• Calcio
Fabrizio Gabrielli

Guida ufficiosa alla Copa América 2024

14 temi per arrivare preparati al torneo continentale americano.

Alle otto locali di giovedì 20 giugno (da noi saranno già le 2 del mattino di venerdì) l’arbitro fischierà l’inizio di Argentina – Canada e partirà ufficialmente la Copa América 2024. Un’edizione, la 48esima, stavolta davvero continentale, e che per questo avrebbe fatto felice James Monroe – l’inventore della dottrina Monroe: l’America – intesa come continente americano – agli americani. Oltre alle dieci nazioni che aderiscono alla CONMEBOL, infatti, parteciperanno anche sei nazioni affiliate alla CONCACAF, la confederazione che unisce l’area geografica nord e centroamericana.

 

Non è la prima volta che la competizione sudamericana sbarca nella land of the free, home of the brave – cioè gli Stati Uniti. Era già successo nel 2016, ma quella era un’edizione speciale della Copa América, si festeggiava il centenario della fondazione della CONMEBOL e aveva molto senso abbracciare un panamericanismo almeno di facciata. Stavolta, invece, l’allargamento delle maglie del trofeo risponde a criteri puramente politici, che hanno a che fare non solo contingentemente, ma anche estrinsecamente con il calcio.

 

A rendere la decisione sensata, quasi obbligata, tanto per cominciare, è l’instabilità politica ed economica di un po’ tutte le nazioni a sud dello stretto di Panama: chi si sarebbe sobbarcato l’organizzazione di un evento così oneroso, in un periodo così complicato? Non è poi da trascurare il fatto che gli Stati Uniti, inoltre, tra due anni saranno gli anfitrioni – insieme a Canada e Messico – del Mondiale, e il warm-up di questa Copa América permetterà di mettere a punto la macchina organizzativa sotto il profilo logistico, e soprattutto commerciale.

 

In fondo, il precedente del 2016 è piuttosto incoraggiante: la media spettatori, in quell’edizione, raggiunse il picco di 46mila spettatori a partita, quasi il doppio rispetto a quella riscontrata in Cile solo un anno prima e molto più alta dei 35mila di Brasile 2019 (l’edizione più recente, giova ricordarlo, si è tenuta in pieno COVID). E nelle amichevoli di preparazione a questa edizione, anche in città non prettamente calcistiche (tipo Washington) gli spettatori hanno volentieri superato le 50mila unità (in Texas, a vedere Messico-Brasile, ce n’erano più di 80mila).

 

 

Eccovi quindi 14 temi per conoscere meglio questa Copa America, dentro ma anche fuori dal campo.

 

 

Consigli di viaggio, se volete vedere una partita al giorno

 

In effetti l’equazione [amichevole + squadra sudamericana X + città statunitense di Y]= ha sempre garantito un successo di botteghino: questo perché molte città possono contare su una nutrita comunità di latinos, un dato che agli organizzatori non è sfuggito soprattutto al momento di scegliere le sedi della competizione.

 

Alcuni stadi che ospiteranno la Copa sono nella mappa calcistica degli States da anni, altri ci sono entrati recentemente. Le arene di Dallas, Houston, Kansas City, Miami, Inglewood non sono solo alcuni degli impianti calcistici più all’avanguardia del paese, e già sede designata ad ospitare i Mondiali: sono anche stadi che si trovano nel cuore di città in cui la popolazione ispanica costituisce una fetta importante della popolazione, tra il 30% e il 40% (e a Miami, per esempio, sfiora addirittura il 70%, ragione sufficiente a scegliere la città come sede della finalissima del 14 luglio).

 

Se c’era un posto, insomma, in cui si poteva trovare il Sudamerica fuori dal Sudamerica, quel posto era a una manciata di paralleli più a nord, negli Stati Uniti. Se siete già in viaggio per gli States, peraltro, e voleste vedere ogni giorno una partita, con la sempre solida certezza di trovarvi immersi in un ambiente pieno di cumbia, murgas e mariachi, qua c’è una bella roadmap.

 

 

 

La composizione dei gironi

 

Le sedici partecipanti sono divise in quattro gironi, le prime due si qualificheranno per la fase a eliminazione diretta.

 

Nel gruppo A, l’Argentina campione in carica sfiderà il Perù, il Cile e l’attesa incognita Canada.

 

Nel gruppo B, un Messico attraversato da un afflato rinnovatore dovrà lottarsi la qualificazione con l’ambizioso e finalmente competitivo Ecuador, il brillante e giovane Venezuela e la Giamaica.

 

Nel gruppo C, quello dei padroni di casa, gli Stati Uniti sembrano decisamente favoriti al passaggio del turno, insieme all’Uruguay, a scapito di Panama e della cenerentolissima Bolivia.

 

Infine, nel gruppo D, il nuovo Brasile di Dorival Junior e la Colombia di Néstor Lorenzo dovranno guardarsi da due squadre in cerca di identità, in bilico tra passato più o meno ricco di soddisfazioni e futuro tutto da decifrare, come Paraguay e Costa Rica.

