Tre anni fa il tempo si è fermato per cinquanta minuti nell'intervallo fra il collasso di Eriksen e il tweet con cui la UEFA annunciava la stabilizzazione delle sue condizioni mediche. Eriksen era crollato al suolo di punto in bianco, e per diversi minuti il suo cuore aveva smesso di battere.
È quasi un miracolo, allora, che tre anni dopo assisteremo ad un Campionato Europeo in cui Christian Eriksen sarà ancora nel cuore del centrocampo della Danimarca. Un calciatore che in una delle ultime amichevoli giocate, ormai quasi del tutto calvo, ha segnato un gol e fatto un assist con la fascia da capitano al braccio. Un gol con un tiro a giro da fuori su cui il portiere della Svezia non ha nemmeno provato a tuffarsi.
Ci sono squadre per cui tre anni possono significare dei cambiamenti d’umore anche radicali, e altre per cui il tempo non sembra passare affatto. La Danimarca pare sostanzialmente quella di tre anni fa, ma sotto le apparenze, in realtà, molto è cambiato.
Dopo quel momento scioccante, in cui la morte ha fatto irruzione su un campo da calcio, la Danimarca si rimise in piedi brillantemente, giocando il miglior torneo internazionale da quando, nel 1992, vinse un Europeo leggendario. Artefice del nuovo corso era stato il ct Kasper Hjulmand, il cui arrivo era stato anticipato di un anno. Da allora la mentalità della Danimarca è cambiata, da squadra reattiva e quasi remissiva, impostata su un baricentro basso, a squadra più offensiva, più a proprio agio col pallone, più sfrontata. Una Nazionale capace, almeno in parte, di recuperare l’identità del calcio danese, basata su una combinazione di potenza fisica e raffinatezza tecnica.
Dimenticare il Mondiale, recuperare lo spirito dell'Europeo
Eguagliare la semifinale di tre anni fa non sarà semplice. C’è sempre Hjulmand in panchina e l’undici titolare non è molto diverso da quello dell’ultimo Europeo. Tuttavia, il momento di maggior brillantezza per la Danimarca sembra essere passato. I Mondiali, dove la squadra arrivava con grande hype e al culmine di un percorso di qualificazione impressionante (9 vittorie e 1 sconfitta, 30 gol fatti e 3 subiti), sono stati una delusione: 1 punto in 3 partite, con la terribile sconfitta finale contro l’Australia e un clima deprimente e confuso, alimentato dalla reazione politica del paese. La Danimarca, infatti, è stato uno dei paesi che ha criticato più rumorosamente l'edizione qatariota. In collaborazione con lo sponsor tecnico Hummels, per esempio, la Danimarca si è presentata con un kit “di protesta”. I simboli grafici sopra la maglietta sono finiti sepolti sono il colore, sbiaditi: una metafora efficace dell'atteggiamento dimesso con cui la squadra ha giocato quei mondiali.
La panchina di Hjulmand, comunque, non è finita in discussione. Dopo l’eliminazione il tecnico ha parlato di scarsa qualità e poca freddezza: «Troppa emotività e troppa poca qualità: esattamente le cose che non avremmo dovuto mostrare contro l’Australia». Prima di quella partita è difficile dare conto dell’ottimismo che circondava la Nazionale danese, e forse il miglior modo è recuperare questo racconto che The Player’s Tribune aveva dedicato al CT stesso. Nell’articolo - che si apre con un riferimento di cattivo gusto alla morte - Hjulmand raccontava come l’episodio drammatico di Eriksen avesse avuto l’effetto di cementare lo spirito della squadra, trovando una comunione d’intenti che era mancata nel ciclo precedente.
L’obiettivo per Euro 2024, allora, sarà recuperare quello spirito. Le qualificazioni sono filate via lisce, anche se hanno mostrato una Nazionale meno brillante del recente passato. Che cos'è la Danimarca? Una squadra che vorrebbe controllare il pallone e dominare il gioco, ma senza qualità sufficiente per farlo. Una squadra che potrebbe difendersi in basso e provare a sfruttare l’atletismo in campo aperto dei suoi giocatori, ma forse senza la necessaria disciplina per poterlo fare.
Una squadra completa ma con pochi picchi
Hjulmand alterna due o tre attaccanti, la difesa a tre o a quattro, a seconda del valore dell’avversario. Potremmo però vedere la Danimarca schierata su un 3-5-2 che dovrebbe provare a nascondere i difetti della squadra: difensori centrali forti fisicamente ma un po’ lenti, e l’assenza di rifinitori ed esterni che saltino l’uomo. Il capitano Kjær è sembrato fisicamente spremuto quest’anno, anche se il CT si è detto fiducioso sul suo stato di forma: «Abbiamo molti dati su di lui ed è tutto sotto controllo, è in buona condizione fisica». Tuttavia la coppia titolare dovrebbe essere composta da Christensen e dall’ex Sampdoria Joachim Andersen, con Vestergaard in aggiunta in caso di difesa a tre. Il centrocampo è il reparto più ricco e il cuore della squadra. È formato da una serie di giocatori completi e intelligenti: le due mezzali sono Højbjerg e il sottovalutato Delaney, mentre come vertice basso si alternano Nørgaard (molto amato dal CT), Højbjerg e Hjulmand, reduce da una super stagione allo Sporting. Eriksen, se sta bene, gioca mezzala, sganciandosi però per finire a ricoprire un ruolo da dieci classico, dove può avere più impatto in fase di rifinitura.
