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Guida a Brasile - Germania
08 lug 2014
Un panel di esperti—Simone Conte, Fabrizio Gabrielli, il cugino quattordicenne di Daniele Manusia, Emiliano Battazzi e Fulvio Paglialunga—pronostica, a modo suo, la prima Semifinale.
(articolo)
12 min
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FULVIO PAGLIALUNGA (@FulvioPaglia)

Di questa Semifinale parlo a patto che sia quella che sancisca la seconda classificata, per una serie di motivi che vanno da banali e piccole antipatie all'avversione all'ovvio. Avversione che non ci salverà, purtroppo, dalla doppia retorica comunque vada a finire la partita: se vince la Germania avremo un po' di giorni di citazioni di Lineker (quella del calcio è uno gioco semplice e insomma ci siamo capiti), se vince il Brasile ci toccherà risentire tutta la storia del Maracanazo in loop e quindi del Paese sospeso tra festa possibile e dramma eventuale fino a quando non sarà Obdulio Varela in persona a chiederci di finirla. Non ne verremo fuori, in ogni caso. E dunque tocca capire cosa si scontra in questa partita. Si scontra il modello di sempre del Brasile, che però in questa formazione ha forse meno fuoriclasse e più “giocatori” del solito (peraltro, senza Neymar manca anche un po' di grazia del dribbling). Ma c'è soprattutto il modello tedesco che, ecco, forse è il motivo per cui almeno sperare che avanti vadano i tedeschi (tanto l'Italia è uscita così tanto in anticipo che la tradizione di sconfitte non verrà intaccata) in quanto rappresentati di un calcio più sostenibile, che non arriva per caso fino in fondo. Un calcio fatto di stadi moderni e pieni, biglietti popolari, partecipazione dei tifosi alla gestione delle società (per legge) e di massicci investimenti sul settore giovanile, le scuole calcio federali e ancora e ancora. Insomma, vorrei vincesse la Germania perché qualcuno in Italia capisca come si fa. Sempre a patto che in finale vada come ho scritto in premessa.

Credo, nell'equilibrio della partita, che però possa incidere l'aderenza del Brasile alle aspettative della gente: finora questa tensione si è tradotta in terrore nei giocatori (semplificato dalle lacrime di Julio Cesar e dall'urlo tardelliano di David Luiz) che poi è diventata cuore e grandi imprese, ma con l'appesantirsi delle partite può diventare insostenibile. I Quarti non fanno testo, come non lo hanno fatto gli Ottavi e nemmeno i Gironi: altrimenti la Germania è quella che è andata malino (risultato a parte) prima della Semifinale e il Brasile mi è sembrato migliore di tutta la fase precedente, anche senza essere eccezionale, ma qui andrebbe aperto un discorso più ampio sulla qualità del gioco delle ultime partite e forse del Mondiale intero. Ma le storie narrate da questa competizione valgono tanto e la Germania, da questo punto di vista, apre meno spazi al romanticismo. Ma tra Lineker e il Maracanazo mi tengo la retorica di Gary, ché tanto può essere smentita in Finale.

EMILIANO BATTAZZI (@e_batta)

A pochi minuti dalla fine di Brasile - Colombia, un giocatore brasiliano ha letteralmente calciato una punizione il più lontano possibile, mandandola in fallo laterale sulla trequarti avversaria. A quel punto, in molti abbiamo sperato di vedere David Luiz alzare Maicon per una touche stile rugby, ma era ancora una partita di calcio, sebbene fosse poco chiaro. In molti hanno anche riflettuto sull’identità calcistica brasiliana, e su come la scuola “eurobrasiliana” di Parreira e Scolari abbia allontanato la Nazionale dallo stile del “novo jogo bonito” di Telê Santana e della sua Nazionale del 1986.

Per vincere contro la Colombia, infatti, il Brasile ha dovuto spostare la partita su un altro piano, impedendo che si giocasse sul serio a calcio: il tempo effettivo è stato pari a circa 41 minuti, ben 16 in meno della media del Mondiale.

Eppure, è stata la prima partita in cui la Nazionale brasiliana ha davvero convinto. Con un’aggressività degna di una squadra di club, Scolari è riuscito a inaridire il gioco colombiano, dando sempre la sensazione che la partita fosse del Brasile, ad eccezione degli ultimi minuti di paura.