 

I giocatori più attesi

 

L’ultima danza di Lionel Messi

Senza tergiversare troppo, ci sono tre motivi fondamentali, ineludibili, troppo più rilevanti rispetto a tutto il resto per non perdersi questa Copa América. Il primo motivo è the last dance di Lionel Messi, almeno in potenza.

 

Dopo aver rotto il fútbol vincendo anche la Coppa del Mondo, Messi ha abbracciato gli States, o si è fatto abbracciare negli States, nell’ottica di grande respiro di un traino d’interesse verso il Mondiale 2026. Ma attenzione: la MLS è già da tempo qualcosa di molto diverso dal cimitero degli elefanti che era in principio, e soprattutto Messi non è per niente un giocatore che sembra appagato, spento, demotivato. La rapidità, la velocità, l’intelligenza nella visione del gioco, la fame per il gol sono rimaste immutate – hanno subito una metamorfosi endemica, ovviamente, ma per mere questioni anagrafiche: il brillio che prorompe quando la palla è tra i suoi piedi è quella di sempre.

 

A distanza di un anno dal suo arrivo negli States, Messi ha già portato a Miami un trofeo, quattro-cinque giocatori fuori dimensione per il torneo che son lì sostanzialmente per lui (da Jordi Alba a Busquets, da Luis Suárez a Facundo Farias a Federico Redondo), numeri semplicemente alieni.

 

Dall’inizio della stagione in corso Messi ha giocato, in toto, dodici partite segnando dodici reti e fornendo nove assist, qualcosa di mostruoso che tradotto sulla linea temporale significa un contributo a un gol dei suoi ogni quarantanove minuti, un tempo più il recupero.

 

 

Nell’ultima amichevole, contro il Guatemala, è apparso in forma scintillante: ha segnato un gol regalato, e signorilmente non ha esultato; ne ha segnato un altro, innescato da Di Maria; ha concesso a Lautaro di calciare un rigore, per incoraggiarne la fiducia in se stesso, e gli ha servito un assist di diamante.

 

Il demone che vive dentro di lui sembra non essere mai sazio, e anzi nutrirsi dell’entusiasmo: recentemente, anche tornando sui suoi passi rispetto a quanto dichiarato in Qatar, ha detto di non scartare a priori l’ipotesi di esserci al prossimo Mondiale: «Dipenderà da come starò fisicamente», ha detto, aggiungendo però che i ritmi nel club non sono quelli che lo sfiancavano in Europa, e anche che il tempo vola via veloce. Se non è una mezza promessa questa, ditemi voi qual è.

 

Nel dubbio, vederlo alla guida dell’Albiceleste praticamente in casa – nell’area metropolitana di Miami vivono circa 52mila argentini, e l’AFA ha inaugurato da poco il primo centro sportivo al di fuori dei territori nazionali proprio in Florida – sarà uno dei piccoli grandi piaceri di questa Copa. Non durerà per sempre, Messi, ma finché dura: godiamocelo.

 

Il debutto di Endrick

Il secondo grande motivo, sempre per rimanere in tema coreografico, è il ballo del debuttante Endrick, la best big thing esplosa nel Palmeiras e già del Real Madrid. Nell’ultima amichevole giocata dal Brasile prima della Copa, contro il Messico, è entrato a mezz’ora dalla fine e si è preso la scena, risucchiando la difesa azteca e abbattendosi contro la porta avversaria con la potenza di una palla demolitrice.

 

Al sesto minuto di recupero, con il risultato sul 2-2, si è intrufolato in area e ha segnato, di testa, il terzo gol consecutivo nelle ultime tre partite della Seleçao, in cui ha giocato per un totale di 120’. E quelle precedenti erano state contro Spagna e Inghilterra, a Wembley. Prima di lui soltanto un giocatore aveva segnato, alla sua età, già tre reti con la Nazionale, non c’è bisogno di dire chi sia ma se volete un indizio è quel giocatore che somiglia a Endrick in una foto in bianco e nero.

 

Dopo aver segnato, Endrick si è tolto la maglia numero 9 e l’ha mostrata alla folla, come a voler dire eccomi, sono il suo legittimo proprietario.

 

 

Le sorprese, a volte, sono belle perché esplosive ed improvvise, come la convocazione per l’Ecuador di John Yeboah, l’esterno del Rakow Czestochowa che dopo aver completato tutta la trafila delle giovanili in Germania ha scelto di rappresentare gli ecuadoriani – con i quali ha giocato una sola volta, a marzo, segnando subito il suo primo gol. Oppure, a volte, ci commuovono perché le vediamo semplicemente dischiudersi tra le nostre mani, come un fiore piantato in un angolo appartato del giardino che sentiamo subito l’esigenza di travasare in un vaso più in vista: Éderson Moraes, instancabile motorino dell’Atalanta campione dell’Europa League, è rimasto in campo quasi tutta la partita d’esordio, contro il Messico, e non c’è motivo di credere – dopo averlo visto recuperare palloni, ripartire palla al piede, essere ovunque – che il primo a essere convinto di quanto sia sottovalutato Éderson Moraes, stai a vedere, sia proprio Dorival Junior.