La Danimarca costruisce con un 3+1 e poi quattro giocatori nella linea più avanzata, e le due mezzali che possono alternarsi a scendere per dare una mano.
Con questo assetto la Danimarca non arriva facilmente negli ultimi metri. Allora la scorciatoia diventa avere due centravanti in grado di offrire linee di passaggio anche sporche, ma che possono permettere alla squadra di avanzare. La Danimarca tiene molto la palla con i tre difensori, abbassa i ritmi e se non trova il modo di avanzare sul corto non si fa problemi ad andare diretta sulle punte.
Hjulmand ha convocato praticamente cinque centravanti e non è semplice capire chi giocherà titolare, oltre a Rasmus Højlund, stella della squadra e unico attaccante abile a muoversi in profondità. Con una punta vicina gli si toglie molto lavoro di cucitura in cui del resto non brilla. Wind, Dolberg, Laursen e Poulsen sono tutti giocatori fisici, forti nei duelli e dei gran lavoratori in fase di non possesso. Le due punte sono anche i primi distruttori del gioco avversario. Se la Danimarca non riconquista palla sulla prima pressione, si ricompatta velocemente all’indietro e non si fa problemi ad abbassarsi intorno all’area. È un pressing volto più a rompere il gioco avversario che a riconquistare palla; un pressing da cui la squadra ricava poche occasioni da gol.
Le mezzali devono sempre offrire un appoggio sulle sponde delle punte e trovare la rifinitura. Anche gli esterni sono molto responsabilizzati in fase offensiva, Kristiansen del Bologna e l’ex Atalanta Mæhle.
In generale, non è una squadra molto diretta, figura tra quelle che tirano di meno da situazione di contropiede.
L’altra soluzione, che il ct Hjulmand ha usato soprattutto in partite dal contesto più offensivo, è un 4-3-3 più affine alla tradizione danese - la Danimarca è storicamente una piccola Olanda, per la capacità di produrre calciatori dallo spiccato senso estetico. Le ali in squadra non sono molte e verranno usate solo in determinati contesti. Andreas Skov Olsen è reduce dalla migliore stagione realizzativa della carriera: 26 gol segnati con la maglia del Club Bruges. La sua capacità di accentrarsi sul sinistro e far partire il tiro è vitale per una squadra a cui mancano gol. A volte Hjulmand per schierarlo ha usato un 3-4-1-2, in modo da tenerlo vicino alla porta e non rinunciare alla difesa a 3.
Gli altri due sono il più brevilineo è dribblomane Dreyer e l’elegante Damsgaard. Tre anni fa fu lui a raccogliere lo scettro creativo della squadra dopo l’incidente di Eriksen, e lo fece con una classe da predestinato. Ricordate il gol su punizione all’Inghilterra? Da talento generazionale. Damsgaard lo conosciamo, su Ultimo Uomo tutti avevamo una cotta per lui, ma al Brentford la sua parabola ha preso una china malinconica, soprattutto per problemi molto particolari al ginocchio: «Ho lottato con un’artrite reumatoide che mi ha costretto a un intervento chirurgico e ho dovuto prendere molte medicine per farla andare via»; i medici gli hanno detto che potrebbe essere costretto ad assumere medicine per il resto della sua vita. Ha giocato una stagione senza gol in Inghilterra, ma Hjulmand lo ha convocato spendendosi in un atto di fede sul suo talento.
La Danimarca non costruisce poco: è la settima squadra tra quelle delle qualificazioni per xG prodotti per novanta minuti (più di Italia, Olanda e Inghilterra, per capirci). I calci piazzati sono una risorsa importante: si tratta della seconda squadra per tiri effettuati verso la porta da calcio piazzato, e la quarta per xG costruiti in questa situazione.
Rasmus Hojlund è pronto per responsabilità più grandi?
La Danimarca, insomma, è una squadra cerebrale, conscia dei propri limiti e che per questo sta molto attenta a non perdere gli equilibri. Non vuole alzare troppo i ritmi, non vuole allungarsi per il campo, non vuole trasformare le partite in una gara di strappi e atletismo. Vuole difendere e attaccare in un campo piccolo: è la terza squadra più corta tra quelle delle qualificazioni europee, dietro Spagna e Inghilterra. La gerarchia davanti sembra essersi definita, con Jonas Wind che dovrebbe partire titolare vicino a Rasmus Højlund: giocherà in sua funzione, per portargli via un difensore e aprirgli gli spazi. Il centravanti del Manchester United sarà una delle giovani stelle più seguite del torneo, e dovrà dimostrare un valore finora ambiguo. È stato pagato molto, ha dato segnali di un talento speciale, ma è ancora lontano da una continuità di alto livello.
L’impressione è di una squadra piena di giocatori intelligenti ma in cui mancano talenti in grado di essere risolutivi in un torneo breve. Højlund è pronto per assumersi quel tipo di responsabilità?