Hanno segnato due difensori centrali da calcio piazzato (ma anche alla Germania è bastato un difensore), ed è vero che il Brasile ha dimostrato per l’ennesima volta la mancanza di un gioco fluido. Una situazione abbastanza chiara sin dall’inizio del torneo: la strategia di Scolari prevede un centrocampo dedito alla riconquista del pallone, senza regista, perché il gioco deve fluire con velocità sugli esterni, e a Neymar è richiesto di trovare soluzioni sulla trequarti avversaria, in cambio dell’assoluta libertà. Almeno, era così fino a quando Zúñiga non ha impresso il suo marchio sul Mondiale, oltre che sulla schiena del numero 10 avversario.

Adesso il Brasile si ritrova letteralmente dimezzato: Neymar, infatti, ha segnato 4 gol e fornito 1 assist, risultando decisivo in 5 gol sui 10 totali della sua Nazionale.

Come si possa puntare, ora, su una strategia dimezzata (senza considerare l’assenza di Thiago Silva), lo può sapere solo il CT Scolari, ed è difficile anche solo immaginare lo stato d’animo della squadra. In un mix di entusiasmo e scoramento, i padroni di casa devono ora contare solo sulle risorse rimaste, in una squadra senza più stelle ma con un unico grande trascinatore, David Luiz, e un numero 10 atipico, Oscar.

Forse toccherà al piccolo Bernard (1,64 m), 2 gol nel campionato ucraino, o magari a Willian (lievemente acciaccato); oppure potrebbe giocare di nuovo Ramires, per un Brasile pronto ad aggredire sulla trequarti avversaria per tutta la partita. La mossa a sorpresa sarebbe Hernanes dietro Fred, con Oscar sulla sinistra e Hulk a destra: difficile che Scolari si dimostri così intraprendente.

Comunque vada, il peso ricadrà tutto sulle spalle di Felipão: se vincerà, sarà merito della forza del gruppo, plasmato a sua immagine e somiglianza; se perderà, lo avrà fatto tradendo in pieno lo spirito del calcio brasiliano, con una Seleçao che, per qualità di gioco, somiglia pericolosamente a quella di Lazaroni di Italia ‘90.

FABRIZIO GABRIELLI (@conversedijulio)

A sentir parlare di Germania e Brasile, sarò fatto storto io, il primo collegamento mentale che mi sovviene è la cittadina di Cândido Godói, nel Rio Grande do Sul, dove il gerarca nazista Josef Mengele si è dilettato nel gioco di provare a riprodurre la razza ariana attraverso l’incremento dei parti gemellari (sembra che comunque sia tutto merito della marcata tendenza all’endogamia dei popolani di Cândido Godói, affatto candidi nello scegliersi tra cugini – all’interno del loro corredo genetico c’è la gemellarità, e il cerchio si chiude). Anche se poi l’angelo della morte e una Thule al confine con l’Uruguay col calcio c’entrano il giusto, un giusto che rasenta il niente. Mengele è morto mille chilometri più a nord di Cândido Godói, a San Paolo, poco distante da dove ha avuto i natali Neymar, il grande assente della sfida (e di ciò che resta del Mondiale, anche se non è detta l’ultima), messo fuori causa da una frattura alla terza vertebra lombare per la quale non è esente da colpe, secondo me, l’imperizia dei barellieri. Questo per dire che neppure decenni di eugenetica applicata né gli spot della Nike sono riusciti a creare il giocatore perfetto, indistruttibile, refrattario a emozione e infortuni, un Achille meticcio, anche se biondissimo e in hypervenom. Quindi da una parte ci sarà il Brasile orfano del suo capitano Thiago Silva, squalificato, e di O Ney, e dall’altra una Germania compatta, nella quale il capocannoniere non è un centravanti e il centravanti vero, quello che rischia di superare Ronaldo nella lista dei massimi cannonieri dei Mondiali, probabilmente partirà dalla panchina.