 

La squadra più attesa: il Brasile

 

Nonostante il Brasile sia già al terzo allenatore in meno di due anni, la maniera di scendere in campo della Verdeamarelha non è poi cambiata molto. Il traghettatore Diniz, che aveva ereditato la squadra da Tite dopo l’ecatombe qatariota, ha consegnato la Seleçao a Dorival Junior sull’onda di una continuità di proposta di gioco che magari farà storcere il naso ai cultori del futebol bailado, ma che quantomeno ha assunto nell’ultimo biennio una certa solidità. Anzi, per certi versi lo stile con cui Dorival progetta i piani gara, orientati a una proposta offensiva e a una continua mobilità degli interpreti, per certi versi può anche essere visto come un upgrade.

 

Molti protagonisti, nel frattempo, sono cambiati: un po’ per questioni anagrafiche (il caso di Casemiro, di Thiago Silva), un po’ per semplice incompatibilità (Antony, chissà anche Richarlison, di sicuro Neymar che – infortunio a parte – con Dorival ha avuto un bel beef ai tempi del Santos).

 

Ad oggi, dietro all’eruzione di talento di cui può disporre in attacco – ne parliamo più avanti, ma basti pensare che le riserve di Vinicius Jr, Rodrygo ed Endrick si chiamano Savio, Raphinha, Martinelli ed Evanilson – il reparto che sembra davvero aver trovato la quadra nel dare a Dorival quel che Dorival chiede è il centrocampo, una mediana piena di box-to-box forgiata in Premier, o da giocatori che sembrano fatti per giocare in Premier come Éderson Moraes. 

 

Uno dei pilastri inattesi sembra essere diventato Andreas Pereira, la mezzala del Fulham che Dorival ha già allenato al Flamengo, autore di una crescita stratosferica in questa stagione e soprattutto in grado, al pari di Paquetà che ultimamente sta attraversando un periodo un po’ così, di farsi collegamento con l’attacco.

 

Armare le bocche da fuoco, al momento, sembra davvero la maggiore delle preoccupazioni. Perché una volta raggiunti gli attaccanti, poi, il mondo che si spalanca è davvero quello dell’infinitamente possibile.

 

Il ritorno di Bielsa

 

Bielsa che siede sul frigo portatile a bordo campo. Bielsa con la tuta. Bielsa che va in tribuna a seguire una partita del campionato uruguayano come il nonno che avremmo sempre desiderato. Bielsa che si toglie i sassolini e si prende le sue rivincite, vincendo contro Brasile e Argentina nelle qualificazioni al Mondiale; Bielsa che si stupisce di quanto in Uruguay tutti siano così felici, anche se è lunedì mattina, anche se sono su un autobus affollato. Bielsa che nell’anno e mezzo in cui è stato senza panchina, dice, ha studiato per tenersi al passo con i tempi e cercare un’evoluzione. Bielsa che, buona pace sua, può contare su un “pájaro” Valverde al top della condizione e della motivazione e su un Manuel Ugarte prontissimo a prendersi la scena, ma anche Bielsa che è riuscito a resuscitare in Nazionale Darwin Núñez, a segno consecutivamente nelle ultime cinque partite con la Celeste – contro il Messico per tre volte, tre reti da vero attaccante, quello che nei grandi appuntamenti non è riuscito ad essere.

 

 

Il Bielsa della pressione alta, altissima, costante, costantissima; il Bielsa delle verticalizzazioni, dell’avanzamento rapido più che del possesso, il Bielsa dell’intensità vertiginosa. Il Bielsa irreprensibile ed immarcesibile del 4-1-4-1, delle catene laterali, della sovraintensità in attacco, delle individualità fuse e amalgamate nel collettivo.

 

Il solito, querido Bielsa, al timone della “Celeste” che, dietro Argentina e Brasile, si prefigura come potenziale darkhorse: quanto gasa?

 

I giocatori da tenere d’occhio

 

Piero Hincapie – Ecuador

A inizio 2022 avevamo inserito Piero Hincapie tra i giovani da seguire nell’anno che si sarebbe concluso con il Mondiale, in cui il difensore ecuadoriano non ha fatto che confermare le aspettative. Ma la stagione della definitiva consacrazione, va detto, è stata l’ultima, in cui ha contribuito a fare del Bayer Leverkusen quel fortino inespugnabile capace di resistere invitto per 54 partite prima di capitolare sotto la tempesta di fuoco di Ademola Lookman.

 

Nell’ultima Copa América, alla quale arrivava da debuttante assoluto, ha giocato sempre da titolare, fin quando ha incrociato l’Argentina ed è stato espulso per aver fermato con le cattive Di Maria. Nelle quattro partite precedenti, però, aveva messo in mostra un set di abilità da mastino di prim’ordine, ma anche una certa eleganza e calma in fase d’impostazione, l’abilità con i piedi in fase di principio di manovra, che sono poi le caratteristiche che hanno fatto innamorare di lui anche Xabi Alonso. Una naturalezza che deve derivargli dall’essere cresciuto giocando da volante creativo, con il 10 sulle spalle. Nell’ultima Bundesliga è stato uno dei migliori per percentuale di passaggi riusciti, oltre il 91%, e ha anche segnato un gol – uno solo, però pesantissimo – contro il RB Lipsia.

