in futuro ci stupirà esattamente come hanno fatto prima Schiavone, poi Pennetta e infine Errani e Vinci (in attesa di Giorgi).

Che cosa possiamo aspettarci dalle italiane a Melbourne? Tradizionalmente le azzurre combinano poco in Australia e non c’è motivo di pensare che le cose possano andare diversamente quest’anno, specie dopo l’indigestione newyorkese. Difficilmente il nostro Premier dovrà prenotare in fretta e furia un volo per Melbourne, però si può sempre sperare in un quarto di finale. Più Vinci che Errani, visto il tabellone.

Roberta non ha pescato benissimo per l’eventuale terzo turno, dove potrebbe trovare Stephens, e agli ottavi troverebbe Radwanska: la polacca ha giocato poche settimane fa un tennis che non si vedeva da tempo. Sara è in orbita Wozniacki (difficile) e soprattutto Serena Williams (impossibile, a meno che non si verifichi un altro miracolo e sarebbe francamente troppo).

A proposito di Serena, sarà Camila Giorgi a testarla al rientro da quella sconfitta negli US Open. Il computer ha deciso che la numero 1 delle teste di serie dovrà affrontare la numero 1 delle non teste di serie e magari non è nemmeno un male, considerato l’ottimo record di Giorgi contro le top 10 (6 vittorie e 7 sconfitte, il problema è che quattro di queste sconfitte sono arrivate l’anno scorso). Francesca Schiavone ha perso al secondo turno delle qualificazioni e quindi non eguaglierà né ovviamente batterà il record di partecipazioni consecutive negli Slam di Ai Sugiyama. Pazienza, la aspetteremo a Parigi.

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