Questa generalizzata penuria di punte (in realtà ci sarebbero Fred e Jô) m’ha fatto ricordare di un meticcio, dal cognome inequivocabilmente tedesco, che ha scritto la Storia di San Paolo e del São Paulo: no, non è Luiz Antônio Correa da Costa detto Müller, ma Arthur Friedenreich, del quale Galeano ha scritto “Da Friedenreich in avanti, il calcio brasiliano, quando è davvero brasiliano, non ha angoli retti, come non ne hanno le montagne di Rio, né gli edifici di Oscar Niemeyer”.

Friedenreich ha avuto una grande sfortuna, anzi due: la prima è stata quella di esistere, come calciatore intendo, ma anche tout court, negli anni ’30 del ventesimo secolo. Il Brasile di quegli anni, dentro e fuori i campi di calcio, era eminentemente classista e razzista: lo scotto che Friedenrich, figlio mulatto del rapporto tra un immigrato tedesco e una lavandaia afro-brasiliana, dovette pagare per guadagnarsi il soprannome di El Tigre fu quello di doversi imbrillantinare i capelli per renderli meno crespi, e poi cospargersi di crema di riso per apparire meno nero di quanto fosse: per convincere tutti della sua teutonicità ci teneva a sottolineare ogni volta come avesse dato i primi calci a una palla vestendo la maglia del Club Germânia, la squadra della comunità tedesca. Un’altra disgrazia, poi, è stata che—sempre in quegli anni—le Federazioni paulista e carioca non fossero in ottimi rapporti; così, per un diverbio che oggi può apparirci sciocco, la Federazione calcistica brasiliana decise che a rappresentare i patri colori alla prima edizione dei Campionati del Mondo di Calcio, nel 1930, fosse una Seleçao tutta carioca, svuotata dei calciatori paulisti e, di conseguenza, anche di Friedenreich, che pure era sempre stato fedele alla Nazionale (fin dall’esordio nel 1914: nella prima partita si fratturò pure due denti), e che aveva trascinato i suoi alla vittoria del Sudamericano 1919 e alla Finale dell’edizione del ’22.

E infine, El Tigre è stato così sciagurato da vivere tempi in cui la raccolta dei dati era un’occupazione considerata discretamente inutile: per la pigrizia e l’imperizia degli addetti alla compilazione dei referti non sapremo mai se sia vero per davvero che Friedenreich abbia segnato, durante tutta la sua carriera, milletrecentoventinove volte (senza sbagliare mai un rigore).

Ho scoperto che dopo aver messo a segno la rete decisiva contro l’Uruguay nella finale del Sudamericano ‘19 i tifosi lo hanno assalito, denudato delle scarpe, portato in trionfo. La calzatura è finita in vetrina di Oscar Machado, una delle più celebri gioiellerie di Rio de Janeiro. Il carosello è durato un’ora buona, scandito da un peana che non sono riuscito a capire se, attualizzandolo, è più inquietante o buffo. Non riesco a togliermi quel coro né l’immagine che l’accompagna “Fred, Fred, Fred, Fred”.

IL CUGINO QUATTORDICENNE DI DANIELE MANUSIA

Ho letto che arbitrerà Moreno quindi secondo me favorirà il Brasile. Mah, il Brasile mi è sembrato un po' macchinoso, non come pensavo. Pensavo più forte. L'altra volta ti volevo chiamare per consigliarti di scrivere un articolo su Rodríguez. James Rodríguez. Pare vada al Real Madrid. Lui vuole giocare con il Real, io tifo Real e spero vada bene. Neymar? La vedo dura per il Brasile, però in qualche modo passeranno. Fred mi ha fatto un po' pena, pensavo che segnava qualcosa poi invece. Un po' tutto il Brasile a dire il vero. Ha deluso. Non mi sembra che giocano come giocano normalmente, un po' maluccio. Poi non lo so. Io ho questa sensazione, si annullano un po'.

A parte la partita con la Francia le altre le ho viste e la Germania è strana. A volte c'ha sto cacchio di gioco magnifico e poi mi crolla. Cioè delude le aspettative. Fa errori, però mi pare sempre forte e alla fine rimedia. Per la Germania continuerà la maledizione secondo me, che non riescono a vincere. Mi piacciono Özil, Kroos, Hummels, Höwedes. Thomas Müller mi piace ma non è uno dei miei preferiti. Özil e Kroos mi esaltano di più quando li vedo giocare. Neuer è uno dei miei preferiti ma preferisco Curtois. Spero che gli arbitri non rovinino il Mondiale come stanno facendo. Il Brasile è stato favorito solo la prima partita, poi ho visto altre cose, proprio errori arbitrali, non che hanno favorito qualcuno, ma proprio errori. Secondo me David Luiz sarebbe bello se facesse un gol in Semifinale o in Finale. O un gol del portiere all'ultima azione. Eh, se segna un portiere sarebbe clamoroso. Júlio César, ma pure Neuer.