 

A soli 22 anni è già un leader de “La Tri”, come Moisés Caicedo, con il quale ha vinto una Libertadores Under 20 con l’Independiente del Valle: e proprio come per Moisés, l’attenzione nei suoi confronti sta lievitando, anche se difficilmente lo vedremo lontano da Leverkusen la prossima stagione. Intanto, chiunque affronterà l’Ecuador, dovrà passare sul suo cadavere, e non è proprio la più semplice delle cose.

 

 

Santiago Giménez – Messico

Nell’Eredivisie 2023/24 ha segnato 23 volte (18 nelle prime 15 giornate!) e fornito 6 assist in 30 partite: praticamente, ha contribuito ad almeno un gol a partita per il Feyenoord che non è riuscito però a tenere il passo del PSV. La mancata convocazione di Raúl Jiménez e Henry Martin significa che l’allenatore Jaime “El Actor” Lozano (bel soprannome, no? Ci arriviamo) non ha dubbi su quale sia il nueve su cui punta il Messico. Imponente, dalla presenza sempre inquietante, Giménez sembrerebbe il classico centravanti da area di rigore, reattivo nel fiondarsi sulle seconde palle, sempre pronto al tiro, e invece è anche molto bravo nel fare da sponda, nel proporsi in maniera associativa, oltre che nel vedere linee di passaggio che detta o riceve infilandosi negli spazi. Il problema principale con cui dovrà vedersela Giménez, piuttosto, sta in tutto il resto della squadra che lo circonda, che nelle ultime partite in cui è scesa in campo si è mostrata piuttosto atrofizzata: riuscirà Giménez a svegliarla dall’intorpidimento?

 

Miguel Almirón – Paraguay

Oh, Almirón, Almirón: perché sei tu, Almirón? Rinnega i tuoi padroni, e rifiuta il tuo nome! Oppure, se non vuoi, tienili pure, rimani al Newcastle anche se non sei al centro del progetto, oppure molla tutto e scappatene in Arabia Saudita, ma non tradirmi anche in questa Copa América, prenditi i guaraní sulle spalle e toglili dalla mediocrità, riprendi per mano la sudamericanità che avevi ad Atlanta, torna ad essere decisivo, magari in un club argentino dove tornare a farci vedere le fiamme, i fendenti in profondità, le brignole dal limite, la classe che solo la sfortuna di capitare nel peggior Paraguay della storia ti ha proibito di mettere in mostra, almeno fino a oggi.

 

Víctor Dávila – Cile

Se abbiamo sentito parlare pochissimo di quest’ala e seconda punta cilena, mancina e funambolica che in patria chiamano Turboman, è perché nell’ultima stagione, dopo una carriera piuttosto lunga – quattro stagioni – in Messico, ha giocato nel CSKA Mosca, cioè in un campionato a noi precluso, del quale filtrano pochissime informazioni, che non è televisivizzato, ma nel quale ha segnato 5 reti e fornito 5 assist.

 

Gareca ha puntato fortissimo su di lui dall’inizio della sua avventura alla guida della “Roja“, trovandogli posto come esterno – tanto a piede invertito, quanto sinistro – nel suo schema offensivo. Dávila lo ha ripagato segnando un gol contro l’Albania, e soprattutto una convincente doppietta contro Paraguay peraltro di testa, in entrambe le occasioni, non proprio il suo fondamentale preferito. Nell’idea di Gareca si sarebbe dovuto combinare con Gabriel Suazo per assistere al meglio le finalizzazioni di Edu Vargas (sì, ancora lui): tutto ci si aspettava tranne un’insolita vena realizzativa, ma meglio così. Chissà se saprà confermarsi a questi livelli in Copa América.

 

Lautaro Martínez – Argentina

Certo, Lautaro non è una sorpresa per nessuno, quest’anno si è preso la Serie A da giocatore più forte e bomber più prolifico della migliore squadra d’Italia, mettendo a segno ventiquattro reti, otto in più del secondo classificato Vlahovic, ma soprattutto giocando sulla trequarti, definendo le azioni, vedendo il suo carisma esplodere, la sua influenza sui compagni farsi inarrestabile. Rischia, piuttosto, di diventare una sorpresa per Scaloni: convincendolo, cioè, non solo che dopo il flop qatariota può aver senso tornare a puntare su di lui come centravanti titolare, ma anche – come si è visto nell’amichevole con l’Ecuador – che la convivenza con Julián Álvarez è possibile, soprattutto in partite in cui Messi, o Di Maria, dovessero alzare bandiera bianca prima del tempo. Anche se ci sarà da definire bene dove inizia l’area di influenza dell’uno e finisce quella dell’altro, evitare le sovrapposizioni. Sarà interessante capire come Lautaro, il suo carisma, faranno di tutto per imporsi in questo dualismo che da sempre, da quando esistono i centravanti, probabilmente, attanaglia le decisioni dei tecnici argentini.

 

Bobby Armani De Cordova Reid – Giamaica 

Il centrocampista del Fulham, che i suoi tifosi chiamano “Mr Versatile”, è uno dei più sottovalutati giocatori della Premier League. Agli ordini di Marco Silva quest’anno ha preso per mano il Fulham e l’ha condotto a una salvezza facile, togliendosi anche qualche soddisfazione come quelle di segnare tanto ad Anfield quanto al Craven Cottage contro l’Arsenal. Silva l’ha schierato perlopiù come attaccante laterale, a destra o a sinistra, ma anche come trequartista, mezzala destra e sinistra, qualche scampolo anche come laterale basso. Nelle ultime uscite il tecnico Halmigrsson lo ha schierato largo a centrocampo, con autorizzazione ad accentrarsi per mettere in mostra tutta la sua tecnica. È un baller, ma anche un tipo umile; uno che gioca un calcio da strada, ma anche estremamente pragmatico. Non è giovanissimo, ma si merita che questo palcoscenico gli dia un po’ di visibilità anche a chi non segue il Fulham.

 

Sei giovani da seguire

 

Kendry Paez – Ecuador, 17 anni

L’esplosione di Kendry Paez è stata inattesa e deflagrante, come quella di un vulcano andino: mancino purissimo, abile nello stretto, dribblaholic esegeta della cola de vaca – quella finta in cui il pallone ti resta attaccato al piede mentre inneschi un allungo che lascia il difensore piantato al suolo – nonostante vanti solo sette presenze in Nazionale (e poco più di trenta partite da professionista) è già una delle next big thing del continente. La sua permanenza in Ecuador, all’Independiente del Valle, è a termine: appena compirà 18 anni, cioè nell’estate dell’anno prossimo, si aggregherà al Chelsea. Nel mezzo ci sono questo Copa América, il proseguio della Libertadores, e poi altre partite di qualificazione ai Mondiali, tutte occasioni per Kendry di affinare la sua convivenza in ambienti competitivi. Ma anche di esporsi, ancora di più, lui che è già una star, anche fuori dall’Ecuador. Intanto, in virtù di quel motto game recognizes game, è chiaro un po’ a tutti con chi scambiare la propria maglia, quando si gioca contro Kendry.

 

Julio Enciso – Paraguay, 20 anni

Enciso è un predestinato, uno di cui si parlava già quando era poco più di un ragazzino, per l’erotismo con cui utilizzava – e utilizza – il destro, con la suola, con l’esterno, con l’interno. Dribblatore seriale senza risultare però tossicomane, il passaggio in Premier League, al Brighton, ha permesso a tutte le sue doti di esplodere: è diventato un giocatore appassionante, vistoso, maleducato. Abile nello stretto, rapido negli spazi larghi, dotato di capacità balistiche oltre la media. Un infortunio l’ha tenuto fuori fino a febbraio, e il rientro non è stato proprio entusiasmante, ma Enciso è pur sempre uno dei prospetti più interessanti usciti fuori dal calcio latino negli ultimi anni, e la Copa è una buona occasione per provare a ricordarcelo.

 

Jhon Durán – Colombia, 20 anni

La differenza tra una promessa e una speranza, tra un sostituto e un supersub, la fa tutta la capacità di incidere sui risultati della tua squadra, e di importi con risultati concreti. Jhon Durán, nella sua prima stagione in Europa, in Inghilterra, con l’Aston Villa, non ha giocato molto – solo 456 minuti – ma ha avuto un impatto devastante sulla squadra di Unai Emery, contribuendo alla qualificazione in Champions League e rivelandosi uno dei giocatori più influenti tra quelli ai quali sono riservati pochi scampoli di partita. E comunque, a conti fatti, segnando 5 reti totali, cioè una media di uno ogni 90’. Quattro dei quali segnati entrando in campo dalla panchina.

 

Durán è uno di quegli attaccanti che fremono per scaraventare la palla verso la porta avversaria: nell’Aston Villa di quest’anno solo Bailey, Diaby e Watkins hanno cercato il gol più volte di lui. Longilineo, abile nello stretto, dotato di una reattività strepitosa nella preparazione al tiro e di una balistica interessante, non parte tra i titolari ma oh: non è questo, in fondo, esattamente il suo talento?

 

Dario Osorio – Cile, 20 anni

Darío Osorio è un po’ il cosplayer giovane di “Turboman” Dávila, non foss’altro nel compito che Gareca si aspetta compia nella “Roja“: parte sulla fascia, ma spesso si accentra, lasciando spazio sull’esterno per le salite – ancora temibili – del redivivo Mauricio Isla.

 

Tenace e talentuoso, esplosivo eppure tatticamente molto disciplinato, nell’ultima stagione ha giocato in Danimarca, dove ha vinto la Superliga con il Midtjylland segnando 5 gol in 14 presenze. Un exploit che non è passato inosservato neppure a Thomas Gravesen. Non è “il Mago” Valdivia, e mai lo sarà, ma è sicuramente uno degli ultimi diez più interessanti usciti fuori dal calcio cileno, e in un periodo di siccità come quello degli ultimi anni non è poco. Nelle ultime amichevoli Gareca non lo ha schierato per i postumi di un infortunio subito nell’ultima fase della stagione, con l’intento di preservarlo in vista della Copa, il che è profondamente eloquente di quanto le speranze de la Roja poggino anche su questo giovane fantasista.