SIMONE CONTE (@SimonteCone)

Tra quattordici ore si gioca Brasile - Germania e io ancora non ho deciso se la guarderò o no.

Ieri sera tardi ho scritto a Tim Small che probabilmente non avrei fatto in tempo a mandargli l’articolo. Stamattina, invece, quando mi sono svegliato ridicolmente presto come sempre, ho pensato che almeno avrei avuto il tempo per scrivere prima di uscire. Ok, senza entusiasmo, con la stanchezza primordiale nelle ossa, il sonno arretrato di intere generazioni accumulato sulle palpebre, ma ok. Poi però ho avuto l’illuminazione vera: questo pezzo serve più a me che all’Ultimo Uomo. Faccio un uso privato di Ultimo Uomo pubblico: chiedo consiglio.

Questa sera a Roma suonano i Black Keys, per me una rara eccezione al comandamento “Non amerai alcun gruppo come quelli che ami da adolescente”. Non è che solo li apprezzo, gli voglio un po’ bene ai Black Keys. Mi fanno venire voglia di mettere su un gruppo chitarra e batteria ogni sei mesi, i Black Keys. Ma suonano durante la partita, i Black Keys. Ho sperato che si esibissero molto presto. Concerto alle 8 e poi restiamo tutti a vedere la partita sui maxischermi. Non c’è traccia di questa intenzione. Molto tardi? Maxischermi e poi concerto a mezzanotte? Non si può. L’ultima residua speranza risiede nell’allerta maltempo diramato ieri dalla Protezione Civile: “In relazione alla forte intensificazione dei venti, la Protezione sottolinea la necessità di un’attenta sorveglianza (...) delle eventuali impalcature e dei carichi sospesi presenti soprattutto nelle zone più frequentate”. Spero nel rinvio fino all’ultimo, ma so che dovrò scegliere.

Chi ama molto il calcio mi starà disprezzando tanto quanto chi ama molto il rock, ma se fossi una cosa sola di queste due, decidere sarebbe facilissimo.

Ma non è questione di cosa ami di più, è cosa pensi che sia più irripetibile.

La domanda non è se vuoi più bene a mamma o a papà, ma riuscire a capire chi sia più in forma in questa giornata specifica, e chi tra i due ti farà fare il giro alle giostre, ti comprerà il gelato, ti farà stare un po’ con nonna, ti comprerà quel regalo che volevi e che costava troppo.

Sarà la serata di grazia di Manuel Neuer o di Dan Auerbach? Di David Luiz o di Patrick Carney? Temo che senza Thiago Silva e Neymar, e partendo quindi nettamente svantaggiato, questo Brasile possa tirare fuori una di quelle partite epiche tutte di cuore e corsa, imperdibili. Ma temo anche che questo sia il tour della maturità dei Black Keys, Turn Blue è un disco molto diverso dai precedenti, mette un punto importante. L’approccio razionale è inutile: loro in concerto li ho già visti, Germania - Brasile ai Mondiali anche. Ma il tour era di un altro disco e in un’altra città, la partita di un’altra generazione di calciatori, pari anche qui. Oscillo tra l’immagine di me e la mia compagna che cantiamo insieme "Little Black Submarines" e ci amiamo un po’ di più e quella dei miei amici cinghiali che invadono casa con birra e patatine mentre le donne stanno al concerto e noi ci vogliamo un po’ più bene. E intanto è passata un’altra ora, e io non ho capito se è più irripetibile una Semifinale o un concerto, perché la verità è che sono entrambi ripetibili, ma non è ripetibile l'io di oggi con questa vita e questi interessi e queste cose che mi fanno emozionare in questo modo.

Tra tredici ore si gioca Brasile - Germania e io ancora non ho deciso se la guarderò o no.

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