 

Yan Couto – Brasile, 22 anni

Avrei voluto tanto inserire in questa lista Savinho, probabilmente la migliore rivelazione della Liga appena finita, assistman principe del Girona, incubo delle difese di mezza Spagna e in grande spolvero anche in una delle ultime amichevoli del Brasile prima della Copa América, quella contro il Messico (la maniera in cui taglia i messicani come fossero burro di malga prima di appoggiare a Andreas Pereira la palla per il gol del vantaggio, l’avete vista?). Invece ci inserisco Yan Couto, sodale di Savinho nella masterclass del Girona, uno dei volti nuovi sul quale Dorival sembra puntare molto, anche se nelle gerarchie iniziali parte alle spalle di Danilo. 

 

Dotato di una grande tecnica, flessibile in campo, sempre pronto anche ad accentrarsi, Yan Couto è il prototipo del terzino contemporaneo, pur traendo linfa vitale dagli insegnamenti che gli sono permeati sotto pelle nel passato (in un tempo in cui Dani Alves non era in carcere, ma a fare le fiamme sui campi, per intenderci). 

 

Insomma, volevo inserire un calciatore non specificamente offensivo, ma l’assioma mi pare pacifico: se sono giovani, e sono promettenti, spesso e volentieri, anche se fanno i laterali bassi, finiscono per essere giocatori ultraoffensivi. Yan Couto, in più, è disciplinato tatticamente: cosa può andare per il verso sbagliato, per Dorival Junior?

 

Piero Quispe – Perù, 22 anni

Il flaquísimo Piero Quispe, da un semestre, si è trasferito in Messico. Ha portato l’Universitario, la squadra in cui è cresciuto, a una vittoria attesissima nel campionato peruviano a fine 2023 e poi, come se la sua missione potesse dirsi compiuta, ha deciso di alzare l’asticella nella sua carriera sbarcando in Liga MX. Quispe è un trequartista, che può anche ricoprire il ruolo di mezzala offensiva, sinuoso e flessibile come una canna di giunco, che sembra avere un’urgenza mulinante di giocare, ha un gran tiro dalla distanza e la personalità sufficiente per cercare giocate ambiziosissime. Anche se conta ancora pochissime presenze in Nazionale – nella quale ha esordito nel novembre del 2022 – Fossati ne ha già fatto un punto di forza – anche perché lo ha allenato all’Universitario. Mai lezioso, ma anzi al contrario estremamente funzionale, Quispe usa il dribbling sullo stretto per lanciarsi in progressione, grazie a un controllo educatissimo del pallone e una serie di movenze che lo rendono simile – ma meno arginato sulla fascia con solo compiti offensivi – al più letale e spietato Chucky Lozano degli esordi. In una squadra alla ricerca di un rinnovo generazionale, Quispe è la gemma un po’ grezza che però promette di far innamorare. 

 

La novità regolamentare: il cartellino rosa

 

Gli Stati Uniti sono quel luogo dell’anima calcistico in cui sono stati introdotti gli shootout al posto dei rigori: un posto, quindi, massimamente curioso e aperto alle innovazioni.

 

Quella che andrà in scena per la prima volta nella Copa América, invece, è sì una novità regolamentare, ma non a favore dello spettacolo quando della sicurezza dei giocatori in campo: farà il suo debutto nel torneo, infatti, il cartellino rosa, deputato a segnalare la necessità di una sostituzione in seguito a concussion, quindi infortuni alla testa che hanno esposto i calciatori al rischio di traumi cranici o commozioni cerebrali. L’innovazione diventerà effettiva, ufficialmente, dal primo luglio: tuttavia la Copa América sarà utilizzata come occasione per mettere a punto e sperimentare già il suo funzionamento effettivo. 

 

La sostituzione successiva all’esposizione del cartellino rosa non rientrerà nel computo delle cinque previste, o meglio costituirà la sesta possibilità di cambio, e sarà a beneficio di entrambe le squadre: se la squadra A chiederà di esporre il cartellino rosa, ed effettuerà il sesto cambio, anche la squadra B avrà la possibilità di far subentrare sei uomini dalla panchina.

 

I giocatori che pensavi si fossero ritirati, e invece

 

Paolo Guerrero – Perù

El Bárbaro” aka “El Depredador” aka “El Pistolero” aka “Sisqo” è tornato e tu non puoi proprio farci niente. Che friccico ci è risalito su per la schiena quando Fossati ha annunciato la lista dei 26? Quando laggiù, in basso a destra, in un font più piccolo, a marinare nell’ombra come il ceviche più buono che tu abbia mai mangiato, a riposare per regalarti la leche de tigre più corroborante della tua vita, nascosto come la bottiglia di pisco che avevamo dimenticato, abbiamo scorso il nome di Paolo, oh Paolo: quanto siamo stati felici? Guerrero è tornato a giocare in Perù nel marzo scorso, è il centravanti e capitano di una squadra dal nome fantastico, il nome di una delle massime figure letterarie peruviane, amico di Neruda, di Cocteau, di Tzara, di García Lorca: il César Vallejo di Trujillo. Che è come se in Serie A ci fosse un Italo Calvino FC. Comunque: è tornato, con la sua chioma bionda ossigenata, e bum, ha ripreso ovviamente a segnare.

 


Qua un gol con una schicchera in area, e subito dopo un assist al numero 9 che, a giudicare dallo stop a inizio azione, deve aver segnato col naso rotto.

 

Guerrero ha 120 presenze con la Nazionale andina, 8 in meno di Palacios e Yotún: se non avesse dovuto saltare l’ultima Copa per infortunio, ora sarebbe in procinto di diventare il detentore del primato. Da un po’ è il massimo goleador della Bicolor con 40 gol, uno ogni tre partite con Los Incas, e quest’anno festeggia il suo ventesimo anno con la Nazionale, con la quale ha disputato cinque edizioni della Copa América, raccogliendo un terzo posto e giocando anche una finale, nel 2019. Se Fossati gli regalerà almeno un minuto diventerà il giocatore che ha giocato più Copa América di tutti. E poi: a tre reti di distanza c’è il primato dei massimi goleador della competizione (“Tucho” Méndez, a 17: Guerrero ne ha 14). Servono altri motivi per sperare di vederlo al fianco di Lapadula?

 

Juanfer Quintero – Colombia

Juanfer ha solo 31 anni, anche se quelli percepiti sono almeno dieci in più. Il fatto è che è esploso giovanissimo, voglio dire: sono già passati dodici anni da quando il Pescara ha portato per la prima volta in Europa questa gemma brillantissima, che magari poi si è un po’ persa per strada ma che è pur sempre l’autore di un gol che è valsa una Libertadores in un Superclásico.

 

L’ultima stagione, in Argentina, con il Racing Club, è stata una delle sue migliori in carriera da un punto di vista realizzativo: ha segnato 5 reti, e per buoni tratti della stagione è stato semplicemente ingiocabile, affermandosi come leader tecnico e carismatico del Racing, del quale è arrivato a indossare anche la fascia da capitano. Ultimamente sta passando un periodo piuttosto complicato: ad aprile, nel mezzo del suo strepitoso stato di forma, un improvviso ricovero della moglie in Colombia l’ha turbato e distratto. Contro gli States, in una delle ultime amichevoli, però, è tornato il Juanfer che fornisce filtranti visionari, ha servito due assist ed è anche apparso meno imbolsito del solito. Nota di colore: Rafael Santos Borré, un altro che pensavamo si fosse ritirato dalla scene, ha segnato in rovesciata.

 

Salomón Rondón – Venezuela

Dove eravate, quando Salomón Rondón ha esordito con la “Vinotinto” in Copa América? Vi do un indizio: è successo nel 2011. Questa sarà la sua quinta Copa, alla quale arriva dopo una stagione spaventosa da 8 gol in 12 partite con la maglia del Pachuca, in Messico, in Liga Mx, ma soprattutto dopo una cavalcata trionfante nella Champions League del Centroamerica, dove ha guidato i messicani a una vittoria monstre segnando 9 gol in 7 presenze, due dei quali in finale.

 

Insomma, qua la domanda non è tanto possibile che in Venezuela non ci sia ancora un sostituto di Rondón?, quanto: con questo Rondón, ha davvero senso trovare un sostituto?

 

Joel Campbell – Costa Rica

Pochi giocatori possono vantare una carriera schizofrenica come quella del centravanti costarricense. Giunto in Europa ormai tredici anni fa, ingaggiato dall’Arsenal con le stimmate della promessa, Joel ha cambiato squadra praticamente ogni anno, sempre tornando all’Arsenal per constatare che no, spazio per lui non c’era, facciamo le valigie e ripartiamo.

 

Dopo l’esperienza di Frosinone, Campbell è stato abbracciato dal Messico, dove ha giocato per quattro stagioni rimbalzando tra León e Monterrey prima di dire sapete che c’è? Mollo tutto e me ne scappo in Costa Rica, che per lui però è significato soprattutto tornare a casa.

 

Nell’Alajuelense ha ritrovato Celso Borges, Yohan Vanegas, un po’ di quel bel Costa Rica Che Fu, e si è praticamente passato il testimone con Bryan Ruiz, che nella stessa squadra si è ritirato.

 

Il tecnico Gustavo Alfaro lo ha inserito nella rosa per la Copa non tanto per affidargli un posto da titolare (i “ticos” hanno un centravanti piuttosto promettente, Ugalde, che gioca in Russia) quanto a monito ambulante, affinché tutti gli altri giocatori possano buttargli un occhio, in tribuna, e pensare che ogni cosa è possibile, se c’è riuscito Joel.

 

 

In fondo, la federazione peruviana ha assoldato Fossati in vista del cammino di qualificazione al Mondiale, mica per la Copa, che capita più come un inconveniente irrinunciabile: il che significa che non ha, a pendergli sulla testa, nessuna spada di Damocle. Con questa leggerezza, forse sarà più facile vedere un gioco divertente, con un Perù impostato sul modulo prediletto di Fossati, il 3-5-2, lo stesso con il quale ha trasformato l’Universitario di Lima riportandolo al successo dopo un digiuno durato dieci anni. Pressione alta, recupero palla il più possibile vicino alla porta avversaria: «proposta, e non risposta» sono i suoi dettami tattici, che alcuni dei giocatori più esperti o interessanti di questa squadra, come Edison Flores o la promettente mezzala Piero Quispe, conoscono già per averli applicati all’Universitario. E poi, Fossati può contare su tutto il carisma di Gianluca Lapadula: ci sono stati settantenni che hanno allenato in Copa América che si sono dovuti accontentare di molto meno.

 

Jaime “Jimmy” Lozano – Messico

È passato poco più di un anno da quando, in una partita di Nations League zona CONCACAF, il Messico è caduto ingloriosamente sotto i colpi dei rivali di sempre degli Stati Uniti. L’allenatore del “Tri“, all’epoca, era l’argentino Diego Cocca, subentrato a un altro argentino, Gerardo Martino, dopo l’ecatombe in Qatar.

 

La sconfitta sanguinosa, il gioco decisamente poco creativo della squadra di Cocca e il non trascurabile dettaglio che il Messico non era nelle mani di un tecnico messicano da quasi un decennio hanno concorso affinché in federazione si decidesse di operare un cambio drastico. Il nome su cui è caduta la scelta è quello di Jaime Lozano, detto “Jimmy” o “El Actor”, figlio di due attori di telenovelas abbastanza celebri in patria e giovane rampante (sarà il più giovane allenatore della Copa) che era stato in grado di regalare al Messico una medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Tokyo 2020. La nomina di Lozano a traghettatore ad interim sembrava una maniera come un’altra di farne carne da macello: a quattro giorni dall’inizio della Golden Cup, invece, Jimmy ha preso per mano una squadra composta da mostri sacri come Guillermo Ochoa e giovani promettenti (anche per via dell’assenza di Hirving Lozano e “Tecatito” Corona), e ha intavolato una corsa sfrenata e inattesa che l’ha portato ad alzare il trofeo.

 

 

L’ossatura della squadra campione della Golden Cup, che è poi quella dell’Under 23 bronzo olimpico, è più o meno quella sulla quale farà affidamento Lozano anche in questa Copa América, dalla quale ha però volontariamente tenuto fuori non solo Ochoa, ma anche Hirving Lozano, appunto, e poi Raúl Jiménez e Henry Martin. Il suo 4-3-3 (o 4-2-3-1) punterà tantissimo sulle ali, che giocano tutte in patria (nonostante, peraltro, Lozano sia un grande sostenitore dei messicani che emigrano in cerca di esperienza). In un contesto in cui, anche se sei l’allenatore designato sul quale la federazione ha deciso di puntare per i Mondiali casalinghi, regna una perenne area da stallo – è proprio il caso di dirlo – alla messicana, Lozano sembra allo stesso tempo sufficientemente coraggioso per sobbarcarsi l’impresa di gestire il gruppo e sufficientemente fragile per essere spazzato via in caso di disfatta. Comunque vada, sarà divertente vedere un uomo sulla graticola cercare di inventarsi qualcosa per sopravvivere a un ambiente pronto a fagocitarti.

 

 

Cinque partite del primo turno che proprio non mi posso perdere, e perché

 

Perù – Cile (22 giugno, 2.00 am): dando per scontato che nessuno si perderà la gara d’esordio tra Argentina e Canada, con il ritorno di Messi in Albiceleste, e l’occasione per vedere se Jesse Marsch è un fenomeno o un bluff, ci sarebbe questo Clásico del Pacifico in cui oltre a rievocare il mai sopito senso di rivalità scaturito a fine Ottocento per il possesso dei giacimenti di guano e salnitro, e la primigenia del gesto della rovesciata (chilena per Santiago, chalaca per Lima), ci si è messa pure la presenza di Gareca sulla panchina del Cile dopo sette anni alla guida del Perù. Pronti?

 

Cile – Argentina (26 giugno, 3.00 am): a distanza di quasi dieci anni, lo scontro che ha già scritto alcune delle pagine più scure del calcio argentino e ha portato al primo ritiro dalla Selección di Messi. La storia si ripete prima come tragedia, poi come farsa, poi…?

 

Messico – Ecuador (Primo Luglio, 2.00 am): riuscirà Lozano a vincere lo scontro a distanza con Félix Sánchez Bas? Il revanscismo autarchico messicano che incontra l’ambizione globale ecuadoriana, con la Santa Muerte a soffiare sul collo di Lozano (o a cullarlo sotto il suo mantello). 

 

USA – Uruguay (2 Luglio, 3.00 am): le due favorite del gruppo C che si sfidano all’ultima giornata per – presumibilmente – giocarsi il primato nel girone. Bielsa, a quel punto, sarà ancora Venerabile Maestro o Solito Stronzo?

 

Brasile – Colombia (3 Luglio, 3.00 am): anche qua potrebbe essere la partita che definisce il primato del girone, e l’ultimo precedente ha visto Lucho Díaz letteralmente on fire. Plata o plomo, Dorival?

 

 

Tags :

Fabrizio Gabrielli scrive e traduce libri. Ha tradotto Eduardo Galeano e Leopoldo Lugones. Ha scritto "Sforbiciate. Storie di pallone ma anche no" (Piano B, 2012), "Cristiano Ronaldo. Storia di un mito globale" (66thand2nd, 2019) e Messi (66thand2nd, 2022). Scrive su Ultimo Uomo dal 2013.